venerdì 9 marzo 2018

Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: come il Pd inventa una fake-news. - Francesca Fornario

Meridionali in coda per il reddito di cittadinanza: come il Pd inventa una fake-news

Oh, avete sentito la notizia di quegli scansafatiche dei meridionali in coda ai Caf per chiedere il reddito di cittadinanza promesso dai grillini, rilanciata da tutti i tg???
È falsa. Una bufala totale, lanciata dalla Gazzetta del Mezzogiornoe ripresa da Repubblica e da tutte le tv e sapientemente smontata dal Fatto. Una panzana di quelle che Matteo Renzi, all’inizio della sua campagna elettorale, prometteva solennemente di combattere: “Ho creato un milione di posti di lavoro e ogni quindici giorni farò un report contro le fake news (Il prossimo tra 14 giorni, ndr)”.
La falsa notizia è stata messa in giro da un esponente del Pd e da un sindacalista che faceva propaganda per il Sì al referendum di Renzi.
“Da lunedì ci sono lunghe code al Caf: decine e decine di meridionali che chiedono i moduli da riempire per poter ottenere il reddito di cittadinanza promesso dai 5 Stelle!”, hanno raccontato i vertici di Porta Futuro, centro di orientamento al lavoro di Bari, il cui responsabile è Franco Lacarra, delegato welfare del Pd barese e dirigente del comune governato dal sindaco (renziano) Antonio Decaro. Il sindaco di Giovinazzo, Tommaso Depalma, che in campagna elettorale ha sostenuto il Pd, conferma e rilancia: “Già da lunedì dietro la porta dell’assessore ai Servizi Sociali di Giovinazzo c’erano persone in fila per chiedere spiegazioni sul Reddito di Cittadinanza promesso dal M5s in caso di vittoria! Abbiamo dovuto dirgli che era solo una promessa…”.

Qualcosa, però, non torna: non si trovano testimonianze né foto delle persone in code, né a Bari, né a Giovinazzo, ne in altri comuni del sud. La notizia però monta: le tv dedicano lunghi servizi e dibattiti ai meridionali che pretendono i soldi senza lavorare e che per questa loro atavica inclinazione al parassitismo hanno votato in massa 5 Stelle.
Il testimone intervistato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, però, ritratta. Non si trova uno disposto a raccontare che sì, lui era lì in coda, con decine di altri, perché aveva creduto alla promessa dei 5 Stelle. Non uno che li abbia visti. Si scopre anzi che il responsabile del centro per l’impiego che ha diffuso la notizia, Franco Lacarra, è fratello di Marco, segretario Pd appena eletto parlamentare in quota Renzi. Il quale Marco Lacarra, a fine febbraio, è stato accusato dai 5 Stelle pugliesi di aver affidato illegittimamente un incarico regionale da 19mila euro a un suo parente. Chi? Il fratello Franco.

Gli attivisti locali del Movimento 5 Stelle corrono comunque a verificare: “Abbiamo controllato e dopo aver girato alcuni Caf senza scorgere neanche lontani tentativi di assalti, abbiamo deciso di recarci direttamente a Porta futuro”, racconta Sebastiano Tagliaferro: “All’ingresso alcuni addetti ci hanno spiegato che in realtà loro non avevano visto quasi nessuno, che la notizia sentita in tv li ha lasciati di stucco “. Cercano direttore Franco Lacarra, costretto anche lui a ridimensionare di molto la portata dell’assalto agli sportelli: non centinaia di persone che nessuno ha mai visto ma… “alcune”. Niente code, niente ressa. Gli attivisti gli chiedono di pubblicare una smentita che esce come post sulla pagina Facebook del centro per l’impiego. Anche il sindaco di Giovinazzo modifica la sua versione dei fatti, al telefono con l’Adnkronos, dopo aver riferito delle lunghe file: “Sono venute 4 o 5 persone, tutto qui, ma è normale, vengono sempre…”.
Una bufala anche l’unico altro caso specifico al quale le tv hanno fatto riferimento per poi generalizzare e far la morale ai meridionali pigri e stolti che abboccano alle promesse di Di Maio.

Palermo, Toto Barone, delegato cittadino della Lnd–Figc, affigge un manifesto all’ingresso del suo patronato: “Qui non si fanno pratiche per il reddito di cittadinanza”. Poi si lamenta al telefono con le agenzie di stampa: “Ecco cosa siamo costretti a scrivere oggi grazie ai Cinque Stelle!”. Anche a Palermo, però, nessuno ha visto né fotografato le code. Sul sito personale di Barone colpisce un particolare: il logo per il Sì al referendum costituzionale di dicembre 2016.
Il Fatto chiede chiarimenti alla consulta nazionale dei Caf, che smentisce categoricamente ogni tipo di ricostruzione: “Si sarà trattato di casi isolati, comunque numeri irrilevanti. Non è stata segnalata nessuna coda ai nostri sportelli”.
I tg e talk show che hanno dato la notizia falsa non danno però la smentita che poi è la notizia vera, perché non ci farebbero una gran figura ad ammettere di non aver verificato i fatti, e di aver mandato in onda generiche immagini d’archivio di code al Caf come se quelle fossero le file per il reddito di cittadinanza.

Non mi ha sorpreso che fosse una fake news. In questi mesi ho incrociato centinaia di elettori 5 Stelle. Quando domandavo: “Perché voti 5 Stelle?” nessuno mi ha ma citato il reddito di cittadinanza, mai. Né fuori dalle fabbriche né tra i giovani né tra gli ex elettori di sinistra. Ti spiegano che votano perché i 5 Stelle sono gli unici che possono fare argine alla destra/Renzi/le larghe intese e cercano di convincerti a fare altrettanto: “Proviamo, sono comunque meglio loro di Renzi/Berlusconi/D’Alema/Salvini”.
A naso, do anche una diversa interpretazione della notizia del reddito di cittadinanza diventato trend topic su Google la notte delle elezioni. Non credo siano gli lettori ansiosi di cercare il reddito su Google alle 4 di mattina, quando bastano pochi click per diventare trend sui motori di ricerca. Sospetto che a digitare fossero gli unici svegli la notte delle elezioni: giornalisti e candidati.

A quale scopo, però, il Pd ha rilanciato una simile fake news? Per irridere i meridionali? Per fare apparire irresponsabile Di Maio al confronto del moooolto più responsabile Silvio Berlusconi, nella speranza di convincere i pochi elettori rimasti che è meglio fare il governo con Berlusconi, cosa che del resto il Pd ha già fatto in passato?
Basandosi su questa fake news, in tutti i dibattiti tv, commentatori e esponenti Pd hanno rafforzato nella mente dei pochi elettori residui il pregiudizio che i meridionali siano parassiti e scansafatiche e l’idea che non sia etico che lo Stato paghi chi sta a casa senza lavorare (dimostrando di ignorare la proposta 5 Stelle). Eppure, gli esponenti Pd sanno – mi auguro –  tre cose: la prima è che l’Italia è il solo paese europeo oltre alla Grecia a non avere una forma di reddito minimo garantito ed è per questo tra i paesi dove la povertà è aumentata vertiginosamente: triplicata in 10 anni, invece che diminuita. La seconda è che l’Europa, un reddito universale per tutti, ce lo chiede dal 1992 ma il Pd e Forza Italia hanno preferito dar retta all’Europa solo quando chiedeva di aumentare l’età pensionabile, precarizzare il lavoro, salvare le banche invece dei poveri. La terza è che pagare chi non lavora, cosa che per gli esponenti Pd sarebbe oltremodo diseducativa, è quello che lo Stato italiano già fa da sempre: lo fa attraverso i sussidi di disoccupazione riformulati da Monti e Fornero e poi da Renzi con la Naspi, lo fa attraverso il reddito di inclusione (poche centinaia di euro che escludono dal sussidio due terzi dei cinque milioni di poveri assoluti e tutti i nove milioni di poveri relativi), lo fa attraverso la cassa integrazione straordinaria, un ammortizzatore sociale concesso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed erogato dall’Inps ai lavoratori che vengono “sospesi” dalle aziende in crisi e che dunque non lavorano. Il problema è che questi ammortizzatori sociali escludono intere categorie di lavoratori(autonomi, false partite Iva, a buoni-lavoro…), che quando perdono il lavoro precipitano in povertà.

Dubito invece che molti esponenti Pd, così come molti loro elettori e molti giornalisti, conoscano davvero il tema del reddito. Dubito che abbiamo approfondito la differenza sostanziale che esiste tra la proposta di legge a favore del reddito minimo garantito depositata negli anni passati da Sel e il “reddito di dignità” promosso dalla Rete dei numeri pari di Don Ciotti per uscire dalla povertà e condiviso da Potere al popolo e il reddito di autodeterminazione delle donne elaborato dal Non Una di Meno e la proposta dei 5 Stelle di un reddito che non è universalistico, non è per tutti, ma è legato all’obbligo di cercare e accettare qualunque lavoro e intanto lavorare gratuitamente per lo Stato (lavoro gratuito legalizzato: di nuovo!Come per gli stagisti della pubblica amministrazione, come per gli studenti in alternanza, come per i richiedenti asilo… poi lamentiamoci che non c’è lavoro, eh).
Gli esponenti Pd che hanno alimentato con una notizia falsa l’idea che il Sud sia popolato da poveri ignoranti e parassiti meriterebbe che i molti poveri del Sud smettessero di votare per il Partito Democratico… un momento: già fatto.

giovedì 8 marzo 2018

MILENA GABANELLI - IL REDDITO DI CITTADINANZA M5S




8 marzo 2018

Risultati immagini per antonietta e le sue bambine

Risultati immagini per mimosa

Il nostro è il paese in cui si fanno leggi che nessuno rispetta, neanche chi dovrebbe farle rispettare.
Queste tre belle persone potrebbero vivere ancora unite e felici se fossero state applicate le leggi varate in materia di violenza sulle donne e se chi doveva prodigarsi a farle rispettare non le avesse violate, invece, egli stesso.
Le leggi non servono se non si cambia modo di pensare.
Le leggi non servono se non si fanno rispettare.
Nel nostro paese chi è famoso o ha potere, oppure soldi, può fare ciò che vuole, anche presentarsi a governare dopo aver subito una condanna definitiva per frode allo stato, oppure chi ricatta, chi si comporta in modo osceno in luogo pubblico, chi deturpa l'ambiente in cui vive, chi corrompe, chi usa il potere per arricchirsi, ...
Noi italiani siamo "troppo" accondiscendenti.
E questo è un problema.
Mi auguro che, presto, tutto questo cambi.
Buon 8 marzo.

martedì 6 marzo 2018

Elezioni 2018, in Sicilia il cappotto del M5s grazie a ex astenuti ed elettori pentiti del Pd. Tradito dai voltagabbana. - Giuseppe Pipitone

Elezioni 2018, in Sicilia il cappotto del M5s grazie a ex astenuti ed elettori pentiti del Pd. Tradito dai voltagabbana

Sull'isola i pentastellati conquistano tutti i 28 collegi uninominali, gran parte di quelli plurinominali e superano il 48% Rispetto alle regionali di novembre hanno più che raddoppiato di voti grazie all'aumento dell'affluenza e al clamoroso flop dei dem, sotto il 12%. Renzi e Faraone pagano il risultato deludente dei tanti ex del centrodestra arruolati negli ultimi mesi con l'obiettivo di emulare il 61 a 0 di Berlusconi nel 2001. Tiene il centrodestra con Forza Italia al 21 e la Lega che supera il 5%.

“In Sicilia abbiamo la stessa forza del centrodestra alle elezioni del 2001”. Chissà se in queste ore Davide Faraone ricorderà quanto dichiarato in pompa magna nel marzo del 2015, quando accoglieva nel Pd l’ennesima pattuglia di transfughi del centrodestra fulminati sulla via della Leopolda. Una profezia, quella del sottosegretario, che si è rivelata nefasta esattamente due anni dopo. Il viceré di Matteo Renzi sull’isola ottiene il suo seggio al Senato – era capolista nel listino plurinominale – ma sarà ricordato inevitabilmente tra i volti del Pd che ha fatto registrare una delle più clamorose disfatte di sempre. Una sconfitta ancora più netta sull’isola, dove i dem non superano il 12% (a volte si fermano addirittura al 10) e l’intero centrosinistra raggiunge al massimo il 14%: meno di un terzo rispetto al risultato regionale del Movimento 5 stelle.

Il M5s ha guadagnato 100mila voti al mese – A ben vedere, infatti, aveva ragione Faraone: la Sicilia è stata nuovamente teatro di un altro clamoroso cappotto, come quello dei 61 seggi a zero conquistati dal centrodestra alle politiche di 17 anni fa. Questa volta, però, il bottino pieno è appannaggio totale del M5s, capace di conquistare tutti i 28 collegi uninominali: un successo talmente ampio non era stato ipotizzato neanche dai sondaggi più generosi. D’altra parte appena quattro mesi fa i pentastellati avevano perso le regionali pur imponendosi come prima forza all’Assemblea regionale Sicilia. In quattro mesi, però, la geografia del voto in Sicilia è cambiata moltissimo. A cominciare dall’affluenza: a votare per le politiche è andato il 63% dei siciliani, numeri inferiore alla media nazionale ma pur sempre diciassette punti percentuali in più rispetto al turno di novembre. Un dato che ha fatto la fortuna proprio dei 5 stelle capaci di raccogliere un milione e 181 milavoti alla Camera. Significa che a scegliere Luigi Di Maio è stato il 48%, quasi un siciliano su due: numeri che da queste parti non faceva registrare neanche la Dc. Il successo dei pentastellati, poi, diventa ancora più netto se confrontato con le cifre delle regionali, quando i voti raccolti dal M5s erano stati “appena” 513mila: vuol dire che in Sicilia i grillini di Giancarlo Cancelleri sono cresciuti al ritmo di 100mila voti al mese.

Il successo M5s: ex astenuti e pentiti del Pd – Un consenso arrivato soprattutto da elettori che a novembre si erano astenuti o che avevano scelto il centrosinistra. La coalizione di Renzi, infatti, si ferma a 331mila voti, 150mila in meno rispetto ai 488mila conquistati quattro mesi fa. E pensare che per il Pd le elezioni siciliane erano già state un’esperienza infausta: evidentemente non c’è mai fine al peggio. Perde qualcosa, nonostante l’aumento dell’affluenza, anche il centrodestra: la coalizione di Silvio BerlusconiMatteo Salvini e Giorgia Meloni si attesta sul 32% con 766mila voti, circa 50mila in meno rispetto al successo del 5 novembre. Se alle regionali il governatore Nello Musumeci aveva potuto contare sull’apporto di alcuni dei cosiddetti ras acchiappapreferenze, così non è stato a questo giro. Il risultato è appunto la schiacciante vittoria del M5s nei collegi uninominali dove i candidati poco noti dei pentastellati hanno sconfitto nettamente politici di lungo corso. A Palermo, per esempio, Aldo Penna batte a sorpresa il berlusconiano Francesco Cascio, ex presidente dell’Ars, mentre Roberta Alaimo supera Antonello Antinoro, noto come Mister Preferenza. A Monreale Giuseppe Chiazzese stacca di quasi dieci punti l’ex ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano. A Barcellona Pozzo di Gotto Alessio Villarosa vince lo scontro diretto con Maria Tindara Gullo, deputata uscente e diretta emanazione di Francantonio Genovese. A Messina Francesco D’Uva ha la meglio su Matilde Siracusano, vicina all’ex ministro Antonio Martino. A Paternò Eugenio Saitta col 51% lascia a casa Giuseppe Lombardo, nipote dell’ex governatore Raffaele.
Il cappotto del M5s – E se i 5 stelle riescono a vincere gli scontri diretti nei collegi dove il centrodestra aveva piazzato i suoi candidati più forti, in tutti gli altri – dove gli avversari non schieravano nomi da prima fila – dilagano. All’uninominale per la Camera di Mazara Vita Martingiglio prende il 53%, a Ragusa l’uscente Marialucia Lorefice supera il 52, come Simona Suriano a Misterbianco e Maria Marzana ad Avola. Quali sono i collegi più grillini di Sicilia e quindi d’Italia? Quello di Agrigento, dove alla Camera Michele Sodano prende il 50% mentre al Senato Gaspare Marinello supera il 52, e quello di Siracusa dove Paolo Ficara conquista un posto a Montecitorio col 57% e Giuseppe Pisano vola a Palazzo Madama col 53%. Entra alla Camera col 51% nel collegio uninominale di Marsala anche Piera Aiello, la testimone di giustizia cognata di Rita Atria, morta suicida nel 1992 dopo aver deciso di collaborare con la magistratura. “Ventisette anni fa ho detto basta alla mafia, ora a questo sistema dei partiti, un sistema vecchio e superato, fatto da gente inchiodata da 50 anni alle poltrone che ha sempre considerato la Sicilia un bacino di voti, in cui fare alla vigilia del voto promesse poi dimenticate”, dice Aiello che da anni vive in una località segreta con una falsa identità e ha condotto la campagna elettorale proteggendo il suo volto dagli scatti di fotografi e dalle telecamere delle tv. Con l’elezione tornerà a utilizzare il suo vero nome e a mostrare il suo volto pubblicamente.

La destra si salva con il proporzionale – Oltre al cappotto negli uninominali i pentastellati si impongono anche nelle liste proporzionali. I conti sono in corso ma dei 16 seggi al Senato la metà è appannaggio del Movimento di Di Maio. Che quindi eleggerebbe tutti i candidati per Palazzo Madama: i quattro del collegio Sicilia 1 e i quattro del collegio Sicilia 2. Gli altri 8 seggi saranno divisi tra  Forza Italia –  ne prende 3 con Renato Schifani, Gabriella Giammanco e Urania Papatheu – il Pd – due poltrone per Faraone e Valeria Sudano – e uno a testa per Fratelli d’Italia (Raffaele Stancanelli), Lega (Giulia Bongiorno) eLiberi e Uguali, che sfiora il 3% ed elegge Pietro Grasso. Stesso discorso per i listini della Camera: dei 33 posti, 17 spettano al Movimento 5 stelle che ha rischia di avere più seggi che persone in lista. Alcuni degli eletti al proporzionale, infatti, hanno anche vinto il collegio uninominale. Il Pd porta alla Camera solo quattro deputati che sono Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Totò, il segretario regionale Fausto Raciti, quello di Palermo Carmelo Miceli e il rettore di Messina Pietro Navarra, tutti piazzati dietro la Boschi. Due seggi a Leu, (Erasmo Palazzotto e Guglielmo Epifani), e undici per il centrodestra, che porta a Montecitorio tra gli altri Antonino Minardo, condannato a 8 mesi per abuso d’ufficio, il prescritto Franscesco Scoma e l’ex ministra Stefania Prestigiacomo. Da segnalare oltre all’incredibile 20% di Forza Italia (il risultato più alto d’Italia) soprattutto il 5 della Lega, che a Caltanissetta arriva al 7 e addirittura a Taormina supera il 23. È la città che ha ospitato il G7 e uno dei collegi dove Renzi aveva paracadutato Maria Elena Boschi: qualcosa vorrà dire.
Il Pd tradito dagli acchiappavoti venuti da destra –Insomma i numeri siciliani sono stati ancora una volta importanti in chiave nazionale. Sia per il successo del M5s che per la disfatta del Pd. E infatti è proprio dalla Sicilia che – come già annunciato in campagna elettorale – parte la ribellione contro Renzi. “In Sicilia più che altrove il Pd è apparso un autobus, in alcuni collegi c’erano candidati che non avevano nulla a che fare con la nostra storia. L’errore politico più grande è stato fare perdere identità al Pd, impurre una mutazione genetica al partito”, dice Antonello Cracolici, consigliere regionale e l’unico a votare “no” in direzione alle liste per le politiche. “Renzi ha avuto quello che merita, causando, in prima persona, una sconfitta che non riuscivano ad immaginare, poiché completamente distanti dalla società. Renzi voleva i voti a favore di un partito di sinistra, attraverso politiche di destra, candidando uomini di destra, impresentabili e cortigiani”, attacca l’ex governatore Rosario Crocetta. 
E in effetti a tradire il segretario e i suoi sono stati proprio quei volti ingaggiati dal fido Faraone con l’obiettivo di allargare il partito. Così non è stato: anzi i presunti acchiappavoti provenienti da destra alla fine hanno fatto perdere sostegno ai dem. Basti pensare che l’ex Udc Luca Sammartino, capace da solo di raccogliere ben 32mila preferenze personali alle regionali, nel collegio uninominale di Misterbianco si è fermato al 12% pari a 16mila voti: la metà di quanto aveva preso quattro mesi fa. La stessa percentuale raggiunta da Nicola D’Agostino, ex capogruppo del Movimento per l’Autonomia candidato ad Acireale, da Paolo Ruggirello, ex luogotenente di Raffaele Lombardo in corsa a Marsala e da Valeria Sudano a Catania, nipote di un potente ex senatore Dc e considerata da Totò Cuffaro come una sua amica. Erano questi i nomi che dovevano portare il Pd ai risultati del centrodestra nel 2001. E in effetti al 2001 il Pd c’è tornato davvero.

domenica 4 marzo 2018

L’origine della vita sulla Terra.

A B
(2)Rappresentazione di un atomo di idrogeno (A); al centro c’è il protone positivo e intorno si 
muove a grande velocità l’elettrone negativo. Struttura dell’atomo di elio (B).

Ancora oggi gli scienziati non sanno dire con precisione quanto tempo fa sono comparse sulla Terra le prime forme di vita, ma è probabile che esse si siano originate spontaneamente a partire dalle varie sostanze chimiche che si trovavano negli oceani primitivi. Di sicuro, però, esiste una stretta relazione tra la formazione di queste prime forme di vita e le condizioni ambientali presenti sulla Terra miliardi di anni fa.

1
(1) Una delle centinaia di miliardi di galassie presenti nell’Universo: la nebulosa di Cefeo.

L’Universo ha avuto origine più di 13 miliardi di anni fa.

Secondo le moderne teorie, il nostro Universo (figura 1) ha avuto inizio da un’enorme esplosione, il Big Bang. Si ritiene che, prima di questo evento, tutta l’energia e tutta la materia dell’attuale Universo fossero compresse in un punto infinitamente piccolo; con il Big Bang si ebbe la liberazione di questa energia, a seguito della quale tutte le particelle di materia iniziarono a formarsi e ad allontanarsi rapidamente le une dalle altre.
Subito dopo l’esplosione, che sarebbe avvenuta intorno a 13,7 miliardi di anni fa, la temperatura era di circa 100 miliardi di gradi Celsius (°C). La materia era presente sotto forma di particelle con carica positiva, chiamati protoni, oppure prive di carica, i neutroni; a causa dell’elevata energia, queste particelle si scontravano tra loro aggregandosi e formando così quelli che sarebbero divenuti i primi nuclei atomici. Successivamente, quando l’Universo raggiunse una temperatura di circa 2500 °C, i protoni presenti nei nuclei cominciarono ad attrarre piccole particelle con carica negativa, detti elettroni, che resero possibile la formazione dei primi atomi. A partire da questi atomi, col passare del tempo, si sono originati tutti i pianeti e le stelle del nostro Universo, compresi la Terra e il Sole (figura 2A).

venerdì 2 marzo 2018

Elezioni – La guida per un voto consapevole: 146 tra indagati, condannati, prescritti (vince il centrodestra). 39 voltagabbana (vince il centrosinistra). Eccoli divisi per nome e per regione. - Diego Pretini e Thomas Mackinson

Elezioni – La guida per un voto consapevole: 146 tra indagati, condannati, prescritti (vince il centrodestra). 39 voltagabbana (vince il centrosinistra). Eccoli divisi per nome e per regione

Ilfatto.it ha analizzato i circa 5mila nomi dei candidati di centrosinistra, centrodestra, M5s e Liberi e Uguali. Una lista che tutti gli elettori - regione per regione, collegio per collegio - possono consultare per capire se la loro scelta è quella giusta. Tre requisiti: candidati sotto inchiesta, a processo o prescritti; quelli con una particolare predisposizione al cambio di casacca; e quelli che si sono fatti segnalare: dagli espulsi M5s per i rimborsi ai politici finiti nelle dichiarazioni dei pentiti. Non una lista di proscrizione, dunque, ma una mappa per sapere come muoversi.


Un sistema elettorale come il Rosatellum in cui si sceglie un candidato o un partito e si finisce per favorire qualcuno o qualcosa che non si immagina neanche, deve spingere l’elettore ad imbracciare l’unica arma: un voto consapevole. Così ilfattoquotidiano.it ha analizzato le storie e le biografie di tutti i candidati sia nei collegi uninominali sia nei listini bloccati del proporzionale. Ne sono venuti fuori 273 che, per motivi diversi, possono spingere gli elettori a una riflessione sul voto. La scelta, ovviamente, è libera, ma è bene essere informati.
I requisiti che hanno guidato questa ricerca sono tre. Il primo: gli “impresentabili” classici, cioè chi è indagato, imputato, condannato o prescritto per vicende giudiziarie di varia natura. Si va dai reati comuni fino a quelli contro la pubblica amministrazione, passando anche attraverso quelli di natura politica (ad esempio un radicale condannato per aver coltivato cannabis, che immaginiamo verrà valutato in modo diverso dagli elettori).
Il secondo: i voltagabbana conclamati, cioè coloro che hanno cambiato più volte partito o schieramento oppure l’hanno cambiato proprio negli ultimi mesi prima delle elezioni.
Il terzo criterio, che abbiamo chiamato “Hanno detto, hanno fatto“, raccoglie tutto ciò che l’elettore deve conoscere di “particolare” sul candidato: qui dentro, per esempio, ci sono dichiarazioni xenofobe, passioni per ideologie fascistedebitori, episodi particolari nelle esperienze amministrative di chi si presenta per fare il parlamentare, i “furbetti” del rimborso dei Cinquestelle, gli esponenti politici finiti in intercettazioni o deposizioni di pentiti o appartenenti alle associazioni mafiose.
La lista non vuole essere “di proscrizione”, ma uno strumento in più in mano all’elettore per capire se ciò che vota è davvero quello che vuole. “Il cambiamento – disse una volta Paolo Borsellino – si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello”. Dall’altra parte, aggiungeva il giudice ucciso da Cosa Nostra, dev’essere la politica a fare la selezione. “La magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire: be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. 

Però i consigli comunaliregionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto”. Questo, insomma, lo spirito con cui abbiamo fatto questo lavoro.
Il totale di 273 si basa su una ricerca effettuata su circa 5mila nomi, i candidati che cercano di essere eletti attraverso il sostegno di 10 partiti: Forza Italia, LegaFratelli d’Italia e Noi con l’ItaliaPdPiùEuropaInsiemeCivica PopolareM5sLiberi e Uguali. Da questo lavoro ilfattoquotidiano.it ha escluso tutti i candidati di CasaPound e di Italia agli Italiani (la lista che riunisce Forza Nuova e Fiamma Tricolore) che per i continui richiami al fascismo avrebbero finito per ingolfare i nostri elenchi. La ricerca ha coinvolto anche Potere al Popolo, ma tra le file della lista di sinistra sono emerse solo due condanne (una più grave a Livorno e una meno a Torino) per incidenti durante delle manifestazioni di piazza.
I numeri dicono che nella prima categoria (gli “impresentabili” giudiziari) vanno in 146. Il primato ce l’ha il centrodestra con 36 candidati all’uninominale più altri 59 nei listini proporzionali, divisi in 25di Forza Italia7 della Lega9 dei Fratelli d’Italia e 18 di Noi con l’Italia (il partito che in proporzione alla propria dimensione è certamente al top in questa categoria). Il centrosinistra arriva a un totale di 19 candidati indagati, imputati, condannati o prescritti nei collegi uninominali più 25 nei listini proporzionali, distribuiti tra Pd (15), PiùEuropa (4), Insieme (2) e Civica Popolare (4). Restano infine due grillini e 5 candidati di Liberi e Uguali.
Tra i voltagabbana (che sono in tutto 39) vince invece il centrosinistra anche per via della mareggiata di alfaniani dentro Civica Popolare17 candidati all’uninominale un tempo erano dall’altra parte. Nella categoria “Segni particolari“, per finire, si segnalano i Cinquestelle: il grosso lo fanno i candidati già espulsi (quelli dei rimborsi, ma anche l’indagato Caiata), ma poi ci sono alcune figure che hanno fatto parlare di sé per opinioni in libertà, magari sui migranti, sui vaccini o sulla chemioterapia. Tra le Regioni la spinta principale viene dalla statistica: dove ci sono più candidati, ci sono più casi da segnalare. Quindi in testa c’è la Sicilia e a seguire vengono PugliaCampaniaLombardia. Tra le Regioni più piccole una menzione la meritano Marche e Basilicata.
Il lavoro è stato curato da Diego Pretini e Thomas Mackinson con le collaborazioni e i contributi fondamentali di Vincenzo BisbigliaMartina CastiglianiEmanuele Di LoretoAndrea GiambartolomeiVincenzo IurilloErsilio Mattioni, Monia MelisLucio MusolinoGiuseppe PipitoneFerruccio SansaAndrea TundoGiulia Zaccariello.
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giovedì 1 marzo 2018

Corruzione, arrestati un giudice e l'imprenditore Ricucci.

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In manette anche Liberato Lo Conte. La vicenda su cui indaga la procura di Roma riguarda un accordo volto ad aggiustare una sentenza.

ROMA - L'imprenditore Stefano Ricucci e il magistrato Nicola Russo, giudice della Commissione tributaria del Lazio e consigliere di Stato, già sospeso dal servizio, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza. L'accusa nei loro confronti ipotizzata dalla Procura d Roma è corruzione in atti giudiziari. In manette anche un altro imprenditore, Liberato Lo Conte. Secondo inquirenti e investigatori l'accordo prevedeva l'aggiustamento di una sentenza in cambio di denaro e altre utilità.

Il magistrato è ai domiciliari, mentre Ricucci e Lo Conte sono in carcere. Dagli accertamenti investigativi è emerso un accordo corruttivo tra i tre indagati, legato all'emissione di una sentenza 'pilotata' nell'ambito di un contenzioso tributario tra la Magiste Real Estate Property (riconducibile a Ricucci) e l'Agenzia delle Entrate, che ruotava attorno al riconoscimento di un credito Iva di oltre 20 milioni di euro, vantato dalla stessa società nei confronti dell'Erario.

Gli approfondimenti eseguiti sulla documentazione e sui file che vennero sequestrati già nel 2016 (nel contesto dell'operazione 'Easy judgement' culminata con gli arresti di Ricucci e dell'imprenditore Mirko Coppola) hanno permesso di accertare le responsabilità dei protagonisti della vicenda. Russo, scrive il gip nella misura cautelare, era legato agli indagati "da vincoli di fiducia basati sull'amicizia, comune colleganza di interessi e frequentazione, alla base dell'accordo illecito corruttivo concretato anche in regalie e disposizioni economiche e di favore", consistenti, fra l'altro, nel pagamento di cene e serate in hotel di prestigio, ristoranti e locali notturni romani. Il magistrato, anziché astenersi come avrebbe dovuto in quanto in conflitto di interessi, avrebbe favorito i suoi 'amici', nella sua qualità di relatore ed estensore della sentenza di secondo grado, favorevole alla Magiste, che aveva riformato la precedente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale, di segno opposto.


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