martedì 20 luglio 2021

M5s, ecco il nuovo statuto: al posto del capo politico un comitato direttivo di 5 membri per 3 anni. Convocati gli iscritti per il voto finale.

 

L'annuncio è stato fatto dal capo politico reggente Vito Crimi sul Blog delle Stelle e arriva esattamente un anno dopo le dimissioni di Luigi Di Maio. Le modifiche saranno votate online, per parti separate, dall’Assemblea degli iscritti il 9-10 febbraio in prima convocazione e il 16-17 in seconda convocazione.

E’ pronto il nuovo statuto del Movimento 5 stelle che cambia definitivamente la gestione della leadership e a metà febbraio sarà sottoposto al voto degli iscritti. Dopo mesi di discussioni e rinvii, e nel pieno di una crisi di governo che al momento sembra in una fase di stallo, il M5s cerca di sbloccare uno dei processi interni più delicati. L’annuncio è stato fatto dal capo politico reggente Vito Crimi sul Blog delle Stelle e arriva esattamente un anno dopo le dimissioni di Luigi Di Maio. Le modifiche saranno votate “dall’Assemblea degli iscritti convocata dalle ore 12 di martedì 9 febbraio 2021 fino alle ore 12 di mercoledì 10 febbraio 2021 in prima convocazione e dalle ore 12 di martedì 16 febbraio 2021 fino ore 12 di mercoledì 17 febbraio 2021 in seconda convocazione”. Il documento verrà votato per parti separate.

La proposta di modifica dello statuto prevede un cambiamento radicale nella gestione della leadership e una vera e propria nuova struttura (qui il documento che confronta il vecchio Statuto con il nuovo modificato). All’articolo 5, si prevede l’istituzione del Comitato Direttivo, ovvero dell’organo collegiale. L’articolo che viene modificato principalmente è il numero 7, che inizialmente si occupava del capo politica. La proposta di modifica prevede il trasferimento di tutte le funzioni di competenza del Capo Politico appunto al “Comitato direttivo” di nuova istituzione, composto da 5 membri, eletti dagli iscritti, della durata di tre anni e le cui deliberazioni sono assunte a maggioranza dei membri. “Ogni membro è rieleggibile per non più di due mandati consecutivi”.

L’articolo 7 prevede inoltre che venga eletto un “rappresentante legale ed istituzionale” del comitato: “Il Comitato direttivo elegge e revoca al proprio interno a maggioranza, con rotazione annuale, colui che assumerà le funzioni di rappresentante legale ed istituzionale del Movimento 5 stelle e per l’esercizio delle sole funzioni che le leggi pro tempore vigenti richiedono. Il Comitato direttivo è l’organo che ha tutti i necessari poteri di ordinaria amministrazione. Gli atti di straordinaria amministrazione sono subordinati al consenso e/o ratifica da parte dei componenti del Comitato di Garanzia”. Ma come verrà eletto? Su questo si esprimerà il comitato di garanzia. “Il Comitato di Garanzia, nella definizione del regolamento per l’elezione dei membri del comitato direttivo, individuerà eventuali cause di incompatibilità, e stabilirà che ciascun genere sia rappresentato per almeno i due quinti e che ciascuna delle seguenti tipologie di portavoce: membri del governo, parlamentari europei, nazionali, consiglieri regionali e consiglieri comunali, non sia rappresentato all’interno del Comitato da un numero di membri superiore ai due quinti”. I membri del comitato potranno essere sfiduciati: “Il Comitato direttivo, o uno o più membri dello stesso, può essere sfiduciato con delibera assunta a maggioranza assoluta dei componenti del Comitato di Garanzia e/o dal Garante, ratificata da una consultazione in Rete degli iscritti, in conformità a quanto previsto dal presente Statuto. Il Comitato direttivo delibera a maggioranza dei propri membri”.

Quali le funzioni del Comitato direttivo? “Il Comitato direttivo convoca e dirige i lavori dell’Assemblea, indice le votazioni in rete degli Iscritti e mantiene l’unità dell’indirizzo politico del MoVimento 5 Stelle. Il Comitato direttivo si coordina con gli eletti ed i membri del Governo espressi dal MoVimento 5 Stelle e in particolare concerta l’azione politica con i capigruppo parlamentari, il capo della delegazione governativa, nonché con il capo della delegazione europea per le materie di sua competenza”.

ILFQ

Incognita emendamenti, arriva il giorno della verità per il ddl Zan. - Giovanni Innamorati

 

Renzi, mediazione vicina. Letta,non mi fido dell'omofobo Salvini.

Dopo il fumo delle parole dei giorni scorsi, da oggi sul ddl Zan si comincerà a vedere l'arrosto dei fatti, cioè gli atti parlamentari che dovrebbero concretizzare quanto detto fino ad oggi. Alle 12 scade il temine per presentare gli emendamenti per modificare il testo, e questi consentiranno innanzitutto di vedere se c'è una reale volontà di mediazione da parte di chi la ha invocata, come Lega e Iv.

Una mediazione che richiede un minimo di fiducia reciproca, che al momento non sembra esistere, visto le accuse reciproche registrate anche in giornata, con Enrico Letta che ha definito "omofobo" Matteo Salvini.

Il leader di Iv Matteo Renzi, ha affermato che a suo giudizio "un compromesso è possibile sugli articoli 1, 4, e 7", vale a dire quelli che, rispettivamente, introducono il concetto di identità di genere, che trattano la libertà di espressione e che riguardano l'insegnamento anti-discriminazione nelle scuole.

Secondo Renzi "un accordo è a portata di mano", perché " la Lega, dopo mesi di ostruzionismo, ora si dice disponibile". In tal senso il leader di Iv dice di "non capire perché Letta si sia messo di traverso". E a rivendicare l'invito al "dialogo" è stato anche Salvini.

Tuttavia Iv e Lega non hanno chiarito i contenuti delle loro proposte sui tre articoli indicati da Renzi. La proposta del presidente della commissione Giustizia, il leghista Andrea Ostellari, giudicata da Iv "un passo avanti" e respinta dal Pd, non è stata fatta propria dalla Lega, che anzi ha ribadito di voler puntare a introdurre una semplice aggravante comune per i reati di odio omo-transfobico, punto su cui Pd, M5s e Leu non accederanno mai.

Sicuramente, emendamenti arriveranno da Julia Unterberger, capogruppo delle Autonomie: "personalmente voterei subito il ddl così come è, ma prendo atto che la destra non lo vota e per favorire un compromesso presenterò un emendamento sugli articoli 1, 4 e 7" per "favorire un compromesso". Anche il socialista Riccardo Nencini ne presenterà uno sull'articolo 4 perché la sua formulazione "è scivolosa": il timore è che qualche Pm possa distorcerne l'applicazione, perseguendo semplici opinioni.

L'articolo 4, introdotto alla Camera su richiesta di Fi in commissione Affari costituzionali, è ora quello più a rischio. In ogni caso al momento di votare gli emendamenti, indipendentemente da chi li avrà presentati, si arriverà ai nodi politici: Iv sarà disposta a votare insieme al centrodestra e a spostare quindi il proprio baricentro verso destra? In caso di esito incerto il Pd dirà sì, per esempio proprio sull'articolo 4, ad un emendamento che sia comunque accettabile e non renda incoerente il testo? Nodi che non si presenteranno martedì, visto che mancano ancora diversi interventi in discussione generale e che per i prossimi giorni l'Aula dovrà prima votare alcuni decreti. In casa Dem la fiducia verso la Lega è nulla: "Chi è omofobo in Europa non può essere un credibile interlocutore in Italia", ha detto Enrico Letta ricordando che la Lega al Parlamento europeo ha votato in favore dell'Ungheria di Orban e della sua legge anti Lgbt. "non si può essere omofobi in Europa e poi voler dialogare con noi: è incompatibile".

ANSA

lunedì 19 luglio 2021

Addio Guido Palma. L’arte di beffare i potenti (e capire il rischio profondo della Lega al governo). - Furio Colombo

 

Quando c’è stata la non dimenticata “discesa in campo” di Berlusconi (ma anche il divertimento, ascoltandolo, erano i tempi di Romolo e Remolo) a Roma si è subito affollata una piccola piazzetta “detta del Pasquino”. Lì, per antica tradizione secolare, si andavano depositando (incollando foglietti sulle pietre dei monumenti), commenti, versi, brevi diari in rima di ciò che era accaduto in quei giorni in casa di vescovi, cardinali e altre gerarchie della città papale.

Un uomo estroso, pieno di fantasia, ha preso con mitezza e tenacia il posto del Pasquino della storia. Si chiamava Guido Palma e ha vissuto una lunga vita (se ne è andato da pochi giorni) sempre con un umore lieto e una capacità di giudizio folgorante. Lui non ha mai mancato un giorno (salvo proprio quando la salute si ostinava a tacere, ma pochi giorni alla volta) ed è così diventato l’unico memorialista rigoroso della terribile storia italiana: dal giorno in cui Berlusconi scopre di amare l’Italia, è convinto di esserne riamato e non l’abbandona più.

Il regime che nasce – credendo di essere spensierato e portato al buon umore – cambia all’improvviso (ha una personalità debole, racconta Pasquino) quando fa amicizia o quasi (ci sono momenti in cui il pericolo torna e ritorna) con un gruppo politico che ha come scopo di far danno e ha i diversi nomi seguenti: Lega Nord, Lega per la liberazione della Padania, Lega per la Secessione dalla Repubblica Italiana, Lega per la indipendenza della Padania. È stato un grande giorno per Pasquino quando tutte queste leghe sono confluite nel governo di Mario Draghi allo scopo di salvare l’Italia. Pasquino-Guido Palma però è stato un dei pochi italiani ad accorgersi subito che la Lega – con tutta la sua cattiveria ammazza-emigranti e tutta la sua ricerca del male che si poteva ancora infliggere ai migranti sventuratamente già accolti – non era il fondo del barile. Sotto c’erano le riserve, un po’ rancide ma in grado di spargere veleno, che si indignano alle affermazioni di Pasquino. Ma guai a scambiarli per democratici. Per sicurezza Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno firmato il documento “Orbàn-Le Pen” che scredita la seconda guerra mondiale (la tragedia che ha eliminato il fascismo) e invoca la forza e l’autonomia della “nazione” come punto di rinascita.

Come vedete Guido Palma-Pasquino ha ancora molto da lavorare. Ma ci lascia due notizie che ci importano molto. Il padre è stato partigiano, la madre ebrea.

ILFQ

Giustizia, Conte fa asse con Letta. Se Draghi insiste, parola alla base. - Paola Zanca

 

L’incontro. L’ex premier spiegherà “da giurista” i nodi tecnici In caso di fiducia, decideranno gruppi parlamentari e iscritti.

Alle 11, a palazzo Chigi, più che da leader di partito ha intenzione di presentarsi come giurista. Per convincere “dal punto di vista tecnico” e non “identitario” che la riforma Cartabia, così com’è, non regge. Nel faccia a faccia con Mario Draghi in programma per questa mattina, insomma, Giuseppe Conte insisterà soprattutto sulla questione dell’improcedibilità – le nuove norme prevedono che, se entro due anni l’appello non si chiude, il processo salta, ndr – che poi è l’aspetto su cui si stanno concentrando le principali critiche dei magistrati italiani. A cominciare da quelle del loro presidente, Giuseppe Santalucia, che in audizione alla Camera, tre giorni fa è arrivato a definire la nuova prescrizione uno “strumento eliminatorio dei processi”, al punto che – secondo i calcoli dell’Anm – la riforma farebbe andare al macero 150 mila procedimenti in corso.

Sono state proprio le audizioni dei magistrati ad aver convinto anche il Pd a far arrivare a Draghi tutte le perplessità che la riforma lascia senza risposta. Non è un caso che ieri, il segretario dem Enrico Letta, su Repubblica abbia aperto a degli “aggiustamenti” e abbia sottolineato come sia un “dovere” del Parlamento intervenire per migliorare il pacchetto di misure votato dal governo.

L’irritazione per i tempi strettissimi con cui la Camera è chiamata ad esaminare il provvedimento (che dovrebbe andare in Aula già questa settimana) è ormai diffusa e i 5 Stelle, a questo punto, sperano di poter fare asse con Pd e Leu per riportare Draghi a più miti consigli: “Si troveranno le giuste soluzioni”, ha ribadito ieri sera Letta alla festa dell’Unità di Roma.

Non sarà esattamente una passeggiata, visto che il premier, sul tema, è piuttosto intransigente. “Prendere o lasciare”, aveva già detto ai ministri grillini che ventilavano l’astensione in Cdm, salvo poi decidersi a votare sì dopo i “consigli” di Beppe Grillo. Ma ora Conte ha deciso di ufficializzare proprio sulla questione della giustizia la fine della “diarchia” interna al Movimento. Lui la riforma così non la vota, ripete ai suoi. E conta di far leva sui risvolti tecnici della faccenda, ovvero sui suoi trascorsi professionali, per rompere le rigidità del premier: “Io sono consapevole che siamo in una nuova maggioranza e che non possiamo essere ideologici e arroccarci sulla difesa della legge Bonafede – ragiona l’avvocato –. Ma l’importante è che si trovi un modo, e si può trovare, per evitare che i processi vadano in fumo”. Porterà le sue proposte, Conte. E se Draghi dovesse tirare dritto e magari decidere di mettere la fiducia sul provvedimento, sarà lui a prendersi la responsabilità di questo gesto, è il senso delle riflessioni che l’ex premier sta facendo in queste ore. Conte ripete ai suoi – a cominciare dai ministri – che non ha intenzione di far cadere il governo, anche perché gli serve tempo per ricostruire il Movimento provato dalle lunghissime fibrillazioni interne. Ma vuole (e deve) ottenere qualcosa dal confronto con Draghi. Altrimenti, interpellerà i gruppi parlamentari e la base del Movimento. Cioè gli iscritti, che cinque mesi fa votarono in maggioranza Sì all’ingresso nel governo, ponendo tre condizioni “imprescindibili”: il “Superministero della Transizione ecologica”, la difesa del reddito di cittadinanza e l’indisponibilità a cambiare la riforma della prescrizione così com’era stata concordata dai giallorosa (quella nata dall’”accordo precedentemente raggiunto con Pd e LeU, oltre il quale il M5S non è disposto ad andare”). A Draghi, stamattina, Conte proverà a spiegare che – col senno di poi – la corda si è già tirata parecchio.

ILFQ

Ma mi faccia. - Marco Travaglio

 

L’estremo oltraggio. “Noi non dimentichiamo: il Tuca Tuca era il progenitore del Bunga Bunga” (Giuliano Ferrara, Foglio, 6.7). A dir cazzate comincia tu. Com’è bello dir cazzate da Trieste in giù.

Il segreto di Pulcinella. “Davigo indagato a Brescia per rivelazione di segreto sul caso dei verbali di Amara” (Corriere della sera, 11.7). Quindi, siccome avvertì Ermini, che avvisò Mattarella, sono indagati anche Ermini e Mattarella?

Sveglio, il ragazzo. “Cuba era un sogno, ma è diventato un incubo. La rivoluzione di Castro e del Che sprigionava libertà, fantasia: al tempo la vedevamo con gli occhiali rosa. E sulla repressione del regime troppi silenzi a sinistra” (Sergio Staino, Repubblica, 18.7). Però, che prontezza di riflessi.

Quando c’era Lui. “Da quando è arrivato #Draghi l’Italia ha vinto l’#Eurovision2021 con i #Maneskin, gli #Europei2021 con la #Nazionale ed è arrivata in finale a #Wimbledon con Matteo #Berrettini. L’Italia riparte dopo la pandemia, viva l’Italia di #Draghi” (Massimo Ungaro, deputato Iv, Twitter, 12.7). Quindi fammi capire: Draghi ha perso la finale di Wimbledon?

È venuto giù l’Armando. “Il giusto equilibrio tra processi rapidi e garanzie. Se questo la riforma Cartabia centra il punto” (Armando Spataro, Stampa, 12.7). Li ammazza stecchiti, e rapidissimamente.

Affinità elettive. “Dialogare? Meglio la Lega del Pd” (Ettore Rosato, presidente Iv, Libero, 8.7). “Meglio Iv dei 5Stelle” (Riccardo Molinari, capogruppo Lega alla Camera, 8.7). “Porte spalancate per Salvini su giustizia e ddl Zan” (Roberto Giachetti, deputato Iv, Verità, 12.7). Dio li fa e poi li accoppia.

Povera stella. “Cingolani: un’imboscata contro di me. Ira del ministro per i veti sul Recovery. Dopo il voto contrario in Commissione di Pd e M5S sull’iter delle grandi opere” (Corriere della sera, 18.7). Gioia, non si chiama imboscata: si chiama Parlamento

Premio Nobili. “Carlo Fuortes è un manager culturale di livello internazionale. Il suo nome è legatobvc ad una @@m@. I stagione di successo dell’ tu bv k roba” (Luciano Nobili, deputato Iv, beccato da @ferrazza, Twitter, 9.7). Lo portano via.

Canti Orfinici. “La confluenza coi 5S è fallita. Meglio così. Ora ricostruiamo il Pd” (Matteo Orfini, deputato Pd, Riformista, 15.6). Ci si vede dal solito notaio?

Senti chi parla. “Così Draghi ha fatto inceppare i lottizzatori di Viale Mazzini” (Stefano Balassone, ex vicedirettore Rai3, ex Cda Rai, Domani, 16.7). Draghi e quelli che lottizzarono Balassone invece non erano lottizzatori. La lottizzazione è sempre quella degli altri.

Senti chi pirla. “Io non mi piego alla logica dei sondaggi e degli influencer” (Matteo Renzi, leader Iv, pubblicità del suo libro, Repubblica, 16.7). Specialmente ora che li ha tutti contro.

Verderabbia. “Resta infine da capire se Salvini ha fatto un tuffo nella nuova piscina di casa Renzi a Firenze. In quel caso avrà notato che sul fondo della vasca c’è una scritta: ‘Costruita con il contributo di Marco Travaglio e altri’. Sono i soldi delle querele vinte” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 10.7). Purtroppo M. R. non ha mai vinto una sola querela contro il sottoscritto. Quindi sarà una piscina senz’acqua.

I giudici Ossimoro. “Magistratura democratica: ‘Riforma? Prima l’amnistia’” (Riformista, 13.7). “Tribunali in tilt. Serve l’amnistia” (Cristina Ornano, Gip a Cagliari e presidente della corrente Area, Riformista, 14.7). “Guardiamo all’amnistia per una giustizia penale meno ‘carcerocentrica’” (Stefano Musolino, pm antimafia a Reggio Calabria e futuro segretario di Md, Dubbio, 15.7). È il sogno di tutti i magistrati: “L’imputato è colpevole, chiedo il massimo dell’impunità”.

La voce grossa. “Licenziamenti, il governo chiamerà le multinazionali. Orlando e Giorgetti vogliono convocare Gkn e Gianetti” (Repubblica, 12.7). “Ehi, ragazzi, tutto bene a casa?”.

Mai più senza. “Luciano Violante rilegge la tragedia di Clitennestra e la porta in teatro con un suo testo. ‘Vogliamo giudici con l’anima’” (Foglio, 17.7). Mo’ me lo segno.

L’erba del vicino. “Il Fatto quotidiano era sopra le 100.000 copie e ora è a 25.000” (Roberto D’Agostino, Verità, 17.7). Il Fatto ora è a 58.000 copie vendute giornaliere, con un +47% in un anno: e Dagospia?

Il titolo della settimana/1. “Stop allo scandalo delle indagini segrete. Svolta. Nella riforma Cartabia un freno allo strapotere dei pm: chi è nel mirino dovrà essere avvisato dell’inchiesta” (Giornale, 17.7).Così può fuggire o inquinare le prove per tempo.

Il titolo della settimana/2. “Renzi si autodenuncia: ‘Noi della sinistra abbiamo messo due nomi inadeguati al vertice del Csm’” (Giornale, 12.7). Noi della sinistra...ahahahahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “Vogliono impedire di presentare ‘Il Sistema’ nelle piazze: Palamara come Dreyfus” (Giornale, 17.7). E Sallusti come Emile Zola.

ILFQ

Gli Stati Uniti ora temono «la pandemia dei non vaccinati». - Luca Salvioli

 

Tornano a salire i casi e i ricoveri oltreoceano, ma a essere sotto pressione sono gli stati con la più scarsa adesione alla campagna vaccinale.

L’epidemia ha ripreso a correre anche negli Stati Uniti. Dopo il picco dell’8 gennaio, con oltre 300mila casi in un giorno, le infezioni avevano iniziato a calare e contemporanemente la campagna vaccinale aveva iniziato a correre, prima e più velocemente rispetto all’Europa. Poi una breve risalita di infezioni in aprile per arrivare ai valori più bassi da inizio pandemia. Da due settimane la curva ha ripreso a salire, ma con diverse velocità tra gli stati.

«Questa sta diventando la pandemia dei non vaccinati - ha avvertito la direttrice della Cdc, Rochelle Walensky - stiamo vedendo una forte crescita dei casi in parti del paese che hanno una bassa copertura vaccinale, perché le persone non vaccinate sono a rischio». Stanno tornando alcune restrizioni. Chicago ha imposto dei limiti ai viaggiatori provenienti dal Missouri e l’Arkansas, considerati bacini per la variante Delta. A Los Angeles sono nuovamente obbligatorie le mascherine al chiuso anche per i vaccinati.

Gli indecisi nei confronti del vaccino.

Il messaggio delle autorità sanitarie cerca di spingere la popolazione verso una maggiore adesione alla campagna vaccinale. Gli Stati Uniti hanno raggiunto il loro picco di vaccinazioni giornaliere il 13 aprile, con 1.012 dosi per 100mila abitanti, per poi scendere fino alle 200-250 delle ultime settimane. Per fare un paragone, l’Italia è partita peggio ma ora viaggia stabilmente sopra le 900 dosi giornalieri per 100mila abitanti da inizio giugno.

Negli Stati Uniti ha ricevuto almeno una dose il 56% della popolazione, mentre il 48% ha completato il ciclo vaccinale. In Italia - in linea con i principali paesi europei - il 61,5% ha ricevuto almeno una dose, e il 45,2% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. La copertura è dunque simile.

Torna l’emergenza negli stati con meno vaccinati

Gli Stati Uniti vedono però una linea di demarcazione tra gli stati con una scarsa percentuale di vaccinati, che vivono una nuova ondata di ricoveri, e quelli con una maggiore protezione. A Mountain Home, Arkansas, dove ha fatto due dosi meno di un terzo della popolazione, gli ospedali soffrono nuovamente, racconta il New York Times.

«Sappiamo che il 99,5% delle persone che ora sono in ospedale non sono vaccinate e le persone che stanno morendo di Covid non sono vaccinate», ha detto Jen Psaki, la portavoce della Casa Bianca.

Guerra alla disinformazione.

L’amministrazione Biden è in polemica con Facebook per il ruolo del social nella diffusione di disinformazione capace di alimentare la propaganda contro il vaccino («Stanno uccidendo persone», ha detto il presidente americano).

L’immunologo Anthony Fauci alla Cnn ha detto: «Se al tempo avessimo avuto la copertura negativa che stanno avendo i vaccini su alcuni media, probabilmente avremmo ancora il vaiolo. E probabilmente avremmo ancora la polio in questo paese, se avessimo avuto il tipo di informazioni false che vengono diffuse ora».

IlSole24Ore

domenica 18 luglio 2021

Davigo indagato (e sconcertato) “La diffusione non fu illegittima”. - Gianni Barbacetto

 

Caso Storari e “verbali apocrifi”.

Piercamillo Davigo non replica in alcun modo alla notizia (scritta ieri dal Corriere della sera) di essere indagato dalla Procura di Brescia per l’ipotesi di rivelazione di segreto d’ufficio, per cui è già indagato il pm di Milano Paolo Storari. L’avvocato difensore di Davigo, Francesco Borasi, risponde al Fatto solo per dire che si ritiene “sicuro della correttezza dei comportamenti del dottor Davigo. Sicuro con la S maiuscola, anzi, con la S di Esselunga”. Aggiunge: “Sono sconcertato: non c’è stata alcuna diffusione illegittima di atti”. Borasi non risponde alla domanda se Davigo abbia ricevuto una convocazione per rispondere alle domande dei magistrati bresciani che stanno indagando, il procuratore Francesco Prete e il sostituto Donato Greco.

La vicenda è quella dei verbali segreti in cui l’ex avvocato dell’Eni Piero Amara, interrogato tra il dicembre 2019 e il gennaio 2020 dal sostituto procuratore Storari e dall’aggiunto Laura Pedio, raccontava i rapporti e gli affari di una presunta “Loggia Ungheria”, in cui a suo dire sarebbero coinvolti magistrati, politici, imprenditori, generali delle forze dell’ordine. Nell’aprile 2020, ritenendo che la Procura di Milano non stesse reagendo con celerità alle dichiarazioni di Amara, che a suo dire esigevano indagini immediate, Storari chiede aiuto a Davigo, allora componente del Consiglio superiore della magistratura. Gli racconta quella che ritiene l’inerzia dei suoi colleghi e, per fargli capire i temi in discussione, gli consegna un documento word con una copia (informale e senza le firme) dei verbali segreti. Davigo riceve quel documento e informa in maniera riservata alcuni componenti del Csm del conflitto in corso alla Procura milanese.

Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, quando ormai Davigo è uscito dal Csm dopo aver raggiunto l’età della pensione, quei verbali vengono recapitati in forma anonima a due giornali, Il Fatto e Repubblica, che ne informano le Procure di Milano e di Roma. Una copia arriva anche al consigliere del Csm Nino Di Matteo, che lo comunica formalmente al Csm e al procuratore di Perugia Raffaele Cantone. Seguono indagini delle Procura di Roma, che ritiene di aver individuato la responsabile della diffusione dei documenti: la ex segretaria di Davigo al Csm, Marcella Contrafatto, che viene indagata per l’ipotesi di calunnia ai danni del procuratore di Milano Francesco Greco, dipinto nel messaggio anonimo a Di Matteo come un insabbiatore di inchieste. Davigo ha già sostenuto di non aver commesso alcun reato e di non aver rivelato alcun segreto d’ufficio, perché questo non è opponibile al Consiglio superiore della magistratura e perché ha ricevuto quel documento in quanto consigliere del Csm. Poi ha provveduto a informare della vicenda alcuni componenti del Consiglio: in maniera riservata e non formale, perché un atto ufficiale avrebbe fatto conoscere a due consiglieri del Csm che i loro nomi erano stati inseriti da Amara tra quelli degli appartenenti alla presunta Loggia Ungheria.

Davigo, nelle settimane scorse, ha spiegato che Storari gli aveva “segnalato una situazione critica e dato il materiale necessario per farmi un’opinione, dopo essersi accertato che fosse lecito. Io spiegai che il segreto investigativo, per espressa circolare del Csm, non è opponibile al Csm”. Erano invece necessarie indagini rapide, perché “quando uno ha dichiarazioni che riguardano persone in posti istituzionali importanti, se sono vere è grave, ma se sono false è gravissimo: quindi, in un caso e nell’altro, quelle cose richiedevano indagini tempestive. Mi sembrava incomprensibile la mancata iscrizione” nel registro degli indagati. Ha così informato “in maniera diretta e sicura i componenti del Comitato di presidenza del Csm, perché questo dicono le circolari”: dunque il vicepresidente David Ermini e gli altri due membri del Comitato di presidenza, presidente e procuratore generale della Corte di cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi. Ha poi parlato della vicenda ad altri consiglieri del Csm e al presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, per spiegare come mai aveva interrotto i rapporti con il consigliere Sebastiano Ardita, anch’esso indicato da Amara come vicino alla Loggia Ungheria. I pm di Brescia dovranno ora verificare se ci sono discordanze tra le dichiarazioni di Davigo e quelle dei consiglieri a cui Davigo ha parlato.

ILFQ