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venerdì 26 novembre 2021

Riforma del fisco, la simulazione delle nuove aliquote Irpef: risparmi fino a 920 euro l’anno. - Alessandro D’Amato

 

Così la riforma del governo Draghi impatterà sui portafogli dei lavoratori: quattro scaglioni e sei fasce di imponibile. Gli effetti del taglio delle tasse sulle famiglie.

Le simulazioni delle nuove aliquote Irpef spiegano oggi come la riforma del fisco del governo Draghi impatterà sui portafogli dei lavori dipendenti. Che, a seconda della soglia di reddito, risparmieranno fino a 920 euro l’anno. Non solo per effetto della riduzione da 5 a 4 degli scaglioni. Ma anche per le detrazioni, che andranno ad assorbire il bonus 80-100 euro e per l’incremento della soglia della no tax area per pensionati e autonomi. Anche l’Irap viene cancellata per un milione di società di persone, partite Iva, start up e professionisti oltre che per gli enti non commerciali. Il conto totale della riforma ammonta a 7 miliardi per l’Irpef e uno per l’Irap. Ma per adesso a imprese e sindacati la riforma del fisco non piace.

Quanto si risparmia con i 4 scaglioni.

L’accordo politico raggiunto ieri tra maggioranza e governo prevede in primo luogo la riduzione delle aliquote. Si abolisce lo scaglione al 41% e le aliquote diventano quindi quattro. Fino a 15 mila euro l’aliquota sarà al 23%; da 15 a 28 mila euro lo scaglione scenderà di due punti rispetto ad oggi e arriverà al 25%. I redditi da 28 a 50 mila euro invece avranno un imponibile del 35% (tre punti di taglio) mentre oltre i 50 mila euro scatta la trattenuta al 43%. Va spiegato però che l’Irpef è un’imposta progressiva. Se quindi c’è chi vede aumentare dal 38 al 43% l’imponibile sulla fascia di reddito, come quelli che guadagnano da 50 a 55 mila euro l’anno, dall’altra parte usufruisce del taglio degli scaglioni sulle quote di reddito precedenti. Che vanno a compensare l’incremento successivo.

Fatta questa premessa, le prime simulazioni delle nuove aliquote Irpef vanno valutate anche sulla base delle nuove detrazioni. Mentre per quanto riguarda la No tax area, quella dei pensionati passa da 8.125 a 8.174 euro. Quella dei lavoratori autonomi andrà da 4.800 a 5.500 euro. In questo quadro i risparmi per le classi di reddito vanno dai 100 ai quasi mille euro l’anno. Secondo la simulazione di Repubblica il beneficio è massimo per un reddito di 60 mila euro (970 euro) e poi arriva a 270 euro per chi ne guadagna da 75 mila in poi. In termini percentuali chi ha 45 mila euro di redditi porta a casa il 6% di tasse in meno. Ovvero 770 euro l’anno. Nella tabella del quotidiano la fascia dei 70 mila euro risparmia 370 euro, quella dei 65 mila ne risparmia 470, quella dei 55 mila ne risparmia 670.

Le sei fasce di imponibile.

E ancora: la fascia dei 40 mila euro l’anno risparmia 620 euro, la fascia dei 35 mila arriva a 470 e quella dei 30 mila a 320. La simulazione di PwC Tls Avvocati Commercialisti pubblicata da La Stampa invece prevede sei fasce di imponibile. E quindi, rispettivamente:

  • i redditi imponibili fino a 20 mila euro risparmiano 100 euro l’anno;
  • i redditi fino a 30 mila euro ne risparmiano 320;
  • la fascia da 40 mila euro risparmia 620 euro netti l’anno;
  • il reddito imponibile fino a 50 mila euro l’anno risparmia 920 euro l’anno;
  • la fascia da 60 mila euro ne risparmia 570;
  • il reddito da 75 mila euro risparmia 270 euro.

I calcoli del Messaggero riportano anche gli effetti su chi guadagna da 10 a 15 mila euro l’anno. In quel caso il beneficio è pari a zero. Per le fasce che vanno dai 16 ai 19 mila euro l’anno il beneficio aumenta progressivamente di 20 euro ogni mille di reddito. Le aliquote, come ricorda il quotidiano, rideterminano soltanto il 40% dell’effetto redistributivo. Il 60% è determinato da detrazioni per lavoro e famiglia.

Gli effetti del taglio per le famiglie.

Secondo invece la simulazione dei Consulenti del Lavoro citata dall’agenzia di stampa Ansa i vantaggi più significativi riguarderanno a partire dal 2022 chi ha un reddito tra i 30 mila e i 60 mila euro lordi l’anno. I dati del ministero dell’Economia dicono che sono circa 7 milioni di contribuenti. In questa simulazione per la fascia di contribuenti da 20 mila euro l’anno l’Irpef attuale, senza considerare alcun tipo di detrazione, è pari a 4.800 euro. Dal 2022, con il passaggio del secondo scaglione dal 27% al 25%, scenderebbe a 4.700 euro con un beneficio di 100 euro. Una famiglia con due lavoratori e 45 mila euro di reddito complessivo l’anno – equamente distribuito e non tenendo conto delle detrazioni per i figli – passa da un’Irpef lorda di 5.475 euro a 5.325 euro, con un beneficio di 150 euro a testa, pari a 300 euro per il nucleo. Infine, nel caso di un unico percettore di reddito da 30.000 euro si passa da un’Irpef lorda di 7.500 euro a 7.200 euro. Il vantaggio è di 300 euro ma concentrato su un’unica persona. Sale quindi al salire del reddito.

Confindustria e sindacati.

La riforma non piace a Confindustria e sindacati. Per gli imprenditori «se la bozza dovesse essere confermata, saremmo in presenza di scelte che suscitano forte perplessità perché senza visione per il futuro dell’economia del nostro Paese». E questo perché, secondo l’associazione datoriale, «la sforbiciata alle aliquote Irpef disperde risorse, con effetti “impercettibili” sui redditi delle famiglie, soprattutto se venissero eliminate le detrazioni per coprire i costi. L’intervento sull’Irap, poi, non migliora la competitività delle imprese». Il segretario della Cgil Maurizio Landini sostiene che gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Mentre il segretario confederale della Cisl Giulio Romani, responsabile del dipartimento fiscale, dice «no ad accordi già confezionati coi partiti che renderebbero solo consultivo il ruolo dei sindacati. Viale dell’Astronomia e i rappresentanti dei lavoratori chiedono al governo una convocazione urgente perché l’intesa non ha coinvolto le parti sociali».

https://www.open.online/2021/11/26/governo-draghi-nuova-irpef-simulazione-aliquote/

lunedì 27 settembre 2021

Riforma fiscale e imposte sostitutive: nel mirino 8 aliquote fino al 26%. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

(llustrazione di Giorgio De Marinis)

I parlamentari propongono di avvicinare cedolari e ritenute allo scaglione Irpef del 23% ma agendo sull’imponibile si possono evitare rincari. Già prevista un’eccezione per il regime forfettario.

Un’eccezione dopo l’altra, le imposte sostitutive dell’Irpef sono arrivate a contare otto diverse aliquote. Dal 5% dei vecchi minimi (e dei forfettari start up) al 26% dei redditi di capitale. Nell’atto d’indirizzo al Governo sulla riforma fiscale, le commissioni parlamentari la chiamano plural income taxation. Dove l’aggettivo “plurale” sta a significare «elevata frammentazione» e regimi «quasi mai tra di loro correlati». E proprio il riordino delle tante flat tax è uno degli obiettivi del disegno di legge delega atteso domani – martedì – in Consiglio dei ministri.

Sostitutive in salvo.

Tra i parlamentari nessuno pensa di azzerare tutte le sostitutive. Anche perché i regimi fiscali alternativi ormai assorbono un decimo dell’imponibile Irpef e non si intravede la volontà di affrontare l’impopolarità di una loro eliminazione. Per dire, cancellare la cedolare sugli affitti, e rimpiazzarla con le aliquote progressive dell’Irpef, farebbe aumentare il prelievo di 2,3 miliardi; eliminare il regime forfettario di 1,5 miliardi, almeno secondo le stime dell’ultimo Rapporto sulle spese fiscali 2020.

Piuttosto, le commissioni parlamentari guardano a «un modello tendenzialmente duale»: cioè, un sistema adattato alla realtà italiana. In teoria, la dual income taxation prevede un’imposta proporzionale (flat) solo sui redditi di capitale. Ma l’intenzione di deputati e senatori è mantenere anche gli altri «regimi sostitutivi cedolari», avvicinando le loro aliquote a quella del primo scaglione Irpef (23%) e facendo salvo il regime forfettario delle partite Iva.

Che un riordino sia necessario, comunque, lo ammettono anche i parlamentari, perché la proliferazione delle sostitutive ha creato un «carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito». Tema sottolineato tra l’altro dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, giovedì scorso all’assemblea degli industriali di fronte al premier Mario Draghi. I prelievi forfettari, secondo Bonomi, «hanno minato l’imponibile e introdotto distorsioni e iniquità inaccettabili sia orizzontali sia verticali».

Sempre giovedì, Draghi ha voluto riaffermare che «il Governo non ha intenzione di aumentare le tasse». Tracciando così una linea di demarcazione anche in vista dell’intervento sulle cosiddette flat tax.

Molte aliquote, infatti, oggi sono lontane dal 23% del primo scaglione Irpef. Ce ne sono alcune settoriali o poco usate, come il 15% sulle lezioni private degli insegnanti o la tassa fissa di 100 euro sulla raccolta di funghi o tartufi. Ma altre sono molto diffuse, come il 12,5% sugli interessi dei titoli di Stato, il 10% sui premi di produttività ai lavoratori e la cedolare secca del 10% sulle locazioni a canone concordato. Come si fa, allora, a portarle verso il 23 per cento? Una soluzione è già stata suggerita dal direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, in audizione al Parlamento, che l’ha fatta propria: si potrebbero alzare le aliquote proporzionali, ma abbassare le basi imponibili, così da lasciare invariata l’imposta netta.

Se una manovra del genere può sembrare un gioco a somma zero, nella delega per la riforma potrebbero esserci anche altri interventi sulle basi imponibili. In particolare, nel campo del risparmio, dove la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” oggi impedisce di compensare alcune minusvalenze e crea distorsioni che «pregiudicano l’efficienza del mercato dei capitali», come si legge ancora nell’atto d’indirizzo del Parlamento. Atto che suggerisce anche una riduzione dell’aliquota del 26% oggi applicata praticamente sulla totalità dei redditi finanziari, pari a una base imponibile di circa 43 miliardi: in questo caso, allineare l’aliquota al primo scaglione Irpef comporterebbe un risparmio d’imposta (o un minor gettito) di 1,4 miliardi.

Il nodo degli autonomi.

Due aliquote che il Parlamento non vorrebbe riallineare all’Irpef sono invece quelle della flat tax degli autonomi (5 e 15%). La partita, qui, potrebbe giocarsi sui coefficienti di redditività che determinano l’imponibile su cui applicare l’aliquota proporzionale. Coefficienti che non sono stati modificati dopo l’innalzamento a 65mila euro della soglia di ricavi o compensi per l’accesso al regime agevolato. E che, come ha avvertito il direttore Lapecorella, oggi «non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute».

/Il Sole 24 Ore