mercoledì 24 marzo 2021

Berlusconi e i miliardi della mafia. - Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

 

Graviano sentito dai pm di Firenze.

"Parlo, non parlo. Scrivo, mi taccio. Riparlo". E' il modus operandi messo in atto da qualche anno a questa parte dal boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già condannato definitivo assieme al fratello Filippo per le stragi del '92-'93 e per l'omicidio di don Pino Puglisi.
Quel "balletto" che lo scorso anno lo aveva visto rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo 'Ndrangheta stragista dove era imputato (poi condannato all'ergastolo) per gli attentati ai carabinieri in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994, poi bruscamente interrotto prima di stendere un memoriale, è ricominciato davanti ai magistrati della Procura di Firenze, nelle persone del Procuratore capo Giuseppe Creazzo, del procuratore aggiunto Luca Tescaroli ed il sostituto Luca Turco, che indagano sui mandanti esterni delle stragi.
riportare la notizia, così come era avvenuto per la "dissociazione" di Filippo Graviano, è stato il settimanale L’Espresso.
Nel fascicolo, è noto, vi sono i nomi dell'ex Premier Silvio Berlusconi e dell'ex senatore Marcello Dell'Utri (già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e nel primo grado del processo trattativa Stato-mafia, ndr).
Un'inchiesta avviata dopo le intercettazioni in carcere tra lo stesso Graviano ed il camorrista Umberto Adinolfi in cui parlava della "cortesia" che gli sarebbe stata chiesta da Berlusconi ai tempi delle stragi. E si era appreso durante il processo d'appello Stato-mafia che l'accusa nei confronti dell'ex Cavaliere e Dell'Utri riguarda non solo le stragi di Firenze, Roma e Milano, ma anche gli attentati falliti dell'Olimpico, quello al pentito Contorno e al conduttore Maurizio Costanzo.
Ma ovviamente la ricerca della verità sulle stragi non si è esaurita in questi punti perché, come detto dalla Presidente della Corte d'Assise di Reggio Calabria nelle motivazioni della sentenza 'Ndrangheta stragista, nelle dichiarazioni di Giuseppe Graviano vi sono alcune circostanze che “meritano certamente di essere valutate ed approfondite nelle sedi competenti nella speranza che possano giovare finalmente a fare completa chiarezza su avvenimenti che hanno segnato e continuano tuttora a segnare la storia dell’Italia”.
E il filone investigativo che i pm fiorentini stanno portando avanti partendo proprio dalle dichiarazioni che il boss stragista ha fatto davanti ai giudici della corte d’Assise di Reggio Calabria guarda ai denari che Berlusconi avrebbe ricevuto proprio da Graviano.
E così lo scorso novembre i magistrati di Firenze si sono recati nel carcere di Terni, dove Graviano è detenuto al 41 bis, per interrogare il boss di Brancaccio. La notizia clamorosa, dopo il silenzio in cui si era trincerato, è che il capomafia siciliano non si sarebbe negato e, assistito dal proprio legale di fiducia, avrebbe risposto alle domande che gli sono state poste.

Solite accuse.
Durante le deposizioni a Reggio Calabria, come ha poi ripetuto nella memoria depositata nel processo, Graviano ribadì di aver incontrato durante la latitanza Silvio Berlusconi a Milano per tre volte. Disse anche degli investimenti che la sua famiglia, a partire dal nonno, fece nelle imprese dell'ex Cavaliere nel Nord Italia, parlando anche dell'esistenza di una "scrittura privata" che sarebbe stata in mano del cugino. Ed è facile pensare che di questo ha parlato con i magistrati di Firenze, anche cercando di smontare le accuse a lui rivolte dai collaboratori di giustizia.
Ma perché sia Giuseppe che Filippo Graviano hanno deciso di parlare, seppur in forma diversa, con i magistrati?
Nessuno dei due è un collaboratore di giustizia. E questo già la dice lunga sull'attendibilità che possono avere le loro dichiarazioni. Nelle parole di Graviano il "vero" e "falso" vengono continuamente mescolati a proprio uso e consumo, tanto che allontana da sé ogni accusa ("io non sono responsabile. Non posso accollarmi cose dopo 26 anni di carcerazione che ho fatto e mi trovo in 'area riservata'"), pur dicendo di "rispettare le sentenze". Certo è che, come da lui stesso spiegato, "sul 41 bis, sul 4 bis, o l'ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione".
Uscire dal carcere è l'obiettivo dichiarato di entrambi i fratelli sanguinari. E se da una parte la speranza è nelle sentenze della Corte di Strasburgo o quelle della Corte Costituzionale che ha recentemente aperto ai permessi premiali per i boss, dall'altra c'è anche la volontà di non essere più inerme nella costruzione del proprio destino.
E da qualche anno ha iniziato a muoversi ad esempio scrivendo nel 2013 una lettera di cinque pagine alla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin. Era quello il Governo di Enrico Letta in cui, allora come oggi, erano stabilite larghe intese con il Popolo delle libertà di Berlusconi che vi era entrato a pieno titolo. Quella missiva è stata acquisita dai pm fiorentini. 

Messaggi all'esterno.

Certo è che Giuseppe Graviano ha inviato messaggi verso l'esterno.A chi? Sicuramente a quegli apparati dello Stato e della politica che non hanno rispettato, nell'ottica del capomafia, i "patti". Una minaccia, neanche troppo velata, verso il potere, come se fosse pronto a "vuotare il sacco". Quasi a voler imbastire una nuova trattativa. Del resto Giuseppe Graviano, assieme al super latitante trapanese Matteo Messina Denaro, a figure come Salvatore Biondino, i Madonia di Palermo, Leoluca Bagarella, o ancora Piddu Madonia di Caltanissetta, soprattutto per i segreti che portano sono ad oggi le figure di riferimento che comandano la mafia siciliana. E la strategia di Graviano è proprio quella di confermare la propria leadership dimostrando che nessuno ha dimenticato gli antichi obiettivi: smantellare il 41 bis e l'ergastolo. E da questo punto di vista non è un caso se l'altro piano, quello della dissociazione, che era tanto caro all'altro capomafia corleonese, oggi deceduto, Bernardo Provenzano, non sia lui, ma il fratello FilippoAi magistrati fiorentini quest'ultimo ha fatto mettere a verbale: "Fino al 2009 il mio nome non era di interesse di nessuna procura; nel 2009 ci fu l’inizio della collaborazione di Gaspare Spatuzza, io mi ero reso conto che la mia vita passata non era corretta e stavo facendo un percorso interno. Lui sosteneva che nel carcere di Tolmezzo gli avevo detto che stavamo aspettando qualcosa dall’esterno". Un fatto quest'ultimo totalmente negato dal capomafia di Brancaccio. Quindi avrebbe aggiunto: "Mi proclamo innocente rispetto ai reati che mi sono stati attribuiti nella sentenza di Firenze (quella sulle stragi del 1993, ndr) e ritengo che, per me, questa sia una questione pregiudiziale rispetto alle domande che mi avete posto. Il mio interesse è quello di ottenere una revisione della mia posizione giudiziaria. Non sono disponibile a rispondere alle vostre domande. Mi sono dissociato da Cosa nostra facendo una dichiarazione espressa di dissociazione. Ammetto la mia responsabilità in relazione alla partecipazione a Cosa nostra palermitana, mandamento di Brancaccio, non sono mai stato capo del mandamento neppure come sostituto".

L'inchiesta va avanti.
Lo scorso gennaio indiscrezioni giornalistiche avevano evidenziato come un nuovo impulso investigativo fosse giunto dalle propalazioni di Salvatore Baiardo, gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni 90 curò la latitanza dei fratelli Graviano, e che è stato anche intervistato nel programma Report. A queste dichiarazioni si aggiungono quelle dei due fratelli stragisti. E la volontà non è quella di fermarsi alle parole, ma di cercare i riscontri. Proprio in questo senso, scrive sempre l'Espresso, che vi sarebbe stata una trasferta dei pm di Firenze, tra l'8 ed il 12 febbraio, nelle zone di Palermo per effettuare “accessi”, verifiche e sopralluoghi. Ma fare ipotesi di qualsiasi tipo è quantomeno azzardato. Dunque, non resta che attendere.
Nel frattempo Cosa nostra, la 'Ndrangheta, la Camorra, le Mafie sono più vive che mai e sempre più inserite all’interno di un Sistema Criminale integrato.
Di fronte a tutto questo sul tema mafia e antimafia il Governo tace e dorme (nella peggiore delle ipotesi è in trattativa?). E la cosa più grave è che quel Movimento Cinque Stelle che doveva essere il nemico numero uno della mafia si trova di fatto al governo con quelle forze politiche fondate da uomini della mafia e soggetti che l’hanno costantemente pagata.
Tutto ciò grazie al “buffone di corte”, Beppe Grillo.
I Graviano, i Messina Denaro, i Madonia e gli altri boss Calabresi, possono ben sperare.

Foto di copertina: rielaborazione grafica by Paolo Bassani

AntimafiaDuemila

Libertà condizionale ai boss, il governo cede sull'ergastolo. - Giorgio Bongiovanni

 

Il consigliere togato del Csm Di Matteo: "In questo modo si realizza obiettivo delle stragi"

Che posizione avrà nel governo Draghi la lotta alla mafia? Ce lo siamo chiesti un mese fa a pochi giorni dalla sua nascita. La risposta non si è fatta attendere e quanto accaduto oggi è indubbiamente un segnale grave che il Sistema criminale integrato, di cui le mafie fanno parte, colgono con estremo favore: i permessi premio anche per i boss condannati all'ergastolo non sono più un tabù e per ottenerli la collaborazione con la giustizia non è affatto necessaria.
Non c'è che dire. Una "manna dal cielo" per i vari Giuseppe e Filippo Graviano, Leoluca Bagarella, i Biondino, i Madonia, gli 'ndranghetisti, i camorristi e chi più ne ha più ne metta.
Durante l'udienza pubblica alla Consulta pure l’avvocatura dello Stato - che in teoria avrebbe dovuto difendere le leggi vigenti sull'ergastolo ostativo per conto del governo - ha nei fatti aperto alla liberazione condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo, anche gli irriducibili stragisti.
Come? Non chiedendo più di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati all’ergastolo ostativo - cioè i detenuti che abbiano trascorso almeno 26 anni in carcere ma non dai condannati ad una pena perpetua per reati di particolare gravità, come terrorismo e mafia - la liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura.
Diversamente ha invitato la Consulta a emettere una sentenza interpretativa di rigetto, in cui si riconosce al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione ogni caso.
"Il Giudice di sorveglianza deve verificare in concreto... quali sono le ragioni che non consentono di realizzare quella condotta collaborativa nei termini auspicati dallo stesso giudice" ha affermato l'avvocato di Stato, Ettore Figliolia intervenendo durante l'udienza pubblica in Consulta (giudice relatore Nicolò Zanon), rimarcando che "una interpretazione costituzionalmente orientata di queste norme... potrebbe consentire di procedere ad una esegesi della normativa", tanto più che anche nelle sentenze della Corte di Cassazione "mi pare che si sia proceduto ad una maggiore valutazione sulle ragioni per le quali non era stata data quella collaborazione".
Nell'intervento sono state citate sia la pronuncia della Corte Costituzionale che quella della Corte europea dei diritti dell'uomo Viola, del 13 giugno 2019"Si potrebbe procedere - ha suggerito Figliolia - ad una interpretazione di queste norme nel senso in qualche modo di ritrattare ogni forma di possibile automatismo ed andare a consentire al giudice di sorveglianza di verificare in concreto le motivazioni che vengono addotte dal detenuto per non poter assicurare quella condotta collaborativa sugli altri". "Il governo ritiene che ci sia la possibilità di praticare un'esegesi - conclude l'avvocatura dello Stato - potremmo dire maggiormente corrispondente alla ratio della norma, assicurando praticamente uno spazio discrezionale al magistrato decidente in termini di verificare in concreto le motivazioni su quella mancata collaborazione che è condizione per ottenere il beneficio". Secondo l’avvocato dello Stato “il Governo non può non tenere in debita considerazione sia i principi evocati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019, che della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Viola, del 13 giugno 2019. Questi principi debbono essere adeguatamente sfruttati, soppesati, calibrati rispetto a quelle che sono le peculiarità della liberazione condizionale, peculiarità che sono evincibili dalla lettura dell’articolo 177 del codice penale”.
Un cambio di posizione clamoroso nel momento in cui, in un primo momento, aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l'infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione.
Domani ci sarà il verdetto della Consulta, ma resta la gravissima presa di posizione dell'avvocatura dello Stato che di fatto rappresenta la linea del governo sul fronte.
Sul punto in passato si sono espressi diversi addetti ai lavori ed oggi il consigliere togato Nino Di Matteo è tornato ad evidenziare le criticità di una presa di posizione che potrebbe davvero segnare un cedimento della lotta alla mafia, permettendo alla stessa di ottenere quei risultati da sempre voluti, sin dai tempi delle stragi.
“Poco alla volta, nel silenzio generale, si stanno realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone" ha detto Di Matteo rilasciando una dichiarazione al 'Fatto Quotidiano'.
Del resto un’eventuale sentenza di accoglimento della Consulta potrebbe aprire la strada ad appelli e ricorsi da parte di boss di primissimo piano che hanno messo a ferro e fuoco il Paese, uccidendo Falcone e Borsellino, le scorte e tanti cittadini inermi.
E' noto, dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, ma anche dalle intercettazioni in carcere di capomafia, che l'attenuazione dell'ergastolo e 41-bis erano i punti principali del cosiddetto 'papello' di richieste che Totò Riina fece avere allo Stato subito dopo la strage di Capaci.
Se la Consulta si esprimerà in maniera favorevole diventa sempre più alto il rischio, come evidenziato in passato dallo stesso Di Matteo, "che i capimafia ergastolani continuino a comandare e sarebbe un segnale di possibile riaffermazione anche simbolica del loro potere". "Da magistrato che per decenni si è occupato delle vicende stragiste e che ha il dovere di ricordare le loro vittime e i motivi che hanno scatenato la mano di Cosa Nostra - aveva ricordato già nel 2019 - spero che l’efficacia dell’ergastolo non venga vanificata da decisioni che inconsapevolmente rischiano di far realizzare alle organizzazioni mafiose un obiettivo per loro fondamentale. Se ciò si verificasse, si realizzerebbe un passo indietro complessivo nel sistema di contrasto alle organizzazioni criminali".

Il "casus belli"
Il caso finito in Consulta, su cui dovrà esprimersi la Corte, è quello del mafioso di Partinico Salvatore Francesco Pezzino, rappresentato all'udienza pubblica dall'avvocatessa Giovanna Beatrice Araniti, che vorrebbe accedere alla libertà vigilata senza collaborare.
Nel 2018 Pezzino ha chiesto al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila di riconoscergli la libertà condizionale, prevista per tutti i detenuti che hanno scontato 26 anni di carcere, salvo, appunto, quelli condannati per reati di mafia che non hanno collaborato con la giustizia. Un divieto previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, e dal decreto legge 306 del 1992, ispirato da Giovanni Falcone già con un decreto dell’anno precedente, e approvato dopo la strage di Capaci per provare a rompere la breccia di omertà di Cosa nostra, all’inizio della stagione delle bombe.

Silenzio assenso di Governo
E non sorprende che la presa di posizione dell'Avvocatura dello Stato avvenga proprio ora che al Ministero della Giustizia siede Marta Cartabia, già vicepresidente di quella Corte Costituzionale che nell'Ottobre 2019, sulla scia della pronuncia della CEDU, dichiarò proprio l'illegittimità dell’articolo 4-bis di fatto aprendo alla possibilità per gli ‘ergastolani ostativi’ di accedere a permessi premio nel corso della loro detenzione. Se da una parte si può comprendere che quella decisione muoveva dall’esigenza di tutelare diritti costituzionalmente garantiti, dall'altra non possiamo dimenticare come le mafie mortificano i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini.
Da quando è divenuta Guardasigilli la Cartabia non è intervenuta mai nel tema specifico ma ha semplicemente parlato della funzione rieducativa della pena. Ieri, però, è intervenuto il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, di Forza Italia, che ha espresso una considerazione totalmente fuori dal mondo affermando che "un elemento ostativo non può derivare da una scelta processuale di collaborare o non collaborare. L’ergastolo non deve essere legato alla collaborazione con la giustizia: io posso non collaborare ma aver rescisso i rapporti o collaborare e non averli rescissi”.
E' un fatto noto, purtroppo, che da Cosa nostra, dalla 'Ndrangheta ed altre organizzazioni criminali si possono avere solo due modi per uscire: o collaborando con la giustizia o da morti.
Dunque è evidente che questo provvedimento, nei fatti, disincentiverebbe anche la collaborazione con la giustizia da parte dei boss criminali.
Capomafia sanguinari che ora attendono così come aveva dichiarato Giuseppe Graviano nel processo 'Ndrangheta stragista: "Io non ho fatto né trattative né patti. Ho avanzato le mie lamentele per il carcere nei confronti di tutti i politici. Alcuni politici più garantisti, a loro dire. Invece di mantenere gli impegni presi con mio nonno hanno fatto leggi ingiuste, vergognose e incostituzionali. Tanto è vero che l'Italia non fa altro che prendere sempre multe dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. Il 41 bis? E' normale che stiamo male al 41 bis ma io non piango e non faccio la vittima. Io lotto per quello che mi permette la legge. Sul 41 bis, sul 4-bis, o l'ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione". Nei mesi scorsi il fratello, Filippo Graviano, ha affermato ai magistrati fiorentini di essersi dissociato ed al contempo ha chiesto proprio di poter accedere ad un permesso premio. Oltre a loro aspettano il verdetto della Consulta anche altri 1.271 detenuti condannati al “fine pena mai”. Tutt'altro che coincidenze.
E comunque andrà a finire è chiaro che il segnale di Governo è stato lanciato, con la mafia pronta a coglierlo. E vedere organi altamente istituzionali che si adeguano, calandosi le brache, a certi dettami (europei e non solo) è scandaloso quanto offensivo per tutti quei martiri, a cominciare da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno lottato contro i Sistemi criminali.

AntimafiaDuemila

martedì 23 marzo 2021

Astrazeneca, gli Usa contestano gli ultimi dati sui test: «Non aggiornati» - Agnese Codignola



A sole 24 ore dall'annuncio dei dati più che positivi su 32.000 persone reclutate tra Stati Uniti, Cile e Perù, è dagli stessi Stati Uniti che arriva la doccia gelata: i numeri presentati da AstraZeneca, secondo quanto comunicato dal Data and Safety Monitoring Board, organismo indipendente di controllo, al Barda, ai National Institutes of Allergy and Infectious Diseases e alla stessa azienda, potrebbero essere non aggiornati, e per questo saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Slitta così a data da destinarsi la prevista approvazione del quarto vaccino sul suolo americano, nonostante l'esito dello studio. Due giorni fa l'azienda aveva emesso un comunicato nel quale affermava che il vaccino protegge tutti (il 100% dei vaccinati) dal decesso e dal rischio di forme gravi di malattia, il 79% dal rischio di sintomi, e che è efficace anche negli over 65 che, in questo caso, a differenza degli studi precedenti, rappresentavano il 20% del campione.

Inoltre – e su questo è stato molto chiaro lo stesso Anthony Fauci – un'analisi approfondita e specifica non avrebbe finora fatto emergere dubbi in merito alla sicurezza e, in particolar modo, ai rischi trombo-embolici, mentre avrebbe confermato l'efficacia sulle varianti in circolazione nei tre paesi.

Però, finora, i dati non sono stati pubblicati su riviste scientifiche, e non sono quindi a disposizione della comunità scientifica per valutazioni indipendenti. Visti anche i numeri ottenuti nelle vaccinazioni in Gran Bretagna ed Europa, è improbabile che i dati più aggiornati che richiedono le autorità statunitensi si discostino molto da quelli annunciati, ma tant'è.

Per ora, le autorità americane richiedono con urgenza una stretta collaborazione con AstraZeneca, per chiarire ogni dubbio, prima di procedere nell'iter di approvazione.


IlSole24Ore

Sallusti uno di noi. - Marco Travaglio

 

Premio Riflessi Pronti 2021 ad Alessandro Sallusti, che mette il naso fuori e titola: “Brutta Aria in Lombardia” (battuta sull’agenzia regionale omonima). Denuncia persino i “disagi sulla vaccinazione” e, parlando con pardon, il “caos nelle prenotazioni”. Figurarsi se noi, scrivendo queste cose da un anno, possiamo dissentire: benvenuto fra noi. Purché tragga dalla tardiva ma lucida analisi le conclusioni che ne trarrebbe pure un bambino ritardato: i responsabili si chiamano Fontana, Moratti, Bertolaso e gli altri assessori e dirigenti. Che non sono piovuti lì per caso. Sono stati scelti da Lega, FI e FdI nel famoso “modello Lombardia” che tutto il mondo ci invidiava. E che per 13 mesi ha cambiato assessori, manager e commissari, ma non il prodotto. Zero sanificazione al pronto soccorso di Alzano, niente zona rossa in val Seriana, infetti nelle Rsa, sprechi al Fiera Hospital, camici del cognato di Fontana con soldi tra Bahamas e Svizzera, gallerate di Gallera e degli altri ancora al loro posto, lockdown a gennaio per i dati sballati, vaccini antinfluenzali fantasma, regali ai privati e ogni volta scaricabarile su Roma ladrona.

Il 27 febbraio 2020 il Fatto, in beata solitudine, titolava “Fontanavirus”. Il 3 marzo “Lombardia e Lazio, sanità colabrodo”. Il 22 “Lombardia fuori controllo”. Il 26 “Regione Lombardia, i 10 errori sul virus”. Il 28 “Dimettono anche chi è contagioso”. Il 15 aprile “Commissariare Lombardia e Piemonte”. Appena incrociavamo Sallusti o un suo clone in tv, ci davano degli “odiatori dei lombardi” e degli “sciacalli sui morti” (noi). Persino De Bortoli gridava al “sentimento anti-lombardo”, come se i lombardi non dovessero temere i serial killer che li sgovernano, ma chi li critica. I giornaloni magnificavano la supercompetenza di noti collezionisti di fiaschi come Bertolaso&Moratti. E cercavano gli incapaci altrove: negli orari serotini di Conte, tra le siringhe e le primule di Arcuri, sugli Spelacchio e nelle buche della Raggi, nel curriculum del bibitaro Di Maio, nella blocca-prescrizione di Bonafede, nei banchi a rotelle della Azzolina, nel Sussidistan del reddito di cittadinanza e dei bonus ai poveri. E nascondevano quel monumento al latrocinio e all’incompetenza che è il forza-leghismo lombardo. Fino a riportarne i mandanti al governo travestiti da Migliori. Ora tutti scoprono il disastro. Persino Sallusti. Che però non si rassegna: governano Fontana, Moratti e Bertolaso, ma la colpa è di “qualcuno”, “invidioso e geloso” (ma di che?), “gioca sporco nell’ombra”: “sabotatori interni” che vanno stanati “subito”, di “qualunque parte politica” siano. Siccome arriva sempre un anno in ritardo, se vuole risparmiare tempo e fatica ci faccia un fischio: i nomi glieli diamo noi. Gratis.

IlFattoQuotidiano.

Fisco, non è vero che il condono cancella solo cartelle inesigibili: il governo rinuncia a 451 milioni che i debitori stanno già pagando. - Chiara Brusini

 

La vulgata con cui le forze politiche favorevoli allo stralcio hanno giustificato l'operazione è smentita dalla Relazione tecnica. Che spiega come al macero andranno anche le pendenze di chi ha aderito alla Rottamazione ter o al saldo e stralcio. Risultato: si perdono risorse e non si scalfisce la montagna di cartelle davvero impossibili da riscuotere che ingolfa l'Agenzia delle Entrate Riscossione. La vera partita è la riforma della gestione di quel magazzino. Il limite dei 30mila euro di reddito? Nel Paese dell'evasione di massa esclude solo il 17% dei contribuenti.

Non è vero che il condono delle vecchie cartelle fino a 5mila euro datate 2000-2010 previsto dal decreto Sostegni riguarda solo vecchi crediti ormai inesigibili. La vulgata con cui le forze politiche favorevoli allo stralcio di quelle pendenze fiscali hanno giustificato l’operazione – ridimensionata con la mediazione del premier Mario Draghi – è smentita dalla relazione tecnica del provvedimento atteso in Gazzetta ufficiale dopo la firma del capo dello Stato. Lì si spiega che la cancellazione costerà alle casse dello Stato 666,3 milioni di cui 451 legati al fatto che al macero andranno anche debiti che i contribuenti stanno già pagando a rate (dopo aver aderito alla Rottamazione ter o al saldo e stralcio del governo gialloverde) o su cui comunque è “ancora in essere un’aspettativa di riscossione“. Chiaro il messaggio che questo invia a chi salda puntualmente il dovuto. Non solo: la diretta conseguenza è che il provvedimento non scalfisce la montagna di cartelle davvero impossibili da riscuotere che ingolfa il magazzino dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. Ora la vera partita è la riforma che, modificando il meccanismo di discarico dei crediti non riscossi, dovrebbe come ha annunciato Draghi rendere “più efficiente” la lotta all’evasione.

Cosa cambia rispetto alle bozze: il tetto di reddito serve a poco – Rispetto alla versione iniziale le cartelle automaticamente stralciate scendono da 61 a 16 milioni soprattutto per effetto della riduzione dell’orizzonte temporale, che nelle bozze pre consiglio dei ministri arrivava fino al 2015 cancellando anche ruoli relativamente recenti. Così il costo per le casse pubbliche scende rispetto ai 930 milioni precedenti. Scarsissimo invece l’impatto dell’altro paletto fissato venerdì, il tetto di 30mila euro di reddito Irpef: taglierà fuori solo il 17% dei contribuenti con arretrati fiscali che ricadono negli altri parametri. A livello comunicativo aver messo un limite che sulla carta esclude dal “favore” i più abbienti rende digeribile la sanatoria, ma nei fatti cambia molto poco. Il motivo è presto detto: in base agli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze, il reddito medio dichiarato al fisco dalle persone fisiche supera di poco i 33mila euro. Nel Paese in cui stando all’ultima Relazione sull’evasione fiscale autonomi e imprese omettono di versare all’erario in media due terzi del dovuto, il 78% dei contribuenti “svela” al fisco meno di 30mila euro l’anno. E ha dunque accesso al condono che cancella capitale dovuto, interessi e sanzioni.

In magazzino restano oltre 110 milioni di cartelle – Non aver selezionato le cartelle davvero inesigibili, come aveva chiesto Leu, fa sì che il decreto non risolva affatto il problema del maxi magazzino da 987 miliardi della Riscossione, composto in effetti per la maggior parte (vedi la tabella sotto) da somme che il fisco non rivedrà mai. Il sistema, a valle del condono, rimarrà comunque ingolfato da oltre 110 milioni di cartelle. Per questo l’altro pilastro dell’operazione messa in campo dal governo Draghi sarà la riforma del meccanismo di “controllo e discarico dei crediti non riscossi“. Oggi, come ha spiegato in audizione il numero uno delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, il fisco prima di poter comunicare l’inesigibilità all’ente titolare del credito è costretto a mettere in campo “tutte le azioni di riscossione coattiva astrattamente ipotizzabili” a prescindere da qualsiasi valutazione di efficacia e di effettiva esigibilità.

Ora il vero nodo è la riforma della riscossione – Le prime bozze del decreto risolvevano il problema intervenendo con l’accetta: le quote non riscosse sarebbero state “automaticamente discaricate” al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento. Ma così sarebbe stato un “condono permanente“, come ha fatto notare su ilfattoquotidiano.it l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco. Venerdì tutto è stato rinviato a successive decisioni del ministero dell’Economia, che entro sessanta giorni dovrà trasmettere alle Camere una relazione con i criteri per rivedere il farraginoso iter. Da lì si vedrà se l’obiettivo è affilare lermi dei riscossori o cancellare altri milioni di crediti che lo Stato potrebbe recuperare.

Fonte Agenzia delle Entrate
ILFattoQuotidiano

Nuovi emendamenti contro i magistrati.

 

Mentre a via Arenula gli esperti stanno aiutando il ministro della Giustizia Marta Cartabia a scrivere la nuova riforma del processo penale, martedì il governo rischia la prima imboscata parlamentare sulla Giustizia. Il deputato di Azione, ex Forza Italia, Enrico Costa ha presentato quattro emendamenti alla Legge di Delegazione Europea che arriverà alla Camera e che potrebbero spaccare la maggioranza sul tema della presunzione di innocenza iniziando a colpire l’eredità dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il primo emendamento equipara i tabulati telefonici alle intercettazioni – per ottenerli non basterà più la richiesta del pm ma servirà l’autorizzazione del gip – mentre gli altri sono in funzione anti pm: limitazione delle dichiarazioni dei pm durante l’inchiesta (una sorta di bavaglio che ricorda i tempi di Berlusconi), il divieto di diffondere intercettazioni, audio e video, il divieto di dare nomi alle inchieste ma anche lo stop alla pubblicazione “integrale” dell’ordinanza di custodia cautelare. Secondo fonti di maggioranza, Cartabia è irritata dalla presentazione di questi emendamenti ma Costa non molla: “Vediamo chi li vota”.

RQuotidiano

lunedì 22 marzo 2021

Zone rosse e camici, Rsa e gaffe di Gallera. Un anno di fallimenti. - Virginia Della Sala

 

Ciò che sta accadendo in queste ore sui vaccini in Lombardia è l’ennesimo capitolo di una storia assurda, in una Regione martoriata dall’emergenza del Covid ma anche da decine di inchieste sulla responsabilità dei suoi amministratori, a tutti i livelli. Un anno dopo torna utile ripercorrere con una cronistoria (seppure limitata) tutte le decisioni sciagurate prese finora, incluse quelle su cui magistratura e tempo daranno il giudizio definitivo.

Le mancate chiusure. Inizio febbraio del 2020: il coronavirus gira nella zona di Codogno da almeno dieci giorni e si susseguono incontri a Roma e in Regione. Si vaglia soprattutto l’opzione “rischio dalla Cina” ma nonostante i casi, si fa ben poco. Dopo pochi giorni arriva il picco nella zona di Alzano e Nembro ma la Regione (nè comuni o prefettura) non istituisce alcuna zona rossa. Agli atti non risulta nessuna richiesta formale.

Alzano. È un altro punto cardine: la mancata chiusura dell’ospedale- focolaio di Alzano Lombardo, considerato il punto di partenza per la diffusione dell’epidemia in Val Seriana. La struttura, dopo la conferma di alcuni contagi, il 23 febbraio viene chiusa per qualche ora. Poi, dopo poco, riaperta senza sanificazione.

Le Rsa. Il Pio Albergo Trivulzio è l’emblema delle morti nelle strutture per anziani lombarde tra gennaio e aprile 2020. Qui, secondo le recenti consulenze, sarebbero morti di Covid circa 300 anziani ma ce ne sono decine con la stessa storia. Oggi si indaga per capire se l’errata gestione dell’emergenza sia stata causata dalla decisione dei singoli o dalle indicazioni date dalla regione Lombardia che l’8 marzo 2020 consente il trasferimento dei convalescenti da Covid nelle Rsa per alleggerire la pressione sugli ospedali. A questo, si aggiunge la mancanza a quel tempo di un piano pandemico aggiornato, la scarsità di dispositivi di protezione e di apparecchi di ventilazione. Vengono indagati in cinque tra responsabili delle aziende sanitarie bergamasche e l’ex direttore generale della sanità della Lombardia, Luigi Cajazzo (poi rimosso).

L’ospedale. A fine maggio, la Procura apre un’indagine sulla realizzazione dell’ospedale anti-Covid nei padiglioni inutilizzati della Fiera di Milano per verificare come siano stati spesi i 22 milioni di euro delle donazioni private. Alla guida viene messo Guido Bertolaso, tra le polemiche degli esperti: nella prima fase, “l’Astronave” è praticamente vuota, le terapie intensive sono lontane, i medici spostati. C’è chi chiede di riavere indietro i soldi. Ancora oggi, l’Astronave è “piena” ma con un numero di posti letto esiguo (circa 80)rispetto agli annunci (600).

I camici di Fontana. A luglio 2020, il governatore Attilio Fontana, viene indagato per turbativa d’asta: camici e protezioni sanitarie per 513mila euro vengono chieste con affidamento diretto alla società Dama spa, controllata dal cognato e (al 10% per cento) dalla moglie di Fontana. Il presidente sostiene sia una donazione gratuita ma i pm hanno appurato che la fornitura era stata avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture, poi sbianchettate dopo dalla nota di storno.

Via Gallera. Oltre alla mala gestione, la regione deve fare i conti con le gaffe dell’assessore al Welfare: confonde l’indice Rt, ringrazia gli ospedali privati, viola le restrizioni. A gennaio 2021, quando giustifica i ritardi nelle vaccinazioni con le ferie dei medici, Fontana mette al suo posto Letizia Moratti. Salta anche il dg Trivelli, che pochi mesi prima aveva sostituito Cajazzo.

I dati sbaglati. Intanto, la Lombardia finisce in zona Rossa ma per errore. I dati arrivati a Roma sono sbagliati, ristoranti e negozi chiudono. Gonfiati, anche quelli del “cruscotto regionale” che aggiorna i sindaci sul numero dei contagi nei comuni.

Vaccini antinfluenzali. Sempre gennaio. La Regione sbaglia i primi bandi sui vaccini antinfluenzali: basi d’asta fuori scala ed errori nelle quantità da ordinare. Li cambia, ma ormai i vaccini sono pochi e quelli che ci sono costano molto. I bandi sono 13, uno viene aggiudicato, prima che salti, da un dentista. E ancora, problemi nelle prenotazioni. Le dosi arrivano a metà gennaio, ma ormai è tardi. Avanzano 900mila vaccini, 10 milioni di euro sprecati.

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