La Procura di Napoli pensa di avere capito chi ha bruciato sul nascere l’inchiesta sulla P4: i vertici della Guardia di Finanza.
Il generale Vito Bardi, comandante delle Fiamme Gialle in tutta l’Italia meridionale, ex comandante regionale della Campania, è indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto, perché tirato in ballo da Luigi Bisignani nelle sue dichiarazioni (da indagato che quindi può mentire) ai pm. Le indagini della Procura di Napoli però non si sono fermate a questo importante generale di corpo d’armata ma sono arrivate a Roma nel cuore del Comando Generale dove i magistrati pensano lavori una seconda talpa, probabilmente di livello molto alto, che avrebbe spifferato al presunto capo della P4 i contenuti dell’indagine.
Non è un mistero che Henry John Woodcock e Francesco Curcio siano molto irritati per quello che è successo. Nessuno sospetta minimamente dei finanzieri del comando provinciale di Napoli che hanno lavorato senza sosta fino agli arresti. Nell’ipotesi investigativa sarebbe stato invece un comandante, magari a Roma, dopo aver ricevuto la notizia dell’inchiesta su Bisignani per via gerarchica a spifferare l’esistenza delle intercettazioni all’indagato.
Nei mesi di settembre e ottobre Bisignani e compagni si lasciavano andare, sicuri di usare schede telefoniche insospettabili. I magistrati però le avevano individuate e inoltre, grazie a una tecnica informatica innovativa, erano riusciti a piazzare una sorta di cimice virtuale nell’ufficio del lobbista. Una mail contenente un messaggio civetta, una volta aperta dai collaboratori di Bisignani, aveva trasformato il suo computer in un registratore sempre acceso. In tal modo i finanzieri del Comando di Napoli potevano ascoltare in tempo reale le trame della P4. All’improvviso però qualcuno ha spifferato l’esistenza dell’inchiesta a Luigi Bisignani. Al telefono gli indagati hanno smesso di parlare liberamente e qualcuno di loro ha cominciato a depistare.
Proprio ascoltando una conversazione con il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo nell’ufficio di Bisignani i pm hanno avuto la prova della fuga di notizie. Bisignani confidava all’amica Stefania, atterrita per il rischio di immagine, di sapere che Woodcock stava indagando. E aggiungeva che ne aveva parlato con Letta.
Da quel momento Woodcock e Curcio hanno cercato in tutti i modi di rispondere a una domanda: chi è stato a bruciare l’indagine? Bisignani ha puntato il dito su Italo Bocchino: “Mi parlò espressamente di una indagine di Napoli ma non fece mai il nome dei magistrati; io rappresentai immediatamente tale circostanza al Papa e il Papa successivamente fece ulteriori accertamenti verificando la fondatezza di tale notizia”. Ed è stato sempre lui a indirizzare i pm sulle tracce della Gdf: “Ricordo che il Papa … è molto amico del Generale Adinolfì”. Bisignani, dopo aver nominato il numero due della Guardia di Finanza, però punta il dito su un altro generale di corpo d’armata, “Ricordo bene che quando io dissi al Papa della notizia che avevo appreso il Papa mi disse che avrebbe chiesto informazioni a Napoli e mi disse che avrebbe parlato con un certo Generale Bardi della Guardia di Finanza; dopo qualche giorno tornò da me e mi disse che effettivamente dalle notizie che aveva appreso a Napoli aveva appurato a Napoli che la notizia dell’indagine era vera e che effettivamente c’era questa inchiesta”.
Insomma Bisignani insiste su Napoli. E i pm per questa ragione iscrivono Bardi.
Però c’è qualche cosa che non convince in questa versione. Alfonso Papa, raccontano alla Finanza di Napoli, non era poi così amico di Papa. L’allora direttore generale del ministero della giustizia circolava per Napoli con una macchina di servizio e due uomini della Finanza. L’assegnazione di questo insolito benefit era stata decisa dal Comando Generale a Roma e fu proprio Bardi, (che ha denunciato Bisignani per calunnia aggravata) a privare Papa dei due finanzieri napoletani che costavano moltissimo alle casse dello Stato perché figuravano sempre in missione a Roma. I pm, pur avendo iscritto il generale Bardi, ritengono che la talpa vada individuata a Roma.
E studiano con attenzione il verbale della testimonianza dell’imprenditore Luigi Matacena. Nonostante il suo nome fosse iscritto nella lista Falciani, quella dei correntisti sospettati di evasione fiscale, Matacena era in ottimi rapporti con i comandanti delle Fiamme gialle. “Effettivamente ho pagato, nell’autunno di quest’anno (in occasione della partita di calcio di andata Napoli – Milan) , un pranzo al Ristorante Mattozzi a cui hanno partecipato il Generale Bardi, il Generale Adinolfi con la moglie, il Generale Grassi, il Generale Zafarana, l’ex ufficiale della Guardia di Finanza Stefano Grassi (oggi alle Poste), il dott. Galliani, amministratore delegato del Milan, con una accompagnatrice e un suo amico (…) in quell’occasione io ho anche regalato a tutti i signori menzionati (ufficiali della Guardia di Finanza e non) dei gemelli comprati da Marinella e per le signore un Fular sempre di Marinella. Pagai io il conto che venne a costare meno di mille euro”. Poi Matacena ha aggiunto: “Conosco, oltre al Generale Bardi, anche il Generale Adinolfi con i quale mi do del tu”.