PRESUNTA LOGGIA - I magistrati chiedono di archiviare. Ma qualcosa è riscontrato: “Il legale voleva pilotare un’indagine contabile” sul capo Iv.
La Loggia Ungheria descritta da Piero Amara non è mai esistita: la procura di Perugia chiede l’archiviazione per il reato di violazione della Legge Anselmi. L’inchiesta condotta dal procuratore Raffaele Cantone e dai sostituti Mario Formisano e Gemma Miliani ha il pregio di fare chiarezza su molti punti essenziali. Non è stata un’inchiesta semplice – “condizionata” in “modo indiscutibile” dalla “fuga di notizie” che l’hanno riguardata – e questa richiesta d’archiviazione, per certi aspetti, sembra una sentenza. Innanzitutto Amara non è un “invasato”, un “mitomane”, uno “sprovveduto faccendiere in cerca di notorietà”, ma non è stata provata l’esistenza dell’associazione segreta descritta dalla norma. Alcuni suoi racconti sono stati riscontrati altri erano fondati su fatti veri che ha incorniciato con una serie di falsità. Spargendo fango su personaggi importanti delle istituzioni. E bisognerebbe capire perché.
Nel dicembre 2019 Amara addita il premier Giuseppe Conte sostenendo di averlo raccomandato, in passato, per fargli affidare un incarico – pagato in modo sproporzionato – dalla società Acquamarcia spa. Incarico affidato attraverso un amico di Amara, Fabrizio Centofanti, e l’intervento dell’ex vice presidente del Csm Michele Vietti. Centofanti smentisce spiegando di averne “parlato con Amara soltanto dopo che Conte era già stato individuato”. Nega di “aver mai esternato lamentele” sull’operato di Conte e sulle sue parcelle e tanto meno di averlo individuato “quale garanzia del buon esito della procedura concorsuale avviata”. Ma perché Amara ha fatto queste dichiarazioni su Conte? “Non si comprende” scrive la procura “a meno di non voler ipotizzare che il riferimento a Conte, avvenuto mentre rivestiva la carica di presidente del Consiglio, non fosse un modo per accreditare la rilevanza del suo narrato”. Potremmo aggiungere che la “balla” di Amara su Conte avrebbe potuto produrre un ulteriore risultato (sempre che non l’abbia prodotto comunque, vista la circolazione dei verbali già nella primavera 2020): indebolire il governo in carica.
Dagli atti emerge piuttosto il rapporto tra Amara e l’ambiente renziano. In particolare con Luca Lotti per il tramite di Andrea Bacci. Le dichiarazioni su Lotti, per la procura, rappresentano un “dato distonico” in quanto “non avrebbe mai fatto parte di Ungheria”. C’è un’ulteriore distonia, a nostro avviso, che riguarda la tempistica dei racconti di Amara: nel dicembre 2019 fa il nome di Conte (dicendo balle) ma nulla dice di un “pizzino” potenzialmente utile a Matteo Renzi (dagli atti non risulta alcun suo coinvolgimento nella vicenda, ndr) che, invece, mette sul tavolo ben due anni dopo. Nell’ottobre 2021 mette la procura di Perugia nelle condizioni di dare un’occhiata a un foglietto sequestrato a Bacci nel 2017. Un “manoscritto redatto da Amara, a dire dello stesso Bacci (…) nel quale viene richiesto un incontro con Lotti, da parte di Raffaele De Dominicis, magistrato di vertice della Corte dei Conti in relazione a un fascicolo da lui trattato che avrebbe coinvolto l’allora presidente del consiglio Renzi, richiesta di cui si faceva portatore proprio Amara”. Una vicenda tutta da verificare e, fino a prova contraria, priva di rilievi penali che però, per la procura umbra, costituisce “un riscontro oggettivo delle dichiarazioni rese da Amara in merito ai suoi rapporti con Lotti, sia pure mediati da Bacci, e al suo essere al centro di un sistema di relazioni che si prefiggeva di ingerirsi nelle nomine degli apicali della magistratura”. Il “sistema Amara”, quindi, era tutt’altro che una barzelletta. La procura spiega che la faccenda del “pizzino” in questione “non va sottovalutata”: “Amara si fa latore di un messaggio che sembra venire dal Procuratore Generale della Corte dei conti per ‘concordare’ l’esito di un’indagine contabile che riguardava niente di meno che l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Passiamo al consigliere del Csm Sebastiano Ardita, definito da Amara vicino a Ungheria e tirato in ballo per una cena con altri presunti sodali della Loggia. Un’altra fandonia con “circostanze non secondarie oggettivamente smentite dai fatti”. Dopo la bufala che può mettere in crisi il governo Conte, arriva quindi la bufala su Ardita, che può devastare una parte del Csm, spaccare la corrente Autonomia&Indipendenza (determinante nell’imminente scelta del nuovo procuratore di Roma), distruggere il rapporto tra Ardita e Piercamillo Davigo e, dopo il caso Palamara, delegittimare ulteriormente la magistratura. Dopo le balle su Conte e Ardita c’è anche quella sul comandante generale della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana: sarebbe membro di Ungheria e gli avrebbe raccomandato di assumere, nel suo ufficio legale, l’avvocata Cristina Sgubin. Se la notizia fosse filtrata sarebbe crollato anche il vertice della Gdf. C’è qualcosa di vero? La procura parla di “assenza assoluta di ogni riscontro” a parte la “assoluta illogicità” per un generale della Finanza di “veicolare” la raccomandazione attraverso un “terzo estraneo” a un ulteriore “soggetto” che “fra l’altro avrebbe dovuto essere stato un suo sodale fratello” nella loggia in questione. Ma perché Amara tira in ballo Zafarana? È plausibile, spiega la procura, l’ipotesi di un “rapporto certamente non idilliaco fra Amara e la GdF” che aveva “condotto tutte le indagini” che hanno portato al suo arresto e alla sua condanna.
Altri racconti hanno però trovato riscontri che meritano ulteriori approfondimenti. La procura nazionale antimafia (coinvolta da Perugia) ha trovato riscontri, per esempio, su episodi che riguardano l’ex procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra o vecchi processi siciliani che riguardavano Berlusconi (fu archiviato) nelle stragi mafiose del 1992: “In definitiva” scrive la procura di Perugia “si può affermare che alcune circostanze narrate da Amara sono almeno in parte riscontrate. Lo sono le ombre gettate sulla figura di Tinebra in relazione all’omicidio di Luigi Ilardo”. E ancora: “In merito all’esistenza di procedimenti nisseni che avevano coinvolto Berlusconi (e Dell’Utri, ndr) è stato citato il procedimento (…) chiuso con decreto di archiviazione del Gip del 3 maggio 2002 (…) dal riscontro citato tuttavia non emerge il nominativo del pm che avanzò richiesta di archiviazione (…)”. La procura sul punto conclude che queste dichiarazioni avrebbero dovuto “rappresentare l’incipit del racconto fatto (da Amara, ndr) a Milano”. E sottolineando le sue contraddizioni, spiega che, però, le “circostanze acclarate come vere non rappresentano la prova che Amara le abbia acquisite” grazie alla “sua intraneità alla loggia”.
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