domenica 13 aprile 2025

LO SCIENZIATO UNICO BURLONI. di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano

 

Ho sempre sparlato di fior di politici, di imprenditori e di manigoldi, spesso aiutato dal fatto che le tre categorie coincidevano, e non ho mai avuto paura di loro. Nemmeno quando mi facevano (e mi fanno ancora) recapitare dal postino simpatiche buste verdi con citazioni per danni milionari. Confesso invece di nutrire un sacro terrore per il professor Roberto Burioni, anche soltanto a nominarlo. Non tanto perché, con tutto quel che avrebbe da fare, trova sempre il tempo di ritwittare i complimenti che gli fanno i suoi fan. Ma anche di stanare e insultare chiunque, sull’orbe terracqueo, polemizzi con lui, o non gli obbedisca, o non gli riservi gli ossequi dovuti, o semplicemente si permetta di non chiamarsi Roberto Burioni: sia esso ministro, politico, cattedratico, virologo, passante, fragolina83, gattino17, novax68. Quanto perché si è (o l’hanno) convinto che la sua indubbia competenza in materia biologico-virologico-infettivologica gli conferisca il diritto di brutalizzare chiunque osi contraddirlo in base all’assioma “la Scienza non è democratica”. Che potremmo tradurre nel classico “io so’ io e voi nun siete un cazzo”. Ai tempi del decreto Lorenzin, per esempio, scoprimmo all’improvviso che ai bambini andavano iniettati 12 vaccini in una botta sola: e guai se qualcuno osava obiettare che forse erano troppi. “Vade retro, No Vax!”. Poi lo stesso decreto scese a 10: buon peso, saldo di fine stagione. Ma era sempre la Scienza, notoriamente non democratica, a non sentire ragioni: né sui 12 né sui 10. Lo Scienziato Unico invocava (e spesso otteneva) l’immediata espulsione dall’Ordine dei medici e dal consesso civile di chiunque, anche con tanto di cattedre, lauree e master specialistici, osasse timidamente proporne 9, o 6, a riprova del fatto che la Scienza è una cosa seria, ma non una cosa sola: esistono financo scienziati che la pensano diversamente fra loro, anche se l’unico titolato a fregiarsi del titolo è ovviamente Lui. Un giorno, a corto di No Vax da mettere in riga, decise di mitragliare le racchie: “Quando in giro vedo una donna brutta la guardo sempre con attenzione. Nel 99,9% dei casi mi rendo conto che se si curasse, se dimagrisse e via dicendo non diventerebbe bella, ma certo di aspetto non sgradevole. Una volta che si è non sgradevoli la partita è aperta. Fidatevi”. Mancò poco che annunciasse l’undicesimo vaccino obbligatorio contro la racchiaggine, da prevenire fin dall’infanzia. Il suo congenito renzismo gli risparmiò l’accusa di sessismo, che per molto meno i renziani distribuiscono a piene mani per zittire chi osa criticare una loro suffragetta perché fa o dice scemenze.
In realtà la boria un po’ burina di Burioni è un preoccupante indice di insicurezza: chi è sicuro di sé dice ciò che sa e pensa argomentandolo, non imponendolo come Scienza infusa. Soprattutto se polemizza con altri scienziati che, per quanto possa apparirgli bizzarro, sono al suo stesso livello: tipo la virologa dell’ospedale Sacco di Milano, maria Rita Gismondo che, invece di burioneggiare, invita alla calma contro l’isteria dominante facendo notare che non c’è nessuna “pandemia”, ma solo una “follia” collettiva, visto che “la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno e per Coronavirus 1”. E subito il borioso Burioni la degrada a “signora del Sacco”, ma solo per gentilezza: “signora sostituisce un altro epiteto che mi stava frullando nelle dita”. Che amore. Pare quasi che la Scienza Unica buriona venga sminuita dallo scarso numero di vittime da Coronavirus. E che, se defunge così poca gente, lui viva la cosa come un affronto personale. Ma dovrà farsene una ragione, almeno finché non troverà centinaia di volontari disposti a defungere per consentirgli di ripetere i suoi due refrain: “Avevo ragione io” e “Io l’avevo detto”. Che poi l’avesse detto, è tutto da vedere. Il web, impietoso, conserva un tweet di Che tempo che fa con una sua dichiarazione, al solito stentorea e definitiva, del 2 febbraio 2020: “In Italia il rischio è 0. Il virus non circola. Questo non avviene per caso: avviene perché si stanno prendendo delle precauzioni”. Ora che il virus è circolato eccome malgrado le precauzioni, dovrebbe ammettere che non aveva ragione lui, non l’aveva detto lui e sbaglia anche lui. Per fortuna la Scienza non è lui (senza offesa), altrimenti la Scienza diverrebbe democratica, oppure sarebbe addirittura la Scienza a sbagliare.
Quindi è molto meglio, per il buon nome della Scienza, tenerla ben distinta da Burioni. Onde evitare di coinvolgerla nelle epiche figuracce che va spargendo in giro. Tipo domenica a Che tempo che fa, dove il vero virologo pareva non lui, ma Fazio, costretto a correggere continuamente gli svarioni dello Scienziato. Si parlava del classico infettato dal Coronavirus che non sa di averlo, o perché pensa all’influenza o perché è asintomatico. Un dialogo degno del teatro dell’assurdo, o di Comma 22. Fazio: “Cosa bisogna fare?”. Burioni: “Allora noi cosa dobbiamo fare? Prima di tutto, nel momento in cui ci accorgiamo che questa persona è malata…”. F: “Se ne accorge lui, in realtà…”. B: “Se ne accorge in realtà il medico che gli fa il tampone”. F: “Se va dal medico…”. B: “Deve andare dal medico!”. F: “Eh no, non deve andare dal medico!”. B: “Giusto, dev’essere il medico che va da lui”. Nemmeno Ionesco avrebbe saputo inventare di meglio. Fino a domenica si pensava che Burioni fosse uno scienziato in dissenso – malgrado lo ritenga inconcepibile – con altri scienziati. Ora invece serpeggia un dubbio inquietante, incrementato dal suo tweet di ieri, in piena emergenza virus, di tema pallonaro: “Se mi danno pieni poteri, come prima cosa sciolgo l’As Roma”. Ecco, non sarà che lo Scienziato Unico è solo uno che ci prende per il culo? Non si chiamerà Burloni?

sabato 12 aprile 2025

Chiese in Etiopia scavate nella roccia.

 

Mentre in Europa si costruivano cattedrali verso l'alto, in Etiopia accadeva qualcosa di straordinario: si scavavano chiese verso il basso.
Nel XII secolo, maestri scalpellini etiopi realizzarono l'impossibile: 11 chiese monumentali, non costruite mattone su mattone, ma scavate nella roccia vulcanica partendo dalla superficie e scendendo in profondità.
Pensateci un attimo. Ogni chiesa è un unico blocco di pietra, senza giunture. Niente mattoni, niente cemento. Solo roccia scolpita con precisione millimetrica dall'alto verso il basso.
La cosa più incredibile? Gli architetti dovevano visualizzare l'intera struttura al contrario, pianificando ogni dettaglio prima ancora di iniziare a scavare. Un errore e l'intera opera sarebbe stata compromessa.
Queste meraviglie di Lalibela rappresentano un mistero ingegneristico che ancora oggi lascia perplessi gli esperti. Come abbiano fatto, con strumenti rudimentali e senza tecnologia moderna, rimane uno dei più affascinanti enigmi dell'architettura.
Un patrimonio che testimonia quanto possa spingersi lontano l'ingegno umano, anche senza tecnologie moderne.

venerdì 11 aprile 2025

Il meccanismo di Antikythera è uno dei più grandi misteri della storia.

Nilde Iotti - Lorenzo Tosa

 

Quando nel giugno del 1979 Nilde Iotti è stata eletta prima donna Presidente della Camera, ha preso la parola davanti a un Parlamento stracolmo, tra gli applausi di ogni schieramento politico.

Fino a quel momento era stata:

Staffetta partigiana.
Membro dell'Assemblea Costituente.
Deputata della Repubblica italiana ininterrottamente per gli ultimi 33 anni della sua vita.
Presidente della Bicamerale.
Deputata europea.
A lei - insieme ad altre donne e uomini indimenticabili - si dovevano già allora divorzio, suffragio europeo diretto e alcune tra le più grandi conquiste della donna nel Novecento.

Quel giorno Iotti si alzò in piedi e, dopo aver salutato il Presidente Pertini, pronunciò queste parole memorabili.

“Io stessa - non ve lo nascondo - vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l'affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita”.

Quanta dignità.
Quanto profondo senso delle istituzioni.
Quanto spaventoso abisso etico, politico, culturale rispetto a coloro che da tre anni occupano indegnamente quegli scranni.

Oggi, esattamente oggi, il 10 aprile del 1920, nasceva a Reggio Emilia Leonilde Iotti detta Nilde.

Una delle donne che hanno fatto l’Italia.

Almeno difendiamola. 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=1232104438285011&set=a.281497466679051

giovedì 10 aprile 2025

Che futuro vogliamo?

 



Mi sto rendendo conto del fatto che buona parte della popolazione mondiale, affetta da invidia, cattiveria, egoismo e condizionamenti, tutti causati anche dai cattivi governi, blocca l'evoluzione... 

Dovremmo fermarci a riflettere e studiare un metodo che risolva il problema, il primo fra tutti è quello della cultura che dovrebbe essere a disposizione di tutti e non di pochi.

Penso che non sia sfuggito a tutti che, in molti dei casi di reati efferati, come il femminicidio, l'origine del male è la famiglia perchè è all'interno di essa che si forgia il pensiero di un bimbo.

Se non mettiamo un freno a ciò che sta succedendo, credo che andremo icontro ad una involuzione pericolosa. 

L'uomo deve imparare che la sua agiata posizione economica può far di lui un uomo in vista, ma solo il suo buon comportamento verso il prossimo può far di lui UOMO

cetta

mercoledì 9 aprile 2025

Eva mitocondriale - A cura di Francesca Genoni

 

In occasione della festa della mamma appena celebrata, l’articolo di oggi è dedicato ad una teoria scientifica tanto singolare quanto interessante, che ha per oggetto quella che è ritenuta la madre comune a tutti gli esseri umani oggi esistenti: la teoria di Eva mitocondriale. Il nome lascia facilmente intendere l’ispirazione alla figura di Eva, compagna di Adamo, i due personaggi biblici creati da Dio nella Genesi e dai quali tutta la specie umana, macchiata del peccato originale, ha avuto origine.

La teoria nasce dall’ipotesi secondo cui sarebbe esistita una presunta antenata comune, un’Eva per l’appunto, dalla quale tutti gli esseri umani viventi discenderebbero in linea materna. Tale assunto deriva dal fatto che i mitocondri, organuli cellulari con la funzione principale di produrre energia per tutte le attività biosintetiche e di motilità della cellula, presentano un proprio DNA circolare (mtDNA), caratteristica che, insieme alla riproduzione asessuata per gemmazione, supporta la teoria endosimbiotica secondo cui il mitocondrio fosse in origine un organismo procariote stabilizzatosi all’interno di una cellula ospite più grande come parassita per procacciarsi sostanze nutritizie in cambio di energia (da qui l’endosimbiosi), portando alla successiva comparsa delle cellule eucariotiche.

Tale DNA mitocondriale, se comparato fra individui di diverse etnie e regioni, suggerisce che si sia evoluto dalla sequenza di un singolo esemplare: perché proprio una femmina? 

La spiegazione sta nella gametogenesi, il processo di divisione cellulare meiotico che porta alla produzione dei gameti, le cellule sessuali. 

Nell’uomo distinguiamo infatti due tipi di divisione cellulare: mitosi meiosi. La mitosi interessa le cellule autosomiche, ovvero quelle con corredo cromosomico diploide (46 cromosomi, 23 di origine paterna e 23 di origine materna, di cui 2 sessuali): durante la mitosi, da una cellula madre originano due cellule figlie geneticamente identiche alla madre. La meiosi, invece, interessa le cellule sessuali con corredo cromosomico aploide (23 cromosomi, di cui 1 sessuale): essa consta di 2 divisioni cellulari successive, tali per cui da una cellula autosomica con 46 cromosomi originano 4 cellule figlie, ciascuna con 23 cromosomi, variamente distribuiti e ricombinati, non geneticamente identiche alla madre.

Le cellule sessuali maschili prendono il nome di spermatozoi, quelle femminili di cellule uovo. Mediante la spermatogenesi, l’equivalente maschile della gametogenesi, da uno spermartogonio (spermatozoo “primordiale”) originano quattro spermatozoi. Al contrario, tramite l’ovogenesi, da un ovogonio (cellula uovo “primordiale”) origina una sola cellula uovo potenzialmente fecondabile e tre globuli polari che non hanno invece significato riproduttivo. 

Una differenza fondamentale nei due processi, oltre al rapporto finale (1:4 nell’uomo e 1:1 nella donna) sta nel fatto che, mentre la cellula uovo resta morfologicamente simile all’ovocita secondario (una delle fasi evolutive dell’ovogonio), lo spermatozoo cambia completamente forma rispetto allo spermatogonio. 

La formazione dello spermatozoo come tale prende il nome di spermiogenesi: durante questo processo, lo spermatocita secondario (una delle fasi evolutive dello spermatogonio) assume la nota forma di cellula costituita da una testa e un flagello e, nel fare ciò, cambia anche la distribuzione dei suoi organuli cellulari. Nello specifico, i mitocondri “avvolgono” l’area immediatamente successiva al collo dello spermatozoo, che collega la testa al flagello, costituendo nella sua parte intermedia una guaina mitocondriale.

Al momento della fecondazione, quando lo spermatozoo raggiunge la cellula uovo nelle tube uterine di Falloppio, all’interno della cellula uovo entra soltanto la testa dello spermatozoo lasciando fuori il flagello e con esso i mitocondri. Questo significa che lo zigote, la prima cellula del nuovo individuo, ripristinato il corredo cromosomico diploide (23 cromosomi della cellula uovo e 23 cromosomi dello spermatozoo), eredita esclusivamente i mitocondri della madre. Quindi, eventuali mitocondriopatie, a meno che determinate da alterazioni del DNA nucleare, vengono ereditate in maniera matrilineare

Per tornare al discorso storico, basandosi sulla tecnica dell’orologio molecolare (secondo cui la differenza genetica tra due specie diverse, espressa dalla sequenza aminoacidica delle proteine o dalla sequenza di nucleotidi nel DNA, è funzione del tempo di divergenza dall’antenato comune), si ritiene che Eva mitocondriale sia vissuta in Africa fra i 99 mila e i 200 mila anni fa e che sia stata l’unica femmina del suo tempo ad aver prodotto una linea di figlie ancora esistente, e quindi solo i suoi mitocondri avrebbero discendenti nelle cellule degli esseri umani di oggi. Eva mitocondriale sarebbe, perciò, l’unica femmina della sua generazione da cui tutti  viventi discendono e, quindi, il più recente antenato mitocondriale di tutti gli esseri umani.

La teoria di Eva mitocondriale è stata tuttavia messa in discussione. Si è infatti osservato che i mitocondri dello spermatozoo vengono talvolta trasmessi alla progenie. Non solo: alcune prove citogenetico-molecolari suggeriscono che spermatozoi e cellule uovo si scambierebbero pezzi di sequenza di DNA mitocondriale al momento della fecondazione. In questo caso mitocondri potrebbero non rappresentare più un indicatore indiscutibile di matrilinearità. 

Non si hanno ancora certezze nell’uno e nell’altro senso. Di fatto, gli scienziati ancora discordano sulla possibilità che questi processi si verifichino e, qualora avvengano, se lo facciano con una frequenza sufficiente a escludere la possibilità di un’Eva mitocondriale.

https://www.avisbusto.it/2021/05/11/scientificamente-avis-eva-mitocondriale/

Leggi anche: 

https://it.wikipedia.org/wiki/Eva_mitocondriale

lunedì 7 aprile 2025

Francesca Mannocchi sul femminicidio a Propaganda Live - postato da Lorenzo Tosa

 

Ieri Francesca Mannocchi a Propaganda Live ha dato vita a uno dei monologhi più importanti, intensi, necessari forse mai pronunciati in televisione.
In questo straordinario intervento, di una grande giornalista, ha detto tutto quello che ha senso dire oggi sul femminicidio, su Sara Campanella, su Ilaria Sula, sulla violenza di genere, sulla cultura del possesso, sul linguaggio tossico dei media, sulla colpevolizzazione della vittima, su Nordio e su certa propaganda razzista di una classe politica indegna.
Prendetevi cinque minuti per leggerlo e ascoltarlo fino in fondo. Salvatelo, condividetelo. Praticatelo.
“Sara Campanella era una studentessa universitaria, aveva 22 anni e frequentava il corso di laurea in tecniche di laboratorio biomedico.
Lo frequentava finché un suo compagno di corso, Stefano Argentino, di anni 27, l'ha accoltellata alla gola per strada a Messina. Il giorno prima che venisse uccisa Sara ha scritto alle sue amiche: “Il malato mi segue”.
L'accoltellamento è avvenuto a una fermata dell'autobus al centro della città. Sara Campanella è morta prima di arrivare al vicino policlinico universitario, lo stesso dove Sara Campanella faceva il tirocinio.
Anche Ilaria Sula era una studentessa universitaria e anche lei aveva 22 anni, frequentava il corso di laurea in Statistica alla Sapienza qui a Roma.
Lo scorso 25 marzo è scomparsa, almeno finché il suo corpo è stato trovato in una valigia in fondo a un dirupo nel comune di Poli, a 30 chilometri da Roma. L'ha uccisa il suo ex fidanzato, Mark Samson, 23 anni, anche lui studente, di Architettura. L'ha uccisa, l'ha messa dentro una valigia e l'ha lanciata da un dirupo.
Due femminicidi, gli ultimi. Da dove partiamo? Come sempre dai numeri. I numeri non prevedono opinione, ma dovrebbero prevedere l'acquisizione di una consapevolezza, dovrebbero chiederci di capire qual è il contesto sociale, culturale che produce i femminicidi e poi da lì dare risposte politiche, responsabilità.
“Differenza Donna”, l'associazione impegnata nella difesa dei diritti delle donne contro la violenza di genere, ci dà alcuni dati, per esempio i dati del 1522, - continuiamo a memorizzare questo numero, è il numero antiviolenza, il 1522. Dal 2020 i contatti del 1522 sono raddoppiati, erano 30 mila nel 2020, 60 mila nel 2024. A chiamare sono donne prevalentemente dai 35 ai 50 anni, donne all'interno di una relazione che subiscono violenze dai mariti, dai compagni, da persone con cui hanno scelto di fare dei figli.
Sono donne normali, con lavori normali, che hanno relazioni con uomini che noi definiamo normali, come gli assassini di Sara Campanella e Ilaria Sula. In 30 anni di attività “Differenza Donna” ha accolto 70 mila donne, 140mila bambine e bambini. Nel 2024, l'anno scorso, le donne di nazionalità italiana sono state 1.550, le migranti comunitarie 1.150, le migranti non comunitarie 400.
Ieri il Ministro Nordio ha detto che alcune etnie hanno una sensibilità diversa dalla nostra verso le donne e a guardare dai numeri viene da dire meno male. Dobbiamo guardare i dati certo, però in Italia non esiste una banca dati istituzionale pubblica completa sui femminicidi. I dati più importanti, significativi sono quelli dell'osservatorio “Non una di meno”: nel 2023 su 120 donne uccise, 96 sono state uccise in ambito affettivo, familiare. Nel 2024 su 115 donne uccise, 99 sono state uccise in ambito affettivo e familiare. In 50 casi l'assassino era il marito, il compagno, il convivente, in 14 il figlio, in 12 è stato l'ex compagno.
Le persone uccise conoscevano chi le ha uccise. Da dove nasce la violenza? La violenza nasce dal linguaggio, dalle parole, partiamo da lì, dal lessico sbagliato, fuorviante, incompleto, dannoso che usiamo per descrivere questo fenomeno, quello del “troppo amore”, del “delitto passionale”, “dell'impeto di rabbia”. La violenza di genere non si affronta come si dovrebbe perché le parole che usiamo per raccontarla riflettono la cultura del dominio dell'uomo sulla donna.
Dove cresce, nasce, dove germoglia la violenza? Nell'educazione, nelle parole che associamo ai fenomeni, perché le parole alimentano il nostro comportamento e il comportamento costruisce la cultura e fa le società. Il linguaggio ci consente di costruire la cultura, certo, ma anche di mascherarla di mistificarla, come le storie che parlano di donne che vengono assassinate, ma non di uomini che uccidono, sono le donne che vengono violentate, ma non gli uomini che violentano, sono tutte cornici queste, cornici che servono a reiterare l'idea che la violenza contro le donne sia rara, anormale, imprevedibile, la verità è che questi uomini fanno parte di una rete del linguaggio, di credenze e comportamenti normalizzati che continuano a perpetuare quella violenza e noi, i mezzi di informazione, abbiamo un ruolo potente e definitivo da svolgere nel plasmare la comprensione sulla violenza di genere: “Diceva che mi avrebbe tolto il bambino”, “voleva lasciarmi”, uccide la moglie malata, “è un gesto d'impeto”, “l'ha uccisa perché aveva l'Alzheimer”, “il marito era provato”. Oppure le foto che rappresentano queste donne e questi uomini, le donne abbracciate al loro assassino morte e condannate a vita nella loro memoria ad essere ricordate, abbracciate agli uomini che le hanno uccise. È così il racconto pubblico, le donne ammazzate perché “erano amate troppo”, perché questi uomini proprio non riuscivano a sopportare che le donne avessero deciso di chiudere una relazione, non accettavano la separazione. Uomini di cui i vicini o parenti intervistati sull'omicidio dicono sempre “non avrebbero mai avuto motivo di uccidere”, “erano proprio persone normali”. I “raptus”, i racconti romanzati dell'omicidio, la colpevolizzazione della vittima, come negli ultimi casi, gli ultimi due. “Due anni di stalking, ma lei non aveva mai denunciato”, così ha titolato ieri un quotidiano romano, insinuando il dubbio che forse certo se lei avesse denunciato chissà… E invece no, non è mai lei, è lui che è un assassino.
“Aveva sottovalutato il pericolo”, lei, la vittima. Lui “un ragazzo riservato e schivo, appassionato di moto”, e chi se ne frega se Stefano era appassionato di moto, Stefano era un assassino.
Quasi tutte le donne che conosco sono state molestate sessualmente a un certo punto della loro vita, se non insulti, commenti sessuali indesiderati da parte di colleghi, amici, parenti, e poi violenza fisica, violenza sessuale. Abbiamo combattuto la vergogna, l'esempio di famiglie che ci hanno cresciuto più o meno consapevolmente pensando che la libertà andasse se necessario sacrificata. Alle più fortunate di noi hanno insegnato a essere libere, le meno fortunate lo hanno imparato da sole, imparando a riconoscere gli stereotipi che hanno introiettato loro malgrado, a ucciderle l'archetipo in cui la cultura - la cultura e non la natura - avrebbe voluto ingabbiarle, quella in cui le donne stanno dove devono stare, in disparte, mentre gli uomini comandano.
Ora no, vogliamo una stanza tutta per noi, una stanza dove siamo libere, sappiamo dire no. Una stanza dove insegniamo alle nostre figlie a dire no e dove insegniamo ai nostri figli che quei no si rispettano, esercitiamo una libertà emotiva, sentimentale, fisica e sessuale, mentre ci vorrebbero ancora silenziose, ci vorrebbero ancora al nostro posto mentre loro comandano.
E invece no, stiamo scardinando il perimetro di una lingua che ci ha visto per anni ingabbiate a modello accudente, a una postura materna e votiva.
E invece no, il danno, il danno che ci hanno prodotto gli abusi che abbiamo subito è irriparabile, ma la lingua no, la lingua è irriparabile e sarà la nostra prima e ultima forma di giustizia.
Cominciamo a capovolgere il lessico per demolire la violenza contro le donne, come ha fatto Giselle Pelicot: non siamo noi che dobbiamo vergognarci, la vergogna deve cambiare lato perché ci vogliamo tutte vive.”


Purtroppo, da sempre, la donna è ritenuta un essere inferiore, anche dalla chiesa; l'uomo, invece, è il paladino..., anche quando non difende una causa nobile... perchè lui è il combattente, l'eroe... E' in questa distorta concezione ideologica che si perpetrano i delitti. E non sarà facile modificare queste errate concezioni arcaiche e immotivate, che ritengo anche razziste! Non si può pretendere che la donna, perchè riceva rispetto, debba somigliare ad un uomo... penso che sia meglio il contrario, vivremmo molto meglio se l'uomo smettesse di essere un maschio e diventasse, invece, un UOMO! L'uomo forte che protegge i suoi cari senza alcuna coercizione!
cetta