lunedì 6 febbraio 2012

Di Paola, non solo F35: pressioni anche per un altro aereo patacca. - di Carlo Tecce



Rocco Buttiglione spiega al Fatto: "Ho avuto impressione che intorno a quell'affare ci fosse un enorme giro di tangenti. Io ne fui testimone”.


L’Italia che ripudia la guerra, e accetta sacrifici e sobrietà, non rinuncia ai 131 cacciabombardieri F35 di fabbricazione americana: un mutuo nazionale di 14 anni che costa 15 miliardi di euro. Il governo ha tergiversato, promesso e ritrattato, finché l’ammiraglio, ministro per la Difesa, ha rimosso scrupoli e risparmi: “Sbagliato cambiare idea”. Non poteva smentire se stesso, nonostante le incognite tecnologiche che turbano gli americani e le ritirate strategiche di Australia, Norvegia e Danimarca. Il protocollo d’intesa (2002) indica la firma di Di Paola, all’epoca segretario generale al ministero nonché componente Nato.

Non è mai semplice per la Difesa sigillare operazioni miliardarie. E il ministro è protagonista di una seconda vicenda. L’’ex responsabile armamenti Di Paola, che conosceva la pratica per l’incarico che ricopriva (marzo 2001-marzo 2004), ricorderà il putiferio per l’adesione italiana al consorzio europeo – con investimenti totali per 25 miliardi di euro, di cui 8 a carico di Roma – per la costruzione di 175 Airbus A 400 M, un quadrimotore per il trasporto militare. A distanza di 11 anni, oggi, cadono le resistenze diplomatiche e le ritrosie personali, allora si può raccontare perché l’Italia deluse francesi e tedeschi. Quelli che aspettano la consegna del primo esemplare con 6 anni di ritardo, esordio previsto per il 2007 e rimandato al 2013: “Ho avuto impressione che intorno a quell’affare ci fosse un enorme giro di tangenti, io ne fui testimone, e così scrissi una lettera al presidente del Consiglio”, denuncia al Fatto Rocco Buttiglione, ministro per le politiche europee nel governo di Silvio Berlusconi che annusò per primo le maniere sporche.

Torniamo indietro con il calendario: fine 2001, inizio 2002. Il ministro per la Difesa è il professorAntonio Martino, tessera di Forza Italia numero 2. Martino ripercorre l’intricata vicenda nel libroPresidente, ci consenta di Angelo Polimeno: “Divento ministro l’ 11 maggio, il generale Rolando Mosca Moschini mi dice che l’indomani dovevo siglare l’accordo. Non sapevo di cosa si parlasse, e chiesi chiarimenti agli ufficiali che se ne occupavano”. Martino convoca Di Paola (e un generale): “Mi spiegano che si tratta di un aereo particolare per il trasporto, un prodotto di un progetto europeo. Domando: ‘Ci serve?’. Le loro risposte non mi paiono convincenti”. Non si fida, il ministro, e respinge le pressioni. Chiama il capo di Stato maggiore per l’Aeronautica, Sandro Ferraguti: “Generale, qui dentro siamo soli, mi spieghi se l’apparecchio è utile per le nostre esigenze”. Ferraguti è sincero: “Ministro, se me lo regalassero, non saprei cosa farne”.

Il governo annuncia di voler rivedere il progetto: protestano i Democratici di Sinistra, la Margherita, Alleanza Nazionale, un pezzo di Forza Italia e, soprattutto, il ministro Renato Ruggiero (Esteri). Passa un mese di violente polemiche, audizioni in parlamento, interrogazioni urgenti, riunioni segrete. In visita al salone aeronautico di Parigi, dove i francesi mostrano le innovazioni tecnologiche più raffinate, il 20 giugno 2001, l’ammiraglio Di Paola rassicura gli alleati: “Non c’è alcun mistero dietro la mancata firma del governo – riporta l’archivio Ansa – al memorandum di intesa sul nuovo aereo di trasporto militare realizzato da Airbus. Si sapeva che non si sarebbe firmato ora, ma spero che prima possibile, entro settembre, arrivi la firma. Speriamo sia una questione di settimane e non di mesi”. Il responsabile armamenti dimentica, però, che l’Italia aveva già stipulato dei contratti per noleggiare velivoli sostanzialmente identici seppur di vecchia generazione.

Il nervosismo dei ministri ammazza le speranze di Di Paola: il 25 luglio, in Commissione Difesa a Montecitorio, si rifiuta di commentare. Ruggiero parla per mezzo di comunicati ufficiali: “Il ministro difenderà fino in fondo le sue tesi: la partecipazione italiana è necessaria”. L’ex direttore per le relazioni internazionali di Fiat, che simboleggiava la tregua fra l’avvocato Agnelli e il Cavaliere, si dimetterà il 6 gennaio 2002. Dice Martino di Ruggiero: “Non aveva interessi personali, ma intorno a questa operazione c’erano ovviamente molte attese. La famiglia Agnelli avrebbe guadagnato qualcosa come mille miliardi di lire (500 milioni di euro, ndr)”. Servono 11 anni per scoprire perché l’Italia abbandonò quell’operazione, che succhia ancora milioni a 8 paesi europei. Nel Consiglio dei ministri decisivo, Martino indica l’onestà di Buttiglione, e un fallito tentativo di corruzione. Tutti sanno l’origine dei dubbi, nessuno, però, si rivolge ai magistrati. Il vicepresidente di Montecitorio Buttiglione ricostruisce l’episodio: “Una persona notoriamente vicina al governo francese, quando cominciai il mio mandato (e dunque a metà 2001, ndr), aveva iniziato un discorso non proprio impeccabile. Mi faceva intuire che fossero pronte cospicue offerte in denaro se avessimo sostenuto il consorzio per l’Airbus. A quel punto, interruppi il discorso. Ritenni mio dovere avvertire Berlusconi. In quei giorni circolavano voci sui modi poco trasparenti per coinvolgere nel progetto gli altri paesi europei. Ho avuto impressione che intorno a questa commessa ci fosse un enorme giro di tangenti. Quell’affare poteva compromettere i nostri rapporti diplomatici con alcuni alleati europei”. E così l’Italia ha risparmiato 8 miliardi di euro e un investimento pericoloso. Già nel 2002, in Germania, la Corte federale dei Conti giudicò eccessiva e costosa la commessa di 73 A 400 M pagati 8, 3 miliardi di euro. Con il tempo che s’è perso, la Germania con quei soldi potrà ricevere 60 esemplari.

La spesa complessiva supererà i 25 miliardi di euro: per l’esercito tedesco, il primo modello di A 400 M è in fase di collaudo, e ci resterà per tre anni. La commessa è fuori controllo: diminuisce la quantità, crescono i costi. Un problemino che riguarda pure il caccia F 35, che si vendeva a 80 milioni e adesso sfiora i 130. Prima di accendere un mutuo di 15 miliardi, forse Di Paola potrebbe rifletterci ancora un pochino.

Compravano gli yacht con i soldi pubblici. - di Marco Preve



Il sospetto dei finanzieri è che la truffa viaggi in barca a vela, o in motoscafo, gentilmente pagata dai soldi dei contribuenti. Per la precisione, quattro milioni di euro concessi da Sviluppo Italia Liguria a 47 presunti skipper che dichiararono di voler avviare un'attività imprenditoriale - tipo viaggi charter o whale watching - e per questo chiedevano alla società controllata dalla Regione i soldi per comprarsi la barca. Ma qualcuno potrebbe aver fatto il furbo portando sulla barca famiglia e amici.


Veri imprenditori del mare o la variante marinara dei furbetti del quartierino. La guardia di finanza di Genova ha aperto un´indagine su 47 proprietari di imbarcazioni da diporto di Genova e del resto della Liguria. Motoscafi e barche a vela acquistate con i quattro milioni messi a disposizione da Sviluppo Italia Liguria, l´agenzia controllata dalla Filse, la finanziaria della Regione. I soldi erano stati concessi a "nuovi imprenditori" che dichiaravano di voler intraprendere un´attività di skipper, per organizzare charter nel mar Ligure, mini crociere, whale watching, ma dopo alcuni accertamenti, ai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria è venuto il dubbio che qualche yachtsmen si sia semplicemente fatto la barca per passarci i week end con la famiglia e gli amici. Grazie ai soldi pubblici. Due le direttive d´indagine: un´eventuale truffa aggravata, e poi un ipotetico danno erariale provocato da amministratori di società pubbliche che non hanno operato i controlli necessari sui destinatari dei fondi.

L´indagine delle fiamme gialle coincide, tra l´altro, con un periodo in cui la società presieduta da Cristina Battaglia, registra alcuni contenziosi con imprenditori che, dopo aver ricevuto la prima tranche di finanziamenti, si sono visti interrompere le rate - a loro dire senza un valido motivo - ritrovandosi così in una spirale debitoria di difficile soluzione. Qualcuno, come il signor Corrado Dipuccio ha addirittura creato un sito internet (sviluppoitalia. splinder. com) per denunciare la sua situazione.

Carlo De Romedis, amministratore delegato di Sviluppo Italia Liguria, da pochi giorni anche al vertice della struttura nazionale Italia Turismo, è stato denunciato da Dipuccio e lo ha a sua volta querelato sostenendo che i finanziamenti si sono interrotti, per lui come per altre persone, perché i nuovi imprenditori non avevano rispettato i termini dell´accordo. 
Ma chi protesta contro Sviluppo Liguria lo fa sottolineando anche un aspetto paradossale. De Romedis, l´uomo che ha deciso centinaia di finanziamenti, valutando la solidità e serietà dei progetti che gli venivano presentati, ha subito quattro condanne definitive per reati che vanno dalla bancarotta fraudolenta, all´evasione fiscale. «Sono tutti fatti relativi a una sola vicenda - chiarisce De Romedis - , il crack a metà anni ?80 delle assicurazioni Firs (uno scandalo che coinvolse nomi della politica e degli affari e Francesco Picciotto, businessman con amicizie mafiose, ndr) quando allora giovanissimo, avevo 25 anni, ricoprii una poltrona del cda per ragioni politiche. Una disavventura che ho soltanto subito e che mi ha procurato una condanna a un anno e due mesi per reati in continuazione ma con la non menzione sul casellario». In seguito, De Romedis ha lavorato come manager, e nel 2003 venne nominato dalla giunta Biasotti al vertice di Sviluppo Liguria. Incarico riconfermato dall´amministrazione Burlando.

Di recente il suo nome è apparso - ma senza alcun coinvolgimento diretto - in una controversa inchiesta su due fratelli accusati di usura. De Romedis avrebbe presentato alla coppia la loro futura presunta vittima. Un imprenditore, finanziato da Sviluppo Italia, che per altro pare avesse già uno scoperto bancario per centinaia di migliaia di euro. Per la vicenda dei finanziamenti per l´acquisto di imbarcazioni da diporto De Romedis dice: «Sono stato proprio io a sollecitare un´indagine a tappeto fornendo ai finanzieri tutta la documentazione necessaria, poiché temevo che qualcuno abbia simulato di essere uno skipper, mentre in realtà voleva solo farsi pagare la barca dai soldi dello Stato».



http://genova.repubblica.it/dettaglio/compravano-gli-yacht-con-i-soldi-pubblici/1636825

Salemi verso lo scioglimento per mafia. La richiesta già sul tavolo del Viminale. - di Rino Giacalone






Gli ispettori, nominati dall'ex ministro Maroni, hanno concluso il loro rapporto. L'iniziativa parte dal sequestro di beni ai danni di Pino Giammarinaro sospettato di legami con i clan. lo stesso che, secondo l'accusa, avrebbe fatto pressione sulla giunta governata da Sgarbi.


Gli ispettori nominati a giugno scorso dall’ex ministro dell’Interno Maroni, su richiesta del prefetto di Trapani Marilisa Magno, per compiere l’accesso agli atti del Comune di Salemi hanno concluso il loro lavoro. Un vice prefetto, un commissario di Polizia e un tenente dei carabinieri, hanno lavorato nei termini affidati, e la conclusione appena rassegnata è quella che l’amministrazione del sindaco Vittorio Sgarbi “è stata oggetto di infiltrazione mafiosa”. Sul tavolo del ministro Cancellieri, che ha sostituito Maroni al Viminale, è già giunta la richiesta di commissariamento per inquinamento mafioso, un documento che nella sua completezza è stato classificato come “riservato”.

Non è stato un lavoro semplice e lo dimostra la mole di documentazione che accompagna le centinaia di pagine di relazione, decine e decine di faldoni, diversi capitoli per ogni settore dell’amministrazione comunale salemitana. Gli ispettori hanno “fotografato” la realtà che era stata descritta dall’ordinanza di sequestro di beni – oltre 35 milioni di euro – che ha colpito l’ex deputato regionale della Dc (andreottiana) Pino Giammarinaro, imprenditore edile con la “passione” per la sanità (pubblica) da quando per un lungo periodo e prima di entrare all’Ars nel 1991, fu presidente di una delle Usl siciliane, quella di Mazara del Vallo.

Proprio una serie di circostanze indicate nell’ordinanza, si tratta dell’operazione condotta a maggio da Polizia e Finanza denominata “Salus Iniqua”, hanno condotto il prefetto Magno a chiedere la nomina di una commissione di accesso agli atti. Gli ispettori hanno certificato che Giunta e Consiglio comunale, i vertici della burocrazia, hanno subito pressioni e influenze nelle decisioni da prendere fuori da ogni contesto di democrazia e confronto, ma con un metodo tipicamente mafioso. Punto di partenza l’onorevole Giammarinaro. Tra le pagine della relazione anche una critica (nemmeno tanto sottaciuta) sul modo di amministrare la cosa pubblica: da una parte consulenze per migliaia di euro, dall’altra una serie di decreti ingiuntivi che giorno dopo giorno arrivano sul tavolo del segretario comunale perché l’amministrazione non riesce a pagare i propri fornitori.

Il “reality” show che Sgarbi ha messo su da quando è stato eletto sindaco e che ha portato in qualche occasione Salemi sul palcoscenico della mondanità internazionale, le “provocazioni” del critico d’arte, la cui verve, anche molto polemica, è ben nota, adesso sta conoscendo una svolta del tutto a sfavore di Sgarbi.Il critico d’arte approdò a Salemi candidandosi a sindaco proprio per volontà dell’on. Giammarinaro che nonostante una assoluzione dall’accusa di mafia nel tempo era rimasto sullo sfondo di tante indagini di mafia condotte nel trapanese, non a caso finendo sottoposto alla sorveglianza speciale. Circostanza che non gli ha impedito di continuare ad esercitare un ruolo politico ben preciso pur non ricoprendo alcun incarico. Sgarbi, eletto, ringraziò dal palco proprio Giammarinaro già in quella occasione difendendolo dalle accuse che gli giravano attorno. Più che la mafia a Sgarbi si è interessato ad attaccare l’antimafia, giungendo a sostenere che la mafia come organizzazione non esiste più, e comunque a Salemi non c’erano mafiosi, se non tali erano semmai coloro i quali avevano disseminato di pale eoliche il territorio, e arrivando a minacciare denunzie contro il questore Esposito per avere firmato l’ordinanza contro Giammarinaro e nella quale è chiamato in causa il ruolo accondiscendente a Giammarinaro da parte di politici, amministratori e consiglieri comunali.

Resterà deluso Sgarbi rispetto alla conclusione della commissione. All’indomani della nomina infatti aveva dichiarato che “nessun atto della Pubblica Amministrazione è stato determinato dal benché minimo intervento o sollecitazione esterna”. La relazione sostiene il contrario e conferma quello che c’è scritto nel rapporto “Salus Iniqua”, “e cioè che la presenza di Pino Giammarinaro – soprannominato dai suoi amici ‘Pino Manicomio’ – all’interno del Comune di Salemi era garantita da funzionari e politici”. I “fidati” dell’onorevole vengono indicati in un rapporto dei Carabinieri di Salemi: cominciando dal segretario generale del Comune Vincenzo Barone e dall’ex direttore di ragioneria Gaspare Manzo, passando per diversi assessori e consiglieri comunali. In diverse intercettazioni risulta come Giammarinaro, sebbene privo di ruolo politico e amministrativo ufficiale, venisse quotidianamente consultato sui problemi politici e del Comune. Circostanza confermata anche dall’ex assessore e famoso fotografo Oliviero Toscani e anzi indicata come motivo delle sue dimissioni. Il noto fotografo ha definito “mafioso” il “contesto territoriale” in cui lavorava. “Giammarinaro partecipava e assumeva decisioni senza averne alcun titolo”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/05/comune-salemi-verso-scioglimento-mafia-richiesta-tavolo-viminale/189246/

domenica 5 febbraio 2012

Nevica anche a S. Martino delle Scale.



La montagna innevata davanti casa mia.



Expo, fischi e urla contro Formigoni.


Il presidente della Regione allo spettacolo «La Darsena ritrovata. Le Vie d’Acqua»: «Evitiamo ogni faziosità, rovinerebbe Expo».

Roberto Formigoni (foto Marmorino)

MILANO - Inizia tra i fischi lo spettacolo «La Darsena ritrovata. Le Vie d’Acqua» al teatro Dal Verme, voluto da Expo Milano 2015 racconterà ai cittadini due importanti progetti per Milano e la Lombardia: la riqualificazione della Darsena e le Vie d’Acqua. Per presentare il progetto la registra dello spettacolo Andrée Ruth Shammah ha interrotto gli attori per dare la parola al commissario generale Roberto Formigoni. Una trovata, prevista dal copione, che però non è stata compresa dal pubblico, forse convinto che il presidente della Regione avesse imposto la sua presenza sul palco. Formigoni è stato così accolto dai fischi del popolo arancione. Urla e inviti come «Vai a casa», «buffone dimettiti» hanno accompagnato tutto il suo discorso.
Fischi a FormigoniFischi a Formigoni    Fischi a Formigoni    Fischi a Formigoni    Fischi a Formigoni    Fischi a Formigoni
Ha continuato fino alla fine il suo discorso e ha cercato di calmare gli animi: «Bisogna fare di Expo una grande opera comune per la quale serve la collaborazione di tutti», ma il pubblico non ha smesso di fischiare. La forte contestazione si è allentata soltanto qualche istante quando Formigoni ha ricordato la proficua collaborazione con il sindaco, lodando «l'opera intelligente di Giuliano Pisapia». Al suo nome il pubblico ha applaudito per poi riprendere a contestare il governatore fino all'arrivo in scena degli attori.
IL GOVERNATORE - Dopo il suo discorso, all'uscita dal teatro il governatore Formigoni ha commentato: «L'expo riuscirà soltanto nella misura in cui sarà un'opera corale. Le istituzioni si stanno sforzando di dare un'immagine di unità di Milano, della regione e del Paese: evitiamo ogni faziosità. Perché ogni faziosità rovinerebbe Expo».
LA REGISTA - Al termine della kermesse la Ruth Shammah ha confermato: «La mia interruzione era voluta ed era il modo per presentare Formigoni. Lo spettacolo è mio, io sono una super professionista e se qualcuno non capisce è un problema suo». I fischi a Formigoni? «Sono dei gran maleducati, c'è anche una civiltà delle diverse opinioni. Avrebbero potuto lasciarlo parlare e poi dicevano quello che volevano».
IL PADIGLIONE ITALIANO - Prima dello spettacolo, durante la conferenza stampa, in merito alla prossima nomina del commissario che realizzerà il padiglione dell'Italia all'Expo, Formigoni ha detto: «Il dialogo con il Governo prosegue serenamente, ho voluto condividere con il professor Monti anche la nomina per la realizzazione del padiglione italiano. Una scelta il più possibile condivisa, uno scenario condiviso con il premier, con cui stiamo perfezionando l'iter di approvazione».
ALBERTINI - «Disdicevoli»: l'ex sindaco di Milano, Gabriele Albertini, ha commentato così i fischi che Roberto Formigoni ha preso da parte del pubblico nel suo intervento allo spettacolo organizzato al Teatro Dal Verme. «Quelle - ha detto l'ex sindaco che era seduto in prima fila - sono le stesse persone che hanno applaudito alla frase del cardinale Martini sul fatto che dobbiamo imparare a vivere nella diversità, hanno fischiato Formigoni. Non credo che le due cose stiano insieme». Mentre, ha voluto evitare di commentare il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che è stato invece applaudito durante il suo intervento sul palco. «No, dai - ha detto ai giornalisti -. Commentate voi».
LA DARSENA E I NAVIGLI - «Questa è la volta buona», secondo il sindaco Pisapia, per riqualificare la Darsena: «Sono anni che se ne sente parlare, con decine e decine di progetti, ora il sogno diventa realtà», grazie a Expo 2015 che domenica mattina ha voluto raccontare ai milanesi come verrà ridisegnata Milano nei prossimi anni attraverso lo spettacolo «La darsena ritrovata. Le vie d’acqua». L’obiettivo è quello di aprire il bando di gara ad aprile-maggio e i lavori partiranno entro l’anno: «Dalla Darsena deve ripartire una Milano che si apre al mondo». Ricapitolando i costi del progetto Darsena - vie d’Acqua, 160 milioni di finanza pubblica e 15 di contributi privati, l’amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala ha spiegato come l’anello verde-azzurro di 125km «sia molto importante per la scoperta di tutto il territorio lombardo», dato che, partendo dal Naviglio arriva alle dighe del Panperduto riscendendo lungo il canale Villoresi. Un secondo aspetto importante del progetto delle vie d’Acqua, secondo Sala, è quello relativo al sistema irriguo: «Con un canale di 20km noi faremo rincontrare il Villoresi e il Naviglio a nord - ha spiegato - quindi c’è un forte concetto di servizio all’agricoltura. Non è solo scenografia, forniremo acqua ai terreni agricoli rinforzando e regolando il flusso d’acqua che arriva alla darsena». Bello e utile, secondo Sala, il progetto verrà comunicato ai cittadini a partire da aprile con sistemi anche multimediali installati proprio in Darsena, «che spieghino a tutti cos’è e cosa diventerà».

Quando Ligresti chiese un miliardo al pretore che indagava su di lui. - di Gianni Barbacetto



La storia del Pm Dettori. Nel 1985, quando era pretore, fece sequestrare le aree dell'immobiliarista e viene denunciato. Il caso era quello delle "aree d'oro" di Milano. Per il magistrato passeranno anni prima di liberarsi dal peso del ricorso miliardario.





Attenti all’effetto Dettori. Lui, Francesco Dettori, l’ha vissuta sulla sua pelle, la “responsabilità civile” del magistrato. Oggi è procuratore della Repubblica a Busto Arsizio e ha poca voglia di raccontare la sua storia. Ma alla fine degli anni Ottanta ha rischiato di dover pagare di tasca propria un miliardo di lire, che gli era stato chiesto da un suo indagato eccellente e dalle spalle larghe: Salvatore Ligresti. Ha vissuto anni di incubo e ha dovuto subire perfino un precedimento disciplinare. Poi tutto si è risolto: “Ma che paura. Ho una sola proprietà, la casa in cui vivo. E per anni ho temuto che potessero portarmela via”. Tutto per aver fatto soltanto il suo dovere.

Nel 1985 scoppia a Milano lo scandalo “delle aree d’oro”: si scopre che Ligresti, immobiliarista allora ancora poco conosciuto, ma in ottime relazioni con Bettino Craxi e con gli amministratori socialisti dell’epoca, aveva sottoscritto con il Comune di Milano impegni poco trasparenti sull’utilizzo di alcuni terreni diventati edificabili. La città scopre di colpo che don Salvatore, arrivato dalla Sicilia senza capitali, era diventato in pochi anni “il re del mattone”, il più attivo degli operatori immobiliari sulla piazza. Stava costruendo le sue torri ai quattro punti cardinali della città. Scattano i controlli dei suoi cantieri, ordinati da Francesco Dettori, allora giovane ma già esperto pretore specializzato in reati urbanistici. Nell’aprile 1987 il magistrato visita di persona il grande complesso che Ligresti sta costruendo in via dei Missaglia, a sud di Milano. Controlla anche le torri in costruzione in via Tucidide, nella zona dell’aeroporto di Linate. Mette i sigilli e pone sotto sequestro cinque cantieri. Raccoglie una montagna di documenti. Interroga una folla di testimoni.

TRA I CANTIERI sequestrati, anche quello di via Tucidide. Ligresti fa ricorso. Il tribunale della libertà conferma i sigilli. Ligresti ricorre di nuovo: la Cassazione nel 1988 gli dà ragione e ordina il dissequestro di parte del complesso, i vecchi edifici della Richard Ginori ristrutturati dall’immobiliarista siciliano, escludendo che sia stato commesso il reato di lottizzazione abusiva. A questo punto iniziano anni da incubo. Ligresti chiede a Dettori il risarcimento di un miliardo. È l’effetto del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati promosso nel 1987 da radicali e socialisti. Ligresti si trova in buona compagnia. A chiedere risarcimenti milionari ai loro giudici non ci sono cittadini inermi, vittime delle macchinazioni di magistrati arroganti, ma potenti decisi a proseguire il loro match con la giustizia fino all’ultimo round: don Giovanni Stilo, il prete di Africo amico dei boss della ’ndrangheta; Nicola Falde, ex direttore del periodico di Mino Pecorelli Op;Wilfredo Vitalone, l’avvocato arrestato dopo la morte del banchiere Roberto Calvi…

IL CALENDARIO aggiunge un problema che per Dettori rischia di diventare insormontabile: il caso vuole che il pretore abbia firmato l’atto di sequestro del cantiere di via Tucidide proprio nella settimana in cui la vecchia legge sulla responsabilità civile dei magistrati è decaduta, abrogata dal referendum; e quella nuova non è ancora entrata in vigore. Quella settimana di confine non è coperta dall’assicurazione che Dettori, come tanti suoi colleghi, ha subito stipulato per tutelarsi da spiacevoli “incidenti sul lavoro”. Il miliardo, dunque, dovrà essere pagato di tasca sua. Non basta. L’allora ministro di Grazia e giustizia, il socialista Giuliano Vassalli, getta sulle spalle del pretore che aveva osato sfidare Ligresti un peso ulteriore: un procedimento disciplinare, aperto subito dopo aver ricevuto un esposto in cui Dettori criticava la sentenza della Cassazione che annullava il suo provvedimento di sequestro. Negli anni seguenti, in effetti, la Cassazione sui reati urbanistici cambierà orientamento. Intanto a difendere il magistrato davanti al Consiglio superiore della magistratura arriva Edmondo Bruti Liberati, oggi procuratore della Repubblica a Milano. Il Csm deciderà di proscioglierlo.

PERÒ DETTORI viene trasferito dalla Pretura alla Corte d’appello e dovrà essere il Tar a dichiarare non valido il passaggio. E comunque è il miliardo di risarcimento a pesare come una spada di Damocle sulla sua testa. Per anni. Finche il giudice civile deciderà che a Ligresti nulla è dovuto. Un altro giudice, a cui Dettori si rivolge denunciando l’immobiliarista per lite temeraria, decide infine che è il magistrato ad avere il diritto di essere risarcito, con un simbolico milione di lire. L’incubo è finito. Ma oggi c’è chi lo vuole riaprire per tutte quelle toghe che fanno il loro dovere senza guardare la potenza di fuoco dei loro indagati.

sabato 4 febbraio 2012

La Svizzera indaga sul cartello dei tassi. Sospetti su dodici colossi bancari. - di Franco Zantonelli



L'antitrust elvetico sta cercando di far luce sui presunti accordi tra alcuni dei maggiori istituti di credito mondiali per prestarsi denaro a vicenda a interessi inferiori a quelli di mercato. "Un'intesa su larga scala, che presuppone responsabilità ai massimi livelli"

La Svizzera indaga sul cartello dei tassi Sospetti su dodici colossi bancari

LUGANO - Per quattro anni, tra il 2006 ed il 2010, un cartello di 12 banche avrebbe influenzato, traendone profitti illeciti, i tassi Libor e Tibor, quelli in base ai quali gli istituti di credito si prestano, reciprocamente, denaro, sui mercati di Londra e Tokyo. Lo ha scoperto, aprendo un'inchiesta in Svizzera, la Comco, la Commissione della Concorrenza, ovvero l'antitrust elvetico. Un'inchiesta che riguarda anche operazioni sul mercato dei derivati in quanto le banche, finite nel mirino della Comco, si sarebbero pure messe d'accordo sul prezzo d'acquisto e di vendita di questi prodotti, a condizioni vantaggiose per loro ma non per la clientela.

Questa nuova tegola sulla credibilità del sistema finanziario internazionale coinvolge, in modo trasversale, banche europee, statunitensi ed asiatiche. Alcune delle quali, tra l'altro, già pesantemente implicate nella vicenda dei subprime e, in taluni casi, salvate dal fallimento grazie a forti iniezioni di soldi pubblici. Parliamo di Ubs, Credit Suisse, Royal Bank of Scotland, Deutsche Bank, Hsbc, Rabobank,  Société Générale, Citigroup, JP Morgan, Sumitomo Mitsui Banking Corporation,  Bank of Tokyo-Mitsubishi  e Mizuho Financial. Che l'indagine dell'antitrust svizzero non sia campata per aria lo ha confermato, implicitamente, Ubs, affermando che la sta prendendo "molto sul serio" e assicurando "piena collaborazione".

"Le banche sotto inchiesta - ha rivelato un trader di Ginevra, al quotidiano elvetico Le Temps - avevano trovato il modo di prestarsi denaro, a un tasso inferiore a quello di mercato". E cioè al Libor e al Tibor. "In questo modo si sono intascate una cospicua sopravvenienza, visto che alla clientela praticavano i tassi stabiliti dai due indicatori ufficiali", dice ancora l'operatore finanziario ginevrino. Al riguardo va detto che, stando a un calcolo del Financial Times, il valore dei prodotti finanziari legati al Libor ammonta a 350 mila miliardi di dollari. Secondo un altro addetto ai lavori, invece, "nel 2008 le banche più indebolite dalla crisi, a corto di liquidità, erano arrivate a finanziarsi l'un l'altra, a un tasso fittizio, per non insospettire i mercati".

La Comco è venuta a conoscenza del cartello grazie a dei documenti, contenuti in diverse e mail, che le sono state recapitate, a quanto pare in forma anonima. Una delle ipotesi è che, ad inviarle, sia stata una banca rimasta fuori dal giro. "Avevamo informazioni sufficienti per aprire un'inchiesta", taglia corto Olivier Schaller, della Commissione della Concorrenza. Lo scandalo è, indubbiamente, di notevole portata, anche perché, come rileva Christian Bovet, decano della facoltà di giurisprudenza all'università di Ginevra, "siamo di fronte ad un'intesa su larga scala, che presuppone responsabilità ai massimi livelli, non all'azione di qualche trader isolato". E, come se non bastasse la cresta sui tassi di interesse, gli inquirenti elvetici sospettano, pure, accordi sotto banco sui prezzi d'acquisto e di vendita dei prodotti derivati. Al riguardo va detto che, lo scorso anno, una vicenda del genere è costata una pesante sanzione, ad Ubs, in Giappone.



http://www.repubblica.it/economia/finanza/2012/02/04/news/la_svizzera_indaga_sul_cartello_dei_tassi_sospetti_su_dodici_colossi_bancari-29324702/