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domenica 9 dicembre 2012

Crisi di governo, Monti a Napolitano: “Legge di Stabilità, poi mi dimetto”. - Pierluigi Giordano Cardone


Mario Monti e Giorgio Napolitano


La nota del Quirinale certifica il precipitare della crisi.Il professore provoca il Pdl: "Il premier accerterà se le forze politiche" che non vogliono rendere "più gravi anche in Europa le conseguenze di una crisi siano pronte all'approvazione in tempi brevi" del provvedimento economico fondamentale per la tenuta del Paese.

Prima la Legge di Stabilità, poi le dimissioni. Perché “il presidente del Consiglio non ritiene possibile l’ulteriore espletamento del suo mandato”. 
Mario Monti si è dimesso. O, meglio, ha annunciato che lo farà dopo l’approvazione del dl da cui dipende la tenuta economica dell’Italia. Il motivo? La sfiducia del Pdl, come si legge chiaramente nella nota diffusa dal Quirinale: “Il premier ha rilevato che la dichiarazione resa ieri in Parlamento dal segretario del Pdl Angelino Alfano costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del Governo e della sua linea di azione”. Da qui la decisione. Almeno quella ufficiale. Secondo fonti ministeriali, al contrario, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata invece la pregiudiziale di costituzionalità sull’accorpamento delle province. La scelta, comunque, era già stata presa. Ed è irremovibile.
La prossima tappa, del resto, Monti l’ha già fissata. E’ scritta a chiare lettere nel comunicato del Colle: “Il Presidente del Consiglio accerterà quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l’esercizio provvisorio – rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo – siano pronte a concorrere all’approvazione in tempi brevi delle leggi di stabilità e di bilancio. Subito dopo – prosegue la nota – il Presidente del Consiglio provvederà, sentito il Consiglio dei Ministri, a formalizzare le sue irrevocabili dimissioni nelle mani del Capo dello Stato”. Questo perché il Professore non ha nessuna voglia di farsi ulteriormente “impallinare, né logorare” dalla propaganda del Pdl, né di far diventare il suo esecutivo bersaglio annunciato del disegno pre-elettorale di Berlusconi&Co.
La svolta, assolutamente inaspettata, arriva dopo una giornata all’insegna di una relativa calma, con il capo del Governo che a Cannes si era detto tranquillo in merito alla situazione politica interna. Evidentemente non era così, e le sue parole, col senno di poi, sembrano quasi un testamento politico. La mossa del capo del Governo ora potrebbe comportare cambiamenti radicali nella road map tracciata da Giorgio Napolitano, con le elezioni politiche anticipate rispetto al 10 marzo e l’approvazione della legge di Stabilità a prima di Natale. In tal senso, la data fissata sarebbe quella del 19 dicembre. Dopo di che il Colle passerebbe allo scioglimento delle Camere, con le consultazioni per il nuovo parlamento nella seconda metà di febbraio.
Questa ipotesi seguirebbe un disegno ben preciso, che punta a raggiungere un duplice obiettivo. Con una campagna elettorale sensibilmente più corta, infatti, diminuirebbe il rischio esposizione dell’Italia sui mercati e si darebbe meno tempo al Pdl per organizzare la propaganda in vista del voto. Del resto, era ciò che chiedeva il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani durante le ‘consultazioni informali’ di ieri al Quirinale. Il leader democrat, infatti, aveva assicurato lealtà al governo, sottolineando al contempo di non voler “lasciare mani libere” al Pdl in vista di una campagna elettorale tutta orientata contro l’operato del governo tecnico. Non solo. Bersani aveva anche provato a far anticipare la data del voto, proprio per non lasciare troppo tempo ai berlusconiani per riorganizzarsi. Proprio per questo motivo, del resto, l’accelerazione impressa da Monti non è piaciuta per niente all’interno del Pdl (c’è chi parla di “grave scorrettezza”), anche perché ci sarebbe la convinzione che il premier abbia condiviso la sua exit strategy sia con Pierferdinando Casini che con Pier Luigi Bersani
Nella nota del Quirinale, tuttavia, si evince anche una sorta di sfida o quantomeno un messaggio assai chiaro lanciato dall’ex rettore della Bocconi a Berlusconi e al Pdl. Il passaggio è quello in cui Monti parla di accertare “quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l’esercizio provvisorio – rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo – ” siano disposte a votare al più presto il sì alla Stabilità. Come dire: subito il provvedimento economico, altrimenti la responsabilità del possibile disastro sui mercati e in termini di credibilità in Europa ricadranno sul Popolo della Libertà. Il partito azzurro, a questo punto, può decidere o meno se approvare in tempi record la Stabilità. Se non lo fa, il Paese potrebbe ritenerlo colpevole dello sfacelo economico; se invece vota sì subito, avrà pochissimo tempo per riorganizzarsi intorno al vecchio leader, che comunque ha già lanciato la sua campagna elettorale. Da comprendere, inoltre, quale sarà l’atteggiamento dei Pdl nei confronti dell’election day con le regionali di Lombardia e Molise: fino a ieri fortemente voluto dal Cavaliere per provare a sfruttare l’effetto scia del voto al nord (e conquistare così un numero di senatori sufficiente a render difficile la vita a Palazzo Madama), ora rischia di diventare un fardello non di poco conto per la mancanza di tempo utile ad organizzarsi. Non è escluso, infine, che prima o in coincidenza dell’arrivo in aula della Legge di Stabilità, il Professore parli al Parlamento per mettere i puntini sulle ‘i’ e, chissà, preparare anche il campo ad un suo futuro squisitamente politico. Fondamentale, a questo punto, arrivare a lunedì e capire come i mercati reagiranno all’ufficializzarsi della crisi del governo italiano.

domenica 4 novembre 2012

Berlusconi: “Pensavo di chiedere scusa agli italiani perché non ce l’ho fatta”.


Berlusconi Condannato


L'ex presidente del Consiglio intervistato per il libro di Vespa: "La crisi ha cancellato i nostri sforzi, anche se noi abbiamo lasciato la disoccupazione al punto più basso degli ultimi vent'anni". Conferma di essere stato tentato di non ricandidarsi, ma "sto ricevendo pressioni da tutti per restare in campo".

Per la prima volta Silvio Berlusconi chiede scusa agli italiani. Lo fa nel libro di Bruno Vespa “Il Palazzo e la Piazza. Crisi, consenso e protesta da Mussolini Beppe Grillo“. “Pensavo di chiedere scusa agli italiani – dice l’ex presidente del Consiglio – perché non ce l’ho fatta. La crisi ha cancellato i nostri sforzi, anche se noi abbiamo lasciato la disoccupazione al punto più basso degli ultimi vent’anni. Abbiamo garantito la pace sociale negli anni più duri della crisi”.
Il Cavaliere aggiunge: “Abbiamo garantito la pace sociale negli anni più duri della crisi. Abbiamo impiegato 38 miliardi in ammortizzatori sociali. Abbiamo tagliato le spese ai ministeri con la prima vera spending review e attuato il più grande stanziamento sulla cassa integrazione della storia italiana”. E’ vero che lei ha pensato anche di non entrare in Parlamento?, chiede Vespa. “Sì, è vero anche se sto ricevendo pressioni da tutti i miei di restare in campo come padre fondatore del movimento”.
Vendola: “Scuse con 20 anni di ritardo”E così hanno buon gioco gli oppositori. “Berlusconi chiede scusa. Con quasi venti anni di ritardo” commenta laconico Nichi Vendola su Twitter. “Senza infierire, è semplicemente l’ammissione di un fallimento politico e di governo – rincara la dose Giorgio Merlo (Pd) – Cioè il fallimento della ricetta di governo del centro destra. Un motivo in più per invertire la rotta. Senza populismi ed estremismi vari, è il momento per il dopo Monti per un governo di centro sinistra. Riformista e democratico. Con il Pd e l’Udc come assi centrali della futura coalizione”.
Le versioni di B.Nelle ultime settimane le versioni di B. sono state più d’una. Prima l’annuncio apparentemente definitivo: “Non mi candido e via alle primarie” (era il 24 ottobre). Poi, sull’onda della sentenza di condanna a 4 anni per evasione, una prima parziale retromarcia: conferma che non si candiderà a Palazzo Chigi, ma detta la linea anche nel rapporto tra Pdl e governo Monti (ed è il 27). Poi ridimensiona tutto dicendo che il Pdl non farà “una campagna elettorale contro Monti” e che la spina da staccare “dipenderà dall’accettazione o meno da parte del governo delle nostre richieste di modifica alla legge di stabilità”. Nella stessa occasione aveva spazzato via la posizione del partito sulle preferenze nella legge elettorale: il suo Lucio Malan ha fatto approvare il testo che prevede le preferenze e lui ha detto che sono “un’anomalia” (ed è il primo novembre).
“Senza di me più facile ricompattare i moderati”
Berlusconi conferma ancora tuttavia che non vuole tornare a guidare il governo: “Una delle motivazioni che mi hanno indotto a rinunciare a una nuova candidatura a palazzo Chigi è perché alcuni leader del centrodestra sono afflitti da un vero complesso nei miei confronti. Così senza di me sarà più facile ricompattare tutti gli elettori dell’area moderata dentro una sola coalizione. Questo è l’unico modo per battere la sinistra, che dal 1948 a oggi rappresenta la minoranza degli italiani rispetto alla maggioranza dei moderati”. E quindi lancia un messaggio a Casini: “Non può tradire una tradizione di alternativa alla sinistra, che risale appunto alla vittoria dei democristiani e dei partiti moderati del 1948″. 
“Alfano è il miglior figo del bigoncio”Poi un nuovo elogio per il segretario del Pdl: “Alfano è il miglior protagonista oggi in circolazione, il miglior ‘fico del bigoncio’, come si usa dire”. Il migliore, dice, “non soltanto per le sue doti di intelligenza, ma anche per la sua correttezza e lealtà. Angelino è preparato, è coraggioso, è uno che mantiene la parola data”. Negli ultimi mesi Alfano ha recuperato quel quid di cui gli contestava la mancanza? chiede Vespa: “Non ho mai affermato nulla del genere. All’inizio smentivo tante dichiarazioni fasulle che mi venivano attribuite tra virgolette, poi mi sono arreso”. ”Alfano è il nostro segretario a pieno titolo e con il sostegno di tutti” insiste il Cavaliere. Ma non è che dopo Villa Gernetto, chiede Vespa a Berlusconi, la leadership di Alfano si è indebolita e il dialogo con il centro è più difficile? “Chi pensa questo sbaglia di grosso. Sarà Alfano a prendere gli accordi con le altre componenti del centrodestra. Se metteranno giudizio”.
“Le primarie saranno un evento storico perché indicheranno il mio successore”Secondo l’ex capo del governo le primarie del PdL “saranno un evento storico non perché saranno le prime nella storia del nostro movimento, ma perché dovranno scegliere il successore di Berlusconi”. Dunque, “un confronto – sostiene l’ex premier – aperto, libero, di alto profilo politico, un confronto di personalità all’interno del nostro movimento che vogliano segnalarsi come protagonisti, che portino avanti la tradizione e i valori della nostra rivoluzione liberale, che risveglino negli italiani lo spirito del 1994 per salvare il paese e impedire che sia governato dalla sinistra”. 
“Montezemolo? Scontato che stia nel centrodestra”
Luca Cordero di Montezemolo? “E’ scontato che il suo movimento faccia parte del centrodestra”. Poi il riferimento all’accordo dei mini-partiti che, oltre a usufruire di centinaia di migliaia di euro “girati” dal Pdl, potrebbero godere di un seggio garantito alle prossime elezioni come “premio” per il sostegno al governo dopo l’addio di Fini. “In democrazia, dove il voto popolare è libero, non esistono seggi sicuri per nessuno – risponde Berlusconi a Vespa – Ma mi lasci dire che sono grato a tutti i parlamentari che, anche sfidando l’impopolarità, hanno sostenuto con convinzione il mio governo”.

mercoledì 31 ottobre 2012

Napolitano non riceve Berlusconi: inaffidabile. Semmai vedrà Alfano, dopo Casini (oggi) e Bersani (forse domani)


Silvio Berlusconi
Stavolta Giorgio Napolitano non lo riceve. Il presidente della Repubblica non ci sta a finire dentro la tela intricatissima che Silvio Berlusconi pare voler tessere intorno al governo Monti, magari per stritolarlo. L'incontro al Colle era stato chiesto dal Cavaliere, prima della conferenza stampa di villa Gernetto. E sarebbe potuto avvenire domenica scorsa, come se fosse quasi una prosecuzione dell'incontro che Berlusconi aveva avuto con il premier a Palazzo Chigi martedì scorso, quando aveva indossato i panni della colomba offrendo a Monti la guida dei moderati, e dicendosi pronto al passo indietro per favorirla. Così non è stato. Perché nel frattempo è venuto a cadere il format che avrebbe potuto garantire quella prosecuzione. Sabato scorso, infatti, all'indomani della condanna di primo grado per il processo Mediatrade, il Cavaliere ha mostrato l'altro volto, quello arrabbiato, antimontiano, antieuropeista, tutto tranne che moderato e rassicurante sulla tenuta dell'esecutivo dei tecnici. È tornato falco, arrivando a un passo dalla rottura.
Un furore che ha messo in bilico non solo il governo ma anche la stessa chance per Berlusconi di incontrare il capo dello Stato. E così, raccontano a palazzo Grazioli, l’appuntamento al Quirinale è slittato a data da destinarsi, di certo non questa settimana. Tanto che Berlusconi ha confermato il suo viaggio a Malindi – partirà domani – e oggi ha approfittato del pomeriggio libero per un salto a Montecatini, ufficialmente per qualche visita di controllo, in realtà per una misteriosa visita personale. Sia come sia, col Colle è tornato il grande freddo che si percepiva lo scorso novembre. Perché è chiara la base della discussione che Berlusconi vorrebbe intavolare. I suoi lo spiegano senza tante perifrasi. Semplicemente vorrebbe intavolare una trattativa “politica” sul suo destino: cessazione delle ostilità su Monti in cambio di una tregua giudiziaria. O comunque in cambio di un sostegno di fronte a quella che ritiene una ingiusta persecuzione. L’ex premier avrebbe già voluto l’attesa sentenza della corte costituzionale sul processo Mediaset. E voleva che il Csm spedisse gli ispettori nella procura di Milano per il processo Ruby. Terreni che giudica di “influenza” del capo dello Stato.
Per Napolitano lo stile negoziale dell’ex premier non è una novità. La novità stavolta è che non è obbligato a riceverlo come quando era inquilino di palazzo Chigi. E in fondo il segretario del Pdl si chiama Angelino Alfano. È lui che parla con Monti di questioni politiche, e si confronta anche con gli altri leader della strana maggioranza: prima o poi, trapela dal Colle, qualcosa di definitivo dovrà dirla anche lui in un incontro a quattr’occhi con il capo dello Stato, senza l’ingombrante presenza di Berlusconi. Proprio la linea attendista del Quirinale ha consentito alle colombe di evitare l’incidente. Oggi, per esempio, al buffet organizzato al Quirinale per i 150 anni della Corte dei Conti, Napolitano ha avuto uno scambio di vedute con Gianni Letta e anche con il presidente del Senato, Renato Schifani. Entrambi gli hanno garantito che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, che è stata una “sparata” determinata da tante ragioni, compresa l’amarezza per la sentenza, ma che non ci saranno conseguenze sull’esecutivo.
Ma la sensazione è che ormai più nessuno riesca a offrire le garanzie necessarie su Berlusconi. Di lui non ci si fida. Nessuno tra i suoi è disposto a rassicurare su quella che sarà la sua linea futura e al Colle non possono che prendere atto della facilità con cui l’ex premier cambia idea. Nel giro di pochi giorni, come è successo la settimana scorsa, quando da martedì a sabato è passato dalla linea Monti bis alla linea anti-Monti. Tutte le incertezze dell’ex premier sul da farsi sono perfettamente percepite al Colle, filtrano attraverso l’umore dei berlusconiani più moderati, quelli che mantengono i contatti con la presidenza della Repubblica.
Nell’agenda del capo dello Stato per il momento non c’è alcun incontro con il Cavaliere. Ci vorrà del tempo per arrivarci. Troppo fresca la burrasca di sabato. Ora al Colle ci tengono a non finire risucchiati in un ennesimo gioco di affermazioni e smentite, che mettono a repentaglio la credibilità internazionale italiana in vista del voto del 2013. Che avverrà al completamento naturale della legislatura e non prima, ha rimarcato anche oggi il capo dello Stato, richiamando i partiti ad una ulteriore “assunzione di responsabilità” nei confronti del governo e degli obblighi europei imposti dalla crisi ed esortandoli a riformare la legge elettorale. Su quest’ultima, il tempo di attesa al Colle scade a fine novembre, suppergiù.
Nel senso che il presidente della Repubblica aspetta di vedere cosa riesce a licenziare il Senato, dove proprio oggi in commissione per un solo voto non è passato un emendamento dei Radicali che proponeva il doppio turno alla francese ribaltando il testo Malan approvato giorni fa. Per dire di quanto il dibattito sia in alto mare. Comunque, dal testo che verrà licenziato da Palazzo Madama si capirà molto, sarà subito evidente se si tratterà di una proposta destinata a morire al passaggio a Montecitorio. A quel punto, potrebbe scattare il messaggio del capo dello Stato alle Camere per chiedere la riforma del sistema di voto. Non che questa sia la bacchetta magica, al Colle lo sanno, ma il capo dello Stato userà tutti mezzi che può per insistere affinché non si vada al voto con il Porcellum.
Intanto oggi Napolitano ha ricevuto al Colle Pier Ferdinando Casini. Si tratta, fanno sapere, dell’inizio di un nuovo giro di orizzonte con i leader della strana maggioranza su quanto rimane da fare fino alla fine della legislatura, oltre alla legge elettorale, anche l’estensione dei controlli sull’uso delle risorse finanziarie pubbliche. Forse già domani mattina il capo dello Stato potrebbe ricevere il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che tra l’altro oggi ha avuto un colloquio alla Camera con il leader dell’Udc: ufficialmente, hanno parlato di emendamenti comuni alla legge di stabilità; ufficiosamente, la chiacchierata testimonia un riavvicinamento da parte di Casini verso il Pd, alla luce dell’antimontismo di Berlusconi e della vittoria con Crocetta in Sicilia. Casini, Bersani: non resta che Alfano. Prima o poi, al Colle attendono anche lui, sempre che voglia pronunciarsi sul percorso indicato da qui alla scadenza naturale della legislatura. Lui, ma non Berlusconi.