Le “sanzioni a raffica” (Boris Johnson) contro la Russia di Putin, “che la pagherà cara” (Joe Biden), sono così a raffica e così salate che, per esempio, mentre i blindati di Mosca entrano nel Donbass, la Uefa ancora non sposta la sede della finale Champions prevista il prossimo 28 maggio nella Gazprom Arena di San Pietroburgo. Perché, intanto, Nyon cosa fa? “Monitora in maniera costante, ma al momento non ci sono piani per cambiare sede”. Insomma, a questo punto, per capire quale sia la reale consistenza delle ritorsioni economiche minacciate dall’Occidente contro l’“invasore” rosso forse è sufficiente osservare la traiettoria del pallone. Perché i padroni del calcio “devono tenere insieme norme e sensibilità di 55 Paesi differenti, e per il rapporto strettissimo tra la stessa Uefa, Gazprom e Putin” (Panorama). Oltre a essere il più grande fornitore di gas d’Europa, Gazprom (fiore all’occhiello dell’impero dello zar Vladimir) versa ogni anno alla Uefa un mucchio di bei soldini in cambio degli spottoni televisivi prima, durante e dopo ogni match. Una cifra stimata nell’ultimo decennio in circa 300 milioni di euro. Infatti, la Russia non è l’Iran, un pianeta a se stante e poco interconnesso con l’Europa, che si può punire nel disinteresse generale. Mentre sanzionare, ma sul serio, gli oligarchi del rublo magico sarebbe come tagliare i cavi di una centralina elettrica per fare un dispetto al vicino, ma con il risultato di rimanere al buio. Così come è impossibile colpire gli interessi dei ricconi targati Cremlino senza depauperare il capitale di aziende, imprese, società, banche inglesi, francesi, tedesche, italiane che non valutano certo gli investitori dal colore del passaporto. A cominciare dal mitico Abramovic, padrone del Chelsea, visto che a Londra questo groviglio di interessi che nella City stipendia “un esercito di avvocati, contabili e consulenti di pubbliche relazioni è arrivato a finanziare lo stesso partito conservatore” (Corriere della Sera). Londongrad.
Nessun commento:
Posta un commento