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domenica 3 giugno 2018

Cosa dice Standard and Poor’s del nuovo governo.

Cosa dice Standard and Poor’s del nuovo governo

"Manca ancora visibilità su strategia economica e fiscale"

Roma, 2 giu. (askanews) – Il nuovo governo M5S e Lega “non dovrebbe avere un effetto immediato” sul rating dell’Italia. Lo ha detto l’agenzia Standard and Poor’s, che sul nostro Paese ha un giudizio pari a BBB con outlook stabile. In una nota diffusa alla fine della giornata in cui il governo Conte ha giurato al Quirinale, gli esperti hanno spiegato di credere che sia “molto probabile” che il governo ottenga la fiducia del Parlamento la settima prossima. “Secondo noi, tuttavia, attualmente c’è una mancanza di visibilità sui dettagli della strategia del nuovo governo in termini di politica economica e fiscale”. Per l’agenzia, la strategia del governo “continuerà a essere l’elemento determinante della tenuta creditizia dell’Italia, specialmente in termini di approccio del governo alle finanze pubbliche (caratterizzate da un indebitamento del governo molto alto) e alle riforme economiche strutturali”.

In questo contesto, come spiegato nel rapporto del 27 aprile scorso con cui aveva confermato il suo rating per l’Italia, l’agenzia di rating ha ricordato che “l’attuale outlook stabile bilancia il potenziale per una crescita economica forte contro incertezze politiche persistenti e le loro implicazioni potenzialmente avverse per la performance economica e dei conti pubblici”.

Per il nostro Paese ci sarà una bocciatura se l’economia “rallenta notevolmente, portando la sua performance ancora una volta al di sotto dei rating di nazioni con livelli simili di sviluppo”. Un taglio del rating potrebbe scattare anche con uno stop del consolidamento fiscale, “specialmente se il nuovo governo abbandona la strada intrapresa del consolidamento o se ribalta le riforme strutturali”. Perché – è la tesi – il risultato sarebbe un indebolimento delle finanze pubbliche e delle prospettive economiche.
Fgl/Int2

giovedì 16 novembre 2017

Il debito pubblico sale ancora. Padoan rassicura: "Verso riduzione aggressiva". E Gentiloni replica all'Ue.



Risale, a settembre, il debito pubblico italiano. La Banca d'Italia comunica che è stato pari a 2.283,7 miliardi, in aumento di 4,4 miliardi rispetto al mese precedente quando aveva registrato un ribasso di 21,3 miliardi. L'incremento, spiega Via Nazionale, ha riflesso il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (16,5 miliardi), in parte compensato dalla diminuzione delle disponibilità liquide del Tesoro (per 11,3 miliardi) e dall'effetto degli scarti e dei premi all'emissione. Sull'incremento, rileva la Banca d'Italia, incide anche l'effetto degli scarti e dei premi all'emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione e della variazione del tasso di cambio (complessivamente hanno contenuto il debito di 0,7 miliardi). Con riferimento ai sottosettori, il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 4,5 miliardi. Il debito delle Amministrazioni locali è diminuito di 0,1 miliardi e quello degli Enti di previdenza è rimasto pressoché invariato.
Padoan rassicura sul debito. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, prevede "un calo deciso del debito in un prossimo futuro" grazie alla più alta crescita del Pil nominale. Il ministro spiega alla Cnbc, che il governo italiano si aspetta innanzitutto che l'1,5% di crescita del Pil nel 2017 stimato nel Def "sia confermato", ma ritiene anche che tale cifra possa essere superata. "La fiducia degli investitori nei titoli di Stato dell'Italia è intatta" dice Padoan rispondendo a chi gli chiede degli effetti della graduale riduzione degli acquisti di titoli da parte della Bce, sottolineando che ne sono una dimostrazione l'andamento delle aste del Tesoro e il "recente upgrade da parte di una delle maggiori agenzie di rating" del debito sovrano italiano. Padoan ha quindi spiegato che "la politica di emissione di nuovo debito da parte del Tesoro sta prendendo in piena considerazione l'aspettativa di tassi di interesse più elevati, in modo che il rischio sia già stato incorporato e questo dovrebbe essere chiaramente comunicato ai mercati".
Gentiloni replica all'Ue: "Italia non è più fanalino di coda". "Si può dire che l'inverno dello scontento europeo si è piano piano diluito, al sole del Campidoglio si è sciolto con la firma della dichiarazione dei 60 anni dei trattati d'Europa. Restano delle gravi incognite geopolitiche internazionali. Certamente l'imprevedibilità geopolitica resta. Quest'anno abbiamo assistito anche al proseguire ad una risalita del Paese, della crescita economica passata dal -2% ai livelli dell'+1,8%". Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni nel giorno dell'inaugurazione dell'anno accademico dell'università Cattolica del Sacro Cuore "Si parla molto di rimproveri europei, - prosegue Gentiloni - ma noi dobbiamo migliorare la situazione del deficit italiano. Si sono fatti passi in avanti. La crescita accelera. Chi non lo vede dovrebbe rendersi conto che non è così perché non siamo più il fanalino di coda. Da ieri non lo siamo più".
Standard & Poor's cautamente ottimista. L'economia italiana "sta mostrando positivi segnali di ripresa ma dopo sei anni di stagnazione il processo di recupero sarà probabilmente lungo". In un rapporto, l'agenzia di rating ricorda l'accelerazione della crescita nel secondo trimestre con il Pil reale in aumento dell'1,5% quest'anno. Fra i fattori positivi la crescita "degli investimenti grazi agli incentivi fiscali" e dal miglioramento delle condizioni di credito con la soluzione della crisi Mps e delle banche venete. Molto da fare resta però sulla "produttività del lavoro". Secondo Jean-Michel Six, S&P Global Chief Economist "la ripresa sta toccando tutti i settori dell'economia e ciò che particolarmente conforta è che gli investimenti sono tornati a rivestire un ruolo centrale, dopo una pausa a inizio 2017, grazie agli incentivi fiscali". L'agenzia ricorda poi l'aumento della fiducia delle imprese, il miglioramento degli utili aziendali e il calo dei fallimenti, che hanno toccato il livello più basso dal 2009. tuttavia gli investimenti devono ancora fare molto per tornare ai livelli pre-crisi. Il rapporto cita anche la soluzione delle crisi di Mps e delle banche venete e il successo dell'aumento di capitale Unicredit. Inoltre il mercato del lavoro "sta facendo progressi. L'occupazione è tornata ai livelli del 2008 e la creazione di lavori è stata forte con circa 150mila nuovi posti nel primo semestre del'anno". Di converso, "il ritorno dell'inflazione, sebbene modesto, probabilmente intaccherà la crescita dei redditi reali e di conseguenza la domanda dei consumatori. Sul lato del commercio estero, le esportazioni non dovrebbero dare un significativo contributo alla crescita del Pil a causa "della scarsa crescita nella produttività del lavoro nonostante le riforme messe in campo negli scorsi anni".