venerdì 16 aprile 2021

Reato per l’addetto alla vigilanza del negozio che perquisisce il sospetto ladro. - Patrizia Maciocchi

 

Scatta l’usurpazione della funzione pubblica, e la condanna è senza attenuanti per le modalità odiose e prevaricatrici della condotta. Solo l’autorità di pubblica sicurezza può perquisire.

Scatta il reato di usurpazione della funzione pubblica a carico dell’addetto alla vigilanza del grande magazzino che perquisisce i sospetti ladri. La Cassazione (sentenza 14054) conferma la condanna per il reato, previsto dall’articolo 347 del Codice penale, a carico dell’imputato, impiegato presso il negozio Decatlhon, con mansioni di portiere e addetto alla vigilanza. Alla base della condanna una perquisizione tanto “scrupolosa” alla ricerca della refurtiva da essere estesa alla biancheria intima. Iniziativa che era costata al ricorrente l’iniziale contestazione di violenza sessuale, che il primo giudice aveva qualificato come violenza privata e la Corte d’Appello definitivamente derubricato in usurpazione di una funzione pubblica.

I limiti dell’addetto alla vigilanza.

Solo gli agenti possono, infatti, fare le perquisizioni, mentre gli addetti alla vigilanza devono limitarsi a controllare gli ingressi con possibilità di bloccare chi non è munito di regolare scontrino. A denunciare lo “zelante” controllore gli stessi ragazzi fermati, che avevano descritto l’imputato e lo avevano riconosciuto da una foto, essendo stati a diretto contatto con lui nel corso della perquisizione che si era svolta in un bagno dell’esercizio commerciale. La Cassazione avalla anche la scelta, compiuta dai giudici di merito, di negare le attenuanti generiche, per la gravità dei fatti e in particolare «per le modalità odiose e prevaricatrici della condotta».

IlSole24Ore

Assegno unico: tutto quello che c’è da sapere sulla riforma in 5 domande e risposte. - Michela Finizio


La legge delega approvata lo scorso 30 marzo dal Parlamento cancella sei misure già esistenti per le famiglie e le trasforma in un contributo unico per tutti i figli a carico.

I punti chiave.

  • Cos’è l’assegno unico e cosa prevede
  • Come calcolare l’assegno unico e i requisiti
  • Cosa sostituisce l’assegno unico: il nodo delle risorse
  • Qual è il budget per finanziare l’assegno unico?
  • Come e quando richiederlo: i nodi ancora da risolvere

L’assegno unico e universale è la riforma più importante mai approvata delle misure di sostegno per le famiglie. L’obiettivo è mettere ordine alle tante e diverse forme di aiuto approvate nel corso degli anni. A disegnare il nuovo contributo è la legge delega 46/2021, approvata in via definitiva lo scorso 30 marzo dal Parlamento. Ma si tratta solo della cornice del quadro che nei prossimi mesi andrà riempito con uno o più decreti attuativi dal ministero della Famiglia in accordo con le Politiche sociali e il Mef, sentita la conferenza unificata delle Regioni. Ci sono 12 mesi di tempo per approvarli, ma la volontà politica di partire già dal 1° di luglio 2021 con l’erogazione del nuovo assegno potrebbe accelerare i tempi.

1) Cos’è l’assegno unico e cosa prevede?

La legge delega 46/2021 prevede il superamento di ben sei misure esistenti a sostegno delle famiglie, in favore di un assegno unico destinato a tutti (per questo è universale) i figli a carico, dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del 21esimo anno. L’assegno potrà essere sotto forma di erogazione mensile oppure un credito d’imposta.L’importo, ancora da definire con i decreti attuativi nei limiti delle risorse disponibili, dovrà essere progressivo in base alla situazione economica del nucleo definita tramite Isee (l’indicatore calcolato dall’Inps in base a diversi parametri, anche patrimoniali), sarà compatibile con altri assegni regionali o locali e con il reddito di cittadinanza. In quest’ultimo caso, però, in fase di attuazione bisognerà definire in che modo dovranno interagire i due contributi, uno di sostegno alle famiglie con figli l’altro di contrasto alla povertà.

2) Come calcolare l’assegno unico e quali sono i requisiti?

In base alle linee guida della legge delega, l’assegno unico sarà quindi così strutturato: una quota fissa per ogni figlio a carico e una quota variabile in base all’Isee del nucleo familiare. Attualmente la definizione di “figlio a carico”, quella finora utilizzata per le detrazioni fiscali, prevede che il ragazzo non debba avere un reddito lordo superiore ai 4mila euro (o di 2.840,51 euro se maggiore di 24 anni). Sono poi previste, per legge, le seguenti maggiorazioni, la cui entità andrà definita in fase attuativa:

- per i figli successivi al secondo (quindi che va a premiare le famiglie numerose);

- per le madri giovani, con meno di 21 anni;

- tra il 30 e il 50 per cento per i figli disabili under 21, graduata in base alla condizione di disabilità (al compimento del 21esimo anno di età, se il figlio disabile è ancora a carico, il nucleo percepirà ancora l’assegno ma senza maggiorazioni).

Inoltre l’assegno unico per i figli maggiorenni tra i 18 e i 21 anni avrà un importo inferiore e, su richiesta, potrà essere erogato direttamente al figlio, purché ancora a carico, iscritto ad un percorso di studio (o tirocinio) oppure disoccupato registrato all’Anpal o volontario del servizio civile. È comunque necessaria la cittadinanza italiana o europea, oppure è necessario essere residenti (o domiciliati) in Italia insieme ai figli da almeno due anni anche se non continuativi e titolari di un contratto di lavoro almeno biennale, e in regola con il permesso di soggiorno.

3) Cosa sostituisce l’assegno unico?

L’entrata in vigore del nuovo assegno unico e universale prevede il superamento e la soppressione di sei misure esistenti, da adottare in sede di esercizio di delega. Le misure attualmente in vigore che verranno meno sono le seguenti.

1)  Le detrazioni fiscali per i figli a carico, che attualmente non raggiungono i soggetti incapienti ai fini Irpef (cioè i redditi inferiori che hanno un’imposta troppo bassa per fruire dello sconto fiscale). Come annunciato resteranno in vigore solamente, in via transitoria, quelle per i figli over 21 anni, scoperti dall’assegno unico. Dalla soppressione di questa misure si otterrà un risparmio di 7,8 miliardi di euro.

2) Gli assegni al nucleo familiare per figli minori, destinati ai soli lavoratori dipendenti (non ne beneficiano i lavoratori autonomi), per i quali ogni anno nel mese di luglio va rinnovata la domanda. Gli importi sono modulati in base al numero dei figli e al reddito familiare imponibile. Non conta l’Isee. Il risparmio da questa misura sarà pari a 4,7 miliardi di euro.

3) Gli assegni al nucleo per le famiglie numerose che viene erogato per 13 mesi a partire dal terzo figlio in caso di Isee inferiore a 8.788,99 euro. Previsto un risparmio pari a 300 milioni di euro.

4) Le tre misure di sostegno alla natalità, tra cui il bonus bebé, il premio alla nascita per le neo-madri e il fondo natalità per le garanzie su prestiti. Il risparmio in questo caso sarà di 1,3 miliardi di euro

4) Qual è il budget per finanziare l’assegno unico?

Dal riordino di queste sei misure si ottiene un risparmio annuo complessivo di 12,9 miliardi, che andrà a finanziare l’assegno unico. Questi fondi si andranno a sommare agli stanziamenti approvati con le ultime leggi di Bilancio, confluiti nel «Fondo per l’assegno universale e i servizi alla famiglia», dove si contano circa 3,5 miliardi per il 2021 e 6,5 miliardi a regime a decorrere dal 2022.

5) Come e quando richiedere l’assegno unico?

In questi giorni gli uffici ministeriali sono al lavoro per capire se la riforma, come annunciato, riuscirà a partire a luglio 2021. Per poter partire quest’anno sono stati stanziati ad hoc 3 miliardi di euro con l’ultima legge di Bilancio e la volontà politica va in questa direzione. Ma i tempi però sono molto stretti e le questioni da definire sono ancora molte e spinose.

Innanzitutto le famiglie beneficiarie sono 7,6 milioni ed è difficile immaginare che tutte riescano a dotarsi dell’Isee entro luglio (su questo i Caf già segnalano di essere in difficoltà: l’indicatore può essere richiesto anche online, in modalità precompilata, ma in questo periodo sono in tanti a richiedere l’Isee corrente attualizzato alla situazione degli ultimi mesi e quest’ultimo lo possono elaborare solo gli operatori).

Inoltre, in base alle prime simulazioni effettuate da Istat e dal gruppo di ricerca Arel, Fondazione E. Gorrieri e Alleanza per l'infanzia, ci si è accorti che è difficile poter garantire 250 euro a figlio e, inoltre, un certo numero di famiglie rischia di prendere meno rispetto a quanto prende oggi in base alle misure esistenti. A tal fine andrebbe inserita una clausola di salvaguardia che tuteli circa 1,35 milioni di nuclei da questo rischio, ma per poterla prevedere mancano le risorse: si stima siano necessari ulteriori circa 800 milioni di euro.

Resta, infine, da definire l’interazione dell’assegno unico con il reddito di cittadinanza, andranno poi aggiornate le piattaforme informatiche dell’Inps al nuovo scopo e bisognerà decidere se i datori di lavoro dovranno continuare a versare il contributo (Cuaf) destinato agli assegni al nucleo familiare oppure se queste risorse (circa 2 miliardi) arriveranno da altrove. Il tutto, poi, dovrà essere inquadrato all’interno dell’annunciata riforma dell’Irpef che impatterà sul fisco familiare. Per tutti questi motivi resta difficile immaginare una partenza a pieno regime nel prossimo mese di luglio e bisognerà continuare a monitorare le fasi dell’attuazione nelle prossime settimane.

IlSole24Ore

Ironizzando sul Divino, il Migliore...

 

Ironizzando.

Da fb D'attis.

Le Grandi Manovre. - Marco Travaglio

 

Dopo averlo un po’ bistrattato, diamo la parola al generalissimo Figliuolo, non prima di aver celebrato il suo ultimo trionfo sul campo: ha cinto d’assedio ed espugnato la redazione de La Stampa, che peraltro non ha opposto resistenza. Però, nella visita guidata dal direttore Giannini (in borghese), gli ha dedicato un ritratto-colloquio di rara ferocia. “L’uomo che gira l’Italia in divisa ha un pensiero fisso: ‘Dobbiamo uscire da questa situazione’”. Giusto, sante parole, bene-bravo-bis. “Un’altra giornata vissuta di corsa”, incalzano i due intervistatori de La Stampa occupata, col fiatone: “batte l’Italia senza sosta”, “è operativo, sta sul campo”, associa “la fermezza del militare, lo schematismo dell’ingegnere e la sensibilità dello psicologo” (perbacco). E Lui, scattante: “Sempre zaino in spalla, freno a mano tirato (il che spiega molte cose, nda) e strada in salita”. Qualunque cosa voglia dire. I due segugi ripartono all’attacco: “Incontri in rapida sequenza, operativi, coinvolgere, viaggiare, osservare, ascoltare, individuare”. E “pochi annunci”, anzi nessuno, anzi uno: “17 milioni di dosi a maggio, una potenza di fuoco superiore alle 500 mila al giorno”. E qui vien da grattarsi, visto che in uno dei proverbiali non-annunci ce le aveva promesse già un mese fa per metà aprile, cioè per oggi.

Ma lui è già oltre e non-annuncia il nuovo piano: “Dal 10-15 maggio vaccinazioni in azienda. Si andrà in parallelo multiplo”. Non singolo: multiplo: e lì, attenzione, “possiamo anche decidere di vaccinare in contemporanea la fascia 30-59 anni” cioè “farli tutti insieme, ovviamente dando priorità a chi è più anziano”. I concetti di “tutti insieme” e “priorità agli anziani” parrebbero in contraddizione, ma non per chi viaggia “in parallelo multiplo”. Che poi vuol dire ’ndo cojo cojo. Tipo “vaccinare chi passa”, ma guai se qualcuno passa, saltafila senza coscienza che non è altro. Lui peraltro s’è già portato avanti: a soli 59 anni, “ho fatto Astrazeneca e sono stato benissimo”. Beato lui. “La seconda immagine – lo frustano i due watchdog, sempre a passo di carica – è anglosassone: Keep it simple, falla semplice”. Falla non nel senso di buco, ma di verbo. Obiettivo: “Consegnare al presidente del Consiglio la valigetta dei bottoni”. Prego? “Non per far partire un razzo, ma tutti i vaccini possibili”. Ah, meno male, chissà che credevamo. Sul finale chiarisce anche perché l’hanno scelto: “Sono dotato di pensiero parallelo” (non dice se multiplo o singolo) e “faccio cose normali: litigo anche con mia moglie” (dotata di pensiero meridiano). Ma sopratutto – chiosano i due segugi trafelati – “nel 1985, con il grado di tenente, ha preso servizio nella caserma Musso di Saluzzo”. E tanto ci voleva! Ha fatto tre anni di militare a Cuneo. Come Totò.

IlFattoQuotidiano

Hrw denuncia: in Qatar 'le donne ancora vittime del patriarcato'.

 

'Serve permesso uomini per viaggi, cure e gestione dei figli'.

Le donne in Qatar non hanno ancora il diritto di prendere decisioni in autonomia rispetto agli uomini su questioni fondamentali come il matrimonio, i viaggi e l'accesso a certi tipi di assistenza sanitaria, come le cure ginecologiche. Lo denuncia Human Rights Watch in un rapporto pubblicato di recente, in cui si fa appello alle autorità dell'emirato perché eliminino le norme del cosiddetto "sistema di tutela maschile".

L'ong con sede a New York, che ha intervistato decine di donne per redigere il suo rapporto, afferma che nonostante alcune iniziative intraprese in favore dei diritti delle donne, inclusa l'istruzione e la protezione sociale, il Qatar resta ancora indietro rispetto ai vicini del Golfo, se si pensa ad esempio all'Arabia Saudita, che nel 2019 ha permesso alle donne adulte di viaggiare senza permesso.

Una di loro ha raccontato di vivere in uno stato simile ad una "costante quarantena".

Il rapporto di 94 pagine, dal titolo 'Tutto quello che devo fare è legato a un uomo', analizza le regole e le pratiche del sistema di tutela maschile. Tra le altre cose, le donne non sposate sotto i 25 anni necessitano dell'approvazione di un tutore per viaggiare all'estero. E possono essere soggette a divieti di viaggio a qualsiasi età da parte di mariti o padri.

Il sistema nega inoltre alle donne l'autorità di agire come tutore principale dei loro figli, anche quando sono divorziate e hanno la custodia legale, aggiunge Hrw, secondo cui "la tutela maschile rafforza il potere e il controllo che gli uomini hanno sulle vite e le scelte delle donne e possono favorire o alimentare la violenza, lasciando alle donne poche opzioni praticabili per sfuggire agli abusi delle loro famiglie e dei loro mariti".

L'emirato - già sotto i riflettori internazionali per le condizioni dei migranti che lavorano nei cantieri per i Mondiali di calcio dell'anno prossimo - ha descritto il rapporto di Hrw come "impreciso", ma ha spiegato che farà delle indagini sui casi segnalati e punirà eventuali abusi. 

ANSA

giovedì 15 aprile 2021

“Hanno falsificato dati sul Morandi”. Lo choc del neo-Ad. - Marco Grasso

 

La rivelazione è così sconvolgente da lasciare sbigottito persino il nuovo Ad di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi, l’uomo chiamato per salvare una nave in mezzo alla tempesta: “Quindi lui avrebbe forzato anche i voti sul Polcevera? Ma davvero? Non ci posso credere…”.

È il 12 dicembre 2019. È passato un anno e mezzo dal crollo del ponte Morandi, e tre mesi dalle prime misure cautelari che hanno svelato il sistema di falsi report con cui veniva sottostimato il degrado dei viadotti di mezza Italia, per posticipare le spese in manutenzione. Eppure, fino a questo momento, nemmeno i vertici della società sospettavano che la situazione fosse così grave. Ovvero che i falsi avessero riguardato anche il viadotto caduto, e quindi potessero essere messe in relazione con la morte di 43 persone. Il “lui” a cui si riferisce Tomasi è Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni di Aspi, fedelissimo dell’ex Ad, Giovanni Castellucci. “Certo che è molto interessante – commenta Tomasi, al telefono con il capo dell’ufficio legale di Aspi Amedeo Gagliardi – Per gli inquirenti, intendo”. Gagliardi è stato incaricato di leggere le carte depositate. Tra di esse ci sono le registrazioni effettuate nel 2017 (un anno prima del crollo) da alcuni dirigenti Spea, società incaricata del monitoraggio delle infrastrutture, come forma di autotutela: “Ce n’è una molto dura – dice Gagliardi – una conversazione tra lui e il progettista De Angelis… tu devi fa’ così… se il numero non te torna devi… perché nel 2002 la Pila 11… l’ammaloramento non dev’esse troppo forte… Insomma, fanno tutto un ragionamento sul Polcevera”. Emanuele De Angelis era il responsabile del progetto di retrofitting del Morandi che per i pm Aspi presentò al Mit con dati edulcorati.

Ieri il gip Angela Nutini ha accolto nel processo oltre 400 intercettazioni , escludendo quelle che coinvolgono i difensori della società.

IlFattoQuotidiano

L’imprenditore che produce monoclonali a Latina: ‘Li inviamo in tutto il mondo, ma in Italia se faccio uscire una fiala dal cancello mi arrestano’. Thomas Mackinson

 

Aldo Braca è il titolare della Bsp Pharmaceuticals dove si produce l'anticorpale della Eli Lilly che finisce in tutto il mondo fuorché in Italia, dove non è autorizzato. "I ritardi sui vaccini aumentano la richiesta globale , l'Italia si muova ora o rischia che l'intera produzione venga opzionata”. Aifa non emanato un bando di studio per la ricerca che potrebbe impiegare mesi. Il dg delle malattie infettive del San Martino Bassetti: "Non ha nessuno senso e poi anche Il problema etico: perché dovrei dare un placebo ai malati quando c'è la terapia per guarirli?”

“Anche io ho dei parenti che si son presi il Covid sa? Ma ho anche mille dipendenti che controllo tutte le mattine e tanti si sono ammalati fuori di qui, rischiando la vita. Dal mio impianto esce il farmaco che può guarirli subito. Sa che mi succede se lo porto fuori da questo cancello? Succede che mi arrestano, perché in Italia non è autorizzato”. Aldo Braca è il titolare della Bsp Pharmaceuticals di Latina, azienda divenuta celebre nell’era Covid perché da lì partono i camion refrigerati che portano gli anticorpi monoclonali della Eli Lilly in tutto il mondo fuorché in Italia, dove l’Aifa non li ha autorizzati. Gli ultimi studi pubblicati confermano una riduzione del rischio di morte del 70% e tuttavia le fiale da Latina vanno in Francia per l’etichettatura e poi negli ospedali di Stati Uniti, Canada, Israele, Germania, Inghilterra e Ungheria. Non in quelli italiani. “Non ci dormo la notte, da quando ho iniziato a mandare via il prodotto. Mi fa incazzare non una, ma dieci volte. Lo scriva pure questo. Ma la prego, aggiunga: l’Italia deve darsi una mossa”.

All’imprenditore non era sembrato solo un affare, quando ha contratto l’obbligazione con la multinazionale di Indianapolis per 100mila dosi di Bamlanivimab al mese, uno dei due soli trattamenti autorizzati al mondo contro il Covid. “Era settembre – racconta – gli ospedali stavano esplodendo di nuovo. Ho subito chiesto alla Lilly “ma in Italia il prodotto ci sarà vero?”, e loro mi hanno risposto “certamente lo offriremo, poi è il ministero che decide ma noi lo proporremo”. Il resto ormai è storia.

L’Agenzia del Farmaco, che dal ministero dipende, non ha autorizzato la sperimentazione, neppure quando le fiale erano state offerte gratuitamente a questo scopo su iniziativa del virologo Guido Silvestri che da allora non si da pace. Da Atlanta chiede che si faccia chiarezza su chi, a Roma, ha la responsabilità del ritardo nell’accesso alla terapia e delle vite che potevano salvare. Eccesso di prudenza e burocrazia, inconfessabili conflitti di interesse in capo ai decisori pubblici, non s’è mai capito. Fatto sta che allo sconcerto di pochi è poi seguita la rabbia di molti. Ma nessuno, nel frattempo, si preoccupa dell’approvvigionamento. “Coi vaccini ritardano sale la domanda globale di anticorpi – avverte Braca – . Ho ancora capacità produttiva ma dopo Trump l’amministrazione Biden ha subito opzionato altri due milioni di dosi, ora la Germania. Lilly ha messo un booking molto alto, sma se non ci muoviamo presto l’intera produzione sarà opzionata”.

Il regolatore pubblico non ha fretta. Solo 21 gennaio l’Aifa ha emanato un “bando per lo studio randomizzato” sugli anticorpi monoclonali. A strapparlo, con la forza di un leone, è stato il presidente Giorgio Palù, altra anima inquieta per questa vicenda che sembra aver smarrito da tempo il “razionale scientifico”, posto che gli studi di fase 3 hanno confermato l’efficacia degli anticorpi e altri paesi europei, Germania in testa, hanno iniziato a rifornire gli ospedali senza aspettare autorizzazioni dall’Europa. La scadenza del 21 febbraio è stato subito posticipata al 15: “per le molte richieste di arrivate da diversi ricercatori di avere più tempo per costruire e presentare la loro proposta di studio”, fa sapere l’Aifa. Dunque, l’agenzia che per mesi ha ignorato la sperimentazione adducendo problemi regolatori e dubbi sull’efficacia, scopre ora che c’è la fila per usarli ma non per impelagarsi in studi ridondanti.

Allo “studio” si è affacciato il San Martino di Genova. Matteo Bassetti, è il direttore delle malattie infettive. “Quando ho letto il bando mi sono cadute le braccia. Non ha alcun senso proporre ora un protocollo di studio su farmaci la cui efficacia è dimostrata da dati validati di Fase III, già utilizzati come terapia da altri Paesi come la Germania. Con 500 morti al giorno noi che facciamo? Aspettiamo i risultati dello studio che potrebbe – stando al protocollo Aifa – durare fino a 12 mesi?”. La sperimentazione (tardiva) pone anche un problema di natura etica di cui pochi si preoccupano. “Come potrò chiedere a pazienti malati di accettare da volontari il placebo se il farmaco che li guarisce c’è già?”. Anziché perder tempo, conclude Bassetti, si avvi un programma allargato ad uso compassionevole. “Da medici, più della ricerca, una cosa ci interessa: che arrivino terapie che possano salvare la vita ai pazienti. Non tra sei mesi, ora”.

IlFattoQuotidiano (1 FEBBRAIO 2021)