venerdì 15 gennaio 2016

Goldman Sachs, maxi-patteggiamento sui mutui: 5,1 miliardi per chiudere le cause.

Goldman Sachs, maxi-patteggiamento sui mutui: 5,1 miliardi per chiudere le cause

Raggiunto l'accordo con il Dipartimento di Giustizia, i procuratori degli stati di New York e Illinois, la National Credit Union Administration, e le Federal Home Loans Banks di Chicago e Seattle. L'intesa si aggiunge a quelle già raggiunte dalle autorità americane con JPMorgan, Bank of America e Citigroup. 

Goldman Sachs tenta di lasciarsi alle spalle uno dei maggiori problemi legali della crisi con un maxi-patteggiamento. La banca guidata da Lloyd Blankfein paga 5,1 miliardi di dollari, di cui 2,5 di sanzione civile per risolvere la disputa con le autorità americane sui Residential Mortgage Backed Security, i titoli legati ai mutui.
Goldman ha raggiunto un accordo con il Dipartimento di Giustizia, i procuratori degli stati di New York e Illinois, la National Credit Union Administration, e le Federal Home Loans Banks di Chicago e Seattle. Oltre alla sanzione, la banca pagherà 875 milioni di dollari in contanti e si impegna a restituire 1,8 miliardi di dollari ai consumatori tramite vari programmi. Il patteggiamento peserà sui conti del trimestre per 1,5 miliardi di dollari dopo le tasse.
“Siamo soddisfatti di aver risolto un accordo di principio per risolvere il problema”, afferma Blankfein. Secondo l’analista di Autonomous ResearchGuy Moszkowski, il patteggiamento è più elevato degli attesi 1,3 miliardi di dollari. Ma Goldman Sachs ha accantonato – mette in evidenza Moszkowski – più di 2 miliardi di dollari negli ultimi trimestri e gli 1,8 miliardi di dollari per i consumatori non sono in contanti.
Il patteggiamento miliardario con Goldmans Sachs si aggiunge a quelli già raggiunti dalle autorità americane con JPMorgan, Bank of America e Citigroup, nell’ambito delle indagini legate su come le banche hanno venduto titoli legati ai mutui. JPMorgan ha pagato 13 miliardi di dollari, Citigroup 7 miliardi di dollari. Il patteggiamento più pesante è stato quello di Bank of America, che ha versato 17 miliardi di dollari.
Ma i soldi, materialmente, chi li esce?
Alla fine, conoscendo la politica economica statunitense, verranno spalmati con l'emissione di altri titoli spazzatura da smerciare in borsa ai fessacchiotti di turno?
Dobbiamo aspettarci un'ulteriore botta alla già devastante crisi economica mondiale provocata dai sub prime??

SANGUE INFETTO: LA CORTE EUROPEA DIRITTI UMANI CONDANNA L'ITALIA A RISARCIRE 350 PERSONE -




Nuova condanna dell'Italia dalla Corte europea dei diritti umani per lo scandalo del sangue infetto: 10 milioni di euro in risarcimenti per 350 persone contagiate durante trasfusioni ed interventi chirurgici. Ma è solo la punta dell'iceberg.

A tre anni di distanza la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo interviene nuovamente sullo scandalo del sangue infetto, che tra gli anni 80 e 90 procurò molti guadagni a gente senza scrupoli e malattie come epatite C ed aids a migliaia di persone, in Italia: lo Stato italiano dovrà versare 10 milioni di euro ad 350 cittadini contagiati da trasfusioni o interventi chirurgici che utilizzarono quel sangue, infetto.   

Un risarcimento che si somma all'altra condanna della Corte, era il 2013: a tutti i 60mila contagiati una indennità integrativa speciale che si aggiungeva a quella prevista da una legge del 92: 540 euro al mese, che la Corte aveva addizionato con altri 100.   

Ma non finisce qui, perché il numero delle persone contagiate dal sangue infetto in Italia è altissimo, 120mila persone: la maggior parte in causa, ci vorrebbero 175 milioni di euro per chiudere tutte le partite aperte.  

Aperte quando tra l'80 ed il 90, in piena emergenza aids, sacche di sangue contagiato vennero comunque messe in commercio, utilizzate per emofilici e durante gli interventi chirurgici, grazie  ad un giro di mazzette che coinvolse il direttore del servizio farmaceutico Duilio Poggiolini, quello che nascondeva i lingotti nei puff di casa, il ministro De Lorenzo, il gruppo farmaceutico Marcucci e in modo minore altri produttori di emoderivati. 


http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Sangue-infetto-Corte-europea-diritti-umani-condanna-Italia-a-risarcire-800-persone-824539ab-32a0-4111-9038-f9258d961264.html

giovedì 14 gennaio 2016

Fallimenti-bancomat e notai "distratti" Caso Marcatajo, l'inchiesta si allarga. - Riccardo Lo Verso

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L'avvocato civilista arrestato nell'operazione Cicero acquistava immobili con i soldi di una curatela fallimentare. Nessuno si è accorto del buco. Tirata d'orecchie per i notai: mai denunciate irregolarità nelle compravendite dei boss.

PALERMO - Nessuno vede. Nessuno provvede. E la mafia accumula patrimoni. L'avvocato Marcello Marcatajo usava i soldi della curatela fallimentare come se fossero i suoi. Firmava assegni appoggiati sul conto corrente della Kemonia, una srl palermitana che il Tribunale di Palermo aveva affidato al civilista arrestato per riciclaggio. È accaduto per un attico in via Jung e per alcuni box in via Corradini. Marcatajo, amministratore di una società, secondo l'accusa, comprava gli immobili con i soldi della Kemonia - mancano all'appello 215 mila euro - e poi li trasferiva nella disponibilità delle società dei Graziano. Altre volte, per ripulirli, faceva finta di acquistare immobili dalla famiglia mafiosa firmando dei preliminari che non venivano concretizzati.Oppure accendeva mutui bancari con le società a lui intestate e poi pagava le rate con soldi dei boss.  .

La cronaca del blitz di due giorni fa impone una nuova riflessione sulla gestione della sezione Fallimentare del Tribunale palermitano. I pubblici ministeri si chiedono come sia potuto accadere che nessuno si sia accorto della mala gestio dei soldi della Kemonia. Neppure i giudici che avevano nominato il legale nella curatela fallimentare. Non è escluso che Marcatajo possa avere fatto carte false per nascondere le operazioni illecite e farsi beffa dei controlli. In ogni caso il sistema ha mostrato delle falle su cui adesso indagano i magistrati e la Polizia valutaria. I finanzieri hanno prelevato nello studio dell'avvocato, in via Enrico Albanese, i faldoni del fallimento Kemonia e degli altri nove affidati dal Tribunale al professionista. Ce ne sono ancora otto aperti. Questo l'elenco completo: impresa individuale Virzì Cinzia, Siciliana Precompressi srl, Doma srl, Kemonia srl, Gurfa scarl, Casarubea Maria Silvana, Ditta Figli di G.B. Marino, Spera Antonio, Fin Leasing. Lito Sud. Tranne Kemonia e Gb Marino sono tutte procedure ancora in corso. Dal primo screening dei documenti emergono già delle irregolarità.

Irregolarità di cui, ed è un altro dato di cronaca, neppure i notai che hanno rogitato le compravendite di diversi immobili si sono accorti. Eppure, secondo gli investigatori, era impossibile non notare che gli assegni - circolare e non trasferibili - utilizzati per pagare gli immobili fossero intestati a persone o società che nulla avevano a che vedere con venditore e acquirente. Per uno dei notai, il cui nome si è ripetuto negli affari, secondo i pm Tartaglia, Del Bene, Picozzi e Luise, ci sarebbero stati i presupposti per un'incriminazione. Nel frattempo, però, il professionista è deceduto. Per tutti gli altri, e sono tanti quelli che popolano le carte giudiziarie, gli accertamenti sono in corso.

Si ripropone da subito un tema caldo agli investigatori: di fronte alla mole di indagini che smascherano eserciti di prestanome resta lettera morta l'obbligo dei professionisti iscritti agli ordini di segnalare operazioni commerciali e finanziarie sospette. Non siamo al cospetto di disperati che si intestano una società in cambio di poche centinaia di euro - accade anche questo -, ma di professionisti esperti. La legge anti riciclaggio obbliga tutti - banche, intermediari finanziari, notai, avvocati e commercialisti - a segnalare le operazioni sospette. In Italia esiste l'Uif, l'unità di informazioni finanziarie a cui dovrebbero pervenire le segnalazioni. Nell'ultimo triennio i numeri delle segnalazioni sono prossimi allo zero. L'anno scorso il colonnello Calogero Scibetta, il comandante del Nucleo di Polizia Valutaria che ha coordinato il blitz di due giorni fa, scelse proprio un convegno di notai per dire che era giunto il momento di essere davvero trasparenti. Non è un caso che il procuratore Francesco Lo Voi, proprio ieri, abbia annunciato l'impiego delle risorse più qualificate per stanare i professionisti al soldo dei boss. O, peggio, in combutta con i capimafia.


http://livesicilia.it/2016/01/14/fallimenti-come-bancomat-e-notai-distratti-caso-marcatajo-linchiesta-si-allarga_703356/


Dall'università agli affari con i boss. Ecco chi è l'avvocato Marcatajo. - Riccardo Lo Verso

Le indagini della Polizia valutaria sono uno spartiacque nella vita del noto civilista palermitano, che alle microspie ha rassegnato le tappe della sua carriera.

PALERMO - Da giovane giurista a mente economica dei boss. Marcello Marcatajo, 69 anni, fino all'arresto di ieri si era guadagnato un posto di rilievo nella buona borghesia palermitana. Fino a ieri, appunto.

Le indagini della Polizia valutaria sono uno spartiacque nella vita dell'avvocato civilista che alle microspie ha rassegnato le tappe della sua carriera. Una carriera iniziata nel mondo universitario e approdata agli affari con la famiglia mafiosa dei Graziano. Marcatajo raccontava gli anni in cui “io ero... nel 1973, settantadue assistente all'Università... di Diritto civile... con incarico annuale perché ero in supplenza di Piersanti Mattarella che... ogni anno faceva l'aspettativa per mandato parlamentare... pagavano poco...”. Nel corso della sua carriera accademica avrebbe incrociato concorrenti che di strada ne hanno fatta parecchia: “... ci fu un episodio per cui dovevamo avere un posto in pubblico e un posto... a concorso in privato... bene pensò la Facoltà di darlo uno a La Loggia e uno a Vizzini, io mi incazzai moltissimo perché... non erano presenti nella facoltà cioè entrarono direttamente... non è che fecero borsa... internato...”.

A quel punto l'avvocato capì che era meglio cercare di guadagnarsi una posizione in un ente pubblico: “... e allora feci due concorsi l'avvocato dell'Enel... e Inps, vengo ammesso a quello dell'Enel riesco a... fare capire che sarei entrato solo se avevo Palermo perché ne Catania ne Roma... e riesco... a pari merito con uno che era di Catania... e vado all'Enel dove e... faccio l'avvocato... elenco speciale, rappresento e difendo in mezza Sicilia, mi diverto e... ogni qualvolta si prospettava la possibilità di un buono avanzamento era sempre o Venezia... o Genova e io alzavo la sbarra chi vuole... mi passi avanti, ho fatto una carriera non eccezionale a quarantanove, cinquant'anni non mi sento dire che o con le buone... o con le cattive io servivo a Roma”.

Stare a Roma, però, era costoso e dispendioso in termini di impegno. E così Marcatajo fece un passo indietro: “Io preferisco appoggiarmi nello studio di mio fratello, guadagnare.... all'epoca erano milioni, un milione e mezzo e campare a cento metri da casa e non fare lo zingaro... ... che rientra poi il venerdì notte e... riparte... la domenica sera e...".  

Negli ultimi anni era diventato presidente dell'Istituto autonomo case popolari di Palermo, quando il presidente della Provincia era Francesco Musotto, e poi consigliere delegato del sindaco Leoluca Orlando nel Cda dell'Acquedotto consortile del Biviere. Incarico da cui poi si dimise. Le indagini della finanza ora lo piazzano al vertice di una serie di affari - alcuni scoperti, molti ancora da scoprire - targati Cosa nostra.


http://livesicilia.it/2016/01/13/marcatajo-boss-affari-avvocato-arresti-palerm_703201/?pass=true

mercoledì 13 gennaio 2016

Joseph Stiglitz: “per il 2016, non possiamo che sperare nella morte del TPP e in nuovi accordi commerciali” -



L’accordo sul clima di Parigi può essere un precursore dello spirito e dell’atteggiamento mentale necessario per sostenere una cooperazione globale autentica.


L’anno scorso è stato memorabile per l’economia globale. Non solo ha avuto dappertutto prestazioni deludenti, ma sono accadute profonde trasformazioni – nel bene e nel male – nel sistema economico globale. Notevole è stato l’accordo raggiunto il mese scorso sul clima a Parigi. 
In sé, l’accordo è abbastanza lontano dall’imporre il limite di 2°Centigradi del riscaldamento globale, riportandolo ai livelli pre-industriali. Ma va fatta un’avvertenza: il mondo si muove, inesorabilmente, verso la green economy. Un giorno non lontano, l’energia fossile sarà largamente un ricordo del passato. Perciò, chiunque investa nel carbone oggi lo fa a suo rischio. Con più investimenti verdi che si faranno avanti, coloro che vi investiranno, speriamo, potranno controbilanciare il potente lobbismo dell’industria del carbone, che cerca di mettere il mondo a rischio per favorire i suoi interessi di breve respiro.
Pertanto, la mossa di uscire dall’economia ad alto tasso di carbone, dove gli interessi di carbone, gas e petrolio dominano spesso, è uno dei cambiamenti più importanti nell’ordine geoeconomico globale. Molti altri cambiamenti sono inevitabili, data la crescente quota cinese di domanda e offerta. La Nuova Banca dello Sviluppo, istituita dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), è stata lanciata durante l’anno, diventando la principale istituzione finanziaria guidata da paesi emergenti. E, nonostante la resistenza di Barack Obama, è stata istituita anche l’Asian Infrastructure Investment Bank, a guida cinese, che ha dato inizio alla sua operatività questo mese. 
Gli Stati Uniti hanno agito con più saggezza quando è stata colpita la moneta cinese. Non ha ostacolato l’ammissione della moneta, renminbi, nel gruppo di monete che costituiscono la riserva monetaria del Fondo Monetario Internazionale. Inoltre, cinque anni dopo che l’amministrazione Obama aderì ai modesti cambiamenti nel diritto di voto dei cinesi e di altri mercati emergenti in seno al Fondo Monetario – un piccolo tributo alle nuove realtà economiche – il Congresso Usa ha approvato in via definitiva le riforme.
Le decisioni più controverse dell’anno scorso riguardano il commercio. Quasi inosservato dopo anni di colloqui frammentari, il Doha Round del WTO – che al principio avrebbe dovuto risolvere quegli squilibri negli accordi sul commercio del passato che favorivano i paesi sviluppati – è stato tranquillamente sepolto
L’ipocrisia americana – che predica il libero commercio ma rifiuta di abbandonare i sussidi per le coltivazioni di cotone e per altre produzioni agricole  - aveva imposto un ostacolo insormontabile ai negoziati di Doha. Invece dei colloqui sul commercio globale, gli Usa e l’Europa hanno montato una strategia del divide et impera, basata sulla sovrapposizione di blocchi commerciali e accordi.
Di conseguenza, a quello che si intendeva come regime di libero mercato globale venne data invece la caratteristica di regime di mercato gestito in modo difforme. Per molte regioni del Pacifico e dell’Atlantico, il mercato sarà governato da accordi, di migliaia di pagine e pieni di regole complicate che contraddicono i principi fondamentali dell’efficienza e del libero flusso delle merci.
Gli Usa hanno concluso negoziati segreti per giungere a quello che possiamo giudicare come il peggior accordo sul commercio varato in decenni, il Trans-Pacific Partnership (TPP), ed ora affrontano una faticosissima battaglia per la ratifica, dal momento che i principali candidati presidenziali democratici e molti repubblicani hanno dichiarato la loro contrarietà. Il problema non è tanto relativo alle norme commerciali dell’accordo, quanto al capitolo “investimenti”, che limita enormemente le regole ambientali, sanitarie e di sicurezza, e alle regole finanziarie, con importanti impatti macroeconomici.
In particolare, il capitolo fornisce agli investitori esteri il diritto di citare in giudizio i governi in tribunali internazionali privati qualora ritenessero che i regolamenti di quei governi fossero incoerenti con in termini del TPP (regolamenti che compongono 6000 pagine dell’accordo). Nel passato, questi tribunali hanno interpretato la necessità degli investitori di ricevere un “trattamento equo e leale” come fondamento per abbattere le nuove regolamentazioni di un governo – anche quando fossero state non discriminatorie e adottate semplicemente per tutelare i cittadini da eventuali inediti e vergognosi danni.
Anche le regole che proteggono il pianeta dalle emissioni di gas a effetto serra sono vulnerabili: con un linguaggio complicatissimo, finiscono per aumentare le cause intentate da potenti aziende contro governi scarsamente finanziati. Le uniche regole che appaiono sicure sono quelle sulle sigarette (le citazioni in giudizio contro Uruguay e Australia per aver obbligato a mettere sulle etichette un modesto avviso sui danni alla salute hanno attirato parecchie attenzioni negative). Ma resta un mucchio di interrogativi sulla possibilità di citazioni in giudizio in una miriade di altre questioni. Inoltre, la norma sulla “nazione più favorita” garantisce che le aziende possano reclamare il miglior trattamento offerto da qualche trattato del paese ospitante. Ciò alimenta una corsa al vertice – esattamente l’opposto di quanto Obama aveva promesso.
Anche il modo in cui Obama ha sostenuto il nuovo accordo sul commercio dimostra quanto la sua amministrazione sia distante dall’economia globale emergente. Ha ripetutamente detto che il TPP avrebbe determinato chi tra l’America e la Cina avrebbe scritto le regole commerciali del XXI secolo. Il modo corretto sarebbe quello di giungervi collettivamente, con l’ascolto di tutte le voci, e in modo trasparente. Obama ha cercato di fare come sempre, ovvero di fare in modo che le regole che governano il mercato globale e gli investimenti globali fossero scritti dalle corporations Usa per le corporations Usa. E ciò dovrebbe essere inaccettabile per chiunque si impegni per i principi democratici.
Coloro che cercano una più stretta integrazione economica hanno una responsabilità specifica quando si ergono a paladini delle riforme della governance globale: se l’autorità sulle politiche interne viene ceduta a organismi sovranazionali, allora ne consegue che l’elaborazione, l’implementazione e l’adozione di regole e regolamenti dev’essere particolarmente sensibile agli interessi democratici. Sfortunatamente, non è quasi mai accaduto nel 2015.
Per il 2016 dovremmo sperare nella sconfitta del TPP e nell’inizio di una nuova era degli accordi commerciali, che non favoriscano i potenti e puniscano i deboli. L’accordo sul clima di Parigi può essere un precursore dello spirito e dell’atteggiamento mentale necessario per sostenere una cooperazione globale autentica.

Palermo - Mafia e colletti bianchi: arrestato noto avvocato (12.01.16)




Palermo – All’alba di martedì i militari del Nucleo Speciale Polizia di Valutaria della Guardia di Finanza hanno eseguito 9 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Lorenzo Jannelli su richiesta del procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Vittorio Teresi per i delitti di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, reimpiego e peculato, tutti aggravati per aver agevolato cosa nostra.

Personaggio di primo piano in quest’indagine è Marcello Marcatajo, stimato avvocato dell’alta borghesia palermitana, con pregresse attività di insegnamento universitario e di collaborazione con enti di rilevanza nazionale, che – come lui stesso racconta in un’intercettazione – ad un certo punto della sua vita ha deciso di entrare in rapporti di affari con Vincenzo Graziano, attualmente detenuto al regime del 41 bis per essere stato a capo della famiglia mafiosa dell’Acquasanta, e con i figli di questo. 

Nel corso delle indagini sono state scoperte numerose operazioni immobiliari di particolare complessità e rilevanza per il sostentamento della consorteria mafiosa.

Tra queste spiccano la costruzione di una villa bi-familiare a Mondello, la gestione di numerosi immobili all’Arenella e una particolare operazione immobiliare a Marino, in provincia di Roma, per la quale, con i noti metodi, i Graziano hanno indotto altri imprenditori edili a rinunciare all’appalto.

Le attività investigative questa volta sono state mirate a disvelare i legami fra criminalità organizzata e “colletti bianchi”, uniti dal fine comune di concludere affari ed arricchirsi, anche avvalendosi, all'occorrenza, di metodi prettamente mafiosi.

Con un indagine a tutto campo, sviluppata soprattutto seguendo i flussi di denaro e i documenti sottesi ad operazioni commerciali, gli specialisti del Nucleo Speciale Valutario della Guardia di Finanza, superando il brocardo latino “pecunia non olet”, sono arrivati a scoprire il modus operandi di una mafia che si fa impresa e che come tale non può prescindere dal ricorso al sistema finanziario.

È così emersa l’esigenza dell’organizzazione mafiosa di affiancarsi a quella “zona grigia” composta da professionisti con importanti entrature nel contesto sociale di riferimento: in primo luogo, questi professionisti possono diventare, come è accaduto, una cassaforte per l’organizzazione, per il tramite della quale essa mette al riparo dai sequestri i capitali illecitamente accumulati; in secondo luogo, tali personaggi, costituiscono per i mafiosi dei veri e propri pass partout per accedere al credito, per effettuare investimenti e, più in generale, per interagire, inquinandola con i propri soldi sporchi, con la società civile.

Risorse mafiose, riversate in società pulite, intestate ed amministrate da soggetti stimati, hanno consentito alla famiglia di Vincenzo Graziano di avviare, sotto la supervisione di Francesco e Angelo Graziano, alcune iniziative imprenditoriali, fra cui la realizzazione a Palermo, in Mondello, di due ville, ormai in procinto di essere ultimate.

Proprio la presenza di insospettabili, come Marcatajo, ha consentito di vendere le due ville a soggetti gravitanti nel mondo imprenditoriale e politico; gli stessi acquirenti, con tutta probabilità, non avrebbero mai contrattato con Graziano, conoscendone i pregressi di giustizia.

Nel corso delle indagini sono state ricostruite ulteriori ed anomale attività immobiliari e finanziarie poste in essere dalla “famiglia” dell’Acquasanta nell’ultimo decennio sempre avvalendosi della figura e della credibilità del professionista.

Oltre a tali aspetti è emerso come Marcatajo, stimato professionista, aveva ricevuto numerosi incarichi in qualità di curatore fallimentare; in tale contesto le indagini hanno fatto emergere come l’avvocato si sia appropriato di somme di denaro derivanti dal fallimento di una società amministrata e le abbia utilizzate per gli affari in comune con i Graziano.

Di questa indagine rileva il pericolo sociale ed il danno all’economia lecita che risiede nell’ illecita operatività di noti ed apprezzati professionisti che, se non fosse per le risultanze incontrovertibili di questa indagine, non si esiterebbe a ritenere al di là di ogni sospetto. (12.01.16)
https://www.youtube.com/watch?v=vL07rKmg9Eo

http://www.pupia.tv/2016/01/home/mafia-e-colletti-bianchi-arrestato-noto-avvocato-palermitano/332957

Leggi anche: 

http://www.panorama.it/news/cronaca/cosa-nostra-in-carcere-lavvocato-marcello-marcatajo/

http://palermo.gds.it/2016/01/13/arresti-a-palermo-il-legale-intercettato-svela-in-diretta-faccio-affari-col-boss-da-piu-di-10-anni_461068/

lunedì 11 gennaio 2016

Cgia: "Il malfunzionamento della P.A. è più dannoso dell'evasione fiscale"

Cgia: "Il malfunzionamento della P.A. è più dannoso dell'evasione fiscale"


L'associazione di Mestre fa i conti: l'inefficienza del settore pubblico ci costa circa 200 miliardi all'anno, i furbetti del Fisco tra 90 e 120 miliardi. A Roma tornano i furbetti del cartellino: sospesi in nove.


 - "L'inefficienza della Pubblica amministrazione danneggia l'economia italiana più dell'evasione fiscale". Lo rileva la Cgia di Mestre. Calcolatrice alla mano, l'impatto economico del malfunzionamento della P.A. si attesta intorno ai 200 miliardi di euro. Mentre il mancato gettito riconducibile all'evasione sottrae alle casse dello Stato tra i 90 e i 120 miliardi di euro.

Entrando nel dettaglio, l'associazione veneta suddivide in sei aree l'impatto economico dell'inefficienza del settore pubblico: i debiti della P.A. nei confronti dei fornitori ammontano a 70 miliardi di euro; il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 42 miliardi di euro l'anno; il peso della burocrazia grava sulle piccole e medie imprese per un importo di 31 miliardi di euro l’anno; sono 24 i miliardi di euro di spesa pubblica in eccesso che non ci consentono di ridurre la nostra pressione fiscale in media Ue; gli sprechi e la corruzione presenti nella Sanità ci costano 23,6 miliardi di euro l’anno; la lentezza della nostra giustizia civile costa al sistema Paese 16 miliardi di euro l’anno.

"E' verosimile ritenere che se recuperassimo una buona parte dei soldi evasi al Fisco la nostra macchina pubblica funzionerebbe meglio e costerebbe meno - afferma il coordinatore della Cgia, Paolo Zabeo -. Analogamente, è altrettanto plausibile ipotizzare che se si riuscisse a tagliare sensibilmente la spesa pubblica, permettendo così la riduzione di pari importo anche del peso fiscale, molto probabilmente l'evasione sarebbe più contenuta, visto che molti esperti sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti".

"Secondo una recentissima analisi elaborata da due economisti italiani occupati presso la Direzione Generale Affari Economici e Finanziari dell'Ue, per diminuire in misura strutturale il carico fiscale italiano e allinearlo alla media dei Paesi dell'area dell'euro sarebbe necessario ridurre la spesa pubblica di almeno 24 miliardi di euro. Un obiettivo che, alla luce dei tagli di spesa previsti dalle ultime leggi di Stabilità, non ci sembra raggiungibile in tempi ragionevolmente brevi", conclude Zabeo.

sabato 9 gennaio 2016

Banca Etruria, perquisite 14 società. Anche del settore outlet, in cui ex presidente Rosi era in affari con papà Renzi.

Banca Etruria, perquisite 14 società. Anche del settore outlet, in cui ex presidente Rosi era in affari con papà Renzi

Le aziende riconducibili a Rosi e all’ex consigliere Luciano Nataloni, indagati per conflitto di interesse, hanno ricevuto dall'istituto di credito finanziamenti che non sono poi stati restituiti. Contribuendo ad allargare il buco di bilancio. Ora si profila l'apertura, ad Arezzo, di un nuovo fascicolo: stavolta per bancarotta fraudolenta.

Blitz della Guardia di Finanza di Arezzo in quattordici società con sede in ToscanaEmilia Romagna e Lombardia riconducibili all’ex presidente di Banca EtruriaLorenzo Rosi e all’ex consigliere Luciano Nataloni, e nella sede della banca. Le aziende avevano ricevuto finanziamenti dall’istituto di credito e sono risultate “assegnatarie di affidamenti deteriorati, ovvero interessate a qualsiasi titolo all’erogazione di essi”. Vale a dire che non hanno restituito i prestiti ottenuti, contribuendo così al buco di bilancio da 3 miliardi di euro che ha affossato l’Etruria. Queste perquisizioni potrebbero dunque aprire per gli ex vertici un nuovo fronte giudiziario, stavolta per bancarotta fraudolentaRosi e Nataloni sono già indagati per conflitto di interessi ed è nell’ambito di questa inchiesta che la procura aretina ha disposto le perquisizioni.
Le società visitate dalle Fiamme Gialle sono la cooperativa di costruzioni La Castelnuovese, Casprini Holding, Casprini gruppo industriale, Praha Invest, Gianosa srl, Immofin, Cd Holding, Cdg srl, Consorzio Etruria srl, Etruria Investimenti, Td Group, Naos srl,Città Sant’Angelo sviluppo Città Sant’Angelo outlet
Della Castelnuovese Rosi è stato presidente fino a luglio 2014, quando è stato chiamato ai vertici dell’istituto. La cooperativa è tra gli azionisti di un’altra società di cui è amministratore Rosi: la Egnazia Shopping Mall. Tra i soci della Egnazia figura anche la Nikila Invest, che controlla il 40 per cento nella Party srl di cui è socio Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, e amministratore unico la madre del premier Laura Bovoli (leggi l’inchiesta di ilfattoquotidiano.it sugli affari di Tiziano Renzi nel settore degli outlet). Renzi senior ha lavorato anche come “consulente per il marketing” per la stessa Egnazia, nata per costruire e gestire l’outlet The Mall a Fasano, nonché per la realizzazione di un outlet a Sanremo e per il raddoppio di quello di Leccio Reggello.
Perquisita anche la sede di Banca Etruria, per accertare, anche attraverso i verbali, la regolarità delle sedute del consiglio di amministrazione in cui sono stati decisi gli affidamenti alle altre aziende perquisite. L’obiettivo dei pm è acquisire documenti e materiale utile a ricostruire i collegamenti tra le società e la banca salvata dal governo, i cui obbligazionisti subordinati, oltre che gli azionisti, hanno perso tutti i risparmi investiti. E accertare gli incarichi ricoperti dall’ex presidente e dell’ex consigliere nelle aziende alle quali sono stati concessi gli affidamenti.
I fidi alle società collegate per un totale di 185 milioni – I due avrebbero infatti approvato finanziamenti a società in qualche modo a loro riconducibili senza fare la necessaria comunicazione agli organi dell’istituto. Dal verbale dell‘ultima ispezione della Banca d’Italia, quella terminata il 27 febbraio di quest’anno e sfociata nel commissariamento dell’istituto, emerge che 13 amministratori e cinque sindaci cumulavano 198 posizioni di fido per un totale di 185 milioni di euro. In particolare a Rosi sarebbe riconducibile l’esposizione nei confronti della Castelnuovese e a Nataloni, stando al verbale ispettivo, “nove posizioni, di cui due a sofferenza per una perdita totale per la banca di 5,4 milioni”. Di qui la nuova procedura sanzionatoria avviata, a danno fatto, da Palazzo Koch nei confronti del vecchio consiglio di amministrazione, in cui sedeva con il ruolo di vicepresidente Pier Luigi Boschi.
E i pm ora possono indagare per bancarotta fraudolenta – Ma ora appare anche più vicina l’apertura da parte dei pm aretini, che hanno già chiuso le indagini per ostacolo alla vigilanza (a breve partiranno le richieste di rinvio a giudizio) e per false fatturazioni e continuano a lavorare sul fascicolo per truffa, di una nuova inchiesta, questa volta per il reato di bancarotta fraudolenta. Le informazioni raccolte, rende noto la procura di Arezzo, “saranno comparate con quelle già acquisite, al fine di valutare la sussistenza di condotte omissive tese a celare interessi sottostanti fra i soggetti interessati e le società che hanno ricevuto affidamenti, non restituiti, che hanno generato una sofferenza o una perdita per la banca”. Il 28 dicembre il commissario liquidatore Giuseppe Santoni ha firmato la dichiarazione d’insolvenza per la “vecchia” Banca Etruria. Un atto formale e previsto, che però fornisce appunto alla Procura la pezza d’appoggio per procedere per bancarotta. E la stessa legge fallimentare prevede che la sua relazione sia esaminata per verificare se ci siano state “condotte distrattive” che hanno causato il crac.
Dal 28 dicembre sono scattati i 45 giorni che, come da prassi, il collegio del Tribunale di Arezzo ha a disposizione per riunirsi, verificare il ricorso e dichiarare lo stato di insolvenza. La riunione del collegio non sarebbe in programma prima del mese di febbraio. A quel punto il collegio trasmetterà gli atti al procuratore Roberto Rossi che verificherà se siano ravvisabili gli estremi per il reato.