Fabio Riva
Le frasi choc di Fabio Riva al telefono con gli avvocatiNumerosi i contatti tra gli indagati e personalità politiche.
TARANTO - Sette arresti con una ventina di indagati, tra imprenditori, funzionari pubblici e politici e il sequestro delle materie lavorate dell’Ilva. È questa la nuova bufera che ieri ha scosso il siderurgico con un’onda d’urto che ha oltrepassato i confini provinciali e regionali. In carcere sono finiti Fabio Riva, amministratore delegato dell’Ilva (sino a ieri risultava irreperibile), Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento, l’ex consulente Girolamo Archinà, «licenziato» tre mesi fa dall’azienda dopo che, dall’inchiesta per disastro ambientale era emerso un episodio di presunta corruzione che coinvolgeva l’ex preside vicario della Facoltà di Ingegneria di Taranto, sede distaccata del Politecnico di Bari, Lorenzo Liberti (anch’egli raggiunto ieri da un mandato di arresto ai domiciliari), al quale Archinà avrebbe consegnato una busta contenente la somma di 10 mila euro in cambio di una perizia addomesticata sull’inquinamento dell’Ilva; domiciliari anche per l’ex assessore all’Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva, dimessosi circa due mesi fa dall’incarico quando si seppe che poteva figurare tra gli indagati della inchiesta sull’Ilva collaterale a quella per disastro ambientale. Domiciliari anche per l’ingegnere Carmelo Delli Santi, rappresentante della Promed Engineering. Conserva e Delli Santi sono entrambi accusati di concussione.
I provvedimenti sono legati anche a un’inchiesta, parallela a quella per disastro ambientale che il 26 luglio scorso ha portato al sequestro degli impianti dell’area a caldo del siderurgico. Questa operazione, condotta dalla Guardia di Finanza, è stata denominata Environment Sold Out (Ambiente svenduto). Il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante e il direttore generale dell’azienda, Adolfo Buffo, sono coinvolti nell’inchiesta che ha portato all’emissione delle sette ordinanze di custodia cautelare e al sequestro dei prodotti finiti/semilavorati. Con loro, nello stesso procedimento, sono indagati altri dieci dirigenti dei reparti dello stabilimento. Nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Patrizia Todisco è contenuto uno sconvolgente sistema di potere gestito dalla famiglia Riva e dai loro referenti locali capaci di assoggettare non solo funzionari e dirigenti di pubbliche amministrazioni, ma anche politici di alto livello. «La spregiudicatezza dei proprietari dell’Ilva» che emerge dalle carte, lascia senza parole. Come nell’intercettazione tra Fabio Riva e uno dei suoi avvocati, Franco Perli. Il rampollo della famiglia Riva, commentando i rischi sulla salute rilevati da uno studio dell’Arpa, si esprimeva in questi termini con il legale: «Due casi di tumore in più all’anno... una minchiata». Nel resoconto dell’inchiesta sono numerose, inoltre, le telefonate intercorse tra gli indagati e personalità politiche di spicco. Dal presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, all’assessore Michele Conserva, dal consigliere regionale Donato Pentassuglia all’onorevole Ludovico Vico, tutti del Pd, sino al presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. Una per tutti, a significare i rapporti amicali che intercorrevano tra uomini del gruppo Riva e i politici, la telefonata intercettata tra uno degli arrestati, Archinà, e il deputato Vico. Il parlamentare riferisce di una telefonata avuta con Vendola il quale si complimentava della disponibilità mostrata dal gruppo Ilva ma si lamentava del sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, protagonista in quel periodo di azioni che infastidivano gli industriali: «il sindaco lo vede come un irresponsabile», riferiva Vico. Sempre ad Archinà, l’onorevole Pd riportava il malumore di Vendola per il funzionario dell’assessorato ambiente della Regione, Antonio Antonicelli, responsabile, a suo dire, della permanenza a capo dell’Arpa del presidente Assennato, nemico giurato dei Riva: «Io dovrei ammazzare Antonicelli, è un pazzo scatenato», avrebbe detto Vendola.