I turbamenti dell’età adolescenziale sono come le tempeste di sabbia: violenti, improvvisi,assurdi ed a volte incresciosi e strazianti e, come durante una tempesta di sabbia, occorre cercare e trovare un rifugio da cui guardarli dal di fuori per capirne i motivi, guidarne l’evoluzione, assicurarsi che non lascino cicatrici a deturpare la vita futura. Tutti siamo stati ragazzi, tutti siamo stati spersi nel mare infinito delle curiosità e desiderosi di approdare a quel porto rassicurante del “sentirsi grandi”; ognuno di noi ha provato quel senso di invidia per l’amica o l’amico di qualche anno più grande che ci sembravano essere padroni del mondo e liberi di gestirsi la vita liberati dai divieti dei genitori, dagli obblighi della morale, dalle restrizioni degli usi e dei costumi; nessuno di noi confesserà mai, nemmeno a sé stesso, che quell’aria di autonomia, quella ostentazione di estemporaneità e di estroversione a volte caratteristica di quell’età, quell'aria di sfida sempiterna all’altrui rivolta nascondevano, sempre e per ognuno, un senso di paura per la vita in divenire ed una qualche forma di riservatezza timida e pudica, quale che ne fosse la genesi e la casuale manifestazione spaziale e temporale. Tutti, gestazione dell'uomo che saremmo diventati, abbiamo avuto la certezza di essere in qualche modo differenti dagli altri e, per questo, sentito il bisogno di uniformarci ai più per sentirci rassicurati nel nostro crescere a quella meta così desiderata e così pregna, poi, di accadimenti, ma non avremmo nemmeno potuto immaginarlo, da farci spesso dimenticare chi eravamo, cosa volevamo, dove ambivamo arrivare.
Spesso ho ascoltato persone affermare: “ … se avessi avuto allora l’esperienza che ho adesso … “ e, d’istinto, ho pensato di essere d’accordo; ed infatti, pensate a quante cose nella vita di ognuno e nel mondo sarebbero diverse se al momento della crescita ciascuno avesse quell’esperienza derivante dai dolori, dagli errori, dalle delusioni come dalle gioie, dalle vittorie e dai successi vissuti nel corso degli anni; ma, riflettendoci poi a mente fredda, si giunge all’amara conclusione di come questo vorrebbe dire che si sarebbe stati, tutto e tutti, frutto di una gestione programmata del divenire assoluta e dipendente ed affatto libera nel suo articolarsi ad ogni momento dell’essere; non ci sarebbe il probabile ed il possibile sconfitti all’origine dal certo e dall’ineluttabile; non ci sarebbe nemmeno la speranza e la sorpresa perché, per quanto ignoto, il futuro sarebbe comunque un susseguirsi di causa ed effetto, l’una e l’altro, giocoforza obbligati al binario della consequenzialità e del lapalissiano. In una sola affermazione: non ci sarebbe la gioventù e la gioia di vivere!
“ … ‘e figlj’ sò piezz‘e cor’ … “ si dice a Napoli; ma pur sentendola razionalmente e filosoficamente perfetta, questa affermazione mi sembrerebbe molto più completa se al termine figli si sostituisse la parola “uagliun’ “ (ragazzi dai 10 ai 16/17 anni) ad individuare quei protagonisti della società civile che nel loro crescere e diventare uomini o donne abbisognano di ogni tipo di cura e di affetto, di insegnamento e di severità, di dolcezza e durezza affinché l’evolversi di ognuno non sia in un qualche modo macchiato da errori indelebili o da masochistici deragliamenti dal giusto cammino quotidiano: i ragazzi, soprattutto in questa società mediata e mediatica non si possono e non si devono, quindi, lasciare a sé stessi ed una nazione, un paese, uno stato ed il suo governo che costringa i ragazzi o costringa i loro genitori a vivere in un contesto colpevole di questo abbandono sono per dogma INDEGNI e COMPLICI COLLUSI del loro, per questo, incerto futuro.
L’articolo 3 della nostra Costituzione cita testualmente : “ … È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.“; ditemi, a voi sembra che nel tagliare la scuola, la sanità, la spesa sociale in genere a tutto danno delle persone meno abbienti e quindi dei loro figli sia un rimuovere gli ostacoli? A me sembra l’evidente espressione del contrario e quindi, se così è, perché se mi muovo per abbattere questo stato traditore di sé stesso e dei suoi doveri sono io il colpevole?; ma, ditemi, perché nessuno più si preoccupa più della propria progenie?; ed ancora, cosa fanno quelle madri che nell’avvicinarsi del Natale pur si affannano, a volte al costo di sacrifici enormi, a preparare un qualsivoglia regalo per i propri figli?; ed i padri? … sotto l’albero non fate che ci siano solo inutili regali, fate in modo che cominci ad esserci anche IL FUTURO DEI VOSTRI FIGLI, perché se non ci pensiamo Noi, nessuno lo farà.
NESSUNO!.