mercoledì 20 luglio 2011

Germania, entrate fiscali record. Niente “lacrime e sangue”, il segreto è la crescita. - di Mauro Meggiolaro


Il Pil tedesco è cresciuto del 3,6% nel 2010 e del 5,2% nel primo trimestre del 2011. Alla base dell'aumento delle entrate non ci sono misure di austerità ma, appunto, un'economia capace di crescere. E anche a Berlino è in arrivo lo scudo fiscale, ma con misure più rigide (e introiti più alti) di quello italiano.


Sullo stato tedesco piovono nuove entrate fiscali per 22 miliardi di euro. L’ha reso noto il quotidiano economico Handelsblatt, citando fonti governative. “A giugno, il mese più importante per il fisco, le entrate sono cresciute in media del 9,8% rispetto al primo semestre del 2010”, scrive il giornale. In crescita dell’8,2% il gettito dell’Umsatzsteuer (Iva) e del 10,9% quello della Lohnsteuer (imposta sul salario). Alla base della crescita record delle entrate non ci sono misure di austerità, né manovre “lacrime e sangue” ma solo la crescita economica, la stessa che da dieci anni manca nel nostro paese. Il Pil tedesco è cresciuto del 3,6% nel 2010 e del 5,2% (anno su anno) nel primo trimestre del 2011, contro il +1,1% dell’Italia a fine 2010 e il +1% a fine marzo 2011.

Ma il dato che influisce di più sulle maggiori entrate è sicuramente quello dei nuovi posti di lavoro: nel primo trimestre del 2011 sono 552.000 rispetto allo stesso periodo del 2010 (+1,4%). “Il numero degli occupati in Germania è salito a 40,4 milioni”, spiega in una nota l’istituto nazionale di statistica Destatis. “E’ il livello più alto dai tempi della riunificazione (1990)”. Lo stesso Handelsblatt non esita a usare il termine Jobwunder (miracolo occupazionale) e anticipa che il governo avrebbe già raggiunto “un accordo per allentare la pressione fiscale sui cittadini”, senza però citare alcun dettaglio.

Nei prossimi mesi altri miliardi di euro potrebbero arrivare all’agenzia delle entrate di Berlino dal trattato fiscale con la Svizzera, che sta per essere siglato in questi giorni. Come è successo in Italia i nomi degli evasori rimarranno segreti, in cambio però le banche svizzere verseranno subito un anticipo di 4 miliardi di euro allo stato tedesco, per rivalersi poi sui clienti, prelevando fino al 30% dei redditi generati dal capitale depositato oltrefrontiera negli ultimi dieci anni. Il governo, che stima in 150 miliardi di euro i depositi tedeschi in Svizzera, prevede di recuperare altri 6 miliardi di euro (oltre all’anticipo) dalla tassazione dei redditi da interesse, incassando un totale di 10 miliardi di euro dall’amnistia.

“E’ un premio per gli evasori, soprattutto per quelli che sono rimasti per più a lungo nell’illegalità”, ha dichiarato Thomas Eigenthaler, rappresentante sindacale dell’agenzia delle entrate tedesca. “E’ come un pugno in faccia per i cittadini onesti”. Eigenthaler mette in dubbio anche il sistema di compensazione previsto dall’accordo, visto che non ci sarà alcun controllo sul fatto che le banche svizzere, una volta pagato l’acconto, prelevino poi effettivamente le imposte dovute da tutti i clienti. “Cosa succede se un cliente, per evitare di pagare, decide di farsi restituire i soldi in contanti per trasferirli poi da un’altra parte?”.

A queste domande risponderà molto probabilmente l’agenzia delle entrate nei prossimi mesi. Intanto una cosa sembra chiara: la Germania potrebbe recuperare dai conti svizzeri fino al doppio degli introiti dell’ultimo scudo fiscale italiano (che ha portato alle casse dello stato circa 5,6 miliardi di euro), nonostante i patrimoni italiani in Svizzera (pre-scudo) fossero stimati a 125 miliardi di euro, una cifra non molto lontana dal livello tedesco. L’imposta prevista dallo scudo italiano (50% dei redditi generati su un rendimento lordo presunto del 2% annuo) è stata infatti applicata su un periodo di cinque anni: la metà dell’arco temporale considerato dai tedeschi.




Lega Nord, polemiche interne sul Trota “Consigliere regionale senza requisiti”. - di Alessandro Madron


Mal di pancia nel partito sul figlio di Umberto Bossi, entrato nell'assemblea regionale lombarda senza rispetto dei criteri di anzianità di militanza richiesti dal Carroccio. Il rampollo del Senatur, infatti, solo da poco ha richiesto la tessera di socio militante. A rigor di statuto gli mancano 4 anni di vita politica.


LUINO (Varese) – Le regole valgono per tutti tranne che per il figlio del Capo. In queste ore all’interno della Lega serpeggia una voce insistente, figlia della chiara frattura che si è aperta tra due modi di intendere il partito: quello fedele alla linea e quello fedele al Capo. Il protagonista è Renzo Bossi, la cui unica colpa probabilmente è quella di essere una semplice e costosissima Trota in una vasca di squali.

Renzo questa volta è finito nel mirino dei franchi tiratori per aver presentato solo ora (dopo oltre un anno dalla sua elezione in consiglio regionale) la domanda per ottenere la tessera di militante dellaLega Nord. Lo ha fatto in questi giorni nella sezione di Gemonio (Varese), a confermarlo sono gli stessi responsabili locali del partito. “Si, è vero, si è appena iscritto come militante – ha confermatoAndrea Tessarolo, responsabile della sezione di Gemonio – ma ha sempre partecipato. Che poi sia socio sostenitore o militante poco importa, probabilmente si è sempre dimenticato”.

Un fatto forse politicamente poco rilevante, ma che non ha mancato di suscitare l’indignazione dei militanti di lunga data. Quelli che nonostante diversi anni di impegno e dedizione alla causa sono riusciti appena a conquistarsi un posto in consiglio comunale o nella giunta di un paesino sperduto. Sono proprio loro a faticare nel tenere a freno la lingua: commentano e si arrabbiano. A questo proposito si mormora che alla porta di una sezione qualcuno abbia addirittura appeso un cartello con la scritta: “Si raccolgono le uova scadute”, firmato “il militante ignoto”.

Del resto il livello di frustrazione deve essere salito alle stelle nello scoprire che anche nella Lega le regole che valgono per le persone ordinarie non valgono per la casta. Già la candidatura e l’elezione del giovane Bossi (che ha negato la poltrona a tanti pretendenti) erano state mal digerite da una parte consistente dei leghisti, che vedevano in questo fatto l’appiattimento della Lega ai modi e ai costumi degli altri. Ora una nuova verità su Renzo: non solo non ha fatto la gavetta, ma per lui si è chiuso un occhio anche sulle regole interne. Per diventare socio militante della Lega occorre infatti aver maturato almeno un anno da sostenitore. Dopo si inoltra la domanda alla sezione, che la discute e la approva con il via libera dei livelli superiori. Non una banalità.

Probabilmente nel caso di Renzo Bossi l’idoneità è stata data per acquisita con diritto di sangue. Per capire meglio è opportuno leggere l’articolo 13 del regolamento della Lega Nord, quello che fissa i criteri di anzianità di militanza dei candidati a cariche amministrative e politiche. Secondo la norma interna al partito le candidature possono essere accettate “solo se alla data del deposito delle relative liste elettorali gli interessati saranno in possesso di un’anzianità di militanza di 1 anno per i comuni con meno di 15 mila abitanti, 2 anni per i comuni con più di 15 mila abitanti e le province, 3 anni per le regioni e le elezioni politiche”.

Le tempistiche vengono raddoppiate per tutti quelli che in occasione di precedenti elezioni erano schierati contro la Lega. La stessa norma dice anche che: “Resta inteso che gli elenchi dei candidati o degli aspiranti assessori dovranno essere inviati alla segreteria organizzativa federale che verificherà le anzianità e rilascerà il successivo ed indispensabile nulla osta”. Insomma secondo questa regola Renzo Bossi è in debito di almeno quattro anni di militanza. Sulla faccenda è impossibile far parlare qualcuno, tantomeno i vertici locali del partito. Il segretario provinciale Stefano Candiani si limita a dire: “Francamente non ne ho notizia diretta, ma non vedo cosa possa esserci di interessante. Anche se fosse non sono valutazioni che mi competono”.

Altri, con la garanzia dell’anonimato confermano la circostanza, ma poi aggiungono: “Non mi stupisce più di tanto, ci sono stati altri casi di parlamentari eletti senza tessera in tasca”. Sarà, ma la sensazione rimane quella di una forte divaricazione tra le aspettative della base e dei militanti rispetto alle risposte che il partito di Bossi è in grado di fornire in questo momento. Lo si capisce dalla frequenza con cui i mal di pancia vengono portati allo scoperto. Un altro termometro dello scontento sono le feste della Lega: non più affollate come un tempo, talvolta riservano anche qualche brutta sorpresa, come quella di domenica 19 luglio a Caronno Varesino, quando il senatore Massimo Garavaglia è stato accolto a muso duro da una leghista. Qualche parola di troppo e il senatore si è risentito. La verità fa male, ma quando a colpire al cuore sono i tuoi stessi sostenitori le parole diventano fendenti mortali.



Rifiuti, dl verso decadenza: caos maggioranza “Scambio Pdl-Lega per voto su Papa”.


Duro scontro verbale tra Cicchitto e Brambilla al termine dei lavori. Verdini deve intervenire a placare gli animi ma il nervosismo nelle file del Pdl è palpabile. Il decreto, intanto, torna in commissione e lì muore. De Magistris: "Dal parlamento spettacolo deludente".


Nel giorno del voto sugli arresti di Alfonso Papa e Alberto Tedesco la maggioranza si spacca sul decreto legge sul contrasto all’emergenza rifiuti in Campania e vota contro i pareri del ministro Prestigiacomo. E scoppia la bagarre in Aula, con l’opposizione che grida all’inciucio: “E’ chiaro che così accontentano la Lega sui rifiuti e in cambio otterranno il voto su Papa”. Se ne dice convinto anche Pierferdinando Casini.

Durante l’esame del decreto legge sul contrasto all’emergenza rifiuti in Campania è accaduto di tutto. Il testo, duramente contestato dalla Lega, torna in commissione su richiesta del relatore Agostino Ghiglia. E, come ha ventilato stamane il capogruppo del Carroccio, Marco Reguzzoni, potrebbe decadere per poi presentare un nuovo provvedimento. Ma è sulle mozioni per il dl rifiuti che in Aula va in scena un fatto mai visto prima: Parte dei deputati della maggioranza e i ministri votano contro un testo dell’Idv, relativo allo sblocco dei fondi per la raccolta dei rifiuti, su cui il ministro Prestigiacomo aveva espresso parere favorevole. Testo su cui il ministro poi si astiene suscitando ilarità tra i banchi dell’opposizione . Alla fine la mozione dell’Italia dei Valori passa con il voto determinante dell’opposizione, tra le urla di “Dimissioni, dimissioni!” al governo.

In realtà, spiega un ministro, sulla questione c’era stato un confronto ma poi Prestigiacomo “ha insistito”,creando il caso e la frizione con il Pdl. In ogni caso, ormai, “il decreto ora muore lì in commissione”. Una scena simile al voto sulla mozione dell’dv si era ripetuta altre due volte su altrettante mozioni. Solo alla fine, a fronte dei pareri favorevoli del ministro Prestigiacomo a documenti dell’opposizione, la maggioranza era passata dal voto contrario all’astensione.

Sullo sfondo, si ragiona nell’opposizione, c’è il voto sull’arresto di Alfonso Papa, che si terrà nel pomeriggio in Aula. “Qualcuno dovrebbe informare il ministro Prestigiacomo che la maggioranza sta votando contro i suoi pareri” sulle mozioni in materia di rifiuti “per avere il voto della lega su Papa”, dice il capogruppo del Pd Dario Franceschini, secondo cui è in corso un tentativo del Pdl di convincere la Lega a votare contro l’arresto di Papa, bocciando le posizioni sui rifiuti di Napoli cui il Carroccio è contrario. Da Fli Italo Bocchino, cui i leghisti hanno gridato “scemo, scemo!” propone a tutti i gruppi parlamentari di non chiedere il voto segreto su Papa “mettendoci la faccia, così che gli italiani sappiano”.

Ma Fabrizio Cicchitto reagisce: “Non c’è nessuno scambio tra noi e la Lega. Il Pd agita una cinica partita in anticipo per agitare la piazza. E’ assolutamente vergognosa. Noi rivendichiamo il voto segreto in Aula perchè è giusto che sulla valutazione di una persona non ci sia un gioco cinico politico ma ogni deputato sia messo di fronte alla sua coscienza e senza nessun condizionamento”. E Reguzzoni (Lega) rimanda al mittente le “insinuazioni” di uno scambio sul caso Papa avanzate da Franceschini. “In realtà Franceschini mette le mani avanti perché sta preparando il voto dei suoi parlamentari contro l’arresto”, conclude. Mentre il ministro Prestigiacomo minimizza sostenendo che la confusione sui voti è da addebitarsi alla tensione della giornata e che lei in ogni caso non si sente “sconfessata” dai suoi, anche se qualcuno nel centrodestra tenta di fare “scaricabarile”.

La maggioranza appare chiaramente tesa. E ne è conferma la rissa sfiorata al termine della discussione sul decreto rifiuti. Un acceso faccia a faccia in Transatlantico, appena fuori dall’Aula della Camera, tra Cicchitto e Michela Vittoria Brambilla. Il capogruppo del Pdl si è rivolto con voce alterata al ministro del Turismo rimproverandole di avere un “livello di presenza bassissimo” e aggiungendo di aver “chiamato tutti i sottosegretari” a partecipare. A quel punto la Brambilla, visibilmente innervosita, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata.

Segui in diretta streaming la giornata politica dalle 22,30 alle 23,30 con la trasmissione “E’ la stampa bellezza”




Rifiuti, governo battuto alla Camera poi il decreto torna in Commissione.


Passa la mozione dell'Idv e del'Api. Il Centrodestra e l'esecutivo votano diversamente dalle indicazioni del ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. L'opposizione urla "dimissioni". Bersani alla Lega: "Scambio per il voto segreto su Papa". Rissa tra Cicchitto e Brambilla.


ROMA - Governo e centrodestra in confusione alla Camera. L'esecutivo va due volte sotto sulle mozioni dell'opposizione, vota non seguendo le indicazioni del ministro dell'Ambiente e alla fine indirizza il decreto sui rifiuti (sgradito alla Lega) in Commissione. Tanto che il segretario del Pd Pier Luigi Bersani parla apertamente di uno scambio Lega-Pdl, tra lo stop al decreto e il voto segreto per il deputato del Pd Alfonso Papa.

Governo battuto due volte.
Con i voti della sola opposizione nell'aula della Camera è passata una parte di una mozione dell'Idv sui rifiuti, su cui il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, aveva espresso parere favorevole, ma contro cui hanno votato i deputati di maggioranza e tutti i ministri. Prestigiacomo si è astenuta mentre tutti i membri del governo in aula votavano no. Il testo dell'Idv, su cui comunque il ministro aveva espresso parere favorevole, è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Successivamente, su altre mozioni, come quella dell'Udc e del Pd, a fronte del parere favorevole del governo, ministri, sottosegretari e deputati della maggioranza hanno espresso un voto di astensione. Infine l'esecutivo è andato sotto nuovamente su una mozione dell'Api. A questo punto dai banchi di opposizione si è ripetutamente urlato: 'Dimissioni, dimissioni'.

Tensione nel Pdl. Il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto si è più volte recato al banco del governo a parlare con il ministro Prestigiacomo ed è stato più volte invitato dal presidente Fini a tornare al proprio banco. Alcuni ministri si sono avvicinati alla Prestigiacomo, primo fra tutti Ignazio La Russa, per comprendere il significato del suo atteggiamento.

Rissa Cicchitto-Brambilla.
Una vera e propria scenata tra il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, e il ministro Michela Brambilla. Subito dopo il rinvio in commissione del decreto rifiuti, Cicchitto in transatlantico si è scagliato contro la collega. A separarli, prima che il confronto degenerasse, il coordinatore del partito Denis Verdini che ha letteralmente spostato di peso e trascinato via il ministro del Turismo visibilmente scossa.

La replica della Prestigiacomo. "Non mi sento sconfessata - dice il ministro - Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza"

Opposizione attacca.
"Nonostante il parere favorevole del ministro Prestigiacomo l'intero governo ha votato contro e per dissociazione mentale lo stesso ministro si è astenuto. Fate ridere" attacca Roberto Giachetti del Pd. "Quello che sta accadendo in aula - rincara Walter Veltroni - non l'ho mai visto. Il parlamento non è un luogo dove si può giocare. Tantopiù in assenza di una maggioranza e di una divisione che oggi è verificabile. Il governo dovrebbe trarne le conseguenze". "Il governo è vittima di un colpo di sole. Non vorremmo che questa sceneggiata patetica fosse il frutto di un patto scellerato tra Lega e Pdl che prevede l'affossamento del decreto rifiuti per compiacere la Lega in cambio del voto contro l'arresto di Papa" afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi.

Decreto torna in Commissione.
L'aula della Camera ha approvato la proposta del relatore di rinviare in commissione il decreto legge sui rifiuti in Campania. Su un'analoga proposta ieri la maggioranza era stata battuta. Viste le divisioni nella maggioranza 1, il provvedimento sembra a questo avviarsi verso un binario morto, fino alla decadenza, a settembre. Irata la reazione del Pd: "Dietro il rinvio c'e' un prezzo da pagare: è il voto di questo pomeriggio. Lo scambio è tra i rifiuti di napoli e il voto della Lega sull'arresto di Papa" dice Dario Franceschini. "Il governo è in stato confusionale. Vedo che vuole andare avanti, ma così fa male al Paese" commenta il leader Udc Pier Ferdinando Casini.




Milano, Filippo Penati indagato per corruzione.


Il vice presidente del Consiglio regionale è accusato di concussione e finanziamento illecito ai partiti Al centro una tangente da 4 miliardi di lire per una speculazione nell'area ex Falck: 15 gli indagati.


E’ affidata al sostituto procuratore di Monza, Walter Mapelli, l’inchiesta per corruzione, concussione e illecito finanziamento ai partiti che coinvolge, fra gli altri, l’ex presidente della Provincia di Milano,Filippo Penati. L’indagine, nata dal caso Santa Giulia, mira ad accertare eventuali illeciti commessi nella gestione dell’area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano. In queste ore i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza stanno eseguendo una serie di perquisizioni anche negli uffici del Consiglio regionale. L’ipotesi dell’accusa parla di quattro miliardi di lire di tangenti pagati tra il 2001 e il 2002. Quindici gli indagati.

Secondo l’accusa contestata dalla procura di Monza al centro dell’inchiesta ci sono alcune speculazioni nell’area ex Falck. In sostanza, a quanto si apprende, sarebbero state pagate o promesse, mazzette per oliare il rilascio di alcune concessioni o addirittura per riscrivere secondo criteri decisi a tavolino il Piano di governo del territorio del comune di Sesto San Giovanni. Di cui Penati è stato sindaco dal 1994 al 2001. Mentre fino al 2004 è stato segretario della fedeazione provinciale milanese dei Democratici. Quindi è stato eletto presidente della Provincia dal 2004 al 2009.

ll Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano sta effettuando accertamenti per verificare eventuali illeciti commessi nella gestione dell’area Falck di Sesto San Giovanni. L’attività investigativa, svolta su delega della Procura della Repubblica di Monza (i pm sono Franca Macchia e Walter Mapelli), è rivolta alla ricostruzione di alcune procedure amministrative relative a interventi di carattere urbanistico. Secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano Governo Territorio. Oltre al vice presidente del Consiglio regionale risulta indagato anche un assessore al Comune di Sesto San Giovanni.



martedì 19 luglio 2011

Borsellino, il giorno della memoria

Fini:«I partiti facciano pulizia al loro interno»
Gli inquirenti:«Si avvicina la verità sull'attentato»

Il popolo delle Agende Rosse marcia per Borsellino
di Alfio Sciacca





MILANO - «I partiti devono fare pulizia al loro interno». È il monito severo che lancia Gianfranco Fini, intervenuto martedì 19 alla commemorazione della strage di via d'Amelio, organizzata dall'Anm di Palermo nell'aula Magna del Palazzo di giustizia. A 19 anni dalla morte di Paolo Borsellino, il presidente della Camera invita i partiti a un maggior impegno per allontanare le figure sospette dalle loro fila «e per ridare dignità alla politica» che, aggiunge il Presidente della Camera, «non può servire da salvacondotto». Il ricordo degli uomini morti sul fronte della giustizia deve servire da impulso: «La memoria deve infondere coraggio - ha detto Fini -. Significa proseguire l'opera di chi ha sacrificato la vita per lo Stato, continuare a cercare la verità sul passato e sul presente perchè il diritto a conoscere non può andare in prescrizione».

IL PLAUSO DI LARI - La dichiarazione di Fini è piaciuta anche a Sergio Lari, il procuratore di Caltanissetta che indaga sull'omicidio Borsellino: «Da Fini sono arrivate oggi parole sacrosante, se si vogliono rispettare le vittime della mafia bisogna rispettarle con i fatti e non solo con le parole, con le parole siamo tutti bravi a esprimere solidarietà agli eroi». Per il procuratore i partiti non devono candidare i sospetti di collusione ma soprattutto, il governo non dovrebbe elevare a «ruoli di responsabilitá pubblica gli inquisiti. I politici dovrebbero assumere le opportune iniziative -ha aggiunto Lari- per fare in modo che in Parlamento non siedano gli inquisiti». La politica, del resto, avrebbe avuto un ruolo determinante nella vicenda trattativa Stato-Mafia: «Abbiamo incontrato molte reticenze, ma anche buchi neri e difficoltà nelle indagini sulla trattativa - ha detto Lari - e sul ruolo che ha avuto la politica in quei tempi nei rapporti con la mafia»

LE INDAGINI SULLA STRAGE - L'inchiesta condotta dallo stesso Lari intanto si avvicina a larghe falcate a nuovi importanti risultanze investigative. Si dovrebbe anzi parlare di almeno «due verità possibili» e di almeno un tentativo di depistaggio. Dalle indiscrezioni che trapelano dalla Procura di Caltanissetta, che sta conducendo l'ultima inchiesta sull'uccisione del magistrato e dei cinque agenti di scorta. Sullo sfondo, come unica certezza, resta la pista della trattativa, l'accordo tra Stato e Mafia che il braccio destro di Giovanni Falcone, ucciso pochi mesi prima, avrebbe scoperto alla fine di giugno 1992, mettendosi forse di traverso. Per questo la sua eliminazione sarebbe stata affrettata. Il procuratore nisseno Sergio Lari si appresterebbe infatti a concludere sulla base di queste ipotesi le indagini che porteranno alla richiesta di revisione del processo per alcuni condannati con sentenze definitive. La svolta, attesa per settembre, dovrebbe coinvolgere anche investigatori - tre sono iscritti nel registro degli indagati per falso e calunnia - che avrebbero pilotato le accuse di Vincenzo Scarantino, il collaboratore di giustizia della prima ora smentito prima da Gaspare Spatuzza e poi da Fabio Tranchina, fedelissimi di Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio che avrebbe organizzato l'attentato premendo perfino il telecomando per innescare l'auto-bomba.

IL DEPISTAGGIO - L'ombra del sospetto si allunga intanto sul gruppo di investigatori, guidati da Arnaldo La Barbera, questore morto nel 2002, che per Lari avrebbe allestito un «colossale depistaggio». Tre funzionari risultano attualmente indagati, ma l'indagine tocca altri investigatori tra cui il poliziotto che avrebbe alterato un verbale del 1994. Accanto alle dichiarazioni di Scarantino sono state trovate le annotazioni di un poliziotto che avrebbe svolto, si sospetta, un ruolo di «suggeritore». Ma è tutto l'impianto accusatorio basato sulle indagini del pool di La Barbera a essere smentito su molti punti dalla Procura di Caltanissetta e dalle rivelazioni di Spatuzza considerato un collaboratore attendibile. I nuovi indirizzi dell'inchiesta stanno insomma delineando quella che il procuratore Lari definisce una «deriva istituzionale».

Il ricordo del fratello Salvatore
Rcd
IL DESIDERIO DI VERITA' - «Vorremmo capire chi e perchè ha organizzato il depistaggio», dice Manfredi Borsellino, il figlio del magistrato che ora dirige l'ufficio di polizia di Cefalù. «Nella ricerca della verità è ora necessario - aggiunge - che si vada fino in fondo, e noi saremo vigili e attenti». L'altro fratello del magistrato ucciso, Salvatore, ha guidato lunedì sera i giovani del movimento Agende rosse in un corteo che ha ufficialmente aperto le celebrazioni per commemorare il magistrato morto per il suo impegno antimafia: «Ragazzi che vengono da tutta Italia - ha spiegato il fratello di Paolo Borsellino - affrontando sacrifici personali. Dimostrano che la nazione e la città di Palermo non dimenticano».

LA SODDISFAZIONE DI INGROIA - Nel pomeriggio si è tenuto anche un dibattito organizzato dalla rivista Antimafia Duemila per ricordare il 19esimo anniversario della strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Tra i relatori invitati c'era anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, titolare del fascicolo d'indagine della procura del capoluogo: «La verità sulla strage di via d'Amelio è più vicina - ha detto - Che non si trattasse di un eccidio solo mafioso io e i colleghi lo capimmo a poche ore di distanza dall'attentato». «Le indagini sono a buon punto ma prima di calare sipario ci vorrà ancora del tempo - ha detto il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso - . Certamente sono state ridisegnate tutte le fasi dell'esecuzione materiale ma rimane una parte da chiarire, sulle corresponsabilità di entità che sono oltre la mafia».




Rai, pressioni per bloccare Annozero. Berlusconi indagato per abuso d'ufficio.



Roma - (Adnkronos) - E' il reato, ipotizzato dalla procura di Roma, per presunti tentativi di far sospendere la trasmissione per il premier in concorso con l'ex commissario di Agcom, Giancarlo Innocenzi e con l'ex direttore generale della Rai, Mauro Masi.

Roma, 19 lug. - (Adnkronos) - Abuso d'ufficio è il reato ipotizzato dalla procura di Roma per Silvio Berlusconi in concorso con l'ex commissario di Agcom, Giancarlo Innocenzi e con l'ex direttore generale della Rai, Mauro Masi con riferimento alle pressioni che nel 2009 Berlusconi avrebbe fatto per bloccare la trasmissione Annozero.

Sulla vicenda la Procura della Repubblica di Trani aprì un'indagine poi trasferita a Roma per competenza. E l'ufficio del pubblico ministero della capitale ipotizzò per Berlusconi i reati di concussione e minacce nei riguardi di Innocenzi e Masi, considerati parti lese. Data la presenza del premier il fascicolo fu trasmesso al Tribunale dei ministri. Nei giorni scorsi il carteggio è stato restituito alla Procura e il Tribunale si è dichiarato incompetente a pronunciarsi sulla fondatezza delle accuse di minacce nella presunzione che Berlusconi quando avrebbe cercato di bloccare 'Annozero' non agiva in veste di presidente del Consiglio. Per giungere a questa conclusione il Tribunale ha esaminato anche 18 intercettazioni telefoniche. In alcune di questa evidentemente per la Procura si configura la nuova ipotesi accusatoria sia per Berlusconi, sia per Innocenzi e Masi. La decisione di formulare la nuova ipotesi di reato è stata presa dal procuratore Giovanni Ferrara, dall'aggiunto Alberto Caperna e dai pubblici ministeri Ilaria Calò e Roberto Felici. Nei prossimi giorni i magistrati trattanno le loro conclusioni e depositeranno gli atti. Poi la Procura dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio oppure l'archiviazione del fascicolo.