sabato 9 gennaio 2021

Viareggio, la prescrizione cancella la strage. - Marco Grasso

 

In Cassazione. Ribaltato l’Appello: 11 condanne su 33 imputati, l’omicidio colposo è confermato ma estinto. Nuovo processo per l’ex ad Mauro Moretti. I parenti: “Una vergogna”.

È uno strano destino quello che fa finire questa giornata poco lontano dal luogo in cui è iniziato tutto. Non in un’aula di tribunale, ma nella sede della Croce Verde di Viareggio. A qualche centinaio di metri da via Ponchielli, a ridosso della stazione. Il teatro del disastro ferroviario in cui il 29 giugno 2009 hanno perso la vita 32 persone, investite dalle fiamme mentre stavano dormendo nelle loro case: il deragliamento di un treno merci con 14 carri pieni di gas gpl provoca un’esplosione che travolge tutto. Quando le prime voci frammentarie cominciano ad arrivare da Roma poco dopo le 14 nella sala cala una cappa di silenzio. I messaggi si rincorrono, c’è chi comincia a piangere al telefono. Qualcuno dalle ultime file urla “È una vergogna”. Altri se ne vanno prima di sapere che andrà a finire come sembra: le morti della strage di Viareggio resteranno impunite. Il primo a prendere la parola è Vincenzo Orlandini, marittimo. Il suocero invalido, Mario Pucci, 90 anni, è la vittima più anziana dell’incidente. Non poteva muoversi dal letto. È morto con la badante, Ana Habic: “È un fatto di una gravità assoluta. Ci prenderemo tempo per analizzare la decisione. Ci risiamo: un’altra tragedia italiana insabbiata con la prescrizione”.

Pochi minuti e la notizia diventa ufficiale. La Corte di Cassazione ha annullato tutte le condanne confermate in primo e secondo grado, anche quella all’ex amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti. I giudici hanno fatto cadere infatti l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Questo fa sì che le accuse per omicidio colposo siano tutte prescritte. Rimane il disastro ferroviario. Ma ad alcune figure apicali il processo d’appello va rifatto. Anche se Moretti, paradossalmente, sarà l’unico a essere processato nuovamente per omicidio colposo, avendo rinunciato alla prescrizione. Mentre la caduta dell’aggravante grazia tutte le società coinvolte.

Daniela Rombi, che nella vicenda ha perso la figlia, ha scelto di attendere il verdetto davanti alla sede della Suprema Corte si lascia andare a un pianto disperato, che forse è l’immagine che più di ogni altra racconta questa giornata. A questo punto rompe gli indugi anche Marco Piagentini, 52 anni. Le sue cicatrici e la sua caparbietà sono una testimonianza vivente. Nell’incendio ha perso la moglie Stefania, 40 anni, e due figli, Lorenzo, 2 anni, e Luca, 4. Marco, con il corpo ustionato al 90%, è l’unico sopravvissuto della famiglia insieme al terzo figlio, Leonardo, che oggi ha 19 anni. Gli sguardi perduti che si cercano, finiscono inevitabilmente tutti su di lui: “Non ho risposte per tutto”, allarga le braccia. Anche adesso Piagentini chiede di mantenere la calma e di non buttarsi giù, anche se l’amarezza è tanta: “Sono senza parole – sospira – Oggi un colpo di spugna cancella due sentenze e undici anni e mezzo di lavoro di avvocati, magistrati e periti. È una vicenda orribile. E la conclusione è molto deludente: non siamo riusciti ad avere giustizia. La sensazione è di ritornare al Medioevo, quando la giustizia era fatta da pochi signori”.

Tutto il processo costruito dalla Procura di Lucca ruotava intorno alla carenza di manutenzione. L’origine dell’incidente sta nella rottura di un’assile: un perno fondamentale che teneva insieme le ruote del convoglio che ha ceduto. Era arrugginito, ma per ben due volte, invece di sostituirlo, era stato riverniciato. Non solo. Secondo due diverse sentenze, i treni che trasportavano materiale pericoloso viaggiavano ad alta velocità anche in prossimità di centri densamente popolati come via Ponchielli; i convogli erano sistematicamente messi su rotaia in violazione di norme sulla sicurezza risalenti agli anni ‘30; i macchinisti erano sprovvisti di alert antincendio; le carrozze non avevano carri scudo, cisterne cariche di materiali inerti che in caso di deragliamento dovrebbero proteggere gli altri vagoni.

La sottovalutazione di questi rischi, per i giudici dei due gradi di giudizio precedenti, è figlia delle politiche di risparmio di Ferrovie dello Stato, e di un sistema che ha portato negli anni alla compressione dei costi e alla parcellizzazione della manutenzione in una galassia di società italiane ed estere. Il gruppo, inoltre, non aveva un vero e proprio piano di rischio. Queste le ragioni che avevano portato alle condanne: 7 anni a Moretti, 6 anni agli ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano e Michele Mario Elia. E poi manager e tecnici di altre società coinvolte come Gatx Rail l’officina tedesca Jungenthal.

Le accuse di incendio doloso e lesioni gravissime erano già state prescritte in appello. Adesso tocca all’omicidio colposo, annullato senza rinvio. Per una parte dei 33 imputati la colpa nell’incidente è stata riconosciuta, ma andrà mitigata. Per altri, come Moretti, la Cassazione ha disposto un nuovo processo d’appello, per valutare le responsabilità nel disastro. I suoi difensori hanno sempre sostenuto che non potesse essere responsabile delle società controllate. La sua figura è oggetto di evocazione continua nell’evento organizzato dai familiari delle vittime, che spesso lo chiamano “mister X”. Un murale in via Ponchielli lo ritrae con la divisa da carcerato e lo slogan di Martin Luther King: “I have a dream”. La beffa più grande, dicono, è che la vittoria più sentita dell’associazione è la legge Viareggio, approvata dal ministro Bonafede, che se potesse essere applicata anche a questo caso impedirebbe la prescrizione. Finisce così, con la dignità di donne che ripiegano le magliette con i volti dei figli. Via dagli obiettivi, Piagentini si concede un abbraccio, così fugace da sembrare rubato. Domani la battaglia riparte. Oltre quel 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo, protettori dei ferrovieri. Dettaglio che non conta più, perché per la Cassazione non è stato un incidente sul lavoro.

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Il Governo appeso agli appetiti di Renzi. Le condizioni per evitare una crisi in piena pandemia. Italia Viva non punta alle elezioni ma vuole saziarsi col Recovery fund. - Clemente Pistilli

 

Vertice tesissimo ieri sera a Palazzo Chigi, con Italia Viva a un passo dall’uscita dall’Esecutivo. Come al solito però, anche oggi i renziani rompono domani. E in attesa di un nuovo testo sui fondi europei vengono fuori le pretese su come spendere i soldi del Recovery Fund.

Non è vero che Conte mi ha offerto il Ministero degli esteri o dell’economia. Non è una questione di posti, noi le poltrone le lasciamo. Lo ha dichiarato ieri sera Matteo Renzi a Stasera Italia, mentre il vertice a Palazzo Chigi tra il premier e le forze di maggioranza era ancora in corso, e questa volta viene voglia di credergli. La vera partita, quella che da tre settimane sta facendo traballare pericolosamente il Governo, non sembra infatti una battaglia per qualche posto al sole in più. O almeno non principalmente per questo. Il braccio di ferro sembra tutto interno al Recovery fund: sull’Italia dovrebbero piovere addirittura 222 miliardi di fondi europei, una maxi finanziaria, e un partito come Italia Viva, che in base agli ultimi sondaggi non arriverebbe al 3%, sembra deciso a giocarsi il tutto per tutto per cercare di ottenere la gestione della più ampia fetta possibile di quelle risorse.

IL CONFRONTO. I renziani, già prima dell’inizio dell’incontro a Palazzo Chigi, hanno sostenuto che il Conte 2 può considerarsi giunto al capolinea. Non sono soddisfatti nonostante la revizione del Next Generation Eu compiuta dal ministro Roberto Gualtieri, da loro richiesta, e c’è da capirli. Le risorse da destinare alla sanità sono state aumentate da 9 a 19,7 miliardi, alla coesione e lavoro da 17,1 a 27,6, all’istruzione da 19,2 a 27,9, alle infrastrutture da 27,7 a 31,9, al turismo da 3,5 a 8, con il paradosso che quelli che dovevano essere i due pilastri su cui costruire un piano per risollevare il Paese devastato dalla pandemia, digitalizzazione e green economy, si sono visti ridurre gli stanziamenti. Il maggior denaro da distribuire è tutto però destinato a settori in cui nell’attuale esecutivo Iv non tocca palla.

Mentre il Pd e il Movimento 5 Stelle, trovando favorevole anche Leu, battono su un patto di fine legislatura, un programma ben definito che Conte ha assicurato di essere ben disposto ad approntare, Italia Viva ha così alla fine solo preso tempo, alzando la tensione con la solita richiesta di attivare il Mes e rispolverando addirittura il ponte sullo stretto, ma fondamentalmente chiedendo qualcosa di più di una sintesi sul nuovo piano per il Recovery Fund. “Noi vogliamo un testo e non la sintesi”, ha affermato Renzi. Vogliono il dettaglio su quei miliardi con cui si può ottenere molto di più di quello che si può ottenere con un incarico ministeriale o di sottogoverno. E lo vogliono subito. Non a caso, nel corso del vertice Maria Elena Boschi ha detto: “Pochi soldi all’agricoltura e niente al Family act. Se togliete soldi alle nostre ministre, non volete dialogare. Provocate”. Il punto è quello: sono i soldi.

LO SCENARIO. Renzi e i suoi fedelissimi anche ieri hanno continuato a ripetere che l’esito della crisi non saranno nuove elezioni. Difficile però pensare che Italia Viva voglia fare un patto con le destre per andare a raccogliere le briciole di quel Recovery che ha portato il partito a salire sulle barricate. Un problema che Iv avrebbe anche con un eventuale governo tecnico. E poi tanto per i dem quanto per i pentastellati non vi sarebbe alternativa a Conte. I renziani starebbero così alimentando tensioni solo per ottenere altre concessioni, ma la tensione è ormai a un livello tale che la situazione potrebbe diventare incontrollabile pure per loro.

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Cosa fanno girare i due Mattei. - Gaetano Pedullà

 

Se l’ex assessore Gallera era stanco figuriamoci quanto lo sono gli italiani dei balletti dei due Mattei – Salvini al Pirellone e Renzi a Palazzo Chigi – che in piena pandemia fanno girare le poltrone, oltre a quelle altre cose che in questo momento vi sono sicuramente venute in mente. Commissariato per manifesta inefficienza Fontana e cacciato per affaticamento il suo attendente alla Sanità, in Lombardia si torna all’usato sicuro della Moratti, anche se di certo al momento c’è solo una condanna per danno erariale, mentre resta da vedere come conviveranno un governatore azzoppato e la paladina di San Patrignano.

A Roma invece è durato fino a tarda sera un vertice delle forze di maggioranza, dove i renziani hanno rispolverato parole grosse, tipo “non bisogna sprecare i soldi europei del Recovery Fund”. Proprio i seguaci di un signore che ha speso un botto per far comprare alla Presidenza del Consiglio un aereo da nababbi fa la lezione di austerità a Conte e ai 5 Stelle, che lasciano allo Stato metà dello stipendio e ad oggi hanno fatto risparmiare centinaia di milioni con i tagli dei vitalizi e dei parlamentari.

Anche oggi però Renzi e i suoi molleranno la poltrona domani, a patto di decidere come spartire i fondi Ue, ovviamente facendo la parte del leone, perché Italia Viva peserà pure il due per cento ma volete mettere quanto pesa la Bellanova? Certo fa impressione vedere dirottati miliardi dalle politiche green ai cantieri, esattamente al contrario di quanto si diceva alle Leopolde. Ma all’epoca non c’era Giuseppi che portava a casa i soldi dell’Europa.

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Renzi, guerra dei nervi a Conte: ancora minacce, tregua lontana. - Luca De Carolis e Wanda Marra

 

Lite al vertice.

Poteva essere il giorno del giudizio, la resa dei conti. Ma Giuseppe Conte e Matteo Renzi non affondano, giocano di nervi, sperando entrambi che l’avversario ceda per stanchezza. E così nel tavolo di maggioranza di ieri sera sul Recovery Plan Italia Viva accusa e provoca, invoca il Mes e il Ponte di Messina: ma non strappa. Mentre Conte rilancia proponendo un patto di legislatura e tavoli di maggioranza. Con tanto di documento scritto da stilare. Mosse diverse per la stessa guerra di posizione, che si trascinerà fino alla prossima settimana, quando il Consiglio dei ministri dovrà arrivare. Il tema di fondo resta che Renzi vuole le dimissioni dell’avvocato per il Conte ter, e il premier non si fida. Soprattutto, Pd, M5S e Leu si compattano, accusando Iv di voler “commissariare il Cdm”, rinviando ancora sul Recovery. Per prendere tempo.

Nell’attesa, Conte si dedica ai rapporti internazionali. Importante la telefonata con Angela Merkel, che manifesta il pieno sostegno alla Commissione sui vaccini (dopo le polemiche sul fatto che la Germania aveva acquistato 30 milioni di dosi extra da Biontech-Pfizer rispetto all’accordo europeo), ma si parla anche del Recovery Fund. Soprattutto, si informa della situazione politica italiana, chiedendo al premier come vanno le cose. In mattinata invece la presidente della commissione europea Ursula Von Der Leyen aveva lodato il lavoro dell’Italia sul Recovery plan: “È in corso un negoziato molto buono con l’Italia come con tutti gli altri governi, ma nello specifico ci sono buoni progressi”. Nel pomeriggio, infine, Conte incontra il presidente libico, Serraj. Sullo sfondo, gli equilibri nel Mediterraneo con la nuova amministrazione degli Stati Uniti.

Nell’incontro centrale in serata con i capidelegazione, Conte allarga subito il campo: “Dobbiamo definire delle priorità per il prosieguo della legislatura, il Recovery non è lo strumento per definire tutte le quesitoni”. Invoca “quel patto di legislatura” di cui ieri avevano parlato in simultanea Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. Perché l’obiettivo è “spegnere” Renzi con un accordo complessivo. Così Conte propone “dei tavoli di maggioranza”, da cui ricavare “un documento”. Ma Iv ha già un altro copione in testa, attaccare. Così ecco il capogruppo in Senato, Davide Faraone: “Se non fosse stato per noi settimane fa avremmo votato un pessimo testo” rivendica. Ma è solo l’antipasto. “Dove sono il Mes, spiegateci perché non si può attivare. E dov’è il Ponte di Messina?” chiede. Picchia su quei temi che Conte non può accettare, perché spaccherebbero i 5Stelle. Si lamenta: “Non abbiamo ancora i dettagli sul piano”. Chiede “se c’è ancora la fondazione sulla cybersicurezza”. Soprattutto, alza il tiro: “Vogliamo sapere se c’è ancora un governo”. E azzanna Gualtieri: “Sono state tolte risorse che avevamo chiesto, dal ministro sono arrivate provocazioni”.

Conte, il volto tirato , invita il ministro e i 5Stelle a non rispondere a tono. Si aspettava l’assalto, e la sua linea è non abboccare a provocazioni. Gualtieri assicura che le schede di dettaglio sul piano arriveranno “prima del Cdm” e che usare i soldi del Recovery per il Ponte di Messina è tecnicamente impossibile. Poi però perde la calma, e accusa i renziani di essere “sommari” e di non aver letto il piano. E Maria Elena Boschi gli replica così: “Sul piano vi risponderemo in via scritta dopo aver letto tutto, così non rischierete di interpretare male”. Il capodelegazione del M5S, Alfonso Bonafede, ricorda: “Dobbiamo approvare in fretta il piano, la gente ci chiede questo”. In serata, Renzi va a Stasera Italia per ribadire che “il governo è fermo” e soprattutto che “è meglio stare all’opposizione che non far nulla”. Convoca tra domenica e lunedì i parlamentari Iv su Zoom. Nelle prossime 48 ore si capirà se arriva il ritiro delle ministre. E se ci sarà lo show down.

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Ci provo... - Gianfranco Zucchelli

 

Ci provo…..ci provo per un attimo a indossare i panni del Premier CONTE, ma non per sostituirmi, ci mancherebbe, ma solo per capire cosa ha provato in questi due anni e mezzo, ovvero dal 1 giugno 2018 a oggi.

Non so dove trovi la forza, la voglia e la tenacia di andare avanti. Bistrattato dalla stragrande maggioranza dei media cartacei e catodici, dove un esercito di servi lingua e saliva – manovrati dai soliti editori/costruttori/(im)prenditori e ma(g)nager bombardano senza sosta le nostre teste, per convincerci che sia un nulla di buono.

Sparano balle a raffica, sperando che la frase di Joseph Goebbels, si concretizzi: “ Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.

Oltre al bombardamento mediatico, ha dovuto sopportare il “fuoco amico”.
Prima presiedendo il governo gialloverde, dove le mine anticarro seminate lungo il percorso sono state poste da certo Matteo con la barba, fortunatamente inciampato ed esploso sopra una di loro.

Poi dall’altro MATTEO con i brufoli, il quale sta minando i pozzi, prima di essere inghiottito e sparire dalla scena politica.

E mentre il premier viene osteggiato da coloro che si sono visti portar via da sotto il naso la mangiatoia, si rafforza la stima da parte di comuni cittadini.

Purtroppo quei tanti cittadini comuni che sono stati sodomizzati nei decenni precedenti, dimenticano in fretta le sevizie subite.

Prima di entrare nella cabina elettorale si lasciano comprare dalla classica ciotola di crocchette che viene sventolata sotto il naso e questo basta per convincerli a rimettere la x sul simbolo dei soliti noti.

Questo succede in Italia, mentre tra i suoi colleghi europei aumenta la stima, la fiducia in quest’uomo, non solo a parole, ma con fatti concreti.
Hanno deciso di aprire i cordoni della borsa e quasi un terzo del recovery fund o next generation, che dir si voglia, è stato destinato all'Italia.

Solo nel paese più pazzo del mondo può succedere che una persona che ha restituito dignità e prestigio nel mondo, venga osteggiato.
Io personalmente non saprei come spiegarlo ai miei nipoti. 

Dal Financial Times a El País, la stampa estera contro Matteo. - Lorenzo Giarelli










“Il bel mezzo di una pandemia globale e di una brutale recessione potrebbe non sembrare il momento più opportuno per provare a far cadere il governo. A meno che tu non sia Matteo Renzi”. Nelle prime righe del pezzo di due giorni fa del Financial Times, quotidiano economico del Regno Unito tra i più letti e autorevoli del mondo, c’è tutta la percezione dei giornali esteri rispetto alla crisi di governo minacciata da Italia Viva nelle ultime settimane.

Una rassegna stampa delle principali testate straniere conferma infatti l’impressione del Financial Times: brigare per mandare a casa l’esecutivo non è affatto una buona idea. Nelle mosse dell’ex rottamatore, il quotidiano britannico vede solo interessi personali: “Conte rappresenta un ostacolo alle rinnovate ambizioni politiche di Renzi dopo la nascita del suo nuovo piccolo partito derivato dal Pd”.

In Francia a occuparsi di noi è Les Echos: “Nuovo duello tra Giuseppe Conte e un Matteo. Non più Matteo Salvini, che ha provocato la crisi politica nel 2019, ma Matteo Renzi”. A scrivere il pezzo è Olivier Tosseri: “Qualche errore Conte lo ha commesso – dice al Fatto il giornalista francese – ma allo stesso tempo Renzi lo conosciamo tutti e sappiamo che politico è. Questo non è il momento per scatenare una crisi”.

La sensazione di Tosseri è che, alla fine, quello di Italia Viva possa rivelarsi un bluff: “Credo che Renzi si sia mosso solo per ottenere qualcosa in più al tavolo del governo. Anche perché molti dei suoi sparirebbero dal Parlamento in caso di elezioni”. Impietoso è pure Politico.eu, dorso europeo dell’omonima testata americana: “Le lotte intestine nel mezzo di una pandemia probabilmente faranno infuriare gli italiani, proprio mentre sono alle prese con una seconda ondata che ha visto il Paese tornare il peggiore in Europa per numero di morti”. A dispetto della versione renziana – secondo cui a muovere la crisi sono i temi e non le poltrone –, Politico ne fa un discorso ben più pragmatico: “L’obiettivo a lungo termine di Renzi è di posizionarsi al centro, diventando l’ago della bilancia di qualsiasi governo, magari sbarazzandosi di Conte”.

Gavin Jones, corrispondente da Roma per Reuters, dà un’interpretazione simile: “Renzi dice che sta facendo politica, ma a me evoca l’espressione inglese playing politics, cioè ‘giocare con la politica’. Descrive chi agisce in modo cinico e spregiudicato per un vantaggio politico o personale, invece che per il bene comune”. Di certo c’è che far cadere Conte adesso sarebbe un rischio: “Una crisi in questa situazione mi sembra assurda. Trovo difficile giustificare la posizione di Renzi, anche perché spazia da una questione all’altra: Mes, servizi segreti, giustizia, Recovery”.

I toni non cambiano se si va in Germania. Handelsblatt, che si occupa soprattutto di economia e finanza, nell’edizione cartacea definisce Renzi “il disturbatore d’Italia”. Online non va molto meglio: “Renzi spielt mit dem feuer”, ovvero “Renzi gioca col fuoco”. Nel pezzo si sottolinea ancora come il contesto renda fuori luogo la crisi: “Con le sue minacce e i suoi ultimatum, il 45enne potrebbe portare il suo Paese alle urne in mezzo a una pandemia che continua a fare più di 300 vittime al giorno”. Stando in Germania, il quotidiano Die Welt insiste: “L’Italia ha bisogno di un nuovo governo nel bel mezzo della peggiore crisi degli ultimi decenni?”.

Per non dire di Daniel Verdù su El País, forse il più noto quotidiano spagnolo: “Gli scienziati avvertono sui rischi di una imminente terza ondata, ma la politica resta immersa nella telenovela scaturita dalla minaccia di Matteo Renzi di far cadere il governo”. In un altro articolo, Verdù parla anche di “crisi irresponsabile in un momento di estrema fragilità”. A Renzi e soci non resta allora che aggrapparsi ad Abc, lo stesso giornale spagnolo che qualche mese fa sventolò presunti documenti segreti per dimostrare un finanziamento milionario del governo venezuelano al M5S. Oggi, Abc la vede a modo suo: “Draghi, el mejor remedio italiano contra la crisis”. La traduzione, in questo caso, appare superflua.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/09/dal-financial-times-a-el-pais-la-stampa-estera-contro-matteo/6059970/ 

Trumpusconi. - Marco Travaglio

 

Vedendo Trump che gridava ai brogli e non riconosceva la vittoria di Biden, a B. è venuto in mente qualcuno, ma senza ricordare chi. E, nel dubbio, ha inviato un articolo al Giornale di famiglia per dire che certe cose non si fanno: “È la fine peggiore. Noi liberali siamo un’altra cosa. Il voto va rispettato. Trump ha minato la democrazia Usa” per “non aver riconosciuto la vittoria di Biden”. Figurarsi la delusione di Trump, che ha copiato tutto da lui. Il quale, in 27 anni di malavita politica, non ha mai riconosciuto una sola vittoria avversaria, gridando regolarmente ai brogli. Se i suoi fan più pittoreschi non hanno mai invaso il Parlamento, è solo perché li stipendia lui nei suoi giornali e tv. Invece il resto della stampa se la prende con Salvini&Meloni (che hanno tanti difetti, ma non hanno mai negato la legittimità delle vittorie altrui). Nel 1994 B. vince: quindi elezioni regolari. Ma un anno dopo perde le Amministrative, ergo non vale: “La gente si è sbagliata, erano giusti gli exit-poll che mi davano vincente” (26.4.95). Nel ’96 stravince l’Ulivo di Prodi e lui strilla allo scippo: “Nel ’96 ci hanno tolto 1 milione e 705 mila schede” (6.4.2000). Anzi “1 milione e 171 mila schede” (14.4.2001).

Nel 2001 rivince lui: nessun broglio. Ma a fine legislatura è sotto nei sondaggi: cambia la legge elettorale col Porcellum per ottenere almeno il pareggio e riattacca la guerra preventiva. “A sinistra ci sono dei professionisti dei brogli. Ci hanno sottratto 1 milione e 750 mila voti” (18.2.06). E invoca “gli osservatori dell’Onu per difenderci da questi signori esperti di brogli” (6.4.06). Il 10 aprile si vota: una notte di drammatica incertezza. Anziché presidiare il Viminale dove affluiscono i dati, il ministro forzista dell’Interno Beppe Pisanu fa la spola con Palazzo Grazioli, mentre Marco Minniti e altri Ds vanno e vengono dal Viminale per capire che accade. Su quella notte, si racconterà di tutto. Di certo c’è che Pisanu dice un no di troppo e rompe per sempre con B. L’11, finalmente, i risultati: l’Unione di Prodi ha vinto d’un soffio. B. chiama la piazza, poi la stampa: “Tanti brogli unidirezionali ai miei danni in tutta Italia. Ne ho parlato con Ciampi, cambieranno il risultato: schede non conformi, somme sbagliate, dati riportati male, schede trovate in giro evidentemente messe da parte. Ricontrollare i verbali di 60 mila sezioni”. Le stesse parole che 15 anni dopo userà Trump. E, come le sue, senza uno straccio di prova. Per un mese B. rimane asserragliato a Palazzo Chigi, senza sloggiare né riconoscere la sconfitta, per impedire a Ciampi di incaricare Prodi prima della scadenza del mandato e rinviare la nomina del nuovo premier al suo successore.

Eogni giorno spara cifre a caso: “1 milione di schede contestate”, “1 milione e 100 mila nulle”, “un calo del 60% nelle bianche” … Il Viminale parla di 43.028 schede contestate alla Camera e 39.822 al Senato. Cioè 82 mila schede in bilico, in grado di rovesciare la nuova maggioranza. Poi Pisanu ammette un piccolo “errore materiale”: i cervelloni del Viminale hanno sbadatamente “sommato le schede contestate alle nulle e alle bianche”. Le contestate alla Camera non erano 43 mila, ma 2.131; e al Senato non 39 mila, ma 3.135. La “svista” ha ventuplicato le contestazioni per Montecitorio e decuplicato quelle per Palazzo Madama. B. però continua imperterrito a non riconoscere la sconfitta. Nemmeno quando il 19 aprile la Cassazione mette fine alla querelle e divide le schede contestate fifty fifty tra Cdl e Unione e Prodi va al governo. B. grida all’“esecutivo illegittimo per le elezioni taroccate” e compra senatori per rovesciarlo. E per due anni invoca il “riconteggio delle schede” anche se è già stato fatto e gli ha dato torto (“ci han fregato almeno un voto per ognuno dei 60 mila seggi”).
Tira anche in ballo Pisanu: “Nel 2006 fu una notte di spogli e di brogli, i nostri tecnici ci hanno dato le prove. A mezzanotte il ministro dell’Interno venne da me e mi garantì la nostra vittoria con 100 mila voti in più alla Camera e 250 mila al Senato. Poi è successo qualcosa: l’appello di Fassino ai suoi rappresentanti nei seggi e la difficoltà nel ricevere i voti da Campania e Calabria, che dopo tre ore erano diversi, la Campania segnò la vittoria della sinistra” (10.4.07). “Ci hanno fregato un milione di voti” (30.8.07). Nel 2008 cade Prodi, si rivota e B. ricomincia: “Temiamo brogli ovunque: ci giunge notizia di 150.000 schede stampate in più in Argentina” (1.4.2008). Organizza “lezioni anti-brogli” ai suoi e distribuisce milioni di “normografi anti-brogli” agli elettori. Poi vince lui, dunque tutto regolare. Ma nel 2013 riecco la pippa del 2006. Stavolta Pisanu perde la pazienza: “Non è la prima volta che il presidente Berlusconi fornisce versioni fantasiose della notte elettorale del 2006. Ora basta. Nel 2006 nessuno delle migliaia di scrutatori e rappresentanti di lista berlusconiani sollevò un solo reclamo od obiezione in tutta Italia. Quello scrutinio fu assolutamente regolare, come poi confermò con voto unanime la giunta per le elezioni del Senato” (8.1.13). Stavolta per FI è una débâcle, ma il perchè è semplice: “I brogli della sinistra ci han portato via 1,6 milioni di voti” (17.12.13), per l’esattezza “23 voti a sezione” (3.5.15). E lo ripete a ogni pie’ sospinto nel 2016 e nel ‘17. Come si permette Trump di gridare ai brogli e di non riconoscere la vittoria dell’avversario? Non è liberale né democratico, suvvia.

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