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mercoledì 29 dicembre 2021

Riforma Irpef, i grandi giornali “scoprono” che i maggiori vantaggi vanno ai redditi medio-alti. Tutti zitti quando Draghi al Fatto rispose: “Non è vero” - Chiara Brusini

 

Sei giorni dopo la conferenza stampa di fine anno Repubblica, Corriere e Stampa danno grande risalto a numeri che dimostrano come l'intervento su aliquote e detrazioni garantisca il risparmio maggiore a chi ha un imponibile di circa 40mila euro di reddito. Come è noto da tempo: bastava leggere le tabelle del Tesoro, pubblicate invece con titoli che avvaloravano le tesi del governo. Nessuno (con l'eccezione del Tg La7) rileva il contrasto tra le "nuove" simulazioni e la risposta data dal premier, che aveva scatenato ironie e trollate sui social.

“Il taglio dell’Irpef premia i redditi medio alti” (La Stampa). “Irpef, chi perde e chi guadagna: ai dirigenti il beneficio maggiore” (Repubblica). “L’Upb: favoriti i redditi medio alti” (Corriere). Dodici giorni dopo lo sciopero generale e sei giorni dopo la conferenza stampa di fine anno, durante la quale Mario Draghi rispondendo a una specifica domanda del fattoquotidiano.it ha detto che “i principali beneficiari della riforma fiscale sono lavoratori e pensionati a reddito medio basso”, i grandi giornali mettono nero su bianco che le cose non stanno così. Citando una nota dell’Ufficio parlamentare di bilancio oggi spiegano che la fascia per la quale arriveranno i maggiori vantaggi è quella poco sopra i 40mila euro di reddito, a fronte di un imponibile medio che per i lavoratori dipendenti si ferma a 21mila. Cifre che non sono certo una sorpresa: lo studio risale al 20 dicembre e tutte le precedenti simulazioni, comprese quelle del Tesoro, dicevano lo stesso, come scritto più volte dal fattoquotidiano.it. L’unica cosa che è cambiata, nel frattempo, è che Draghi ha lasciato intendere che non disdegnerebbe la salita al Colle, suscitando una reazione fredda – per la prima volta dopo 10 mesi di governo – da parte dei leader dei partiti di maggioranza.

Da notare che nessuno degli articoli (a differenza del servizio del Tg La7 andato in onda lunedì sera) rileva il contrasto tra le simulazioni dell’Upb a cui ora viene dato tanto risalto e l’affermazione tranchant del premier, che – di fronte alla richiesta di motivare la scelta di un intervento vantaggioso soprattutto per i redditi medio alti – aveva scandito: “Non è vero“. Scatenando l’esultanza di un gruppo di fan che via Twitter ha pesantemente ironizzato sulla domanda, spesso con l’hashtag #sdeng ma senza andare per il sottile sul merito della questione.

Manovra, alla Camera la Commissione finanze non esprime il parere: 'Poco tempo per pronunciarsi'
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Primo della lista il deputato renziano Luigi Marattin, presidente della commissione Bilancio della Camera, secondo cui il giornalista del fatto.it aveva “ripetuto le bufale su cui è stato indetto lo sciopero”: oggi Marattin riconosce che in effetti è vero, con la riforma si è “dato un po’ di più – in valore assoluto – alla fascia 40-50mila euro”, ma “era la fascia più ignorata negli ultimi 10 anni”. Non di bufala si trattava, dunque. Gran successo social anche per il tweet del giornalista e blogger esperto di internet Massimo Mantellini che ha colto l’occasione per blastare Il Fatto (“Il giornalista fa la domanda citando dati economici sul calo delle tasse. Draghi risponde: quello che ha detto non è vero, grazie. In pratica la storia del Fatto Quotidiano in dieci secondi”).

E dire che i numeri sono cristallini. Aver destinato i 7 miliardi disponibili al taglio delle aliquote Irpef per razionalizzare quelle marginali, invece che concentrarsi sulle imposte che gravano sulle buste paga dei lavoratori, comporta inevitabilmente che ci guadagni di più chi oggi versa di più. “Si è dato maggior peso all’efficienza rispetto all’equità”, come hanno sintetizzato su lavoce.info Silvia Giannini e Simone Pellegrino. Le stesse tabelle del Tesoro, mai presentate ufficialmente ma pubblicate da alcune testate proprio nel giorno dello sciopero con titoli che avvaloravano la versione del governo (“Così il mix favorisce i redditi più bassi”, era per esempio quello della Stampa), restituiscono dati identici a quelli elaborati dalla Cgil. Mostrando che l’intervento sulle aliquote e la riforma delle detrazioni garantiscono il risparmio maggiore in corrispondenza dei 40mila euro di reddito: 945 euro l’anno contro i 204 euro l’anno che resteranno in tasca a chi ha uno stipendio da 20mila euro lordi. Solo nel 2022 i redditi fino a 35mila euro avranno un piccolissimo vantaggio aggiuntivo grazie alla mini decontribuzione dello 0,8%. Sommando anche questo risparmio (come ha fatto Draghi leggendo le tabelle Mef) si ottiene in effetti che l‘incidenza percentuale dei benefici per un lavoratore single con 15mila euro di reddito è superiore a quella di uno che ne guadagna 40mila. Ma il confronto lascia il tempo che trova, visto che il taglio dei contributi a differenza della riforma Irpef vale solo per un anno. Per tacere il fatto che quel che conta, a fine mese, è la cifra assoluta e non certo la percentuale. E con 17 euro al mese non si fa molto.

La Stampa, 16 dicembre
La Stampa. 28 dicembre






Discorso analogo per l’assegno unico per i figli, che non è ovviamente incluso nelle simulazioni dell’Upb perché nulla c’entra con la riforma Irpef, dipende dall’Isee familiare e verrà versato solo a chi ne fa richiesta all’Inps (sulla carta ne hanno diritto poco più di 7 milioni di famiglie con figli, su una platea di 25 milioni di nuclei tra cui quelli composti da una sola persona). Anche in questo caso, comunque, le tabelle del Mef mostrano che i maggiori vantaggi della misura, ipotizzando un improbabile Isee pari a zero, andranno ancora una volta a chi ha redditi complessivi da 40mila euro annui: 2.068 euro l’anno per un nucleo monoreddito con due figli e 2.455 euro l’anno per una coppia con due figli in cui entrambi i coniugi lavorano e uno dei due guadagna 15mila euro. Una famiglia con lo stesso numero di figli e in cui entra un solo stipendio di 10mila euro lordi l’anno dovrà accontentarsi di un vantaggio netto, per effetto del nuovo assegno, pari a 1.100 euro annui. Sdeng?

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/28/riforma-irpef-i-grandi-giornali-scoprono-che-i-maggiori-vantaggi-vanno-ai-redditi-medio-alti-tutti-zitti-quando-draghi-al-fatto-rispose-non-e-vero/6439284/

lunedì 27 settembre 2021

Riforma fiscale e imposte sostitutive: nel mirino 8 aliquote fino al 26%. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

(llustrazione di Giorgio De Marinis)

I parlamentari propongono di avvicinare cedolari e ritenute allo scaglione Irpef del 23% ma agendo sull’imponibile si possono evitare rincari. Già prevista un’eccezione per il regime forfettario.

Un’eccezione dopo l’altra, le imposte sostitutive dell’Irpef sono arrivate a contare otto diverse aliquote. Dal 5% dei vecchi minimi (e dei forfettari start up) al 26% dei redditi di capitale. Nell’atto d’indirizzo al Governo sulla riforma fiscale, le commissioni parlamentari la chiamano plural income taxation. Dove l’aggettivo “plurale” sta a significare «elevata frammentazione» e regimi «quasi mai tra di loro correlati». E proprio il riordino delle tante flat tax è uno degli obiettivi del disegno di legge delega atteso domani – martedì – in Consiglio dei ministri.

Sostitutive in salvo.

Tra i parlamentari nessuno pensa di azzerare tutte le sostitutive. Anche perché i regimi fiscali alternativi ormai assorbono un decimo dell’imponibile Irpef e non si intravede la volontà di affrontare l’impopolarità di una loro eliminazione. Per dire, cancellare la cedolare sugli affitti, e rimpiazzarla con le aliquote progressive dell’Irpef, farebbe aumentare il prelievo di 2,3 miliardi; eliminare il regime forfettario di 1,5 miliardi, almeno secondo le stime dell’ultimo Rapporto sulle spese fiscali 2020.

Piuttosto, le commissioni parlamentari guardano a «un modello tendenzialmente duale»: cioè, un sistema adattato alla realtà italiana. In teoria, la dual income taxation prevede un’imposta proporzionale (flat) solo sui redditi di capitale. Ma l’intenzione di deputati e senatori è mantenere anche gli altri «regimi sostitutivi cedolari», avvicinando le loro aliquote a quella del primo scaglione Irpef (23%) e facendo salvo il regime forfettario delle partite Iva.

Che un riordino sia necessario, comunque, lo ammettono anche i parlamentari, perché la proliferazione delle sostitutive ha creato un «carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito». Tema sottolineato tra l’altro dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, giovedì scorso all’assemblea degli industriali di fronte al premier Mario Draghi. I prelievi forfettari, secondo Bonomi, «hanno minato l’imponibile e introdotto distorsioni e iniquità inaccettabili sia orizzontali sia verticali».

Sempre giovedì, Draghi ha voluto riaffermare che «il Governo non ha intenzione di aumentare le tasse». Tracciando così una linea di demarcazione anche in vista dell’intervento sulle cosiddette flat tax.

Molte aliquote, infatti, oggi sono lontane dal 23% del primo scaglione Irpef. Ce ne sono alcune settoriali o poco usate, come il 15% sulle lezioni private degli insegnanti o la tassa fissa di 100 euro sulla raccolta di funghi o tartufi. Ma altre sono molto diffuse, come il 12,5% sugli interessi dei titoli di Stato, il 10% sui premi di produttività ai lavoratori e la cedolare secca del 10% sulle locazioni a canone concordato. Come si fa, allora, a portarle verso il 23 per cento? Una soluzione è già stata suggerita dal direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, in audizione al Parlamento, che l’ha fatta propria: si potrebbero alzare le aliquote proporzionali, ma abbassare le basi imponibili, così da lasciare invariata l’imposta netta.

Se una manovra del genere può sembrare un gioco a somma zero, nella delega per la riforma potrebbero esserci anche altri interventi sulle basi imponibili. In particolare, nel campo del risparmio, dove la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” oggi impedisce di compensare alcune minusvalenze e crea distorsioni che «pregiudicano l’efficienza del mercato dei capitali», come si legge ancora nell’atto d’indirizzo del Parlamento. Atto che suggerisce anche una riduzione dell’aliquota del 26% oggi applicata praticamente sulla totalità dei redditi finanziari, pari a una base imponibile di circa 43 miliardi: in questo caso, allineare l’aliquota al primo scaglione Irpef comporterebbe un risparmio d’imposta (o un minor gettito) di 1,4 miliardi.

Il nodo degli autonomi.

Due aliquote che il Parlamento non vorrebbe riallineare all’Irpef sono invece quelle della flat tax degli autonomi (5 e 15%). La partita, qui, potrebbe giocarsi sui coefficienti di redditività che determinano l’imponibile su cui applicare l’aliquota proporzionale. Coefficienti che non sono stati modificati dopo l’innalzamento a 65mila euro della soglia di ricavi o compensi per l’accesso al regime agevolato. E che, come ha avvertito il direttore Lapecorella, oggi «non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute».

/Il Sole 24 Ore