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mercoledì 3 aprile 2019

Quando la narrazione del Potere diventa eterna. - Raffaele Iannuzzi



Ieri Juncker, presidente della Commissione, è stato ospite di Fazio a “Che tempo che fa”. L’ennesimo capitolo di una narrazione di regime.
Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che oggi incontrerà il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e domani il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’ex presidente Napolitano, è sempre uguale a se stesso. Fabio Fazio, uno specialista di “incontri ravvicinati del terzo tipo” con i pesi massimi dell’Europa, dopo essersi cimentato con Macron si è speso anche per Juncker. Un’intervista magistrale per densità politica, tanto da richiamare la filosofia di Emanuele Severino: il divenire non esiste, c’è solo l’eternità degli accadimenti. Ecco, l’intervista a Juncker rimanda a questo: ieri, oggi, domani, sempre il presidente della Commissione europea è eternamente se stesso. E, dunque, eternamente identico alla sua funzione, al suo ruolo, al suo posto.
Impeccabilmente se stesso e con questa aura severiniana a far da cornice a un volto espressivo come le maschere teatrali giapponesi, Juncker ha sciorinato, con pacata indifferenza, le ragioni della forza burocratico-formalistica dell’Ue.
Non è vero, afferma Juncker, che l’Italia sia un pericolo per il resto del mondo, come afferma il Fmi, certo che no, ha solo un debito pubblico insostenibile, ci vogliono adeguati “strumenti” per rilanciare la crescita italiana. Che cosa ha detto? Niente, naturalmente: è quell’ovvio, però, che sa di parziale de profundis per il sistema-Italia. L’Italia non è nemica del mondo, ma solo di se stessa; a buon intenditor, poche parole.
Per la cronaca: Fazio approva.
Da questa prima dirompente dichiarazione, di chiaro sapore “eversivo”, Juncker prende le mosse per allargare lo scenario, un vero grandangolo: la previsione del livello di crescita dell’Italia allo 0,2%, molto imprecisa, loro lo sapevano già, perché loro sanno sempre tutto, e sanno anche che questo significa stagnazione. Ma ovviamente l’Italia non è un pericolo per il mondo e il Fmi sbaglia.
Ancora una volta, sempre per la cronaca: Fazio approva, con un linguaggio del corpo non molto dissimile da quello largamente usato con Macron.
D’altra parte, chi l’ha detto che Juncker non abbia un cuore? Ce l’ha, eccome, ha perfino provato tristezza per i greci, sa anche che molti greci sono poveri, forse ha assaggiato anche lo yogurt di quelle parti, e insomma, quello che ha fatto il Fmi proprio non va. Ma come? Parla oggi, a distanza di un ciclo di crisi socio-economica? Non facciamo troppo i puntigliosi, seguiamo la linea di Fazio, che anche stavolta ha approvato, aggiungendo alla commovente dissertazione di Juncker un velo di malinconia. Ma dopo entrambi si sono ripresi e via con le questioni pesanti: come la vuole questa Europa, eccellentissimo presidente della Commissione europea, Juncker?
La risposta non è di quelle che possano lasciare indifferenti gli uomini dabbene: l’Europa deve essere più “sociale”. I greci ringraziano.
Fazio qui non ha avuto il tempo di sfoggiare un eccellente linguaggio del corpo perché sono troppi i nodi drammatici da sciogliere: la Cina, la Via della Seta.
Approvo, ha sentenziato Juncker. Solo che i singoli Paesi sono pregati di non decidere le alleanze strategiche per contro proprio, possono al massimo deliberare sull’ora legale. Ma, naturalmente, l’Italia ha fatto bene a sancire accordi con la Cina (tradotto nel duro lessico tattico-militare: sfàsciati pure da sola, così poi arriverai a più miti consigli e con perdite economiche e sistemiche di non poco momento).
E la Brexit? Incalza il prode Fazio. “Quanta pazienza abbiamo avuto con i britannici, ma ora si sta esaurendo” (ma non è una minaccia, sia chiaro; Juncker, lo ha dichiarato espressamente, è un uomo di “pace”). La Gran Bretagna è come la Sfinge, anzi quest’ultima è più chiara nei suoi intenti della prima. Amen to that. Fazio, europeista entusiasta, approva, of course, è il caso di dire, e sospira. Ma non può mica fermarsi qui, c’è molta altra carne al fuoco: come la mettiamo col “sovranismo”?
Su questo punto, Juncker è stato magistrale nell’esercizio del potere della retorica del comando. Ecco l’argomento: 1)l’Europa è il continente più piccolo, mica siamo eurocentrici, noi, non vogliamo farla da padroni o fare avventure neocoloniali (svalutazione); 
2) l’Europa perde, tra l’altro, peso economico, lo sappiamo tutti (principio di realtà); 
3) ergo, come possiamo creare un’Europa più solida ed autorevole con le nazioni che vanno “in ordine sparso” (ritorna il gergo militare: e siamo all’intimidazione, bingo).
Non male, presidente, la retorica del comando è smascherabile, ma decisamente funzionante. Fazio che fa? Ok, ormai lo sapete già.
Indefesso, il nostro intervistatore insiste: ma Orbán che fa? Campagna politica contro di lei? Juncker è uno tosto e non ci pensa due volte nel dare il meglio di sé: “Me ne frego alla grande”. Gli xenofobi non fanno paura a noi, uomini distinti e operosi nella costruzione della “pace” (un vero kantiano), che vadano pure al diavolo, li tolleriamo perché sono perdenti. E così sia.
Altre mirabili incursioni sul leggendario tetto del 3%, il clima, che assilla le coscienze giovanili, il “gretinismo” piazzaiolo insomma, con questi nuovi rampolli che fanno bene a manifestare come faceva lui, da giovane, prima di scoprire, con la teoria delle élites, che il potere logora chi non ce l’ha, e allora è bene sedere sugli scranni che contano. Ma non senza averci reso nota la sua importante militanza di manifestante anti-Vietnam, uno scoop che dobbiamo per intero a Fazio. Questo ripaga ampiamente il canone Rai.
Galoppiamo verso la fine: “più Europa”. Ecco lo Juncker “marxista”, che smaschera la falsa coscienza: “Non vuol dire niente”. Non c’è bisogno neanche di avere “più Europa”, il “più” è superfluo, abbiamo già preso tutto, pare questo il senso ultimo della sua discettazione. Che seguo nei suoi termini essenziali: no agli Stati Uniti d’Europa, perché gli “europei”, che lui conosce davvero bene, non li vogliono. Dobbiamo creare canali di comunicazione e conoscenza reciproca, sembra l’idea di un Progetto Erasmus diffuso a macchia d’olio, detto in formula: “Cosa sanno i finlandesi dei napoletani?”. Rimango silente, in attesa di cavar fuori dalla mia coscienza, meno raffinata di quella di Juncker, una risposta a cotanto quesito.
E le politiche migratorie, dica un po’, illustrissimo Presidente Juncker, che ne pensa? Juncker è tetragono anche su questo punto: abbiamo dato un miliardo di euro, “non di lire”, si affretta a precisare (la lira resuscitata dal Verbo che viene dall’Alto), per sostenere l’Italia, nell’impegno con i migranti, gli sbarchi, etc. Juncker si è speso per l’Italia, anzi ha affermato che “l’Italia salva l’onore dell’Europa” con la sua azione di accoglienza e solidarietà verso i migranti. Fazio è compiaciuto.
Gli “eterni” si sono incontrati, alla maniera severiniana, in questa intervista e dunque ogni giudizio storico e ancor più politico non sarà mai all’altezza di un così elevato rigore destinato ad altri mondi. Severino, in un’intervista, ha spiegato perché proprio quella stessa intervista fosse eterna. Comincio a pensare che Juncker sia un lettore del più celebrato filosofo italiano. D’altra parte, l’ha dichiarato nell’intervista, occorre fare rete e amicizia in Europa: che ne sa un lussemburghese degli “eterni” prodotti in Italia? Il Presidente, solerte, provvede a rispondere.
https://www.ilsussidiario.net/news/politica/2019/4/1/fabio-fazio-e-juncker-quando-la-narrazione-del-potere-diventa-eterna/1865978/

L’Europa dell’austerity è il paradiso dei miliardari. - Rosanna Spadini



Jean Claude Juncker nel suo incontro odierno con il Presidente Conte ci ha mazzolato ben bene: “Preoccupato per l’economia italiana. Servono altri sforzi”. Servirebbe dunque altro sangue della classe media diversamente asfaltata. Vuoto di memoria però, impossibile crescere mentre si è sottoposti a vincoli di deficit e mentre tutta l’Eurozona si sta rivelando come un’area di depressione economica permanente, provocata dalle stesse condizioni imposte dai trattati e dalla scarsità di moneta circolante.
Anche l’altra sera, chez Fabio Fazio, aveva tirato in ballo i problemi di debito pubblico italiano, trascurando da sbadato che il suo piccolo Lilliput è lo Stato più indebitato al mondo, nel sottobosco del debito privato in particolare.  Dichiarazione apparentemente sobria: “Penso che l’Italia sappia quali sono i suoi problemi. La crescita italiana è in ritardo rispetto all’Europa, e da vent’anni a questa parte, bisognerà dunque che l’Italia torni a scoprire gli strumenti che le permetteranno di rilanciare la propria crescita, ma dire che l’Italia costituisce un rischio mi sembra un’esagerazione, anche se i livelli del debito pubblico sono pericolosamente alti. Il 130% è uno dei livelli di debito pubblico più alti al mondo e bisognerà correggerlo, ridurlo“.
Però, nel mondo androide dell’Unione europea avvengono cose strepitose, neppure ipotizzabili dai lontani bastioni di Orione, tanto che nei bilanci delle casse statali mancano all’appello ogni anno più di mille miliardi di euro, tra elusione ed evasione fiscale. Infatti mentre i comuni mortali pagano fino all’ultimo centesimo di tasse, le multinazionali smistano decine di miliardi verso altri paradisi, grazie a contratti finanziari inaugurati in Lussemburgo, i famigerati ‘tax ruling’, strumenti finanziari che consentono alle corporations di concordare preventivamente il trattamento fiscale per un periodo predeterminato.
Così gli accordi preventivi provvedono ad evitare possibili contenziosi con gli Stati su alcune pratiche societarie tipicamente elusive, come quella che manipola i prezzi infra-gruppo (transfer mispricing), o ricorre a trasferimenti di utili da uno Stato all’altro sotto forma di dividendi, interessi, royalties e altri ingredienti del reddito d’impresa.
Il Pil pro capite del Granducato di Lilliput-Lussemburgo è di 105.918 mila dollari, il più alto al mondo, quasi il triplo di quello italiano. Un Paese molto ricco, nonostante sia pressoché privo di un comparto industriale di spessore, la cui unica fortuna è rappresentata dalle tasse, naturalmente quelle degli altri, e in particolare quelle delle numerose multinazionali che vi detengono la sede legale.  Il cui motto identitario è ‘Vogliamo rimanere ciò che siamo’… ettelocredo!! E la cui sorte è stata forgiata dal vecchio borgomastro Jean-Claude Juncker, oggi presidente della Commissione europea, e in visita settimanale in Italia.
Ebbene nel 2014, immediatamente dopo l’elezione al suo mandato europeo, il nostro lillipuziano era già sotto attacco mediatico, per un’inchiesta giornalistica di 28 mila pagine di documenti raccolti da un network americano, The International Consortium of Investigative Journalists (Icij), e pubblicato in contemporanea da 26 testate, che inauguravano lo scandalo definito ‘LuxLeaks‘.
L’inchiesta denunciava la sporca abitudine del Granducato di aver favorito multinazionali, quali Pepsi, Ikea, FedEx, Accenture, e anche 31 società italiane o con attività in Italia, attraverso una miriade di accordi fiscali.
A quel punto quaranta media di tutto il mondo poterono accedere ad un archivio smisurato di migliaia di documenti, sottratti da due impiegati, della sede lussemburghese di PriceWaterhouseCoopers (Pwc), un colosso di consulenza e revisione societaria, provocando in seguito interventi parlamentari, denunce e indagini giudiziarie.
Il sistema dei ‘tax ruling‘ si è sviluppato proprio in Lussemburgo, dando avvio ad intese riservatissime che garantiscono a 340 multinazionali di pagare meno del 1% di tasse, da Amazon ad Abbott, da Deutsche Bank a Pepsi Cola.
Il nodo del sistema prevede «accordi fiscali anticipati», una pratica legale che permette di conoscere in anticipo le imposte da pagare e ottenere garanzie giuridiche, così il sistema può influenzare la ripartizione dei profitti e consentire di minimizzare il gettito.
Il meccanismo finora ha funzionato benissimo secondo un tacito accordo, per cui le aziende spostavano nel Granducato flussi finanziari per centinaia di miliardi di dollari e in cambio ottenevano la possibilità di un trattamento tributario d’eccezione. Naturalmente, a farne le spese sono stati i Paesi d’origine delle società, costretti a rinunciare al gettito fiscale dirottato opportunamente verso altri lidi, ma anche gli altri Stati membri dell’Unione, che in questo modo entravano in una spirale viziosa di concorrenza sleale. Il danno complessivo è notevole: dai conti dell’Unione spariscono annualmente 1.400 miliardi di euro.
L’elusione di fatto vale miliardi di euro di base imponibile, nascosta dalle grandi multinazionali al fisco di Paesi come Germania, Francia e Italia. Dunque per compensare l’ammanco versano più tasse i lavoratori dipendenti o autonomi, i pensionati e anche – attraverso l’Iva sui beni di consumo – tutti i consumatori, compresi quelli i cui redditi dovrebbero essere esenti da tassazione, visto che sono così bassi da restare al di sotto delle soglie tassabili.
Ma oltre al Lussemburgo anche Olanda e Irlanda, che hanno poco più del 6% della popolazione dell’Eurozona, rappresentano nel complesso quasi metà dell’elusione fiscale internazionale delle grandi aziende. Così i tre più grandi paradisi fiscali non sono annidati in qualche isola dei Caraibi o del centro America, al contrario, prosperano indisturbati proprio nel cuore dell’Europa.
In pratica questi tre Paesi operano direttamente a danno degli altri, gli stessi con i quali condividono le loro severe regole di vigilanza sui bilanci pubblici, politiche di austerity, fiscal compact, etc etc.
L’Irlanda per esempio è il Paese dove Apple gode di sconti confezionati su misura, per cui le due consociate irlandesi di Apple funzionano da società offshore perché pagano solo l’1% di tasse, nel 2014 addirittura lo 0,05%.
Finché nel 2016 Dublino ottenne dalla Apple il pagamento di 14,3 miliardi di euro in tasse arretrate e interessi, a due anni dalla decisione con la quale Bruxelles aveva stabilito che il regime fiscale garantito all’azienda Usa violava le leggi dell’Unione europea.
L’occasione per parlare del problema è arrivata a Davos nel 2018, in un incontro sui paradisi fiscali, quando sono stati presentati i risultati di uno studio pubblicato da tre economisti: Thomas Tørsløv e Ludvig Wier dell’Università di Copenaghen, insieme a Gabriel Zucman dell’Università di California a Berkeley.
I tre segugi finanziari hanno calcolato l’impatto dell’elusione da parte di grandi gruppi come Apple, Facebook, Amazon, Google-Alphabet o Nike…  evidenziando che In ciascuno di questi gruppi, la somma dei profitti realizzati dalle società controllate, bizzarramente risulta pari a una frazione minima dei profitti consolidati globali. Il caso più estremo è Facebook, i cui profitti del 2015 sono stati di circa 11 miliardi di euro ma la somma dei ricavi tassabili di tutte le sussidiarie resta a zero.
Secondo i tre economisti, le distorsioni fiscali stanno diventando sempre più insostenibili, perché circa i due terzi dei profitti esteri delle multinazionali americane in genere (e il 45% di quelle di tutto il mondo) slittano verso i paradisi fiscali.
Ad esempio il Double Irish with Dutch sandwich, il doppio irlandese con panino olandese, lungi dall’essere una specialità gastronomica irlandese, costituisce un raffinato schema di pianificazione fiscale, che verte sull’impiego di due consociate con sede in Irlanda (di cui una registrata in un paradiso fiscale) e una terza “società veicolo” con sede in Olanda, al fine di abbattere il reddito imponibile.
Proprio la tecnica utilizzata da Google, che in pratica, avrebbe trasferito i ricavi da una controllata irlandese a una società olandese senza dipendenti, e poi a una casella postale alle Bermuda di proprietà di un’altra società registrata in Irlanda.
Ma il nostro lillipuziano la sa parecchio lunga, ricompensato per i suoi servigi con la presidenza dell’Eurogruppo nel 2004, trascurò con benevolenza i ‘trucchi di bilancio’ della Grecia, salvo poi acconsentire alle insistenti richieste di austerità che venivano dal Nord Europa per il Sud spendaccione.
«Se si guardano i numeri, probabilmente ha fatto più danni alle finanze pubbliche europee Juncker che qualunque evasore fiscale. Eppure era tutto noto: basta leggere la brochure promozionale del Luxembourg Stock Exchange, la Borsa del Granducato, per vedere che questo ricchissimo staterello non ha pudore nel presentarsi come uno snodo fondamentale per le imprese che devono eludere il fisco» dice Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano.
L’Europa dell’austerity e degli apologeti pseudo democracy permette la pratica dell’arbitraggio fiscale o ‘beggar thy neighbour’ (frega il tuo vicino), e la prosperità delle nazioni eticamente ‘nobili’, rispetto ai Piigs eternamente indebitati, si fonda quasi esclusivamente su queste porcate fiscali.
In conclusione mentre i poveri cittadini europei sono tartassati da tasse sempre più insostenibili, le grandi corporations mondiali vengono favorite con pratiche e agevolazioni finanziarie sempre più creative e geniali, tanto che potrebbero superare ogni genere di avanguardia artistica. E per la gioia di un’Europa faro della democrazia, che inneggia all’unione tra i popoli, in uno dei tre grandi paradisi fiscali membri dell’UE, Apple nel 2014 pagava lo 0,005 di tasse sui nostri iphone da 1000 euro l’uno. Dissonanza cognitiva?

domenica 29 aprile 2018

Sprechi, l’Europa del rigore fa la cattiva maestra: commissari si regalano più soldi e auto blu per 3 anni prima di lasciare. - Thomas Mackinson

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L'indennità da 13.500 euro al mese non bastava, arriva lo scivolo d'oro per la "transizione" alla normalità. E' il regalo che si stanno facendo i 28 commissari della Commissione europea in previsione della fine del loro mandato: una volta cessati, avranno a disposizione per altri 36 mesi auto blu con autisti, uffici presso la Commissione con segretari e personale. Il tutto esentasse. L'iniziativa chiama in causa direttamente Juncker e il nuovo segretario. La presidente tedesca della Commissione Bilancio chiede chiarimenti.

Uno scivolo d’oro per i tre anni di “transizione”, dalla bambagia alla normalità. Stavolta l’Europa dà dei punti al nostro Parlamento. I suoi commissari uscenti, senza troppa pubblicità, hanno infatti deciso di concedere a se stessi un piccolo ma sostanzioso regalo: tra 19 mesi usciranno di scena e ad attenderli, puntuali, troveranno materassi imbottiti d’euro e nuovi irrinunciabili benefit. A loro disposizione, oltre a stipendi da 8-15mila euro al mese per tre anni, potranno usufruire nello stesso periodo anche di auto blu con autista, di un ufficio con personale e segreteria dedicati, il tutto sempre a carico dei contribuenti dell’Unione. Tre anni da nababbi per i 28 ex commissari la cui ragione di fondo – o il cui pretesto, per i critici – riesiederebbe nella volontà di evitare che finiscano al soldo di qualche multinazionale o società di lobby come José Manuel Barroso, l’ex presidente della Commissione (2004-2014) trasferitosi con armi e bagagli alla Goldman Sachs. L’iniziativa, va da sé, solleva vari problemi e altrettanti imbarazzi.

Il primo è che le regole valgono per gli stessi commissari che le devono approvare in palese conflitto di interessi, visto che saranno i primi a sperimentarne i benefici potenzialmente equivalenti anche al triplo di ciò che attualmente ricevono. Non a caso, ed è il secondo elemento della storia, l’iniziativa è passata sotto silenzio. A segnalarla è stato un quotidiano tedesco, non atti ufficiali, non comunicazioni interne, nulla di nulla. Il 18 aprile scorso la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato un articolo che dava conto dei benefit citando alcuni punti del trattamento allo studio. Da lì è partita anche la corsa a codificare politicamente la mossa. Da più parti viene attribuita infatti allo stesso presidente Jean Claude Junker e alla sua volontà di far quadrato attorno alla nomina (a sorpresa e indigesta a molti) a segretario generale della Commissione del suo capo di capo di gabinetto, il potente Martin Selmayr. La lettura malevola suggerisce che l’elargizione sia un viatico per rabbonire gli animi dei commissari contrari a tale scelta: perché rischiare di mordere la mano che ti darà ancora da mangiare?
Il terzo è che, come detto, di altre concessioni forse i commissari avrebbero in realtà ben poco bisogno, visto il trattamento d’oro che ricevono mentre sono in carica, grazie a stipendi da 20mila a 25mila euro al mese per cinque anni, rigorosamente esentasse così come i tanti benefit. Vista poi la sontuosa liquidazione. Ulteriori benefici economici finiscono fatalmente per stridere con l’idea romantica da “Europa solidale dei popoli”. Ma di cosa si tratta realmente?
“L’indennità di transizione” sarebbe pagata per tre o cinque anni e non due come è stato dal 2016. Questa indennità, che varia dal 40 al 65% dello stipendio base in base alla durata dei compiti precedente, vale a dire un minimo compreso tra 8.400 e 13.500 euro al mese, viene aggiunta a quella di “reinsediamento“, corrispondente al salario di un mese. Soprattutto, a queste somme, si aggiungeranno una serie di prestazioni in natura: un ufficio presso la Commissione (in precedenza solo gli ex presidenti avevano diritto), una macchina aziendale con autista e due assistenti. Grazie a questa operazione, un ex commissario riceverà effettivamente il doppio, se non il triplo, di ciò che attualmente riceve. Il tutto grazie anche a un’ulteriore piccola astuzia: mentre l’allungamento della durata del risarcimento (o il suo aumento) richiede l’accordo del Consiglio dei ministri (dove siedono gli Stati), questo non è il caso per le “prestazioni in natura” che dipendono dal bilancio della Commissione.
L’astuzia rischia di costare parecchio ai contribuenti e di dare un segnale contrario alle consuete rampogne di Bruxelles agli Stati spendaccioni e di aiutare gli antieuropeisti nell’opera di demolizione dell’immagine delle istituzioni europee. Non a caso c’è chi pretende immediate spiegazioni. Il 24 aprile scorso la presidente della Commissione controllo di bilancio del parlamento europeo Ingeborg Grässle (PPE) ha mandato una lettera al Commissario al Bilancio Günther Oettinger chiedendo spiegazioni. Sbigottito anche Marco Valli, membro della stessa commissione in quota M5s: “Siamo venuti a conoscenza della proposta di questi nuovi privilegi per i Commissari uscenti, grazie ad un articolo pubblicato da un giornale tedesco. Per questo chiediamo, attraverso una lettera della Commissione controllo dei bilanci del Parlamento europeo l’accesso al documento di lavoro. Vogliamo vedere le carte ed evitare abusi e conflitti di interesse. Non è la prima volta che la Commissione prende decisioni discutibili in modo opaco, basti vedere il recente caso di nomina diretta dell’uomo di fiducia di Juncker, Martin Selmayr come Segretario generale”.