giovedì 2 febbraio 2012

La Guardia di Finanza smaschera 266 finti poveri.







Sono 574 i truffatori di denaro pubblico denunciati dalle Fiamme Gialle nel 2011  che ha accertato danni erariali per oltre 37 milioni 

Dai falsi poveri alle truffe al servizio sanitario nazionale, fino alle imprese che richiedono contributi ma che poi simulano ristrutturazioni aziendali. Sono 574 i truffatori di denaro pubblico scoperti e denunciati nel 2011 dalla Guardia di Finanza del Piemonte che ha accertato danni erarali per 37,2 mln, scoperti illeciti finanziamenti comunitari e nazionali per 6,6 mln di euro e smascherato 266 finti poveri che beneficiavano di aiuti statali.

"La tutela della spesa pubblica è una missione di fondamentale importanza per il Corpo, pari all'azione di contrasto all'evasione fiscale - sottolinea il comandante regionale Piemonte della Guardia di Finanza, generale Carlo Ricozzi - perchè ha l'obiettivo di salvaguardare il corretto impiego dei fondi pubblici per evitare che preziose risorse vadano disperse o diventino preda di truffatori, a svantaggio delle politiche di sviluppo".

In particolare, nello scorso anno sono stati eseguiti 79 interventi d'iniziativa o su delega della Corte dei Conti che hanno consentito di far emergere sprechi per 37,7 milioni di euro, segnalando alla Procura regionale 114 persone.



http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/02/02/news/la_guardia_di_finanza_smaschera_266_finti_poveri-29200408/

Una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti. Il Fatto Quotidiano raccoglie le firme.



Il gruppo parlamentare del Pd ha espulso all’unanimità il senatore Luigi Lusi che ha confessato di aver svaligiato la cassa della fu Margherita e ha provato a patteggiare 1 anno per appropriazione indebita, ma fortunatamente la Procura di Roma ha risposto picche perché la pena è “incongrua”. Vedremo quale congrua la sanzione infliggerà a Lusi la mitica Commissione di garanzia del Pd (quella che è riuscita a non espellere nemmeno Penati, accontentandosi della sua autosospensione). 

Ma, quale che sia la punizione, i partiti non possono cavarsela così. Il vero scandalo non è quel che ha fatto Lusi, ma il sistema che l’ha reso possibile. Lo scandalo sono i partiti morti che restano in vita solo per incassare i rimborsi elettorali, che seguitano ad affluire anche se i partiti non esistono più e dunque non corrono alle elezioni. Lo scandalo sono i rimborsi assegnati per cinque anni anche se la legislatura ne dura due. Lo scandalo sono i “rimborsi” stessi: finanziamenti pubblici mascherati, in barba al referendum del ’93, che non coprono le spese sostenute dai partiti per le campagne elettorali, ma vengono assegnati “a prescindere”, senza l’ombra di una pezza d’appoggio. 

Infatti i partiti spendono 1, incassano 4 e il resto di 3 lo mettono in banca,o lo investono in speculazioni immobiliari o finanziarie in Tanzania (vedi Lega)oppure se lo intascano (vedi Lusi). Insomma regna la più assoluta anarchia, dove ciascuno fa quel che gli pare senza che nessuno controlli nulla. A giudicare su eventuali irregolarità è il “foro domestico” delle commissioni parlamentari: e lì una mano lava l’altra. Nel 2008 i revisori dei conti di Camera e Senato, esaminando i rendiconti dei partiti sui “rimborsi elettorali” 2006, stabilì che erano quasi tutti irregolari. Ma non accadde nulla e non pagò nessuno. Eppure si tratta di soldi pubblici (e parecchi: 1 miliardo a legislatura). 

E’ dal 1948 che si attende una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti (il primo a proporne una fu don Luigi Sturzo), che li obblighi a rispondere della loro gestione patrimonial-finanziaria e del rispetto della democrazia interna (tesseramenti, congressi, candidature, gruppi dirigenti, organi di garanzia), con regole severe e sanzioni efficaci. In Germania il partito neonazista Npd è praticamente fallito perché il Bundestag gli ha sospeso il finanziamento pubblico (300 mila euro) e gli ha affibbiato una supermulta di 2,5 milioni (nel 2006 gliene aveva appioppata una da 1,7 milioni) per gravi irregolarità contabili che hanno pure portato in carcere l’amministratore. 

Da oggi, sul sito del Fatto, raccogliamo firme per proporre una legge analoga anche in Italia, basata sui seguenti principi irrinunciabili.

1. I rimborsi elettorali non possono superare un certo tetto e devono essere erogati solo a fronte di fatture e ricevute che documentino le spese effettivamente sostenute in ogni singola campagna elettorale.

2. I partiti possono ricevere finanziamenti da imprese o soggetti privati (non da società pubbliche o miste), purchè li registrino a bilancio e li dichiarino sul sito internet delle Camere quando superano la soglia dei 5mila euro l’anno (quella vigente prima del colpo di spugna del 2006, che la elevò addirittura a 50 mila).

3.Chi riceve contributi da aziende pubbliche o miste di qualsiasi importo, oppure da aziende o soggetti privati superiori ai 5 mila euro senza denunciarli, commette reato di finanziamento illecito. Ma incorre anche in sanzioni amministrative (affidate non più all’”autodichia” delle Camere, ma alla Corte costituzionale): per il singolo parlamentare, l’immediata decadenza dal mandato e la perpetua ineleggibilità e interdizione dai pubblici uffici; per il partito, che risponde per responsabilità oggettiva anche in caso di condotte infedeli dei suoi amministratori, una multa salata e la revoca di tutti i rimborsi elettorali relativi all’ultima campagna. In queste ultime sanzioni incorrono anche i partiti che non rispettano le regole di democrazia e trasparenza interna.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/01/proposta-legge-responsabilita-giuridica-partiti-fatto-quotidiano/188287/

Libertà su Internet, la Camera boccia l’emendamento Fava “bavaglio al web”



Il regolamento prevedeva che qualsiasi soggetto interessato, e non solo la magistratura, poteva chiedere la rimozione di contenuti online giudicati “illeciti”. Ma la battaglia in Rete ha dato i suoi frutti: Tranne la Lega nord, tutte le forze politiche hanno votato contro.


Censura a Internet? Prego, ripassare un’altra volta. E’ questo il senso del voto di oggi alla Camera che ha respinto l’emendamento alla legge comunitaria ribattezzato “bavaglio al web” presentato dal parlamentare della Lega nord Giovanni Fava. Con l’eccezione del Carroccio che ha espresso il suo sì, il regolamento è stato respinto da una maggioranza che farebbe impallidire anche quella che sostiene il governo Monti. Hanno votato contro Pdl, Idv, Fli, Api, Pd e Udc.

Ma cosa proponeva l’emendamento Fava? Secondo il regolamento, qualsiasi soggetto interessato avrebbe potuto chiedere ai provider la rimozione di un post o l’oscuramento di un sito qualora i contenuti fossero giudicati illeciti dal richiedente. Ora come ora un contenuto pubblicato su Internet può essere rimosso solo con un intervento della magistratura. Se la legge fosse passata, questo diritto si sarebbe esteso di fatto a chiunque, anche arbitrariamente, considerasse un qualsiasi contenuto “illecito”. Sorvolando sulla vaghezza della definizione “illecito”, l’emendamento avrebbe provocato un vero e proprio ingolfamento di moltissimi siti a cominciare da Google, Facebook e ovviamente Youtube. Ma c’è di più: tale normativa sarebbe stata in aperto contrasto con le direttive europee che prevedono la neutralità dei provider e dei fornitori di servizi su Internet.

Nonostante il “no, grazie” ricevuto dall’Aula, il padrino del “bavaglio al web” non ha nessuna intenzione di arrendersi. “Non mi fermo qui, vado avanti. Da qui a fine legislatura mi riprometto di trovare una soluzione”, ha detto Fava dopo la doccia fredda che gli ha riservato Montecitorio.

Plaudono invece al voto della Camera le forze politiche che maggiormente si sono battute contro l’emendamento incriminato. A partire dall’Italia dei Valori. “E’ stata una battaglia per la democrazia – ha scritto Antonio Di Pietro sulla sua pagina Facebook – Alla Lega e Fava dico: giù le mani dal web, la libera informazione non si tocca”.

“C’è un problema di contraffazione che vale alcuni miliardi di euro all’anno”, ha ribattuto Fava sottolineando che il provvedimento era ispirato alla tutela della proprietà intellettuale su Internet. Il problema, come ha sottolineato il giurista Guido Scorza, era che in nome della difesa del copyright si sarebbe limitata pericolosamente la “libertà di manifestazione del pensiero online”.

Esattamente come è successo pochi giorni fa in America dove due disegni di legge – il Sopa e il Pipa – formalmente ispirati alla lotta alla pirateria, ma che in realtà andavano a colpire la libertà d’espressione, sono stati rimandati al mittente dal primo sciopero generale della Rete. Anche nel caso del “Sopa italiano” il contributo della Rete e il dibattito che n’è scaturito sono stati fondamentali per il voto parlamentare. La novità è che, per una volta, i nostri politici hanno ascoltato e fatto propri perplessità della comunità italiana online.

mercoledì 1 febbraio 2012

Il senatore si sente ancora forte. - di Alessandro Gilioli




Luigi Lusi girava in una Mercedes con l’autista, e oltre al consueto portaborse disponeva di una segretaria privata, pur non avendo alcuna carica nel partito (quello attuale, il Pd: la Margherita è sciolta dal 2007).


Sotto i 150 mila euro a botta muoveva i molti soldi di cui disponeva a piacimento, senza rendere conto a nessuno. Si era fatto una megavilla a Genzano – bel posto – e una casa in Canada.
Nella ‘legge mancia’ aveva ottenuto un altro milione di euro per il piccolo comune abruzzese di cui è sindaco il fratello.
Si era battuto come un leone per condonare al suo e agli altri partiti oltre cento milioni di euro di multe per i manifesti illegali.
Aveva perfino ottenuto un emendamento ad personam per la moglie chiropratica nella finanziaria del 2008.
Eppure «godeva della piena fiducia dell’ex gruppo dirigente della Margherita», quello che ora sta nel Pd o altrove ma comunque in Parlamento e comunque adesso cade dal pero: Rutelli, Franceschini, Bindi, Fioroni, il giovane Letta, tutta gente che faceva parte di un «organismo di verifica dei conti» che non si è mai riunito.
Quindi non ha mai verificato un tubo: e neppure gli sorge il dubbio, agli ex capataz margheritini, che se non sono in grado di guardare i conti a casa loro difficilmente possono ottenere la fiducia dei cittadini per guardare quelli del Paese.
Ora Lusi sta mediando, pare: dei 13 milioni di euro fottuti dice che cinque sono finiti in tasse e altri cinque è pronto a restituirli al suo defunto partito. Se ne vuole tenere (almeno) tre.
Si vede che si sente forte, di quello che sa e che potrebbe dire. Ed è già curioso che i vertici del Pd non gli abbiano ancora chiesto di dimettersi da senatore.

Senatore Pdl compra e rivende un palazzo E in un giorno guadagna 18 milioni di euro.



Questa la storia esclusiva del tg di La7. Il 31 gennaio 2011 Riccardo Conti compra l'edificio dal fondo immobiliare Omega gestito dalla Fimit di Massimo Caputi per conto di Intesa San Paolo alla cifra di 26 milioni e mezzo di euro e lo rivende all'istante all'ente di previdenza degli psicologi a 44 milioni e mezzo che con l'Iva al 20% diventano alla fine 54.


Il palazzo dell'Enpap in via della Stamperia 64 a Roma
Nel giorno in cui la politica si infiamma intorno al caso del senatore del Partito democratico Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, che ha girato sul suo conto i fondi destinati ai rimborsi elettorali (leggi), il tg diretto da Enrico Mentana scoperchia l’ennesimo pentolone. Si tratta dell’acquisto, il 31 gennaio 2011, della nuova sede dell’Enpap, l’Ente nazionale di Previdenza e assistenza per psicologi, da parte del senatore del Popolo della Libertà Riccardo Conti che nello stesso giorno riesce a rivenderlo guadagnando in una botta sola ben 18 milioni di euro.



Già, perché l’intero palazzo nel cuore di Roma, in via della Stamperia 64, che consta di oltre 3mila metri quadrati distribuiti su 5 piani più seminterrato a due passi dalla Fontana di Trevi, ha per così dire un “prezzo variabile”.  Infatti, spiega la giornalista Flavia Filippi nel servizio, esattamente un anno fa il costo del palazzo è cresciuto di 18 milioni di euro in un solo giorno. “E’ il 31 gennaio 2011 quando l’immobiliare “Estate due srl” di Brescia con amministratore unico il senatore Pdl Riccardo Conti compra l’edificio dal fondo Omega, fondo immobiliare gestito dalla Fimit diMassimo Caputi per conto di Intesa San Paolo alla cifra di 26 milioni e mezzo di euro e lo rivende all’istante, nello stesso giorno, all’ente di previdenza degli psicologi presieduto da un paio d’anni dallo psicologo Angelo Arcicasa a 44 milioni e mezzo di euro”, viene documentato nel servizio. Si tratta di 14mila euro al metro quadrato, troppo se si considera che, per quanto la zona sia di alto pregio, si tratta di un acquisto in blocco. Una cifra che, con l’iva al 20 per cento arriva per l’Enpap a 54 milioni di euro.

Il fondo Omega di Intesa San Paolo è stato costituito nel 2008 proprio allo scopo di “gestire e valorizzare nell’arco di un triennio le quasi 300 proprietà immobiliari del gruppo provenienti in parte dalle dismissioni delle filiali bancarie”. E se il fondo Omega è nato per valorizzare, perché – si chiede la giornalista – ha venduto il palazzo di via della Stamperia alla società immobiliare del senatore Conti a 26 milioni e mezzo di euro? E ancora: “Forse il fondo Omega ignorava che il giorno stesso il senatore Conti con la sua società immobiliare con il capitale sociale di 73mila euro e nessuna struttura organizzativa, avrebbe fatto il colpo della vita guadagnando 18 milioni dalla vendita del palazzo all’ente degli psicologi?” Un affare, conclude il servizio, ancora più vantaggioso se consideriamo che Conti lo conclude senza tirare fuori un euro di tasca sua e senza garanzie di alcun tipo per il venditore. Grazie alla benevolenza di Fimit infatti, la proprietà gli viene trasferita sulla parola. Conti verserà i primi 5 milioni di euro al venditore solo il 3 febbraio 2011, due giorni dopo averne incassati 7 dall’Enpap. Stessa formula per le altre tranche di pagamento. Quanto ai vertici dell’Enpap non potevano non sapere che il venditore, per l’appunto il senatore Pdl Conti, aveva comprato il palazzo da Fimit lo stesso giorno. E a un prezzo incredibilmente più basso.

“Dirottò rimborsi per 13 milioni sulle sue società”. Indagato ex tesoriere Margherita



Per i pm di Roma, dal 2008 al 2011 Luigi Lusi si è appropriato dei rimborsi elettorali e di alcuni finanziamenti del Pd. Il tutto senza che nessuno si sia accorto di nulla, a meno che l'accusato non stia coprendo qualcuno: su questo punto gli inquirenti vogliono vederci chiaro. E intanto Francesco Rutelli scarica l'ex responsabile delle casse margheritine e attuale senatore democratico.



L'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi
Per i pm di Roma, il tesoriere dirottava su società a lui riconducibili milioni e milioni di euro di proprietà del suo partito e usava quei soldi (tredici milioni dilazionati in novanta bonifici ‘sospetti’) per scopi personali, tra cui l’acquisto di una casa nel pieno centro di Roma. Il tutto, come se nulla fosse. Transazioni finanziarie non isolate, d’altronde, per un’azione andata avanti per ben due anni e mezzo, tra il gennaio 2008 e l’estate del 2011. E nell’arco di tempo in questione, il presunto ‘gabbato’ non si accorge di nulla. Possibile? E’ quanto vogliono stabilire i magistrati della Procura capitolina, che hanno iscritto nel registro degli indagati l’ex tesoriere della Margherita-Dl, e attuale senatore del Pd, Luigi Lusi per la presunta appropriazione di somme legate a rimborsi elettorali relative al partito di centrosinistra prima che confluisse nel Pd.

La somma non è stata ufficialmente confermata, ma dovrebbe aggirarsi attorno a 13 milioni. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna e diretta dal pm Stefano Pesci. Nei giorni scorsi – da quanto si è appreso – Lusi è stato già interrogato dai magistrati inquirenti ed avrebbe fatto alcune ammissioni. Oltre a Lusi, l’unico ad avere potere di firma per il trasferimento delle somme era Francesco Rutelli, già leader della Margherita-Dl. Ma l’attuale segretario dell’Api ha deciso di scaricare Lusi: assistito dall’avvocato Titta Madia, si è costituito parte offesa nel procedimento. “Abbiamo appreso con sconcerto, alcuni giorni fa, che il senatore Lusi aveva confessato innanzi all’autorità giudiziaria di essersi appropriato di ingenti somme di denaro di proprietà della Margherita-DL”, hanno affermato affermano in una nota congiunta Francersco Rutelli, Enzo Bianco Giampiero Bocci. “La notizia è incredibile per la personalità di Lusi, che ha goduto della massima stima e fiducia degli organi del partito, anche concorrendo a fare della Margherita un raro caso di partito con bilanci sani e in attivo. Ciò ci ha indotto a dare corso immediato a tutte le azioni giudiziarie come parte offesa e ad attivare gli accertamenti necessari per la verifica delle modalità dell’ammanco”. “Lusi ha quindi dato le sue dimissioni da tesoriere della Margherita-Dl – conclude la nota – ed ai magistrati procedenti ha manifestato la sua intenzione di restituire, in tempi brevissimi, le somme di cui si è appropriato e che sono nella sua disponibilità”.

Ecco la casa acquistata dal senatore Lusi

Il diretto interessato, però, racconta una storia diversa. O, meglio, si limita a dichiarazioni che offrono il fianco a varie interpretazioni. “Ho parlato con i giudici e mi sono assunto le responsabilità di tutto e di tutti” ha detto Lusi al Corriere della Sera. Chi sono quei ‘tutti’? L’ex tesoriere della Margherita preferisce tacere, così come sull’ipotesi di patteggiare la pena per quello che ha fatto. “Le dirò solo quel che qualunque tesoriere di un partito deve dire se succede qualcosa, e cioè che mi assumo ogni responsabilità”. Lusi ha coperto qualcuno? “La cosa che più mi sta a cuore, in questo momento, è la mia famiglia”. Lui non parla, il suo ex partito lo scarica e gli inquirenti cercano di capire se dietro la presunta appropriazione indebita ci siano altre ‘dinamiche’.

Intanto le reazioni sono di “sconcerto” come nel caso dell’ex Margherita e oggi deputato Pd, Pierluigi Castagnetti, che a ilfattoquotidiano.it dichiara anche: “Siamo parte offesa, vanno subito recuperate queste risorse, ho chiesto ad Enzo Bianco di convocare subito un’assemblea nazionale degli ex della Margherita”. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, è più cauto: ”Ci sono accertamenti in corso, noi non ne sapevamo niente e ora aspettiamo chiarezza. Se emergeranno responsabilità individuali, il Pd prenderà provvedimenti applicando le sue regole”.

Come ti svendo i beni comuni. - di Antonio Musella






Il decreto "CrescItalia" privatizza le municipalizzate. In passato ciò ha portato solo corruzione, peggioramento dei servizi e aumento delle tariffe. Come per l’acqua pubblica è necessario mobilitarsi - anche attraverso un nuovo referendum abrogativo - per difendere i nostri “beni pubblici”.


I professori del governo Monti c'hanno detto che dobbiamo rimettere in moto l'economia per uscire dalla crisi. I profeti della tecnocrazia all'italiana, quella con i poteri forti direttamente all'interno dei dicasteri strategici del governo nazionale, quelli che hanno costruito lo stato d'eccezione entro al quale si muove la governamentalità italica, ci dicono che per la ripresa dell'economia servono le liberalizzazioni. In base a questo assunto nasce il decreto CrescItalia, insieme di norme che incidono in maniera strutturale rispetto al governo del “pubblico” su temi e servizi assolutamente centrali. Mentre alcuni titoli del decreto interessano le corporazioni e gli ordini, l'attenzione che vogliamo qui riportare è sul Capo V quello che riguarda la “promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali”. L'articolo 26 del decreto CrescItalia apre ad uno stravolgimento strutturale rispetto alla gestione e l'erogazione dei servizi pubblici locali. I trasporti (su ferro, su gomma e via mare), la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, la gestione dei parcheggi, ed in generale tutti quei servizi che vengono gestiti dalle cosiddette aziende municipalizzate.

Occorre ricordare che la quasi totalità di queste aziende sono comunque delle strutture che rispondono al diritto privato. Dalle riforme di Treu, Bersani e Bassanini in poi, quindi dall'epoca del primo governo Prodi, i servizi pubblici locali sono gestiti dalle s.p.a che possono essere a capitale interamente pubblico oppure con la partecipazione dei privati, annoverandosi in questo modo nella categoria delle “partecipate”. La maggior parte di queste aziende nell'ultimo decennio sono state attraversate dai peggiori processi speculativi e di costruzione delle clientele politiche. Non è un caso che i principali scandali legati alla corruzione abbiano avuto come teatro di svolgimento proprio le aziende partecipate. E' il caso dell'ATAC e dell'AMA romane, con tutti gli amici di Alemanno ed i “corsari neri” neofascisti accasati nei consigli d'amministrazione e nei posti dirigenziali. Ma non solo, basta pensare alle vicende che in passato hanno attraversato l'ASIA (azienda di raccolta dei rifiuti) a Napoli, con il meccanismo dei subappalti ai privati, oppure altri casi, spesso poco noti come la Te.Am di Teramo in Abruzzo, i casi di corruzione nella pubblica amministrazione a Parma, di Torino con la vicenda AMIAT, solo per citare alcuni esempi

Proprio le cosiddette “partecipate” sono diventate in questi anni il nodo principale della corruzione in Italia. Sia come luogo di clientele, sia per quello che riguarda la gestione dei subappalti. In tutti i casi ciò che è stato penalizzato da quel processo messo in piedi dai governi di centro sinistra è stata la qualità del servizio pubblico offerto ai cittadini e le tariffe delle utenze.
Questa premessa è necessaria per inquadrare come l'articolo 26 del decreto CrescItalia interviene in maniera strutturale proprio sul tema dei servizi. In tempi in cui la definizione di bene comune viene spesso abusata ed è senza dubbio soggetto di una sperequazione in termini teorici e spesso di una speculazione in termini politici, appare necessario sottolineare che proprio i servizi pubblici come beni materiali ed immateriali possano annoverarsi in maniera corretta nel campo dei beni comuni.

Secondo il decreto l'erogazione dei servizi pubblici deve essere messa a gara entro il 2012 prevedendo anche dei limiti alla partecipazione societarie per gli enti locali. Si prevede anche la possibilità di un’unica gara per l'affidamento simultaneo per tutti i servizi pubblici. In pratica in una unica soluzione tutta la sfera dei servizi pubblici potrebbe essere svenduta alle multiutility in un solo giorno.
Alle imprese che si aggiudicano il servizio è richiesto, sempre dall'articolo 26, di presentare un piano delle economie. Tradotto e specificato significa che le imprese che partecipano alla gara per la gestione dei servizi pubblici devono presentare un piano per “l'efficientamento del personale”. In pratica esuberi, mobilità e licenziamenti.
Per i trasporti regionali su ferro è prevista una proroga di sei anni, al termine dei quali anche questo servizio dovrà essere messo a gara d'appalto.

Il solo modo per rinviare (ma di poco) l'appuntamento con la privatizzazione dei servizi pubblici locali, è quello di costituire delle società in house entro il 31.12.2012 che si propongano come gestori di quel tipo specifico di servizio per il bacino territoriale o ambito territoriale ottimale di competenza. In pratica un’azienda di trasporti a 100% di controllo pubblico può mantenere il servizio solo se si propone a gestirlo nell'intero bacino di utenza, magari l'intera provincia. Bisognerà verificare quanti e quali aziende e quanti e quali Comuni saranno in grado di far valere questa norma. La svendita, come detto, è solo rimandata al 2015. L'articolo 26 infatti ci dice che la gestione del servizio per l'intero bacino per società in house che si propongano come gestori del servizio nell'intero bacino può valere per soli 3 anni, trascorsi i quali il servizio dovrà essere messo a gara.

Siamo di fronte ad uno stravolgimento strutturale dei servizi pubblici. Un passaggio di una gravità enorme che non può passare sotto silenzio. A seguito della privatizzazione dobbiamo essere consapevoli che non potrà più esserci nessun controllo pubblico sulla qualità del servizio, sulle condizioni di lavoro degli operatori, soprattutto non ci sarà nessun controllo pubblico sul costo delle tariffe. In questo modo anche l'articolarsi di percorsi di conflitto rispetto ai servizi pubblici si scontrerà con l'annullamento della funzione di indirizzo delle istituzioni.
Difendere i servizi pubblici oggi può e deve essere terreno di investimento dei movimenti in difesa dei beni comuni. 

Innanzitutto bisogna rompere con la stagione delle s.p.a e delle società partecipate. I Comuni devono riacquistare le quote vendute ai privati nelle aziende che gestiscono i servizi. Il ruolo delle multiutility infatti prima ancora che a seguito della privatizzazione dei servizi viene agito già ora in termini speculativi con la partecipazione fino al 49% nelle aziende municipalizzate. Ci sono dei casi limite che godono anche di santificazione da parte di partiti politici come il Pd. E' il caso del ruolo di Hera in Emilia Romagna, multiutility che già controlla un pezzo importantissimo dei servizi pubblici nella regione di Errani e Bersani. Per questo bisogna lanciare una campagna per la trasformazione delle aziende partecipate, che sono delle s.p.a, in aziende pubbliche speciali come nel caso della trasformazione a Napoli della ARIN s.p.a in Acqua Bene Comune Napoli azienda speciale. Attraverso questo tipo trasformazione è possibile che la gestione dei servizi in house fino al 2015 possa servire per prendere tempo e preparare piani contro l'attuazione dell'articolo 26 del decreto CrescItalia. Ma fermare la norma del governo Monti non può che essere una battaglia popolare. Per questo l'ipotesi più plausibile resta quella del referendum abrogativo da presentare entro il 2015.

Per fare questo abbiamo però bisogno di lanciare da subito una campagna di lotta in tutto il paese. Già nei contenuti del referendum contro la privatizzazione dell'acqua vinto nel giugno 2011 esisteva l'esplicito riferimento all'intera sfera dei servizi pubblici. Il ritiro della norma del decreto CrescItalia che annullava l'esito referendario sull'acqua ha messo dunque al riparo solo la gestione del servizio idrico integrato.

Tanti sono gli articoli del CrescItalia che dovrebbero essere oggetto di approfondimento e di mobilitazione sociale. Ad esempio l'articolo 25 sullo smantellamento delle centrali nucleari che stabilisce la costruzione del Deposito Nazionale dei rifiuti nucleari e definisce le pratiche per la costruzione di questo mandandole in deroga alle normative vigenti fatta salva la Valutazione d'Impatto Ambientale.
Oppure l'articolo 44 che prevede l'ingresso dei privati in project financing nella costruzione delle carceri, unica risposta che il governo Monti sembra dare alle condizioni disumane in cui si vive nelle patrie galere. Ed ancora l'articolo 55 che dà la possibilità ai comuni di emettere obbligazioni per la costruzione di opere pubbliche dando in garanzia ai possessori dei titoli beni del patrimonio immobiliare di pari valore dell'opera. In caso di ritardi ci sarà una svendita a costo zero del patrimonio immobiliare dei comuni che verrà così sottratto alla pubblica utilità per finire nelle mani dei grandi speculatori.

In materia di sviluppo, fuori per quello che ci riguarda da ogni ipotesi tardosviluppista ed infarcita dal paradigma della crescita fordista, sarebbe interessante ragionare invece sulla proposta che Luciano Gallino ha lanciato suRepubblica, poi ripresa sul sito di MicroMega.

Un piano per le piccole opere che lo Stato potrebbe mettere in atto qualificandosi come datore di lavoro di ultima istanza. Un piano per affrontare temi seri che poco hanno a che fare con le speculazioni ed invece molto hanno a che fare con la difesa dei beni comuni: il riassetto idrogeologico del territorio, la ristrutturazione delle scuole e quella degli ospedali. Un piano da attuare attraverso un'Agenzia per l'occupazione trovando le risorse nella fiscalità generale attraverso una patrimoniale di scopo ed una quota degli ammortizzatori sociali sostituendo la cassa integrazione straordinaria con un lavoro vero pagato decentemente. Una proposta, quella di Gallino, che si coniuga bene anche con un’idea di riconversione ecologica complessiva delle attività produttive del nostro paese e che pone l'accento intorno alla difesa dei beni comuni, non come feticcio da agitare ma come piano d'azione concreto su cui mettere a valore il portato delle lotte sociali.

Proposte lontane dalle grandi opere che distruggono i territori come la Tav, che invece il governo dei professori vuole intendere come unico modo, insieme alle privatizzazioni, per uscire dalla crisi.




http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-ti-svendo-i-beni-comuni/