lunedì 20 febbraio 2017

Roma Metropolitane, pignorati 10 milioni di euro: azienda sull’orlo del baratro. A rischio Metro C e conti del Comune. - Vincenzo Bisbiglia

Roma Metropolitane, pignorati 10 milioni di euro: azienda sull’orlo del baratro. A rischio Metro C e conti del Comune

Giovedì la Salini-Impregilo ha ottenuto dal giudice il blocco dei conti della municipalizzata, che da tempo in perdita costante, non ha mai approvato il bilancio 2015 e non ha proceduto alla ricapitalizzazione da 11 milioni di euro fondamentale per mantenerla in vita. Il fallimento dell'azienda, che ha contenziosi per 1 miliardo di euro, comporterebbe un effetto domino sulle casse del Campidoglio.

Un pignoramento da 10 milioni di euro rischia di far fallire la società del Comune di Roma che realizza le opere di trasporto pubblico (metro, tram, filobus, funivie, ecc). Conti correnti bloccati, azienda sull’orlo del baratro e l’amministratore unico – nominato appena 2 mesi fa da Virginia Raggi – che attacca la giunta grillina e minaccia le dimissioni. Roma Metropolitane è una polveriera e, se non accadrà qualcosa nei prossimi giorni, rischierà seriamente di essere al centro del prossimo ciclone di questa tempesta infinita che sta mettendo a dura prova l’amministrazione pentastellata. Anche perché in gioco c’e’, ancora una volta, la grande opera per eccellenza della Capitale: la metro C.
I CONTI IN ROSSO – Partiamo dalla fine. Giovedì scorso la Salini-Impregilo, nota società di costruttori romani, ha ottenuto dal giudice il pignoramento dei conti della municipalizzata, in virtù di un credito vantato di “appena” 10 milioni di euro, relativo alla costruzione (ultimata nel 2015) della linea B1 del metrò. 
Nonostante Roma Metropolitane abbia contenziosi aperti per quasi 1 miliardo di euro con varie aziende del settore, la visita pomeridiana dell’ufficiale giudiziario è bastata a bloccare definitivamente i flussi di cassa, già da tempo sono pressoché nulli.
Da dove nascono le difficoltà? L’azienda, da tempo in perdita costante, non ha mai approvato il bilancio 2015 e, seguendo l’indirizzo di una mozione presentata dalla maggioranza M5S e approvata a novembre in Assemblea Capitolina, non ha proceduto alla ricapitalizzazione da 11 milioni di euro fondamentale per mantenerla in vita. Tuttavia, a causa delle forti diversità di vedute fra l’assessore ai Trasporti, Linda Meleo, e quello alle Partecipate, Massimo Colomban, la sindaca Raggi ha comunque deciso di nominare un nuovo amministratore unico, Pasquale Cialdini, in attesa di varare un piano complessivo di riordino delle società capitoline, che però tarda ad arrivare.
TENSIONE AI VERTICI – La tensione si taglia a fette. E’ probabile che questo mese i circa 200 dipendenti fra ingegneri e impiegati non prenderanno lo stipendio, motivo per il quale da giorni sono in assemblea permanente. Durante un incontro con i sindacati, l’amministratore Cialdini – già dirigente del Mit – ha avuto parole durissime nei confronti della giunta, minacciando di dare dimissioni e di portare i libri contabili in tribunale se entro la fine di febbraio non arriveranno direttive sul futuro della società. I lavoratori venerdì pomeriggio hanno occupato simbolicamente il cantiere della metro C a San Giovanni, ma finora nessuno della maggioranza M5S si è espresso sul tema.
RISCHIO EFFETTO DOMINO – Ma cosa accadrebbe con il (possibile) fallimento di Roma Metropolitane? Il rischio è una specie di effetto domino che andrebbe a pesare direttamente sulle casse del Campidoglio, con ripercussioni economiche ben superiori all’effettivo valore della municipalizzata stessa. Come detto, Roma Metropolitane funziona da “stazione appaltante” per le grandi opere; questo significa che la società si accolla per conto del Comune tutti i rapporti finanziari con le aziende private che svolgono materialmente i lavori legati ai trasporti della Capitale.
Solo con il consorzio di imprese che sta costruendo la metro C – Vianini Caltagirone, Ansaldo Sts, Astaldi, Ccc e Cmb – la municipalizzata oggi diretta da Cialdini ha un debito certificato di quasi 200 milioni e un contenzioso aperto in tribunale civile per almeno altri 300 milioni. L’ex amministratore unico, Paolo Omodeo Salè, stimava in 1 miliardo di euro l’importo totale di questi contenziosi, che in caso di fallimento andrebbero a pesare tutti sul Campidoglio, mandandone in tilt i flussi di cassa.
GLI EFFETTI SULLA LINEA C – Come noto, la metro C di Roma ad oggi è in funzione in un tratto ancora piuttosto decentrato, ovvero dall’estrema periferia est di Pantano fino a piazza Lodi (appena dentro le mura Aureliane). Dopo molti tentennamenti, pare che Virginia Raggi e i suoi si siano convinti di portare avanti l’opera lungo il tracciato previsto, nonostante gli sprechi (extracosti per quasi 1 miliardo), i ritardi (ben 6 anni sulla tabella di marcia) e le inchieste aperte da Procura di Roma e Corte dei Conti.
In questo momento, il Campidoglio punta tutto sull’apertura della stazione di San Giovanni, ipotizzata per fine 2017, che permetterebbe alla linea C di incrociare la linea A. Un risultato che potrebbe essere messo in dubbio proprio dall’eventuale fallimento di Roma Metropolitane, punto di riferimento per il contraente generale e parafulmine economico per il Comune.

Basta!

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La domanda sorge spontanea:
ma, dopo gli avvenimenti ai quali abbiamo assistito, possiamo ancora dire che il PD sia un partito di ideologia di sinistra? 


Un partito tendenzialmente comunista?

A me sembra che abbia cambiato rotta e che sia diventato un partito con tendenze fasciste e liberali al massimo!


- Impone regole e leggi che privilegiano le banche e le grandi industrie; 
- non tutela i lavoratori tassandoli a dismisura (quando un lavoro ce l'hanno), e li costringe ad accettare stipendi sempre più bassi e orari di lavoro massacranti e schiavizzanti;           -  permette alle aziende di trasferire le attività altrove all'estero; 
- non punisce gli evasori, chi trasferisce denaro nei paradisi fiscali, chi commette reati contro la pubblica amministrazione, ......

Io non mi sento tutelata, mi sento perseguitata da questo PD!

venerdì 17 febbraio 2017

Milleproroghe, ok del Senato. Ecco tutte le novità da taxi a editoria.

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Via libera tra le proteste dall'aula del Senato. Sulla richiesta del governo di fiducia al maxiemendamento al decreto che "recepisce sostanzialmente le modifiche della commissione", ha spiegato la ministra per i rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro 153 i sì, 99 no e nessun astenuto. Il provvedimento passa ora all'esame della Camera che deve approvarlo entro la scadenza del 28 febbraio.
Numerose le modifiche al decreto "Omnibus" del governo in cui, come da tradizione, è finito un po' di tutto, dalla proroga alla Dis-coll a quella per le norme antincendio in asili, hotel e rifugi, passando per la proroga alla Bolkestein sul commercio a quella sull'applicazione delle norme che regolamentano gli Ncc e Uber, entrambe misure che hanno suscitato le proteste degli ambulanti, martedì, e dei tassisti, oggi. Il maxiemendamento - che inglobava i circa 100 emendamenti approvati in commissione Affari costituzionali - ha richiesto ieri sera diverso tempo per la bollinatura da parte della ragioneria dello Stato, facendo slittare il voto dell'aula a stamattina. Nel testo finale sottoposto oggi alla commissione Bilancio, sono state espulse alcune norme considerate doppioni o senza copertura.
COMMERCIO
Le principali modifiche approvate riguardano innanzitutto la proroga all'applicazione della direttiva Bolkestein al 31 dicembre 2018, superando quindi l'emendamento Mirabelli - che escludeva i Comuni che avevano già attivato i nuovi bandi - e che aveva scatenato la rumorosa protesta degli ambulanti che per ore martedì avevano fatto sentire la loro voce sotto palazzo Madama.
TAXI 
Protesta dei tassisti su corso Rinascimento, davanti il Senato, contro l'emendamento inserito nel decreto milleproroghe che, è l'accusa, favorirebbe servizi come Uber. La norma rimanda al 31 dicembre il termine entro cui il ministero delle Infrastrutture deve emanare il provvedimento finalizzato a impedire le pratiche di esercizio abusivo dei taxi e quelle di noleggio con conducente.
FISCO
Tra gli emendamenti approvati, c'è l'ok a due soli invii all'anno delle fatture Iva durante i primi dodici mesi di applicazione dello spesometro, il primo entro il 16 settembre 2017 e il secondo entro febbraio 2018. Restano invece le 4 scadenze annuali per le liquidazioni Iva.
TASSA DI SBARCO Un'altra modifica al testo inserisce invece la possibilità di introdurre una tassa fino a 2,5 euro per sbarcare sulle isole minori, in alternativa alla tassa di soggiorno.
PRECARI ISTAT
Soddisfatti i precari Istat: dopo le vibranti proteste dei 350 ricercatori precari dell'istituto, che nei giorni scorsi si erano "impossessati" dell'account Twitter dell'istituto ed erano stati anche ricevuti in direzione Pd potranno partecipare al concorso interno per l'assunzione.
PROROGA DIS-COLL 
Via libera all'emendamento per la proroga della Dis-Coll, cioè l'indennità di disoccupazione per i Collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co), mentre si conferma lo stop del mini aumento delle pensioni anche nel 2017.
RIENTRO CERVELLI IN FUGA
Approvata anche la norma che estende al 30 aprile 2017 il regime fiscale agevolato per il rientro dei cervelli in fuga, che permette di considerare reddito complessivo soltanto il 70% dell'intero reddito, con una riduzione della base imponibile ai fini Irpef del 30%.
TERREMOTI
Misure anche per i terremotati: via libera all'emendamento Pezzopane (Pd) che assicura per un ulteriore anno e fino a dicembre 2018 i contratti dei lavoratori precari del comune dell'Aquila e dei comuni del cratere. Il decreto conferma anche il differimento del pagamento dei mutui presso la Cassa Depositi e Prestiti, accesi dai Comuni colpiti dal sisma del 2012.
PARTITI POLITICI
Un altro anno di tempo, fino al 31 dicembre 2017, per i partiti politici per trasmettere i rendiconti relativi agli anni 2013, 2014 e 2015.
SLITTANO OBBLIGHI ANTINCENDIO
Rinviata l'entrata in vigore, al 31 dicembre 2017, delle norme antincendio negli asili nido, negli alberghi e nei rifugi.
CIGS SETTORE ITTICO
Ok anche allo stanziamento di 17 milioni di euro per la copertura della Cassa integrazione in deroga rivolta ai lavoratori del settore ittico nel 2016.
BONUS IRPEF PER CHI COMPRA CASAEsteso per tutto il 2017 il bonus Irpef per chi acquista una casa di classe A o B. Fino al 31 dicembre si potrà detrarre dall'imposta lorda il 50% dell'importo corrisposto per il pagamento dell'Iva per all'acquisto di un immobile ad alta efficienza energetica.
AFFITTI
I proprietari di case in affitto, non dovranno più registrare il contratto di locazione nel 730 per avere diritto alla cedolare secca.
LOTTERIA SCONTRINI
Rimandato al primo novembre 2017 l'avvio della sperimentazione della lotteria nazionale legata agli scontrini per gli acquisti con carta di debito o credito, introdotta nella legge di bilancio.
SALVI I PRECARI AGCOM
Cresce l'Autorità garante del mercato e della concorrenza, con un emendamento he consente di portare il totale dei dipendenti da 150 a 180 unità.
DIRITTI TV CALCIO
Slitta il trasferimento del 10% dei diritti audiovisivi incassati dalla Lega calcio di serie A ai settori giovanili, che scatterà a partire dal primo luglio 2017 (il vecchio termine era il 31 gennaio).
CINEMA E FONDAZIONI LIRICHE
Una parte delle risorse per le imprese di produzione cinematografica, per il 2017, potrà essere destinata all'Istituto Luce per la cineteca nazionale. Aumentano di 12 milioni le risorse per le fondazioni lirico sinfoniche con una quota massima di 4 milioni, dovrà essere destinata ad Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessati dagli eventi sismici dello scorso anno.
ANAS E RFI
Niente limiti alle assunzioni e stop alla spending review in Anas, mentre viene prorogato fino al 30 settembre 2017 del contratto di programma 2012-2014 con Rfi, in attesa dell'approvazione del nuovo.
EDITORIA
Rimandata anche l'applicazione della legge sull'editoria per quanto riguarda il contributo alle imprese e le regole di calcolo. Il contributo pubblico massimo liquidabile non può eccedere il 50 per cento dell'ammontare complessivo dei ricavi riferiti alla testata.
PROROGA IRES E IRAPProroga di 15 giorni per la trasmissione delle dichiarazioni Ires e Irap, da trasmettere entro il 16 ottobre.
AGENZIA ENTRATE
Prorogata di un anno la durata del mandato dei delegati nei consigli di rappresentanza militare e la finestra dei concorsi pubblici per coprire le vacanze di organico dei dirigenti delle Agenzie fiscali.

Mani Pulite, 25 anni dopo: Di Pietro, il malaffare si è evoluto. - Francesca Brunati



'C'è ancora ma si è ingegnerizzato per garantirsi più impunità.


"Da una parte rimane l'amarezza nel constatare che nonostante tutto quel che ha scoperchiato Mani Pulite, il sistema della corruzione e del malaffare nella pubblica amministrazione è rimasto ma non come prima: si è 'ingegnerizzato' per garantirsi maggiore impunità. Dall'altra parte bisogna sottolineare, come dimostrano le inchieste quotidiane, che la magistratura, nella lotta alla corruzione, non ha abbassato la guardia". 

A 25 anni di distanza dall'avvio dell'inchiesta Mani Pulite è la "riflessione a due facce" di Antonio Di Pietro, ex pm e tra i protagonisti, accanto a Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e all'allora Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli, di quella stagione cominciata il 17 febbraio 1992 con l'arresto di Mario Chiesa. Le parole di Di Pietro non sono inedite. Le va ripetendo da tempo e spesso in occasioni pubbliche. L'ultima una decina di giorni fa al Palagiustizia milanese dove l'incontro per celebrare il venticinquesimo anniversario dalla nascita dell'indagine, la quale ha comunque ridisegnato la geografia dei partiti italiani, è andato semi deserto. In quell'occasione, davanti a una platea risicata, e a fianco di Davigo, ora presidente del'Anm, aveva affermato: "Tangentopoli è ancora qui" mentre "Mani Pulite è finita" e da allora ad oggi l'unica cosa che è cambiata è che adesso "c'è desolazione da parte dell'opinione pubblica perché non crede più che possa cambiare qualcosa". E la dimostrazione è "quest'aula che vedo vuota". 

Ancora oggi, sentito al telefono, Di Pietro ha ricordato che "Mani Pulite non aveva scopi politici ed è stata solo una inchiesta giudiziaria che ha preso 'con le mani nella marmellata' anche i politici. Non è stata colpa della magistratura - ha aggiunto - se a rubare erano politici, uomini delle istituzioni e funzionari pubblici". Tutt'altra cosa Tangentopoli: "Era il sistema del malaffare. C'era allora e c'è adesso", solo che adesso si è in sostanza riprogrammato in modo più sofisticato per garantirsi sempre più l'impunità. Un sistema che non è stato intaccato visto che nella classifica mondiale dell'Indice di percezione della corruzione (Cpi) elaborata da Transparency International, l'Italia è al sessantesimo posto ed è terzultima in Europa, seguita da Grecia e Bulgaria. Qualcosa ha fallito? "Ha fallito chi doveva attivarsi affinché ci fossero leggi, mezzi e prevenzione... E non voglio aggiungere altro".

Tiziano Renzi indagato a Roma sugli appalti Consip: è accusato di concorso in traffico di influenze.

Tiziano Renzi indagato a Roma sugli appalti Consip: è accusato di concorso in traffico di influenze

L’inchiesta della Procura capitolina è uno stralcio di quella napoletana, svelata il 21 dicembre in esclusiva da Marco Lillo sul Fatto Quotidiano. Il padre dell'ex premier: "Ammetto la mia ignoranza ma prima di stamattina neanche conoscevo l’esistenza di questo reato che comunque non ho commesso essendo la mia condotta assolutamente trasparente come i magistrati - cui va tutto il mio rispetto - potranno verificare".


Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, è indagato dalla Procura di Roma nell’inchiesta sugli appalti Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione. L’accusa nei suoi confronti è concorso in traffico di influenze. L’inchiesta romana è uno stralcio di quella aperta a Napoli e svelata il 21 dicembre in esclusiva da Marco Lillo sul Fatto Quotidiano. Si tratta dello stesso procedimento (inviato a Roma per competenza territoriale) in cui è indagato il ministro dello Sport Luca Lotti, accusato a sua volta di rivelazione di segreto e favoreggiamento al pari del generale dei carabinieri Tullio Del Sette e il comandante della Legione Toscana dei carabinieri, il generale Emanuele Saltalamacchia.
Il padre del segretario del Pd ha ricevuto oggi un invito a comparire nel quale si ipotizza il reato a suo carico. I magistrati di piazzale Clodio intendono sentirlo a breve, già la prossima settimana. La notifica è arrivata a Renzi senior alle ore 13 a Scandicci, come confermato dall’avvocato Federico Bagattini, legale di Tiziano Renzi. “Il fatto è totalmente incomprensibile – ha detto il difensore – perché nell’atto è riportato solo il numero della norma violata. Prenderemo contatto con il pm per capire quali sarebbero i fatti contestati”.
Anche il diretto interessato ha detto la sua circa l’iscrizione nel registro degli indagati: “Ammetto la mia ignoranza ma prima di stamattina neanche conoscevo l’esistenza di questo reato – ha detto Tiziano Renzi – che comunque non ho commesso essendo la mia condotta assolutamente trasparente come i magistrati, a cui va tutto il mio rispetto, potranno verificare. I miei nipoti sono già passati da una vicenda simile tre anni fa – ha aggiunto – e devono sapere che il loro nonno è una persona perbene: il mio unico pensiero in queste ore è per loro”.
Il reato di traffico di influenze, contestato al padre dell’ex premier in concorso con altri, è stato introdotto nel codice penale nel 2012: mira a colpire anche il mediatore di un accordo corruttivo al fine di prevenire la corruzione stessa. Il ruolo del padre del segretario Pd ha attirato le attenzioni dei magistrati poiché strettamente collegato a quello del suo vecchio amico Carlo Russo, un imprenditore toscano molto vicino ad Alfredo Romeo, protagonista principale dell’inchiesta della Procura partenopea.
Il primo a commentare la notizia è il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio del M5s, che su twitter scrive: “Padre di Renzi e suo braccio destro Lotti indagati in inchiesta Consip. Renzi era a conoscenza del traffico di informazioni? #Renzisapeva?”. Dello stesso tenore il commento del capogruppo M5s Vincenzo Caso. “L’inchiesta Consip – dice – che riguarda una commessa miliardaria si conferma un caso giudiziario da approfondire, su cui è necessaria la massima attenzione di tutta l’opinione pubblica. Bisogna accendere un faro sulla vicenda”.
Nell’indagine, che di fatto viene coordinata da due Procure, il focus principale degli inquirenti è rivolto alla gara d’appalto, bandita nel 2014, denominata Fm4 (facility management) del valore di 2,7 miliardi di euro e che era stato suddiviso in una serie di lotti.  I magistrati capitolini intendono approfondire i rapporti tra il padre dell’ex premier e l’imprenditore Russo, in contatto con Romeo. Agli atti dell’indagine anche decine di intercettazioni telefoniche acquisite nel filone napoletano dell’inchiesta tra Romeo e l’ex deputato Italo Bocchino, “consulente” dell’imprenditore.
Per l’inchiesta Consip, nel dicembre scorso, dopo aver ricevuto gli atti da Napoli, i pm capitolini hanno ascoltato il ministro dello Sport Lotti e il comandante generale dell’Arma, Del Sette. Entrambi hanno respinto le accuse, sostenendo di non aver mai rivelato ai vertici di Consip l’esistenza di indagini. In particolare Lotti, interrogato il 27 dicembre scorso, ha affermato di “non avere mai saputo nulla di indagini” relative alla Consip. Riferendosi all’amministratore delegato della società, Luigi Marroni, che sentito come persona informata sui fatti dai magistrati di Napoli aveva fatto il nome dell’allora sottosegretario, Lotti ha detto di “non frequentarlo” e di “averlo visto solo due volte nell’ultimo anno”.

ECCO QUANTO HA RUBATO LA FAMIGLIA AGNELLI IN 100 ANNI AGLI ITALIANI! - Marx21

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Come gli Agnelli hanno rapinato l’Italia lungo un intero secolo.

Gioanin lamiera, come scherzosamente gli operai chiamavano l’Avvocato, ha succhiato di brutto; ma prima di lui ha succhiato suo padre; e prima di suo padre, suo nonno Giovanni. 

Giovanni Agnelli Il Fondatore. Hanno succhiato dallo Stato, cioè da tutti noi. E’ una storia della Fiat a suo modo spettacolare e violenta, tipo rapina del secolo, questa che si può raccontare – alla luce dell’ultimo blitz di Marchionne – tutta e completamente proprio in chiave di scandaloso salasso di denaro pubblico. Un salasso che dura da cent’anni. Partiamo dai giorni che corrono. Per esempio da Termini Imerese, lo stabilimento ormai giunto al drammatico epilogo (fabbrica chiusa e operai sul lastrico fuori dai cancelli). 

Costruito su terreni regalati dalla Regione Sicilia, nel 1970 inizia con 350 dipendenti e 700 miliardi di investimento. Dei quali almeno il 40 per cento è denaro pubblico graziosamente trasferito al signor Agnelli, a vario titolo. La fabbrica di Termini Imerese arriva a superare i 4000 posti di lavoro, ma ancora per grazia ricevuta: non meno di 7 miliardi di euro sborsati pro Fiat dal solito Stato magnanimo nel giro degli anni. Agnelli costa caro. Calcoli che non peccano per eccesso, parlano di 220 mila miliardi di lire, insomma 100 miliardi di euro (a tutt’oggi), transitati dalle casse pubbliche alla creatura di Agnelli. 

Nel suo libro – “Licenziare i padroni?”, Feltrinelli – Massimo Mucchetti fa alcuni conti aggiornati: «Nell’ultimo decennio il sostegno pubblico alla Fiat è stato ingente. L’aiuto più cospicuo, pari a 6059 miliardi di lire, deriva dal contributo in conto capitale e in conto interessi ricevuti a titolo di incentivo per gli investimenti nel Mezzogiorno in base al contratto di programma stipulato col governo nel 1988». Nero su bianco, tutto “regolare”. Tutto alla luce del sole. «Sono gli aiuti ricevuti per gli stabilimenti di Melfi, in Basilicata, e di Pratola Serra, in Campania». A concorrere alla favolosa cifra di 100 miliardi, entrano in gioco varie voci, sotto forma di decreti, leggi, “piani di sviluppo” così chiamati. Per esempio, appunto a Melfi e in Campania, il gruppo Agnelli ha potuto godere di graziosissima nonché decennale esenzione dell’imposta sul reddito prevista ad hoc per le imprese del Meridione. E una provvidenziale legge n.488 (sempre in chiave “meridionalistica”) in soli quattro anni, 1996-2000, ha convogliato nelle casse Fiat altri 328 miliardi di lire, questa volta sotto la voce “conto capitale”. Un bel regalino, almeno 800 miliardi, è anche quello fatto da tal Prodi nel 1997 con la legge – allestita a misura di casa Agnelli, detentrice all’epoca del 40% del mercato – sulla rottamazione delle auto. 
Per non parlare dell’Alfa Romeo, fatta recapitare direttamente all’indirizzo dell’Avvocato come pacco-dono, omaggio sempre di tal Prodi. Sempre secondo i calcoli di Mucchetti, solo negli anni Novanta lo Stato ha versato al gruppo Fiat 10 mila miliardi di lire. Un costo altisssimo è poi quello che va sotto la voce”ammortizzatori sociali”, un frutto della oculata politica aziendale (il collaudato stile “privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite”): cassa integrazione, pre-pensionamenti, indennità di mobilità sia breve che lunga, incentivi di vario tipo. «Negli ultimi dieci anni le principali società italiane del gruppo Fiat hanno fatto 147,4 milioni di ore di cassa integrazione – scrive sempre Mucchetti nel libro citato – Se assumiamo un orario annuo per dipendente di 1.920 ore, l’uso della cassa integrazione equivale a un anno di lavoro di 76.770 dipendenti. E se calcoliamo in 16 milioni annui la quota dell’integrazione salariale a carico dello Stato nel periodo 1991-2000, l’onere complessivo per le casse pubbliche risulta di 1228 miliardi». 

Grazie, non è abbastanza. Infatti, «di altri 700 miliardi è il costo del prepensionamento di 6.600 dipendenti avvenuto nel 1994: e atri 300 miliardi se ne sono andati per le indennità di 5.200 lavoratori messi in mobilità nel periodo». Non sono che esempi. Ma il conto tra chi ha dato e chi ha preso si chiude sempre a favore della casa torinese. Ab initio. In un lungo studio pubblicato su “Proteo”, Vladimiro Giacché traccia un illuminante profilo della storia (rapina) Fiat, dagli esordi ad oggi, sotto l’appropriato titolo”Cent’anni di improntitudine.

Ascesa e caduta della Fiat”. Nel 1911, la appena avviata industria di Giovanni Agnelli è già balzata, con la tempestiva costruzione di Motori per navi e sopratutto di autocarri, «a lucrare buone commesse da parte dello Stato in occasione della guerra di Libia». Non senza aver introdotto, già l’anno dopo, 1912, «il primo utilizzo della catena di montaggio», sulle orme del redditizio taylorismo. E non senza aver subito imposto un contratto di lavoro fortemente peggiorativo; messo al bando gli “scioperi impulsivi”; e tentato di annullare le competenze delle Commissioni interne. «Soltanto a seguito di uno sciopero durato 93 giorni, la Fiom otterrà il diritto di rappresentanza e il riconoscimento della contrattazione collettiva» (anno 1913). Anche il gran macello umano meglio noto come Prima guerra mondiale è un fantastico affare per l’industria di Giovanni Agnelli, volenterosamente schierata sul fronte dell’interventismo. I profitti (anzi, i “sovraprofitti di guerra”, come si disse all’epoca) furono altissimi: i suoi utili di bilancio aumentarono dell’80 per cento, il suo capitale passò dai 17 milioni del 1914 ai 200 del 1919 e il numero degli operai raddoppiò, arrivando a 40 mila.
«Alla loro disciplina, ci pensavano le autorità militari, con la sospensione degli scioperi, l’invio al fronte in caso di infrazioni disciplinari e l’applicazione della legge marziale». E quando viene Mussolini, la Fiat (come gli altri gruppi industriali del resto) fa la sua parte. Nel maggio del ’22 un collaborativo Agnelli batte le Mani al “Programma economico del Partito Fascista”; nel ’23 è nominato senatore da Mussolini medesimo; nel ’24 approva il “listone” e non lesina finanziamenti agli squadristi.

Ma non certo gratis. In cambio, anzi, riceve moltissimo. «Le politiche protezionistiche costituirono uno scudo efficace contro l’importazione di auto straniere, in particolare americane». Per dire, il regime doganale, tutto pro Fiat, nel 1926 prevedeva un dazio del 62% sul valore delle automobili straniere; nel ’31 arrivò ad essere del 100%; «e infine si giunse a vietare l’importazione e l’uso in Italia di automobili di fabbricazione estera». Autarchia patriottica tutta ed esclusivamente in nome dei profitti Fiat. Nel frattempo, beninteso, si scioglievano le Commissioni interne, si diminuivano per legge i salari e in Fiat entrava il “sistema Bedaux”, cioè il “controllo cronometrico del lavoro”: ottimo per l’intensificazione dei ritmi e ia congrua riduzione dei cottimi. Mussolini, per la Fiat, fu un vero uomo della Provvidenza. E’ infatti sempre grazie alla aggressione fascista contro l’Etiopia, che la nuova guerra porta commesse e gran soldi nelle sue casse: il fatturato in un solo anno passa da 750 milioni a 1 miliardo e 400 milioni, mentre la manodopera sale a 50 mila. «Una parte dei profitti derivanti dalla guerra d’Etiopia – scrive Giacché – fu impiegata (anche per eludere il fisco) per comprare i terreni dove sarebbe stato costruito il nuovo stabilimento di Mirafiori». Quello che il Duce poi definirà «la fabbrica perfetta del regime fascista». Cospicuo aumento di fatturato e di utili anche in occasione della Seconda guerra mondiale. Nel proclamarsi del tutto a disposizione, sarà Vittorio Valletta, nella sua veste di amministratore delegato, a dare subito «le migliori assicurazioni. Ponendo una sola condizione: che le autorità garantissero la disciplina nelle fabbriche attraverso la militarizzazione dei dipendenti». 
Fiat brava gente. L’Italia esce distrutta dalla guerra, tra fame e macerie, ma la casa torinese è già al suo “posto”. Nel ’47 risulta essere praticamente l’unica destinataria dell’appena nato “Fondo per l’industria meccanica”; e l’anno dopo, il fatidico ’48, si mette in tasca ben il 26,4% dei fondi elargiti al settore meccanico e siderurgico dal famoso Piano Marshall. E poi venne la guerra fredda, e per esempio quel grosso business delle commesse Usa per la fabbricazione dei caccia da impiegare nel conflitto con la Corea. E poi vennero tutte quelle autostrade costruite per i suoi begli occhi dalla fidata Iri. E poi venne il nuovo dazio protezionistico, un ineguagliabile 45% del valore sulle vetture straniere… E poi eccetera eccetera. Mani in alto, Marchionne! 
Questa è una rapina.

http://laveritadininconaco.altervista.org/quanto-rubato-la-famiglia-agnelli-100-anni-agli-italiani/

giovedì 16 febbraio 2017

Inps, Corte dei Conti: ‘Per la prima volta patrimonio negativo. E il rosso peggiorerà’. Boeri: ‘Prestazioni garantite’. - Fiorina Capozzi

Inps, Corte dei Conti: ‘Per la prima volta patrimonio negativo. E il rosso peggiorerà’. Boeri: ‘Prestazioni garantite’

"Il sistema è sostenibile", ha gettato acqua sul fuoco il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Ma i magistrati contabili, nella determinazione sull'esercizio 2015 dell'istituto, sottolineano che anche il bilancio di previsione per il 2017 evidenzia una perdita e un patrimonio netto che passa da -1,73 a -7,8 miliardi. Perplessità poi sulla riforma avviata dal presidente.


I conti 2015 dell’Inps sono in rosso. E, per la prima volta, nel 2016 le perdite mangeranno anche quasi due miliardi di patrimonio dell’istituto. Ma per il presidente Tito Boeri non c’è nessun allarme nello scenario decritto dalla Corte dei Conti con la determinazione sull’esercizio 2015 dell’istituto. Anche perché “il disavanzo deriva unicamente da ritardi nei trasferimenti dello Stato che vengono anticipati dall’Inps e poi ripianati di nuovo dallo Stato. E’ già successo altre volte”, ha precisato Boeri. Aggiungendo che in ogni caso “le prestazioni sono garantite dallo Stato”. “Il sistema è sostenibile“, ha aggiunto poi il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, spiegando che non sono previsti interventi del governo a supporto dell’ente previdenziale.
Eppure per la Corte dei Conti c’è un chiaro trend di deterioramento patrimoniale. Se infatti il 2015 si chiude con un risultato economico negativo per 16,297 miliardi e un patrimonio netto in flessione a 5,87 miliardi, non c’è da star tranquilli per gli anni a venire. I magistrati contabili evidenziano come sullo scorso anno “per effetto di un peggioramento dei risultati previsionali assestati del 2016 (con un risultato economico negativo che si attesta su 7,65 miliardi) il patrimonio netto passi, per la prima volta dall’istituzione dell’ente, in territorio negativo per 1,73 miliardi“. Non solo: “Nella stessa direzione, il bilancio di previsione per il 2017 adottato dal presidente il 27 dicembre 2016 e in corso di approvazione da parte del Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ), mostra un risultato economico di esercizio negativo per 6,152 miliardi e un patrimonio netto che si attesta a -7,863 miliardi”, come si legge nel documento della Corte dei Conti che evidenzia come nel 2015 21 milioni di pensioni (di cui l’82% previdenziali) siano costate 307 miliardi contro 215 miliardi di entrate contributive.
Ma, al di là dello squilibrio di gestione, la maggiore criticità nel bilancio Inps è nei crediti contributivi. Nel 2015 il loro valore è ammontato a 92,399 miliardi. Ma sulla effettiva riscossione di questa somma cui non ci sono certezze perché si tratta di crediti “a rischio di realizzabilità”. Non a caso, nel 2015 sono state proprio le svalutazioni dei crediti (per 13,09 miliardi) a determinare il risultato negativo della gestione. “Rimane, pertanto, centrale ai fini del rispetto degli stessi principi della attendibilità e veridicità dei dati iscritti in bilancio che l’Istituto prosegua e rafforzi gli interventi volti ad accertare la sussistenza dei presupposti sottesi all’iscrizione in bilancio dei residui attivi, la cui revisione – e la conseguente cancellazione di quelli non più riscuotibili – si pone a monte sia della eliminazione dalle poste dell’attivo dello stato patrimoniale dei correlati crediti, sia della correzione degli importi iscritti nel fondo svalutazione crediti (55 miliardi, ndr) che figura nel passivo dello stato patrimoniale” precisa la Corte.
Nelle 206 pagine di delibera, la magistratura contabile accende anche un faro su voucher e Isee. Per la Corte dei Conti, dietro all’incremento dei buoni lavoro per le prestazioni occasionali di lavoro accessorio (+66% rispetto al 2014 per 1,151 miliardi) potrebbero infatti nascondersi “fenomeni di lavoro nero e irregolare” capaci di incidere negativamente sui flussi di cassa dell’ente. Per questo “l’espandersi dell’utilizzo dello strumento impone, comunque, un’attenta opera di vigilanza”, si legge nella delibera. Per quanto invece ai rapporti con i Caf per l’assistenza agli utenti delle dichiarazioni sostitutive uniche (Dsu) ai fini della certificazione Isee, l’Inps ha registrato un incremento nei costi (87 milioni, 11 in più rispetto alla stanziamento di bilancio 2016) coperto, con un intervento spot, attraverso la riduzione di altre voci di spesa dell’Istituto. Tuttavia “il problema della copertura dei costi del servizio reso dai Caf, in particolare, ai fini della certificazione Isee rimane, dunque, ancora non risolto, con ripercussione già dal 2017. E’ dunque necessario che si pervenga ad individuare idonee soluzioni anche di carattere tecnico-normativo”, spiega il documento esprimendo preoccupazione per uno strumento necessario per consentire l’accesso alle agevolazioni per le classi meno agiate della popolazione.
Desta, infine, perplessità la riforma avviata da Boeri. La Corte esprime dubbi cioè sul regolamento, che ha rafforzato la figura del presidente ed innescato una lotta di potere all’interno dell’ente previdenziale. Per i magistrati contabili, “l’interpretazione conferita dalla norma regolamentare al quadro normativo vigente non appare del tutto convincente” relativamente al rapporto fra presidente e direttore generale. Per non parlare del fatto che anche la determinazione presidenziale che stabilisce criteri e modalità per gli incarichi dirigenziali rischia di far scattare una “crescita esponenziale del contenzioso sulla materia”. Con un conseguente impatto negativo sui risultati futuri dell’ente.
Che l'abuso di utilizzo e le pessime amministrazioni abbiano causato il problema risulta anche naturale, ciò che lascia perplessi è l'opinione che esprime la Corte dei Conti su Boeri. 
Un responsabile deve avere un certo potere decisionale sull'oggetto affidatogli.
O chi ha affidato la nomina pensava di aver posto in atto l'ennesima investitura di simil "cavalier servente"?
La politica ha perso il suo bel significato, purtroppo, assumendone uno peggiore e mortificante: quello di "pessima espressione di amministrazione della società".
C.