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domenica 29 maggio 2016

Caso Maro', insulto dunque sono. -

La famiglia di uno dei due pescatori uccisi
Tutto è possibile in politica internazionale, anche il prolungamento dell’agonia dei singoli esseri umani protagonisti di una vicenda legale che nasce dalla competizione d'immagine tra Stati sovrani. E’ infatti sempre più chiaro che il caso dei due maro’ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone esula dalle circostanze che hanno portato allo scontro tra Stati cominciato oggi ad Amburgo presso la Corte Internazionale, dove in ballo c'è apparentemente il diritto dell’Italia di far giudicare da tribunali terzi i suoi soldati, accusati dalla magistratura indiana di duplice omicidio.
Un dato di fatto è che le accuse e le parole dure reciproche usate oggi dai rappresentanti legali di Delhi e Roma sono in contrasto con le regole di bon ton diplomatico sulle quali si basavano le relazioni precedenti al drammatico episodio del febbraio 2012, quando vennero uccisi due pescatori del Kerala mentre nelle vicinanze navigava la petroliera italiana dalla quale sarebbero partiti i colpi letali.
Fino a quel momento gli scambi culturali e quelli commerciali italo-indiani sembravano viaggiare, se non a vele spiegate, in un crescendo di accordi e interscambi proficui, non ultima la fornitura a Delhi di elicotteri Augusta della Finmeccanica, poi bloccata per i sospetti di corruzione emersi – è cosa nota – proprio nei giorni della polemica sull’arresto dei due marines in Kerala.
La Enrica Lexie prima di cambiare nome
La Enrica Lexie prima di cambiare nome
Due governi democratici non devono necessariamente scambiarsi dei convenevoli, ma i loro leader dovrebbero considerare i pro e i contro del mettersi a litigare come comari di villaggio lanciandosi insulti piuttosto che esporre posizioni ragionate e ragionevoli sulla base delle regole create proprio per dirimere le controversie. In entrambi i Paesi esistono elementi - singoli e gruppi d'opinione - poco propensi al dialogo, ma sono le ambiguità alimentate dai vertici degli Stati ad accrescere gli umori di anti-italianismo e anti-indianismo, le cui conseguenze possono essere varie e spiacevoli. Di certo dalla confusione di un’opinione pubblica disinformata non esce mai nulla di buono e nessuno presenta l’oggetto dell'arbitrato presso la Corte di Amburgo per quello che è: non una battaglia legale per dimostrare l'innocenza o meno degli imputati, ma la disputa sulla giurisdizione del caso, ovvero stabilire se la morte dei pescatori sia avvenuta o meno in acque internazionali.
Poiché la polemica viaggia da anni su diversi livelli non solo legali, ci si potrebbe cominciare a chiedere perché l’Italia non abbia proposto subito l’arbitrato di Amburgo (senso di colpa, tentativo di ricucire alla buona attraverso canali non diplomatici?), e perché l’India abbia deciso fin dal primo momento di accollarsi la responsabilità del giudizio anche nel dubbio della competenza giurisdizionale (clima elettorale infuocato nel Kerala dove è avvenuto il fatto, manovre in atto contro Sonia Gandhi l’italiana?).
Sappiamo che il governo italiano non solo ha cercato di trattare sottobanco con l’India per riportare a casa subito i due maro’ (e in diverse circostanze è pure riuscito a ottenere concessioni come il trasferimento temporaneo in patria di uno o entrambi i soldati), ma ha anche offerto e pagato una compensazione alle famiglie dei pescatori uccisi, mossa letta dall’India come ammissione di colpevolezza.
colosseo maro'Se i due governi avessero voluto una soluzione efficace e incontestabile da parte delle rispettive infuocate opinioni pubbliche nazionali, potevano concordare insieme di rivolgersi ad Amburgo e non trovarsi separati da un’animosità che non è degna di due Paesi di grande tradizione e cultura del diritto. Non avendo scelto fin da subito la strada consensuale dell'arbitrato, il caso Maro’ non è ormai sola materia di codici, ma di supremazia dei rispettivi ego patriottici, qualcosa di inafferrabile ai più, eppure estremamente importante per chi si imbeve di orgoglio nazionale e nazionalistico che prescinde per definizione dal buon senso.
Gli Stati Uniti (che pochi mesi fa hanno avuto un breve scontro diplomatico con l'India dopo l'arresto a New York di una diplomatica di Delhi, risolto in pochi giorni proprio usando la testa e non le viscere), l’Unione sovietica e le sue ex repubbliche, la Cina e i vicini sud-asiatici, molti Paesi sudamericani, africani e del medio oriente, tutti hanno incontrato oppure ospitato nell'ultimo anno il nuovo premier indiano Narendra Modi per farci affari insieme. Perfino il premier pachistano Nawaz Sharif ha più volte stretto la mano al "nemico" di sempre, anche se gli eserciti si sparano ancora ai confini e muoiono quasi ogni giorno soldati di entrambi i fronti.
Invece in Europa, durante il suo tour dello scorso aprile, Modi è stato accolto solo dalla Francia e dalla Germania, mentre la tappa di Bruxelles venne letteralmente fatta saltare all’ultimo momento. All’origine del mancato incontro ci sarebbe stata, secondo alcuni, l’opposizione della nuova neoministro degli Esteri comunitaria, l'italiana Federica Mogherini. Anche se altri fattori possono aver contribuito a quella decisione, che non ha portato e non potrà portare niente di buono nel lungo termine, la posizione pregiudiziale italiana ha fatto sì che l’intera Unione europea si schierasse almeno formalmente a favore del nostro Paese nel contenzioso sui maro’.
Federica Mogherini
Federica Mogherini
Se cio’ ha alimentato in alcuni la convinzione di essere nel giusto, è un fatto che una questione di principio è stata letteralmente messa davanti al più vasto interesse generale, che è quello di accrescere il benessere e le opportunità di interscambio tra le economie europee e un grande Paese emergente come l’India. Infatti ad aprile quando nazioni leader della UE quali la Francia e la Germania hanno ricevuto Modi, sono state poste da Hollande e Merkel le condizioni per la firma di lucrosi contratti commerciali a dispetto delle posizioni di principio e dei comunicati stampa di Bruxelles.
Certo, noi italiani siamo un popolo di romantici che vive di ideali di giustizia, poco importa se il clima sfavorevole verso l’India e viceversa puo’ danneggiare le nostre imprese. Eppure il giorno dell’incidente all’origine di tutta questa controversia, l’armatore italiano della Enrica Lexie a bordo della quale viaggiavano Latorre e Girone ordino' al capitano di fare marcia indietro e attraccare la petroliera nel porto di Kochi per consegnare i due marines. Molti sostengono che cio’ avvenne a dispetto delle direttive della Marina militare italiana che fornisce le scorte aalle mostre navi-cargo nelle regioni a rischio; altri assicurano che fu la polizia militare indiana a imporre invece la consegna sotto la minaccia di ritorsioni.
Ma la realtà potrebbe essere ben più semplice e ovvia. L’armatore napoletano non voleva rovinarsi i rapporti con le autorità dell’India attraverso le cui acque e porti sarebbero passate altre decine di navi della stessa compagnia, la Fratelli d'Amato Spa. Infatti oggi la Enrica Lexie, con quel nome ormai infausto per ogni superstiziosa compagnia che va per mare, è stata riverniciata e ribattezzata Olympic sky, così da farla navigare inosservata e far dimenticare un episodio che in fondo sembra nascere da un terribile sbaglio di valutazione. Se davvero i marines hanno scambiato i pescatori per pirati, sarebbe bastato insistere su questo punto, chiedere scuse formali e passare oltre senza scatenare tutto questo putiferio. Del resto quale altro misterioso motivo poteva esserci dietro l’uccisione di due poveracci a bordo di una carretta del mare che non poteva far paura a nessuno? Per questo verrebbe da dire, con l’armatore napoletano, “scordammoce 'o passato...” e smettiamola di farla troppo lunga.
I figli di uno dei pescatori uccisi al funerale del padre
I figli di uno dei pescatori uccisi al funerale del padre
Le stesse audizioni dell’arbitrato internazionale potrebbero essere un’occasione eccellente per mettere a tacere le opinioni pubbliche dei due Paesi con una sentenza rispettosa delle rispettive giurisdizioni partendo dall'eventuale attenuante del delitto causato dall'errore umano. Ripristinare i rapporti ai massimi livelli andrebbe infatti a beneficio di tutti, considerando che le stesse famiglie delle vittime non chiedono nessuna vendetta, consapevoli del possibile malinteso all’origine del delitto dei loro cari. Ma la macchina da guerra dei consiglieri legali, professionisti ben pagati che hanno interesse ad allungare tempi e aggiungere complicazioni, è ben oliata dall’uso strumentale del processo da parte di politici con l’occhio rivolto al consenso elettorale più che alle soluzioni ragionevoli.
Di sicuro né il vecchio governo Monti, protagonista della prima fase confusa, né quello attuale di Renzi, hanno tratto e trarranno niente di buono dai reciproci toni offensivi. Men che meno  il resto dell'Italia e dell'India, trascinate loro malgrado in una vicenda che porta benefici unicamente a una manciata di legulei del diritto internazionale.

giovedì 4 settembre 2014

Prete risponde alla figlia del Marò: “Implora in ginocchio gli indiani e non dire stronzate”. - Adriana Costanzo

don giorgio de capitani

“Implora in ginocchio gli indiani e non dire più stronzate”, sono queste alcune delle parole rivolte a Giulia La Torre figlia del Marò ricoverato per ischemia da don Giorgio De Capitani. 
Il prete, ordinato Sacerdote nel 1963 non è nuovo a questo tipo di polemiche. Già in passato si era reso “negativamente” noto tanto da essere stato richiamato dalla Curia per le sue invettive contro Silvio Berlusconi a cui spesso augurava ictus e malattie, odio verso il politico di cui non faceva mistero sui suoi numerosi gruppi e pagine Facebook. 
È stato anche criticato per le sue posizioni sui soldati italiani morti durante la “missione di pace” in Afghanistan, definiti come dei mercenari e dunque indegni di essere chiamati difensori della patria. Ma l’ultima gaffe ha fatto davvero scalpore. Ecco il testo integrale della lettera:
A GIULIA LATORRE
Ho letto i tuoi commenti deliranti sulla tua pagina di Facebook, contro l’Italia, gli italiani e così via. Sul momento, volevo scriverti una letteraccia. Poi mi sono detto: a che servirebbe? 
Ora con calma ti esprimo qualche mia considerazione, fregandomene delle tue maledizioni o delle tue eventuali denunce. 

Anzitutto, penso che tu sappia ciò che ha combinato tuo padre. 
Non intendo accusarlo. 
Spetta alla legge indiana stabilirne la colpevolezza. 
Comunque, non mi sembra che stesse per difendere la Patria italiana. 
I veri patrioti sono di ben altro calibro! 
Ciò che sinceramente voglio dirti è che questa storia dei marò mi sta annoiando e irritando per come viene pubblicizzata dai nostri mass media e gestita dalla politica: il Governo italiano avrà anche le sue buone ragioni per farne un caso politico, che però non condivido.

Ma ciò che veramente mi ha lasciato di stucco è vedere il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, prendere di corsa, di notte, l’aereo e volare in India per conoscere lo stato di salute di tuo padre. 
Cosa veramente allucinante! Da non credere!
E tu non accusare gli extracomunitari che non rispettano le leggi italiane! 
Tuo padre ha forse rispettato la legge indiana? 
Quando una persona è fuori dell’Italia chi è? 
Non fa parte degli extracomunitari?
Dàtti una calmata, rifletti, non scrivere stronzate, e implora in ginocchio la clemenza della giustizia indiana!

venerdì 22 marzo 2013

I marò in viaggio verso New Delhi.



Roma - (Adnkronos/Ign) - Girone e Latorre tornano in India. Palazzo Chigi: ''Ottenuta dalle autorità indiane l'assicurazione riguardo alla loro tutela". Napolitano: ''Da Latorre e Girone senso di responsabilità, spero presto riconosciute le loro ragioni''. Alfano: ''Decisione grave, tragico ritorno a Italietta''. Gen. Del Vecchio: ''Sconcertato, è doccia fredda''.Marò indagati per violata consegna dalla Procura militare di Roma.

Roma, 22 mar. (Adnkronos/Ign) - I due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono in viaggio verso New Delhi. Palazzo Chigi in una nota ha spiegato di aver ''ottenuta dalle autorità indiane l'assicurazione riguardo alla loro tutela''.
Prima di procedere con il rientro a Nuova Delhi dei due fucilieri, "il governo italiano ha chiesto all'India chiarimenti" sulle condizioni cui sarebbero stati soggetti i marò al loro rientro e sull'applicabilità della pena capitale, ha detto il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, riferendo sul caso alla Lok Sabha a Nuova Delhi.
"Il governo ha informato il governo italiano che" Girone e Latorre "non sarebbero stati soggetti all'arresto se fossero rientrati entro la scadenza fissata dalla Corte Suprema indiana e che - in base ad una giurisprudenza indiana ben consolidata - questo caso non rientra nelle categorie di casi che prevedono la pena capitale, ossia casi rarissimi. Perciò non deve esservi alcuna preoccupazione al riguardo".
Questi chiarimenti, ha poi reso noto il ministro, verranno presentati alla Corte Suprema. "A seguito del chiarimento abbiamo avuto conferma del fatto che il governo italiano sta organizzando il rientro dei due marò italiani entro la data concessa dalla Corte Suprema. Sono lieto che la vicenda sia arrivata ad una conclusione soddisfacente e che il processo a carico dei marò proceda in linea con le disposizioni della Corte Suprema del 28 gennaio 2013".
Khurshid ha anche dichiarato: "Alla fine posso dire che la diplomazia continua a lavorare mentre tutti pensano che tutto è perso e quindi per favore date alla diplomazia qualche possibilità in più di gestire le cose che sono importanti per il nostro paese".
Questo quanto dichiarato Khurshid ha reso noto che informerà il Parlamento degli ultimi sviluppi. Quanto ai prossimi passi, il capo della diplomazia indiana ha tenuto a precisare che "la legge resta la stessa. Nulla cambia dal punto di vista legale".


venerdì 4 gennaio 2013

I "DUE MARO'": QUELLO CHE I MEDIA (E I POLITICI) ITALIANI NON VI HANNO DETTO. - Matteo Miavaldi



[Una delle più farsesche "narrazioni tossiche" degli ultimi tempi è senz'altro quella dei "due Marò" accusati di duplice omicidio in India. Fin dall'inizio della trista vicenda, le destre politiche e mediatiche di questo Paese si sono adoperate a seminare frottole e irrigare il campo con la solita miscela di vittimismo nazionale, provincialismo arrogante e luoghi comuni razzisti.
Il giornalista Matteo Miavaldi è uno dei pochissimi che nei mesi scorsi hanno fatto informazione vera sulla storiaccia. Miavaldi vive in Bengala ed è caporedattore per l'India del sito China Files, specializzato in notizie dal continente asiatico.

A ben vedere, non ha fatto nulla di sovrumano: ha seguito gli sviluppi del caso leggendo in parallelo i resoconti giornalistici italiani e indiani, verificando e approfondendo ogni volta che notava forti discrepanze, cioè sempre. C'è da chiedersi perché quasi nessun altro l'abbia fatto: in fondo, con Internet, non c'è nemmeno bisogno di vivere in India!
Verso Natale, la narrazione tossica ha oltrepassato la soglia dello stomachevole, col presidente della repubblica intento a onorare due persone che comunque sono imputate di aver ammazzato due poveracci (vabbe', di colore...), ma erano e sono celebrate come... eroi nazionali. "Eroi" per aver fatto cosa, esattamente?
Insomma, abbiamo chiesto a Miavaldi di scrivere per Giap una sintesi ragionata e aggiornata dei suoi interventi. L'articolo che segue - corredato da numerosi link che permettono di risalire alle fonti utilizzate - è il più completo scritto sinora sull'argomento.
Ricordiamo che in calce a ogni post di Giap ci sono due link molto utili: uno apre l'impaginazione ottimizzata per la stampa, l'altro converte il post in formato ePub. Buona lettura, su carta o su qualunque dispositivo.
N.B. Cercate di commentare senza fornire appigli per querele. Se dovete parlar male di un politico, un giornalista, un militare, un presidente di qualcosa, fatelo con intelligenza, grazie.
P.S. Grazie a Christian Raimo per la sporcatura romanaccia, cfr. didascalia su casa pau.]


di Matteo Miavaldi
Il 22 dicembre scorso Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò arrestati in Kerala quasi 11 mesi fa per l’omicidio di due pescatori indiani, erano in volo verso Ciampino grazie ad un permesso speciale accordato dalle autorità indiane. L’aereo non era ancora atterrato su suolo italiano che già i motori della propaganda sciovinista nostrana giravano a pieno regime, in fibrillazione per il ritorno a casa dei «nostri ragazzi”, promossi in meno di un anno al grado di eroi della patria.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana sulla quale i due militari del battaglione San Marco erano in servizio anti-pirateria, ha calcato insistentemente le pagine dei giornali italiani e occupato saltuariamente i telegiornali nazionali.
E a seguirla da qui, in un villaggio a tre ore da Calcutta, la narrazione dell’incidente diplomatico tra Italia e India iniziato a metà febbraio è stata – andiamo di eufemismi – parziale e unilaterale, piegata a una ricostruzione dei fatti distante non solo dalla realtà ma, a tratti, anche dalla verosimiglianza.

In un articolo pubblicato l’11 novembre scorso su China Files ho ricostruito il caso Enrica Lexie sfatando una serie di fandonie che una parte consistente dell’opinione pubblica italiana reputa verità assolute, prove della malafede indiana e tasselli del complotto indiano. Riprendo da lì il sunto dei fatti.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) invece che in un normale centro di detenzione.

Questi i fatti nudi e crudi. Da quel momento è partita una vergognosa campagna agiografica fascistoide, portata avanti in particolare da Il Giornale, quotidiano che, citando un’amica, «mi vergognerei di leggere anche se fossi di destra».
Che Il Giornale si sia lanciato in questa missione non stupisce, per almeno due motivi:


1) La fidelizzazione dei suoi (e)lettori passa obbligatoriamente per l’esaltazione acritica delle nostre – stavolta sì, nostre – forze armate, impegnate a «difendere la patria e rappresentare l’Italia nel mondo» anche quando, sotto contratto con armatori privati, prestano i loro servizi a difesa di interessi privati.
Anomalia, quest’ultima, per la quale dobbiamo ringraziare l’ex governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che nell’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a difesa di imbarcazioni private. In teoria la legge prevede l’uso dell’esercito o di milizie private, senonché le regole di ingaggio di queste ultime sono ancora da ultimare, lasciando il monopolio all’Esercito italiano. Ma questa è – parzialmente – un’altra storia.

2) Il secondo motivo ha a che fare col governo Monti, per il quale il caso dei due marò ha rappresentato il primo grosso banco di prova davanti alla comunità internazionale, escludendo la missione impossibile di cancellare il ricordo dell’abbronzatura di Obama, della culona inchiavabile, letto di Putin, della nipote di Mubarak, dell’harem libico nel centro di Roma e tutto il resto del repertorio degli ultimi 20 anni.
Troppo presto per togliere l’appoggio a Monti per questioni interne, da marzo in poi Latorre e Girone sono stati l’occasione provvidenziale per attaccare l’esecutivo dei tecnici, mantenendo vivo il rapporto con un elettorato che tra poco sarà di nuovo chiamato alle urne. E’ il tritacarne elettorale preannunciato da Emanuele Giordana al quale i due marò, dopo la visita ufficiale al Quirinale del 22 dicembre, sono riusciti a sottrarsi chiudendosi letteralmente nelle loro case fino al 10 gennaio quando, secondo i patti, torneranno in Kerala in attesa del giudizio della Corte Suprema di Delhi.


Qualche esempio di strumentalizzazione?
Margherita Boniver, senatrice Pdl, il 19 dicembre riesce finalmente a fare notizia offrendosi come ostaggio per permettere a Latorre e Girone di tornare in Italia per Natale.
Ignazio La Russa, Pdl, il 21 dicembre annuncia di voler candidare i due marò nelle liste del suo nuovo partito Fratelli d’Italia (sic!).
L’escamotage, che serve a blindare i due militari entro i confini italiani, è rimandato al mittente dagli stessi Latorre e Girone, irremovibili nel mantenere la parola data alle autorità indiane.


LA QUERELLE SULLA POSIZIONE DELLA NAVE E UNA CURIOSA “CONTROPERIZIA”
La prima tesi portata avanti maldestramente dalla diplomazia italiana, puntellata dagli organi d’informazione, sosteneva che l’Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali e, di conseguenza, la giurisdizione dovesse essere italiana. Ma le cose pare siano andate diversamente.
Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su non meglio specificate «rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano essere processati in India.

Nonostante la confusione causata dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
La squadra d’investigazione speciale che si è occupata del caso lo scorso 18 maggio ha depositato presso il tribunale di Kollam l’elenco dei dati a sostegno dell’accusa di omicidio, citando i risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.


Sti fasci de casa pau giocano a ffà 'a guera coll'india. Più tardi aggredischeno la Kamciacca. - Seh, poi finisce che se fanno 'e tre de notte e domattina so' cazzi, svejasse pe' andà a scola! Tipo che a forza de ffà sega, qui ce tocca ripete' a prima media... - Pure quest'anno?!

A contrastare la versione ufficiale delle autorità indiane – che, ricordiamo, è stata accettata anche dai legali dei due marò e sarà la base sulla quale la Corte suprema indiana si pronuncerà – è apparsa in rete la ricca controperizia dell’ingegner Luigi di Stefano, già perito di parte civile per l’incidente di Ustica.
Di Stefano presenta una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò. Chi scrive non è esperto di balistica né perito legale – non è il mio mestiere – e davanti alla mole di dati sciorinati da Di Stefano rimane abbastanza impassibile. Tuttavia, è importante precisare che Di Stefano basa gran parte della sua controperizia su una porzione minima dei dati, quelli cioè divulgati alla stampa a poche settimane dall’incidente. Dati che, sappiamo ora, sono stati totalmente sbugiardati dalle rilevazioni satellitari del Maritime Rescue Center di Mumbai e dall’esame balistico effettuato dai periti indiani.
Nella perizia troviamo stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 (sui quali Di Stefano costruisce la sua teoria della falsificazione dei dati da parte della Marina indiana), altre foto estrapolate da un video della Bbc e una serie di complicatissimi calcoli vettoriali e simulazioni 3d.
Non si menziona mai, in tutta la perizia, nessuna fonte ufficiale dei tecnici indiani che, come abbiamo visto, hanno depositato in tribunale l’esito delle loro indagini il 18 maggio. Di Stefano aveva addirittura presentato il suo lavoro durante un convegno alla Camera dei deputati il 16 aprile, un mese prima che fossero disponibili i risultati delle perizie indiane!
In quell’occasione i Radicali hanno avanzato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Terzi, chiedendo sostanzialmente: «Ma se abbiamo mandato i nostri tecnici in India e loro non hanno detto nulla, perché dobbiamo stare a sentire Di Stefano?»
Il lavoro di Di Stefano, in definitiva, è viziato sin dal principio dall’analisi di dati clamorosamente incompleti, costruito su dichiarazioni inattendibili e animato dal buon vecchio sentimento di superiorità occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo mondo.
Se qualcuno ancora oggi ritiene che una simile perizia artigianale sia più attendibile di quella ufficiale indiana, cercare di spiegare perché non lo è potrebbe essere un inutile dispendio di energie.


UNGHIE SUI VETRI: «NON SONO STATI LORO A SPARARE!»
Altra tesi particolarmente in voga: non sono stati i marò a sparare, c’era un’altra nave di pirati nelle vicinanze, sono stati loro.
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostengono invece che i colpi erano stati esplosi con l’intenzione di uccidere, come si vede dai 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Gli esami confermano che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri dell’equipaggio a bordo sia dell’Enrica Lexie che della St. Antony.


Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
I più cocciuti, pur davanti all’ammissione di colpa di De Mistura, citano ora il mistero della Olympic Flair, una nave mercantile greca attaccata dai pirati il 15 febbraio, sempre al largo delle coste del Kerala. La notizia, curiosamente, è stata pubblicata esclusivamente dalla stampa italiana, citando un comunicato della Camera di commercio internazionale inviato alla Marina militare italiana. Il 21 febbraio la Marina mercantile greca ha categoricamente escluso qualsiasi attacco subito dalla Olympic Flair.


A questo punto possiamo tranquillamente sostenere che:
1) l’Enrica Lexie non si trovava in acque internazionali;
2) i due marò hanno sparato
.
Sono due fatti supportati da prove consistenti e accettati anche dalla difesa italiana, che ora attende la sentenza della Corte suprema circa la giurisdizione.

Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988, che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare ragione sia all’Italia sia all’India.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi, prevista per l’8 novembre ma rimandata nuovamente a data da destinarsi, dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.


IMPRECISIONI, DIMENTICANZE, SAGRESTIE E ROMBI DI MOTORI
In oltre 10 mesi di copertura mediatica, la cronaca a macchie di leopardo di gran parte della stampa nazionale ha omesso dettagli significativi sul regime di detenzione dei marò, si è persa per strada alcuni passaggi della diplomazia italiana in India e ha glissato su una serie di comportamenti “al limite della legalità” che hanno contraddistinto gli sforzi ufficiali per «riportare a casa i nostri marò». In un altro articolo pubblicato su China Files il 7 novembre, avevo collezionato le mancanze più eclatanti. Riprendo qui quell’esposizione.
Descritti come «prigionieri di guerra in terra straniera» o militari italiani «dietro le sbarre», Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in realtà non hanno speso un solo giorno nelle famigerate carceri indiane.
I due militari del Reggimento San Marco, in libertà condizionata dal mese di giugno, come scrive Paolo Cagnan su L’Espresso, in India sono trattati col massimo riguardo e, in oltre otto mesi, non hanno passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Un trattamento di lusso accordato fin dall’inizio dalle autorità indiane che, come ricordava Carola Lorea su China Files il 23 febbraio, si sono assicurate che il soggiorno dei marò fosse il meno doloroso possibile:

«I due marò del Battaglione San Marco sospettati di aver erroneamente sparato a due pescatori disarmati al largo delle coste del Kerala, sono alloggiati presso il confortevole CISF Guest House di Cochin per meglio godere delle bellezze cittadine.
Secondo l’intervista rilasciata da un alto funzionario della polizia indiana al Times of India, i due sfortunati membri della marina militare italiana sarebbero trattati con grande rispetto e con tutti gli onori di casa, seppure accusati di omicidio.
La diplomazia italiana avrebbe infatti fornito alla polizia locale una lista di pietanze italiane da recapitare all’hotel per il periodo di fermo: pizza, pane, cappuccino e succhi di frutta fanno parte del menu finanziato dalla polizia regionale. Il danno e la beffa.»
Intanto, l’Italia cercava in ogni modo di evitare la sentenza dei giudici indiani, ricorrendo anche all’intercessione della Chiesa. Alcune iniziative discutibili portate avanti dalla diplomazia italiana, o da chi ne ha fatto tristemente le veci, hanno innervosito molto l’opinione pubblica indiana. Due di queste sono direttamente imputabili alle istituzioni italiane.
In primis, aver coinvolto il prelato cattolico locale nella mediazione con le famiglie delle due vittime, entrambe di fede cattolica. Il sottosegretario agli Esteri De Mistura si è più volte consultato con cardinali ed arcivescovi della Chiesa cattolica siro-malabarese, nel tentativo di aprire anche un canale “spirituale” con i parenti di Ajesh Pinky e Selestian Valentine, i due pescatori morti il pomeriggio del 15 febbraio.
L’ingerenza della Chiesa di Roma non è stata apprezzata dalla comunità locale che, secondo il quotidianoTehelka, ha accusato i ministri della fede di «immischiarsi in un caso penale», convincendoli a dismettere il loro ruolo di mediatori.

Il 24 aprile, inoltre, il governo italiano e i legali dei parenti delle vittime hanno raggiunto un accordo economico extra-giudiziario. O meglio, secondo il ministro della Difesa Di Paola si è trattato di «una donazione», di «un atto di generosità slegato dal processo».
Alle due famiglie, col consenso dell’Alta Corte del Kerala, vanno 10 milioni di rupie ciascuna, in totale quasi 300mila euro. Dopo la firma, entrambe le famiglie hanno ritirato la propria denuncia contro Latorre e Girone, lasciando solo lo Stato del Kerala dalla parte dell’accusa.
Raccontata dalla stampa italiana come un’azione caritatevole, la transazione economica è stata interpretata in India non solo come un’implicita ammissione di colpa, ma come un tentativo, nemmeno troppo velato, di comprarsi il silenzio delle famiglie dei pescatori.
Tanto che il 30 aprile la Corte Suprema di Delhi ha criticato la scelta del tribunale del Kerala di avallare un simile accordo tra le parti, dichiarando che la vicenda «va contro il sistema legale indiano, è inammissibile.»



Immagine tratta dal sito di Libero. Il giornale ha toni incazzati, ma i lettori sembrano di buon umore.
Ma il vero capolavoro di sciovinismo è arrivato lo scorso mese di ottobre durante il Gran Premio di Formula 1 in India. In un’inedita liaison governo-Il Giornale-Ferrari, in poco più di una settimana l’Italia è riuscita a far tornare in prima pagina il non-caso dei marò che in India, dopo 8 mesi dall’incidente, era stato ampiamente relegato nel dimenticatoio mediatico.
Rispondendo all’appello de Il Giornale ed alle «migliaia di lettere» che i lettori hanno inviato alla redazione del direttore Sallusti, la Ferrari ha accettato di correre il gran premio indiano di Greater Noida mostrando in bella vista sulle monoposto la bandiera della Marina Militare Italiana. Il primo comunicato ufficiale di Maranello recitava:

«[…] La Ferrari vuole così rendere omaggio a una delle migliori eccellenze del nostro Paese auspicando anche che le autorità indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede coinvolti i due militari della Marina Italiana.»
La replica seccata del Ministero degli Esteri indiano non si fa attendere: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause che non sono di quella natura significa non essere coerenti con lo spirito sportivo.»
Pur avendo incassato il plauso del ministro degli Esteri Terzi, che su Twitter ha gioito dell’iniziativa che «testimonia il sostegno di tutto il Paese ai nostri marò», la Scuderia Ferrari opta per un secondo comunicato. Sfidando ogni logica e l’intelligenza di italiani ed indiani, l’ufficio stampa della casa automobilistica specifica che esporre la bandiera della Marina «non ha e non vuole avere alcuna valenza politica.»
In mezzo al tira e molla di una strategia diplomatica improvvisata, così impegnata a non scontentare l’Italia più sciovinista al punto da appoggiare la pessima operazione d’immagine del duo Maranello-Il Giornale, accolta in India da polemiche ampiamente giustificabili, il racconto dei marò – precedentemente «dietro le sbarre» - è continuato imperterrito con toni a metà tra un romanzo di Dickens e una sagra di paese.
Il Giornale, ad esempio, esaltando la vittoria morale dell’endorsement Ferrari, confida ai propri lettori che «i famigliari di Massimiliano Latorre, tutti con una piccola coccarda di colore giallo e il simbolo della Marina Militare al centro appuntata sugli abiti, hanno pensato di portare a Massimiliano e a Salvatore alcuni tipici prodotti locali della Puglia: dalle focacce ai dolci d’Altamura per proseguire poi con le orecchiette, le friselle di grano duro.»

L’operazione, qui in India, ha raggiunto esclusivamente un obiettivo: far inviperire ancora di più le schiere di fanatici nazionalisti indiani sparse in tutto il Paese.
Ma è lecito pensare che la mossa mediatica, ancora una volta, non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa.


PARLARE A CHI SI TAPPA LE ORECCHIE
In questi mesi, quando provavamo a raccontare la storia dei marò facendo due passi indietro e includendo doverosamente anche le fonti indiane, ci sono piovuti addosso decine di insulti. Quando citavamo fonti dai giornali indiani, ci accusavano di essere «come un fogliaccio del Kerala»; quando abbiamo provato a spiegare il problema della giurisdizione, ci hanno risposto «L’India è un paese di pezzenti appena meno pezzenti di prima che cerca di accreditarsi come potenza, ma sempre pezzenti restano. E un pezzente con soldi diventa arrogante. Da nuclearizzare!»; quando abbiamo cercato di smentire le falsità pubblicate in Italia (come la memorabile bufala di Latorre che salva un fotografo fermando una macchina con le mani e si guadagna le copertine indiane come “Eroe”) ci hanno dato degli anti-italiani, augurandoci di andare a vivere in India e vedere se là stavamo meglio. Ignorando il fatto che, a differenza di molti, noi in India ci abitiamo davvero.

I beduini del Kerala... Fottuti bastardi...
Quando tutta questa vicenda verrà archiviata e i marò saranno sottoposti a un giusto processo – in Italia o in India, speriamo che sia giusto – sarà bene ricordarci come non fare del cattivo giornalismo, come non condurre un confronto diplomatico con una potenza mondiale e, soprattutto, come non strumentalizzare le nostre forze armate per fini politici. Una cosa della quale, anche se fossi di destra, mi sarei vergognato.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11293

domenica 23 dicembre 2012

I marò in Italia per il Natale in famiglia: "Finalmente respiriamo aria di casa".



Roma - (Adnkronos/Ign) - I due soldati, trattenuti da dieci mesi in India con l'accusa di omicidio, sono rientrati a Roma (VIDEO) per quindici giorni di permesso. Non appena atterrati, hanno ricevuto la telefonata di Monti, poi l'incontro con NapolitanoLatorre: "Dai nostri cari il coraggio per andare avanti". Girone: "Siamo fiduciosi".

Roma, 22 dic. (Adnkronos/Ign) - Finalmente a casa. E' atterrato alle 12.48, sulla pista militare dell'aeroporto di Ciampino l'Airbus 319 che ha riportato in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I due marò, trattenuti da dieci mesi in India con l'accusa di aver ucciso due pescatori indiani, mentre scortavano la petroliera Enrica Lexie nell'Oceano Indiano, tornano a casa per il Natale. A Ciampino, ad attendere Massimiliano Latorre c'erano la sorella Franca, la figlia Giulia, i nipoti Giovanni e Alessandra Urbinello e Cristian D'Addario. Per riabbracciare Salvatore Girone, il padre Michele, la mamma Maria Ferrara, la moglie Giovanna Ardito, la figlia Martina di sei anni e il nipote Michele.
I due fucilieri di Marina sono stati accolti anche dai ministri degli Esteri e della Difesa, Giulio Terzi e Giampaolo Di Paola, insieme al Capo di Stato Maggiore, Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Poco dopo l'atterraggio, il presidente del Consiglio Mario Monti li ha chiamati al telefono per ribadire l'impegno del governo per una definitiva soluzione del caso. Latorre e Girone dovranno presentarsi il 15 gennaio davanti al giudice di Kollam nel processo che li vede imputati di omicidio. Nel pomeriggio di sabato sono stati poi ricevuti al Quirinale dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
''Per tutta la Marina questo è il più grande regalo di Natale che potessimo ricevere'' ha detto l'ammiraglio Binelli Mantelli, prima di lasciare il microfono a Latorre, sulla pista dello scalo di Ciampino. "Sono molto emozionato - ha detto il marò - finalmente respiriamo l'aria di casa, della nostra amata Italia. Dobbiamo ringraziare le istituzioni per aver permesso tutto ciò". "Ringraziamo il Presidente (Napolitano, ndr) che negli ultimi giorni ha accolto le nostre famiglie, anche non sapendo del nostro arrivo, per dargli forza e coraggio. Quella forza e coraggio loro - ha rimarcato - che è stata la nostra forza e coraggio per andare avanti".
"Siamo fiduciosi, lo siamo sempre stati e lo siamo oggi'', ha detto Salvatore Girone, ''abbiamo dentro una grande gioia perché il governo italiano e le istituzioni, il governo indiano e le istituzioni ci hanno concesso questo grande permesso, questa grande fiducia di passare il Natale qui in Italia con i nostri cari". "Continuiamo ad avere sempre fiducia -ha aggiunto il marò- e ringraziamo sempre il governo che ci è stato molto vicino e non ci ha mai mollato. Ringraziamo il Presidente Napolitano, e tutto il popolo italiano che ci è stato sempre vicino e continua a esserlo. Grazie a tutti" ha concluso Girone.
''I nostri marò sono tornati a casa. Grande emozione nel riabbracciare Massimiliano e Salvatore, valorosi servitori dello Stato'', ha scritto in un tweet il ministro degli Esteri, Giulio Terzi. Prima dell'atterraggio dell'Air Bus in arrivo dall'India, i familiari dei due militari hanno voluto ringraziare le istituzioni e gli italiani in alcune brevi dichiarazioni rese alla stampa. "Siamo felici, abbiamo il cuore in festa" ha detto Michele Girone. Con la mano poggiata sulla spalla del nipote, il papa' di Salvatore Girone, commosso, ha rivolto ''un grazie grandissimo al lavoro delle istituzioni, del nostro governo e del governo indiano, che ha dato la possibilità a mio figlio e a Massimiliano di poter incontrarci in una festa come quella del Natale". "Grazie al popolo italiano che in questi mesi ci e' stato tanto vicino", sono state le parole di Franca Latorre, sorella di Massimiliano."Abbiamo tanto sospirato questo momento -ha aggiunto, non nascondendo la commozione- speriamo di vivere questo momento serenamente. Grazie a tutti".
L'aereo militare, partito da Ciampino, li ha riportati in serata poi nella loro Puglia. All'aeroporto di Brindisi i due marò sono stati accolti con uno striscione di benvenuto da parte dei tifosi della locale squadra di calcio. A breve, dopo gli ultimi adempimenti di protocollo, torneranno a casa.
Soddisfazione bipartisan nel mondo politico. ''Marò Latorre e Girone finalmente in Italia. L'Italia vi difenderà. Bentornati e buon Natale'', ha scritto, via twitter, il segretario del Pdl, Angelino Alfano, salutando l'arrivo dei marò a Roma. ''Finalmente l'Italia può riabbracciare due coraggiosi servitori della Patria'', ha sottolineato Edmondo Cirielli, presidente della commissione Difesa della Camera.''A Massimiliano Latorre e Salvatore Girone -ha aggiunto- vanno i miei più sinceri auguri, fiducioso in una conclusione positiva della vicenda''. "Nessuno screzio con Guido Crosetto io e lui siamo assolutamente d'accordo", assicura Ignazio La Russa, esponente del nuovo movimento di centrodestra 'Fratelli d'Italia', in merito al presunto disaccordo tra lui e Guido Crosetto sulla candidatura dei due marò. "Siamo d'accordo tutti, discuteremo dell'argomento dopo le vacanze" ha fatto sapere l'ex ministro della Difesa.
Intanto l'Eurispes lancerà nei prossimi giorni una campagna di informazione a sostegno dell'idea che i due marò debbano restare in Italia anche dopo il periodo di licenza concesso dalla Corte del Kerala. "Il governo italiano -si legge in una nota dell'istituto- ha assunto impegni internazionali verso lo Stato indiano e li rispetterà pur non condividendo profondamente il contegno sinora tenuto dalle autorità indiane nella vicenda dei marò. I nostri marinai -si legge ancora- hanno dato la loro parola di italiani e di soldati e la manterranno, pur vivendo l'incubo dell'ingiusto processo per la negazione del giudice naturale e della straziante angoscia derivante dalla lontananza dai propri figli e dalle proprie famiglie". "Ma la nostra Costituzione nella più alta declinazione dello stato di diritto -precisa Eurispes- attribuisce all'Autorità Giudiziaria, nell'autonomia e nell'indipendenza dagli altri poteri dello Stato (Parlamento e Governo) l'obbligo dell'applicazione della legge e dell'esercizio della giurisdizione". "La Procura della Repubblica di Roma ha, sin dal febbraio del 2012, nell'immediatezza degli accadimenti, aperto un procedimento penale nei confronti di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ritenendo fondatamente la propria competenza giurisdizionale a giudicare le loro condotte e le loro eventuali responsabilità ed ha in concreto esercitato la propria competenza ad indagare e a processare delegando indagini e facendo svolgere accertamenti alla Polizia Giudiziaria italiana".


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/I-maro-in-Italia-per-il-Natale-in-famiglia-Finalmente-respiriamo-aria-di-casa_314016498003.html

Che strani che siamo noi italiani, tributiamo a due assassini gli stessi onori che si riservano agli eroi.