lunedì 5 settembre 2011

Da www.mentecritica.net


  • Default Italia, 66 Giorni al Fallimento. Non ci Resta che la Dittatura dei Migliori?
  • Fatti di gente perbene
  • Default Italia, 67 Giorni al Fallimento. Una Nuova Norimberga

Default Italia, 66 Giorni al Fallimento. Non ci Resta che la Dittatura dei Migliori?


L’idea che Giustizia e Solidarietà siano ingredienti indispensabili alla convivenza sociale fa parte della cultura del mondo occidentale. Sia pure coniugate in modi diversi, perché Giustizia e Solidarietà non sono la stessa cosa. Un’azione può essere giusta e solidale, o il suo contrario, ma anche giusta e non solidale, oppure solidale ma ingiusta. Se due uomini, uno con prole e l’altro senza, fanno lo stesso lavoro e vengono retribuiti allo stesso modo è sicuramente giusto, ma non solidale. Mentre se il secondo viene retribuito meno del primo, è sicuramente solidale, ma non giusto.

La Giustizia risponde all’esigenza di avere secondo i propri meriti, la Solidarietà di avere secondo i propri bisogni.

Le due cose non sono antitetiche, aut-aut, ma neppure indifferenti, et-et; se mai, ove si debbano fare i conti con la scarsità delle risorse, che è la condizione più probabile nella realtà, complementari. Se ti allarghi con l’una ti resta meno spazio per l’altra e viceversa. Per convivere devono essere coniugate e regolate. Dev’essere stabilito quale delle due prevarrà sull’altra in caso di conflitto e fin dove e fino a quando. Un’iniziativa politica onesta deve indicare l’ordine in cui intende perseguirle e, ove s’imponga una scelta, se darà priorità alla Giustizia, oppure alla Solidarietà, e in che modo.

La parabola dei lavoratori della vigna, dove quelli giunti al tramonto ricevono la stessa paga di quelli giunti all’alba, è la chiara espressione di come sia regolata la questione nell’etica cattolica. Che si può condividere o meno, a me non piace, ma è pur sempre una regola chiara. Chi l’abbraccia sa cosa attendersi quando sarà chiamato a lavorare nella vigna.

È ciò che servirebbe nei momenti difficili, un’etica condivisa in base alla quale la Classe Politica possa prendere delle decisioni in accordo col sentire della propria Opinione Pubblica.

È quel che manca da noi in questo momento.

Si ha la deprimente impressione che lo snodo tra Giustizia e Solidarietà sia del tutto estraneo alla nostra Classe Politica, senza distinzione tra destra e sinistra. Un paradosso, se si considera che le diversità politiche sono soprattutto figlie del diverso modo di coniugare quei due valori.

Le traversie che incontra in questi giorni la manovra finanziaria per arrivare in porto, le proposte sovente antitetiche delle parti politiche, talvolta della stessa parte in momenti diversi, i continui avanti e indietro sotto la pressione degli interessi costituiti, i repentini ribaltamenti di fronte alla ricerca del tornaconto politico, confermano l’impressione e la aggravano: non solo i nostri governanti non perdono il sonno per far convivere Giustizia e Solidarietà, ma proprio non gliene frega niente; ciò che li guida è unicamente l’imperativo categorico di pelare il gatto senza farlo miagolare.

Contributo di solidarietà per i redditi superiori a una certa cifra: solidale ma iniquo. Per gli statali sì e per i privati no: iniquo due volte. I riscatti di laurea e il servizio militare non valgono, abbiamo scherzato: una truffa. Gli uomini vanno in pensione a 65, le donne a 60, salvo quelle del pubblico che vanno a 65 anni: incoerente e iniquo. Aumentiamo l’IVA: equo, ma non solidale. Imposta una tantum sui capitali condonati: equa e solidale, peccato che lo stato ci perda la faccia.

Né la Maggioranza né l’Opposizione se la sono sentita di lavorare per sopprimere le decime alla Chiesa, tagliare le prebende della politica, purgare gli enti inutili, cassare i vassallatici delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche, seccare le mille mammelle alle quali ciucciano i peones di questo paese, che sono millanta che tutta notte canta.

E l’Opinione Pubblica, come le stelle di Cronin, sta a guardare. Rugliando solo che si attenti all’integrità del suo orticello, tornando quieta appena il nuvolo s’allontana. Nessuna obiezione di metodo. Soltanto un’indignazione diffusa, spesso strumentale, un esorcismo per salvarsi l’anima, il ringhio di avvertimento del cane a chi si avvicina troppo alla sua ciotola.

Occorre cambiare. Di questo passo non faremo molta strada.

Dovremmo poter cambiare Maggioranza, Opposizione e Opinione Pubblica. Ma non si può, l’Opinione Pubblica ce la dobbiamo tenere. Mentre le altre due potrebbero temporaneamente essere messe fuori gioco da un Governo Tecnico, di Salute Pubblica, del Presidente, o come vogliamo chiamarlo. Una cosa che non sia espressione della Politica. Una Dittatura dei Migliori. Temporanea. Che ci porti fuori dal guado.


Fatti di gente perbene.


«È una vicenda dolorosa, ma è anche l’occasione per fare una riflessione ulteriore non solo sul nostro diverso modo di procedere rispetto alla maggioranza, fatto di fiducia nella magistratura, passi indietro, uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma anche sul fatto che dobbiamo mettere ogni impegno nel migliorare l’esigibilità dei nostri codici etici e del nostro Statuto. E ci stiamo lavorando. Ma la nostra gente ci chiede anche di reagire a teorie che vanno oltre le legittime critiche, e che descrivono il Pd come un corpo malato. Abbiamo fatto partire un po’ di denunce. Né accettiamo che si faccia di tutta l’erba un fascio e che si indebolisca per questa via l’unico strumento che gli italiani hanno per il cambiamento». (P. Bersani, intervista all’Unità, 3 settembre 2011.)

C’è tutto Bersani e tutta la weltanschauung piddina in questo ragionamento. La pretesa della diversitàper se e quasi come dogma, la riflessione – che si porta su tutto – e lo “stare lavorando” al posto del prendere un’iniziativa, dell’azione, del fare delle scelte; il farsi scudo dei militanti che “ci chiedono di reagire” e la dichiarazione finale, insopportabilmente ricattatoria, di autoinsostituibilità di una classe dirigente, l’ineluttabilità del cambiamento che può solo passare attraverso di essa o sul suo cadavere.Après nous le dèluge. Come B. che pensa di essere eterno.

Per Bersani, che il capo della sua segreteria politica dal 2009 Filippo Penati sia indagato per corruzione e finanziamento illecito al partito per vicende spalmatesi negli ultimi dieci anni è solo una “vicenda dolorosa”. Aggettivo che sarebbe congruo solo se si trattasse di uno sciagurato che si è arricchito alle spalle del partito ingannando cani e porci, compreso il suo segretario, ma che è assolutamente inadeguato se per caso la corruzione era parte di un sistema, di un modo per tenersi buoni gli uni gli altri tra imprenditori, politici e partiti al fine di avvantaggiarsene reciprocamente, con Penati a quel punto solo pedina fra le tante sulla scacchiera.

Sono tutti fatti da dimostrare in sede giudiziaria, è ovvio, però il sospetto è brutto e, più che di macchina del fango, ho paura che si tratti di cannoni sparaneve caricati a merda.

Per questo ci vorrebbe meno indecisione nel rendere conto di fatti precisi. Meno supponenza da “noi siamo diversi” e tendenza al risentimento quando qualcuno fa giustamente delle critiche. Invece Bersani continua solo ad incazzarsi, a fare il piangina e a minacciare querele invece di rispondere alle domande. Come il suo gemello settembrino in fondotinta. Sarà colpa del sole in Bilancia.

Basterebbe intanto che Bersani ci rassicurasse sullo scambio di telefonate – testimoniate da intercettazioni pubblicate fin dal 2006 – tra lui, il gruppo Gavio e Penati.

Tutta la storia dell’affare Milano Serravalle è raccontata da Gianni Barbacetto in un libro del 2007, ma diciamo solo come si è conclusa: nel 2004 la Provincia di Milano guidata da Penati acquisisce il 15% delle quote di proprietà del Gruppo di Marcellino Gavio della Milano-Serravalle, pagandole quasi quattro volte oltre il loro valore. Una cifra enorme, 238.000.000 di euro di denaro pubblico, contenenti quindi una plusvalenza per il venditore di € 179.000.000. Un amministratore pubblico che fa questi regali ai privati non pare molto auspicabile ma ciò che incuriosisce i magistrati è ciò che accade dopo. Nel 2005 Gavio partecipa a fianco di Consorte (Unipol) alla scalata di BNL, con una quota di € 50.000.000. Non sarà che quella partecipazione è un ringraziamento, un modo per sdebitarsi con il partito per l’affarone fatto con la Serravalle?

Si dirà, sono tutte maldicenze del centrodestra che aveva osteggiato l’affare nelle persone di Ombretta Colli e Gabriele Albertini. Sarà, tuttavia l’intermediario di Gavio è tale Binasco, nientemeno che colui che inguaiò Primo Greganti e il PCI nel corso delle indagini di Tangentopoli, e che videro alla fine dei relativi processi condannati sia il concusso che il concussore.

Un personaggio al quale un dirigente DS, visti i trascorsi tangentopolitani dell’interlocutore, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgere la parola per paura di inguaiare di nuovo il partito.

Ecco, il punto è che Gavio ha bisogno di parlare con Penati per sbloccare l’affare Serravalle e telefona invece a Bersani il quale gli risponde che può parlare direttamente con Penati. Qualche giorno dopo Penati telefona a Gavio:

Penati: «Buon giorno, mi ha dato il suo numero l’onorevole Bersani…».

Gavio: «Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando era possibile…».

Penati: «Guardi, non so… Beviamo un caffè».

Gavio non poteva telefonare direttamente a Penati in Provincia? In ogni caso l’effetto “mi manda Bersani”, sarà un’illusione ottica ma è abbastanza evidente e meriterebbe una spiegazione da parte dell’interessato. Visto oltretutto che Penati fa carriera fino a diventare, nel 2009, capo della sua segreteria politica.

Ora, il problema di fronte a queste ombre ed insinuazioni sull’illibatezza del PD – e prima dei DS – sulla base di pesanti indizi, sono i militanti piddini, che non vogliono sentir parlare di questi fatti, si mettono le mani sulle orecchie facendo bla-bla-bla e reagiscono dicendo che Di Caterina e Pasini, gli accusatori di Penati, sono vicini al centrodestra, quindi non attendibili. Che tutte le maldicenze sulla vicenda Milano Serravalle sono una vendetta di Ombretta Colli. Che Bersani non deve rendere conto di alcunché a Sallusti che grufola nello scandalo scrivendo paginate e paginate sull’affaire Penati. E soprattutto, che parlare di queste cose è il solito autolesionismo tafazziano della sinistra e che in questi momenti bisogna essere uniti e che questa è antipolitica.

Vedete, amici, se Sallusti grufola è perché gli se ne dà modo.

Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e negare a priori che possa esistere e non da oggi un sistema di gestione degli affari da parte della sinistra che assomiglia molto a quello della destra.

Ho l’impressione che, siccome la vittoria alle prossime elezioni pare probabile, visto il disastro berlusconiano, i piddini intesi come base non abbiano alcuna voglia di rifondarsi, dandosi finalmente una dirigenza nuova in vista della Terza Repubblica ma siano disposti a tenersi questa, anche se chiacchierata e più logora di un calzino bucato. Con i Bersani lanciaquerele, i D’Alema – e dicendo D’Alema si è già detto tutto, i Fassino abbiamo-una-banca e i Letta abbiamo-un-banchiere.* Più le varie beghine che vorrebbero trasformare il Partito Democratico in Partito Democristiano.

I fans del PD sono talmente attaccati alla vecchia dirigenza che non riescono ad immaginarne un ricambio. In questi casi ti chiedono: “E chi ci mettiamo al posto di Bersani?” come se stessimo parlando di un Berlinguer. Renzi no, per carità, Ciwati nemmeno – i rottamatori, muhahaha!, Zingaretti – uhm si farà ma per ora lasciamolo dov’è, meglio Bersani; la Serracchiani – troppo inesperta povera cocca, meglio Bersani.

E’ così importante fare un nome piuttosto che un altro se l’unico che accetteranno mai è il segretario del partito perché pensano ancora che bisogna votare chi dice il partito? Non dite che non è così. Meno male che gli elettori di sinistra invece cominciano ad essere più autonomi nelle scelte e sempre più sovente eleggono nomi che non erano quelli designati dalla segreteria del PD. Vedi Pisapia e Zedda.

L’immobilismo, la tetraparesi da centralismo democratico di questo partito di mummie che credono di essere ancora vive, contagia anche la base, che accetta tutto purché si vinca e si torni al governo. Non per mandar via Berlusconi, ma per mettersi al suo posto. Cambiar gestione ad un ristorante purché serva sempre le stesse polpette avvelenate. Polpette che mangiano tutti e che finiscono anche nei nostri piatti.

Non è qualunquismo ma più di un sospetto che possa trattarsi di una triste realtà. Pensare che un partito possa aver vissuto in un paese con la corruzione al posto del DNA senza farsi corrompere con fenomenali incentivi come potere e denaro è un ragionamento molto ingenuo. E’ come quando uno viene morsicato dal vampiro, si vampirizza anche lui.

Detto questo, io mi auguro di cuore che Penati abbia solo fatto la cresta come le colf disoneste che vanno a far la spesa all’Esselunga con il borsellino della padrona, e che Bersani e il PD siano puri siccome angeli, perché sentire gli sfottò e le prediche di Sallusti e di tutta la merda stampata e televisiva berlusconiana mi sarebbe ancora una volta, dopo la Commissione Mitrokhin, intollerabile.

Una preghiera, però, amici del PD. Se dovessero emergere responsabilità precise della dirigenza PD negli episodi di corruzione attualmente sotto indagine della magistratura, se venisse dimostrato il finanziamento illecito, non voglio sentire lagne che “noi siamo diversi” e “bisogna distinguere”. Se avete le palle dovete andare da Bersani e dirgli di levarsi dai coglioni e con lui tutti gli altri residuati bellici del partito sopravvissuti dalla prima repubblica. Anche se lì per lì non saprete chi mettere al loro posto.

Se vogliamo veramente cambiare e salvare questo paese dal cancro della corruzione, questa volta, a differenza degli anni novanta, non dovremo avere nessuna pietà. Tanto meno per quelli della nostra parte.

Ho paura però che gli elettori e simpatizzanti del PD siano come certi mariti innamorati ai quali portano le fotografie della moglie in atteggiamento inequivocabile con un altro e loro rispondono: “Non è possibile, lei non farebbe mai una cosa simile e poi questa qui nelle foto non è lei.”

* grazie Gianguido.


Default Italia, 67 Giorni al Fallimento. Una Nuova Norimberga


Sono passate da poco le 18 e qui, nel profondo Nord Est italiano, piove e c’è la nebbia. E’ un pomeriggio che sa già di autunno. Sole, caldo e vita distano migliaia di giorni e migliaia di chilometri.

Leggo, più per masochismo che per necessità, la pagina del corriere on line dove, per l’ennesima volta, si riassumono i punti salienti della manovra 3.0 o 4.0 (cit.), non ricordo più.

Più o meno a metà, non mi sembra più di leggere, ma di assistere ad una puzzolente e nauseabonda evacuazione corporale. Come pezzi di merda che cascano nel cesso, la deiezione fecale travestita da manovra finanziaria si compone di stronzi grandi e piccoli. Carnosi, morbidi, pesanti. Si vede che chi li sta cacando sono anni che mangia bello grasso.

La SuperInps. Chi è, un super eroe femmina con le mammellone che schizzano latte? La deroga all’articolo 18 se sono d’accordo i sindacati. Ecco, mancavano solo i sindacati. Ora, invece di avere un padrone e un socio alla pari che becca il cinquanta per cento senza fare un cazzo, di padroni ce ne ritroviamo due.

Come se non si sapesse che i sindacati sono anni che pastrocchiano con confindustria sfruttando il precariato con le loro società interinali e cercando di fottersi le liquidazioni con la truffa aggravata dei fondi pensione.

La tassa del 2% sul money transfer per cavare danaro dagli immigrati. Complimenti. E’ inutile indagare perché dietro la profondità culturale ed economica di certe pensate, si immagina immediatamente la pernacchia ed il dito medio di Bossi.

Le dichiarazioni dei redditi on line? Sì, no, forse,ma se lo decide il comune e non per le persone fisiche, solo per le categorie. Giusto, così non servono a un cazzo. Possibile che in Italia si possa sapere nome e cognome di chi chiava minorenni e trans, ma a fianco di una cifra non è mai possibile leggere un nome? Il vero tabù degli italiani non è la fica, sono i danari. Niente manette, ma pugnette agli evasori.

In compenso, però, rimane il numero chiuso sulle farmacie. bene, bene. Ero preoccupato che qualche farmacista con questa crisi non riuscisse a comprarsi il suo cinquanta piedi e si dovesse contentare di una miserrima barchetta del cazzo.

Mentre la cacata scivola sinuosamente nel cesso, mi scopro ad ammirare la capacità schivatoria che consente a questa gente di cavarsela in ogni frangente. Fare i duri, ma poi dire di sì a tutti. Promettere e non mantenere con assoluta determinazione. Chiacchierare a sproposito, confondere, disperdere, compromettere, sopravvivere, galleggiare, sempre e comunque, esattamente come la merda.

Sarà fatta giustizia? Ma sì, prima o poi si fa sempre giustizia, ma sinceramente la cosa non mi riguarda. Ora, sono affascinato dalla prospettiva di una vendetta che, giorno dopo giorno, sento sempre più possibile e vicina. Io non sono un giusto, nel senso che ho anche io i miei peccati. E’ stata una questione personale tra me e quelli che si sono trovati nei paraggi quando mi è capitato di peccare. Una cosa circoscritta, insomma. Ho pagato e continuo a pagare per questo. Ora, voglio che venga il turno di quelli che da decenni campano sistematicamente alle nostre spalle e ci ridono pure dietro. Trafficoni politicanti, evasori, imboscati, ladri, approfittatori.

Magari pensano di cavarsela con un processo e un po’ di domiciliari. Invece no. Se si riesce beccarli prima che salgano sugli aerei, bisogna fargli la pelle, in nome del popolo italiano e secondo legge, ovviamente.

Fargli la pelle, lo ripeto, perché io caco regolarmente al cesso, quando scrivo e prendo posizione esprimo concetti, non stronzi. Non bisogna mandarla a dire, bisogna fargli la pelle, dopo un bel processo. Una specie di Norimberga italiana per riconciliarci con la nostra storia e per ritrovare il rispetto di noi stessi.

Sempre nel nome del garantismo, comunque. Deve essere garantito che chiunque sarà trovato meritorio di tre metri di corda possa riceverli.

Senza eccezione e senza acrimonia. Così, asetticamente, senza niente di personale.


https://www.facebook.com/note.php?created&&note_id=10150309561675909


Nessun commento:

Posta un commento