giovedì 24 dicembre 2020

La vera storia dell’intervista del Fatto ad Alfredo Romeo: le sue risposte, perché non le avevamo pubblicate e perché le pubblichiamo. - Marco Lillo

 

Ecco la ricostruzione integrale dei fatti (che non è quella che riporta il direttore del "Riformista").

Questo è il testo dell’intervista risultante dalle domande scritte da me e dalle risposte inviate al Fatto da Alfredo Romeo ieri alle 13 e 45 mediante la consulente di pubbliche relazioni Monica Macchioni, che ha seguito con professionalità per suo conto l’intervista con il Fatto, dal primo incontro che si è tenuto nella sede della società di Romeo il 9 dicembre alle 15 per stabilire le “regole di ingaggio” dell’intervista.

Romeo in quella sede ha chiesto domande scritte per risposte scritte. Questo è quel che è successo dopo.

Il Fatto Quotidiano ha inviato una lunga serie di domande scritte per un totale di 10mila battute circa il 13 dicembre e ha ricevuto il 18 dicembre una prima versione lunghissima di risposte da parte di Romeo che ha portato in tutto a 23mila e 500 battute. Il Fatto ha fatto presente a Monica Macchioni i due problemi del testo: troppo lungo (non solo per “colpa” di Romeo) ma soprattutto contenente espressioni potenzialmente diffamatorie per vari soggetti, dal gip Gaspare Sturzo ai pm di Roma all’ex ad di Consip Luigi Marroni. Il Fatto ha inviato a Romeo, tramite la dottoressa Macchioni, domenica scorsa, una versione tagliata a 10mila battute.

Questa nostra versione, manteneva le critiche ai magistrati e a Marroni ma non conteneva più le espressioni che insinuavano a nostro parere fatti e condotte non rispondenti al vero e/o potenzialmente diffamatorie.

La versione editata da me è stata rigettata da Romeo che ha inviato una controproposta della stessa lunghezza: 10mila battute.

Ieri, dopo essermi consultato con l’avvocato Caterina Malavenda, ho deciso di mia iniziativa e d’accordo con il direttore Marco Travaglio di non pubblicarla scrivendo a Romeo le ragioni in un messaggio su whatsapp che riportiamo integralmente di seguito.

Abbiamo deciso di pubblicare sull’edizione online oggi l’intervista inviata ieri da Romeo al Fatto Quotidiano solo per far comprendere ai nostri lettori che Il Fatto non ha compiuto un gesto di censura verso Alfredo Romeo ma solo un corretto esercizio del controllo giornalistico sui contenuti di un’intervista.

Qui sotto quindi leggerete la versione dell’intervista inviata per corrispondenza da Alfredo Romeo e seguita dal messaggio whatsapp inviato da me allo stesso Romeo per spiegare le ragioni della mancata pubblicazione.

Infine pubblichiamo più sotto ancora altre perplessità (tra le tante che abbiamo solo evocato senza dettagli nel messaggio whatsapp scritto a Romeo) sul testo inviatoci e del quale l’editore del Riformista pretendeva la pubblicazione sul nostro quotidiano.

IlFattoquotidiano.it in altri termini pubblica le risposte di Romeo alle nostre domande (che non ha pubblicato sull’edizione cartacea) non certo perché abbiamo cambiato idea. Né tantomeno per farle proprie. Tutt’altro. Siamo sempre più convinti della scelta di non aver pubblicato sul Fatto in edicola oggi questo testo.

Pubblichiamo qui le risposte, che per espressa richiesta dell’interessato non potevano essere modificate prima della pubblicazione, solo per permettere ai lettori di farsi un giudizio sul Fatto e su Alfredo Romeo.

Le risposte suddette quindi ricadono sotto l’esclusiva responsabilità di Romeo e non del nostro giornale che le pubblica perché le ritiene di manifesto interesse per due ragioni: per dovere di cronaca e per “diritto di difesa” della nostra reputazione.

Pubblichiamo le affermazioni di Romeo e del direttore Piero Sansonetti, retribuito per il suo lavoro da una sua società, perché da un lato Romeo è un personaggio pubblico già presidente di Ifma, l’associazione delle imprese della categoria facility management, nonché attualmente editore di un quotidiano nazionale che vanta illustri collaboratori come un ex presidente della Corte Costituzionale e un ex ministro. Insomma Romeo non è solo imputato in vari processi ma è un personaggio importante, in cordiali rapporti nella veste di editore con l’ex premier e segretario di Italia Viva Matteo Renzi.

Inoltre pubblichiamo le risposte di Romeo perché questa strana intervista per corrispondenza è l’oggetto di un’accusa grave al nostro giornale, avanzata pubblicamente dal direttore del quotidiano edito da Romeo. Il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti ha ricostruito in modo fuorviante quanto accaduto intorno all’intervista e ha annunciato sul sito del giornale con un video di 7 minuti la pubblicazione domani di un articolo che ricostruirà la vicenda. Quindi pubblichiamo on line qui sotto l’intervista che avevamo deciso di non pubblicare sulla carta solo per far capire ai lettori di cosa stiamo parlando. Romeo, per esempio, nelle risposte da lui scritte e inviate che sotto pubblichiamo parla delle motivazioni del suo accusatore Marco Gasparri, dell’accanimento vessatorio del giudice per le indagini preliminari Sturzo, cui attribuisce di essersi vantato con Palamara di aver condotto il caso Consip in un certo modo, di congiure dei pm di Roma e di Napoli e della volontà dei pm di non interrogarlo (in questo caso Romeo non ricorda che nell’ultima udienza del suo processo proprio all’inizio di questo mese il pm Mario Palazzi gli ha ricordato la sua disponibilità a interrogarlo).

Tutte cose che Il Fatto non condivide ma che soprattutto non trovano riscontro nella realtà e talvolta sono smentite dalla lettura degli atti giudiziari. Come anche il preteso ruolo di Luigi Marroni di “garante” di presunte manovre in Consip come i pretesi rapporti tra lo stesso Marroni e Team Service o come la casa comprata da Gasparri o i rapporti di Tiziano Renzi con Omnia Servitia e tanti altri fatti che avrebbero richiesto un articolo per elencare le imprecisioni e le mezze falsità dette su vari soggetti da Romeo.

Per non dire delle licenze difensive di Romeo che fornisce risposte fuorvianti al Fatto quando afferma che in un’intercettazione si sentirebbero Luigi Marroni e il presidente della commissione di gara Fm4 in Consip affermare che Romeo non può vincere la gara, senza ricordare che l’intercettazione è successiva allo scandalo Consip per quella gara e non precedente. O quando definisce “congiure dei pm” le loro scelte investigative. O come quando afferma, senza uno straccio di prova, che i pm di Roma abbiano mutato il capo di imputazione contro di lui per “salvare Renzi” o “per colpire Renzi” e non per applicare correttamente le regole del codice e della competenza territoriale. O ancora quando Romeo sostiene che la calligrafia del biglietto con su scritto “30.000 per T.” non è sua ma non ricorda le perizie calligrafiche prodotte dai magistrati che lo accusano del contrario. Oppure, ancora, quando Romeo afferma che le gare in Consip erano chiuse quando parlava con Carlo Russo il 14 settembre del 2016 mentre invece le aggiudicazioni erano solo provvisorie e potevano ancora essere ribaltate dalla commissione di gara. O, infine, come quando afferma che il suo accusatore Gasparri compra case e aumenta il tenore di vita, citando con vaghezza affermazioni tutte da verificare dei suoi difensori come fossero sentenze o come quando afferma che è Il Fatto ad avere dato conto delle intercettazioni delle telefonate precedenti alla perquisizione di Gasparri da parte del Noe, senza spiegare che quelle telefonate Il Fatto non le ha mai pubblicate e non le ha mai viste ma ha solo rendicontato come le predette conversazioni intercettate sull’utenza di Gasparri sono state ricostruite in udienza dalla difesa di Romeo, che invece le conversazioni le ha copiate e ascoltate. Insomma, solo dopo aver precisato fino a sfinire il lettore che non solo non condividiamo le risposte di Romeo ma le consideriamo fuorvianti e smentite talvolta dagli atti, le pubblichiamo qui sotto.

Ecco il testo inviato al Fatto da Alfredo Romeo e del quale (a parte le domande) si assume solo lui la responsabilità.

***

L’intervista con risposte inviate da Alfredo Romeo
Abbiamo incontrato Alfredo Romeo nella sede della sua società, a due passi dal Parlamento, dove veniva nel 2016 Carlo Russo, l’amico del padre del premier di allora. Proprio qui secondo i pm, mentre parlava con Russo, Romeo avrebbe scritto il foglietto con l’offerta ’30mila euro per T.”, alias Tiziano Renzi. Romeo nega di averlo scritto. Tiziano dice che non ne sapeva nulla ma venerdì è arrivata per tutti e tre la richiesta di rinvio a giudizio per traffico di influenze e turbativa per le gare Consip da 2,7 miliardi e Grandi Stazioni da 50 milioni circa. A quattro anni esatti dall’avvio del caso Consip abbiamo chiesto un’intervista a Romeo che ha accettato a una condizione: domande e risposte scritte. Eccole.

I pm hanno chiesto il suo rinvio a giudizio con Russo e Tiziano Renzi per il caso Consip. Il Fatto ha scritto molte volte di un incontro tra voi tre a Firenze. Tiziano lo nega. Ci racconta come è andata davvero quel giorno in questo ‘barettino’, come lo chiama lei nelle intercettazioni? Parlaste di Consip?
Lei insiste con questo foglietto con la scritta “30.000 a T”. Allora: primo, la calligrafia non è mia; secondo, questo foglietto è stato trovato nella spazzatura a 200 metri dal mio ufficio; terzo, nel foglietto non si parla di soldi e non sono indicati nomi; quarto: il foglietto viene scritto, secondo gli investigatori, il 14 settembre 2016, quando le gare si erano già chiuse. Dunque l’ipotesi sarebbe questa: che io – avendo tutti i titoli per vincere le gare, visto che chiunque in Italia può confermarle che nel settore sono il numero uno – decido di dare 30 mila euro al mese a Tiziano Renzi per delle gare che sono già chiuse. Può darsi anche che io sia un po’ cretino, dottor Lillo, ma non così cretino, le sembra? C’è poi la testimonianza dell’amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni. Sia in sede di interrogatorio dal Pm sia nelle intercettazioni: nessuno gli raccomandò Romeo, anzi, qualcuno, – il Presidente della Commissione -, gli disse che se avesse vinto Romeo sarebbe stato il finimondo. L’incontro col papà di Renzi lo ho avuto nel luglio del 2015. Ci siamo visti per dieci minuti al banco di un bar, senza neanche sederci. Abbiamo parlato solo del convegno che stavo organizzando con l’Osservatorio Risorsa Patrimonio, l’IFMA Italia ed il Sole24Ore sulla “Gestione delle città”. Al convegno interveniva anche Raffaele Cantone ed avrei avuto piacere che a concludere fosse il presidente del Consiglio. C’è un appunto di un mio collaboratore, che portai con me, sulla struttura del convegno, scritto il giorno prima dell’incontro. Tutto qui. Nessun mistero. Nessuna relazione con Consip. Del resto sono intercettato giorno e notte da dieci anni e da nessuna delle varie informative minuziosissime, che lei conosce bene, risulta che io abbia parlato di Consip con Tiziano Renzi. Per lo stesso convegno mi aveva chiamato in aprile anche una signora della Segreteria di Palazzo Chigi. Mi aveva dato assicurazioni ma non se ne fece niente.

E allora perché non ha mai raccontato l’incontro a nessuno?
Nessuno me lo ha mai chiesto. Su Renzi sono stati interrogati tutti tranne Romeo. Lei oggi me lo chiede. Io le rispondo. In tutti questi anni sono stato interrogato una sola volta, appena arrestato, dal Gip Gaspare Sturzo. Mi intimorì. Non mi fidai e mi avvalsi della facoltà di non rispondere. Feci bene. Sturzo si è accanito vessatoriamente contro di me in ogni occasione possibile, anche contro la richiesta di archiviazione della Procura. Non so se qualcuno gli aveva chiesto di accanirsi. Dalle “chat Palamara” che sono state pubblicate sembra che poi Sturzo si sia vantato di aver condotto il caso Consip in quel modo, e sembra addirittura che abbia chiesto un premio al Csm. Mah.

Lei ha incontrato recentemente Matteo Renzi qui. Sotto c’è la sede del Riformista e lei è accusato di avere proposto proprio qui a Russo 30 mila euro al mese per T.. Come spiega la disinvoltura del figlio Matteo che pranza qui con lei. Garantismo? Un segnale di vicinanza?
Sui 30 mila a T. le ho già risposto. Con Matteo Renzi ho parlato due sole volte, una quando era Presidente della Provincia di Firenze ed una quando venne a trovarmi un paio di mesi fa. Ho trovato naturale che fosse suo interesse incontrarmi con il direttore Piero Sansonetti nella mia qualità di editore de Il Riformista.

Lei è imputato per corruzione perché il funzionario Marco Gasparri ha confessato di avere ricevuto soldi da lei. La sua difesa in aula ha attaccato la spontaneità e l’attendibilità del Gasparri. Cosa non va per voi?
Qual è l’azienda più qualificata in Italia nel facility management? Chiunque le risponderà: la Romeo. La Romeo però non vince gare in Consip dal 2011. E l’imputato sono io. Perché? Perchè un certo Marco Gasparri, che era un funzionario Consip (che non aveva ruolo, funzioni e poteri per intervenire sulle gare), dice di avere avuto dei soldi da me. Quanti? 100 mila euro, dice nella sua prima deposizione-confessione. Poi scende. Forse solo 20 mila. Quando? boh. Dove? Boh. Dove sono finiti questi soldi? Boh. Gasparri concorda una piccola pena, viene licenziato e subito ottiene una collaborazione per lui ed il fratello dalla azienda che – grazie alla sua deposizione- subentra nella graduatoria della gara FM4 alla Romeo Gestioni per quasi 400 milioni di euro di valore. A quel punto il povero Gasparri incrementa decisamente il suo tenore di vita, compra case, frequenta costosi circoli, si trasferisce in villa con piscina in Portogallo, etc. sembra aver vinto al Totocalcio. Il suo giornale ha parlato di intercettazioni dalle quali risulta che il maggiore Scafarto avvertì Gasparri di una perquisizione in casa sua, dando il tempo a sua moglie di bonificare, e di altre intercettazioni dalle quali risulta che il suo avvocato, ancora da nominare, quando Scafarto perquisiva, sapeva tutto e seguiva dall’ufficio del Pm Woodcock, conoscendo già la data in cui Gasparri sarebbe stato sentito dal magistrato auto accusandosi e accusando me. Risulta poi che Gasparri sapeva di dover essere interrogato a Roma quando Roma ancora non indagava. Mi dica la verità: lei crederebbe mai a un testimone del genere? Tantopiù che in ore e ore di intercettazioni sui colloqui tra me e Gasparri, mai e poi mai si parla di soldi o di favori. Come possono condannarmi?. Qualche amico mi ha detto: “attento, ci sono molti giudici che, per amicizia o colleganza, si appiattiscono sulle posizioni della Procura”. Non credo proprio che sia il mio caso.

Comunque, almeno ammetterà di avere ecceduto nella ‘difesa’ offrendo cose che non doveva offrire a Russo e Gasparri?
Io non ho offerto niente a nessuno. Sono intercettato da 10 anni, le mie aziende sono state passate al setaccio più volte. Sono poche le aziende che sarebbero uscite linde da un assalto di questo genere. A Napoli sono imputato insieme ad altre 53 persone, per un vorticoso giro di tangenti che ammontano a quasi 800 euro. Non scherzo, dottor Lillo: 800 euro che diviso per 54 fa 14 euro e 81 centesimi a testa. A Roma sono imputato in vari processi, perché la magistratura ha preferito spezzettare il processo Consip in diversi rivoli. Per levare il processo a Napoli, salvare Renzi e tutelare Consip ero io lo strumento ed il capro espiatorio ideale. A tal fine i Pm romani hanno cambiato il mio capo di accusa da “corruzione per atto dovuto – art. 318 c.p.” (come avevano ipotizzato i pm di Napoli ) a “corruzione per atto improprio – 319 c.p.” acquisendone la competenza territoriale. Woodcock che voleva arrestare tutti è fuori dal gioco, Romeo è il parafulmine di tutto, si salva Tiziano Renzi, si salva la Consip e si insabbiano le manovre sulle grandi gare gestite dal renziano AD di Consip Marroni. Nessuno mi ha mai convocato per un interrogatorio. Se la Procura di Roma avesse indagato a fondo ne avrebbe scoperte delle belle ma non ha voluto farlo. Hanno deciso di accanirsi su di me per salvare Renzi. Lei non ci crede? Proprio così: sono vittima di due congiure contrapposte: la prima, napoletana, per colpire Renzi; la seconda, romana, per salvare Renzi. Io non ho corrotto nessuno. Ho fatto un’altra cosa: due esposti (nell’aprile e nel maggio 2016) alla Consip, all’Anac ed all’AGCM per denunciare, anche nell’interesse istituzionale dell’IFMA di cui ero Presidente, le pratiche anticoncorrenziali tollerate dalla stessa Consip. Non mi hanno ascoltato. Da anni i pm di due procure cercano indizi contro di me ma tutto porta dalla parte opposta. Io non c’entro con il cartello. Sto pagando la scelta di lavorare sempre da solo. Senza cordate. Senza protettori. Le indagini dimostrano la realtà: il Pd stava con le cooperative rosse, gli ex parlamentari Denis Verdini e Ignazio Abrignani stavano con Cofely, Russo e il papà di Renzi stavano con la Omnia Servitia, Gasparri e Marroni con la Team Service. L’Ad di Consip, il renziano Marroni, garantiva. I Pm però hanno intimorito e condizionato Consip, Tar, Consiglio di Stato e anche l’AGCM, che ha addirittura sanzionato la Romeo per fatti di cui era denunciataria e vittima pur avendo le prove della sua innocenza. Così hanno escluso Romeo da molte gare danneggiando in modo devastante la mia azienda.

Nel 2016 lei e il suo consulente Italo Bocchino dite che Carlo Russo vi fu inviato dall’ex amministratore della Consip Domenico Casalino. Lei sapeva che Casalino si vedeva con Russo e una volta – in un bar a Roma – con Russo e Tiziano Renzi?
Casalino mi chiese attraverso Bocchino di incontrare Russo sostenendo che era stato Luca Lotti a pregarlo di mandarlo da me. Fu lo stesso Casalino a farci sapere dopo che a suo giudizio Russo era un millantatore e che anche Lotti, successivamente, gli aveva detto di non stare ad ascoltarlo e … di stare attenti.

Lei ha incontrato con Russo a Roma il 4 marzo 2015 Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd. Poi Russo incontra Bonifazi a Firenze e nel settembre 2016 cerca di convincerlo a cedere a lei l’Unità in crisi.
Mi è sempre piaciuta l’idea di fare l’editore. L’ho anche dimostrato con il Riformista. Penso di saperlo fare. Avrei voluto anche l’Unità, perché ne sono un vecchio lettore e quando ero ragazzino la distribuivo davanti alle fabbriche. Non se ne fece niente, anche per il mio vizio di lavorare da solo.

***

L’intervista conteneva evidentemente alcune notizie interessanti. Romeo ammetteva per la prima volta l’incontro con Tiziano Renzi e Carlo Russo del luglio 2015 pur dandone una lettura minimalista favorevole alla sua difesa. Dopo avere ricevuto il testo di questa intervista così “editata” da Romeo gli ho scritto il seguente messaggio su whatsapp.

Avvocato Romeo ho letto la sua intervista come da lei ‘editata’. Purtroppo dopo una valutazione con i miei legali siamo arrivati alla conclusione che non possiamo pubblicarla.
Ci sono molti punti ‘rischiosi’ da un punto di vista legale e/o non rispondenti alla realtà.
Faccio solo degli esempi per farle capire il mio punto.
Nell’intervista lei sostiene che: il Gip Sturzo
-mi intimorì
-si è accanito vessatoriamente
-non so se qualcuno gli aveva chiesto di accanirsi
– dalle chat sembra si sia vantato con Palamara di aver condotto il processo Consip in quel modo e abbia chiesto un premio.
Lei è un laureato in legge e conosce il peso delle parole.
Dalle chat non risulta un simile comportamento del gip.
Intimorire è un verbo che allude a condotte scorrette di un giudice, come vessare e accanirsi. Bisognerebbe provarle con qualcosa di più che un’ordinanza di arresto post confessione (di Marco Gasparri che ha accusato Romeo e ha patteggiato la pena, ndr) e un’altra di rigetto di un’archiviazione.
Soprattutto non risulta che il gip Sturzo abbia chiesto in chat a Palamara premi per ‘come ha condotto il caso Consip’ ma solo che ha ricordato in chat a Palamara la rilevanza del caso Consip, da lui seguito a Roma, come di quello Provenzano o mafia-appalti a Palermo.
Le invio la chat se non la ricorda.

(STURZO: «Luca: io ho la settima valutazione altri non mi pare. Ho anche i titoli pubblicati e poi Dda Palermo con pentimento Siino e gestione del processo mafia e appalti. Poi ho coordinato le indagini per cattura Provenzano. Con la catturandi ho preso Benedetto Spera, al tempo nr. 2 dopo Provenzano. Ho fatto parte dell’alto commissario anti corruzione, ufficio legislativo presidenza del Consiglio e gabinetto del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Dei procedimenti Romani quale GIP E GUP non occorre parlarne perché dovrebbero essere noti al CSM PER LA RILEVANZA. Ti voglio solo dire che De Lucia che era con me a Palermo nei procedimenti citati(ma le carte le facevo io) è procuratore della repubblica di Messina. (Mio stesso concorso). Altro collega coassegnatario era Michele Prestipino. Tuo Gaspare».)

Peraltro Sturzo avrebbe buon gioco a querelarla e querelarmi sostenendo che lui, proprio nel caso Consip, contro un amico di Palamara come Luca Lotti ha chiesto di andare a giudizio contravvenendo alla richiesta di archiviazione dei pm per un capo di imputazione (rivelazione di segreto istruttorio, ndr).
Se Sturzo mi citasse in giudizio per le sue parole insomma sarei in difficoltà. Non me ne voglia ma ho già troppe citazioni, comprese le Sue. Lei ha tanti Avvocati che possono consigliarla su questi passaggi e queste affermazioni. Mi pare strano non le segnalino i rischi che mi sono stati segnalati.
Io mi sono consultato con il mio legale e non posso pubblicare questi passaggi sul mio giornale. Perché rischiosi e non rispondenti agli atti.
Altro esempio: lei sostiene che la procura di Roma ha ordito una congiura per salvare Tiziano Renzi e a tal fine ha cambiato il 318 in 319. Il capo di imputazione è un fatto. La richiesta di archiviazione per Tiziano e lei è un fatto. Però non esistono evidenze di un cambiamento di reati fatto dai PM di Roma non per applicare le regole del codice ma ‘per levare il processo a napoli’ e ‘per salvare Renzi’.
Poi ci sono altri punti come quello sul renziano Marroni che stava con Team Service o Tiziano Renzi che stava con Omnia Servitia.
I rapporti tra Team service e Gasparri sono stati ipotizzati dalle vostre indagini difensive. Quelli con Marroni?
I rapporti con Russo di Omnia servitia sono sostenuti dall’ex ad Casalino. Ma quelli di Omnia con Tiziano?
Per non dire di espressioni come ‘si insabbiano’ ecc …
La versione tagliata da me contiene il sunto delle sue parole a difesa della sua posizione senza mettermi nella condizione di inserire frasi non pubblicabili perché ‘fuorvianti’ e a rischio di legittima querela.
Già nella versione che io le avevo inviato c’erano posizioni molto critiche verso l’inchiesta che io non condivido (come accade nelle interviste si pubblica il pensiero del’intervistato, ok) però non c’erano espressioni che mi rendevano complice di possibili condotte diffamatorie.
Il problema della forma scritta da lei scelta inoltre è che non potrei nemmeno invocare la ‘estemporaneità’ delle parole da lei dette in un’intervista da me magari registrata e trascritta fedelmente.
Qui lei mi ha inviato un testo lungo che io ho editato per renderlo pubblicabile sia nella dimensione che nei toni. Lei è libero di non riconoscersi nella sintesi da me effettuata e di proporne un’altra che magari critichi i magistrati che la indagano e giudicano.
I tempi sono stretti ormai ma le ribadisco l’interesse a pubblicare un’intervista con lei riservandomi di valutarla con i miei legali. Il punto è che non si può usare il nostro giornale per accusare i giudici di moventi e di fatti scorretti senza una prova.
In ultima analisi io non posso pubblicare così la sua intervista. E non avrebbe senso pubblicarla per poi prenderne le distanze sottolinenando i vizi delle sue affermazioni riga per riga. Quindi sono costretto a chiederle di rivedere profondamente il suo testo eliminando le frasi potenzialmente diffamatorie e allusive o insinuanti a condotte che non trovano riscontro negli atti. Altrimenti l’intervista, con mio grande rammarico, non sarà pubblicata.

***

Successivamente la dottoressa Monica Macchioni mi ha fatto presente che Alfredo Romeo era pronto a “mettere per iscritto una manleva a Lillo e al Fatto facendosi carico di qualsiasi rischio economico” per le eventuali cause civili relative all’intervista. Io ho risposto che non era un problema di soldi. Il punto è che non possiamo pubblicare una cosa “se non trova riscontro negli atti, anche se la dice Romeo. Anche se paga lui le cause civili”.

***

Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, un quotidiano (ricordiamolo) editato da una società di Alfredo Romeo, ha colto l’occasione per ricostruire in modo falso e fuorviante quello che era accaduto. Ha anche pubblicato un video – ripreso poi con un articolo che ne rappresenta la trascrizione sul sito del quotidiano – nel quale sostiene alcune cose false.

Sansonetti racconta che “Marco Lillo chiede l’intervista a Romeo”. Vero. Che invia una serie di lunghe domande aperte molto lunghe. Vero. Poi aggiunge che Romeo risponde con una serie di risposte altrettanto lunghe per arrivare a 20mila battute. Vero. Per l’esattezza Romeo scrive un po’ di più e arriva a 23mila e 500 battute. Sansonetti poi sostiene che Il Fatto comunica a Romeo che non può pubblicare l’intervista perché Lillo dice a Romeo “non la posso pubblicare perché le domande non rispondono alla struttura delle accuse da parte dei pubblici ministeri”. Questo è completamente falsoIl Fatto, come è noto, ha spesso criticato i pubblici ministeri di Roma. Proprio per l’indagine Consip. Non è quello il punto. Invece Piero Sansonetti, per difendere il padrone del suo giornale vuol far credere che Il Fatto non abbia pubblicato l’intervista perché condivide tutto quel che fa l’accusa del processo Consip. “Questo fa pensare a che tipo di giornalismo si sta affermando in Italia”, conciona Sansonetti, aggiungendo: “Non è giornalismo. E’ attività dei pm che ha espressione cartacea in alcuni quotidiani”. E poi il direttore de Il Riformista vaneggia di “un intreccio di interessi che coinvolge tutti che sfiora la magistratura e che va nel profondo nelle carni di alcuni giornali”. Per il direttore del quotidiano della società di Romeo: “E’ una brutta storia (…) domani faremo un titolo su Marco Lillo che ha battuto ogni record ed è il primo giornalista che si censura da solo”.

Abbiamo pubblicato tutto nella massima trasparenza: le risposte di Romeo alle nostre domande, le motivazioni del nostro diniego alla pubblicazione di quelle risposte, la cronaca dell’uso distorto che il direttore del quotidiano di proprietà di Romeo fa delle nostre motivazioni. I lettori (stremati da questa lettura lunghissima e noiosa) hanno ora abbastanza elementi per capire chi in questa vicenda sta dalla parte dell’informazione e chi no.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/23/la-vera-storia-dellintervista-del-fatto-ad-alfredo-romeo-le-sue-risposte-perche-non-le-avevamo-pubblicate-e-perche-le-pubblichiamo/6047004/

L’anello fuso di Einstein. - Eleonora Ferroni

 

Il telescopio Hubble ha catturato un altro sorprendente esempio dell'effetto lente gravitazionale. In questo caso la luce dalla galassia di fondo è stata distorta e curvata dalla gravità dell'ammasso di galassie che si trova di fronte. Gal-Clus-022058s è un oggetto unico nel suo genere perché sembra un anello in via di fusione.

Nell’immagine potete ammirare l’elegante spettacolo di un anello di Einstein catturato dal telescopio di Nasa/Esa Hubble. Gal-Clus-022058s, in direzione della costellazione della Fornace, è il più grande e uno dei più completi anelli di Einstein mai scoperti finora. Visivamente è un oggetto unico nel suo genere perché sembra proprio un anello “fuso”, diciamo quasi liquefatto.

Che cos’è un anello di Einstein? La forma insolita di questo oggetto è causata da un fenomeno chiamato lente gravitazionale, una delle preziose eredità ci ha lasciato Albert Einstein e predetto nella sua Teoria della Relatività Generale. Si tratta dell’immagine di una galassia molto distante dalla Terra la cui distorsione è prodotta dalla flessione dei raggi luminosi provenienti dalla sorgente a causa del forte campo gravitazionale di una galassia massiccia chiamata “lente”, che si trova tra la sorgente e l’osservatore.  Gli astronomi sfruttano l’effetto di curvatura della luce per studiare oggetti estremamente lontani e impossibili da osservare con i telescopi terrestri o con i satelliti. La lente d’ingrandimento formato galattico distorce la struttura dello spazio-tempo nei dintorni, piegando letteralmente la luce e disegnando archi o addirittura anelli quando queste le due galassie sono esattamente allineate

Nel caso dell’immagine catturata da Hubble, la luce dalla galassia di fondo è stata distorta e curvata dalla gravità dell’ammasso di galassie che si trova di fronte. L’allineamento quasi esatto della galassia sullo sfondo con la galassia ellittica centrale dell’ammasso, ha deformato e ingrandito l’immagine della galassia di fondo in un anello quasi perfetto. La gravità delle altre galassie nell’ammasso provoca ulteriori distorsioni.

(foto: Crediti: Esa/Hubble & Nasa, S. Jha; Acknowledgment: L. Shatz)

https://www.media.inaf.it/2020/12/21/anello-fuso-di-einstein/?fbclid=IwAR1T1GKh2VAmYjJJ8kFbrJj5dFTLBnbFzqvCY1QPK7YN3RV3se13SwUdmyc

Turchia: scoperta maxi-miniera d'oro nel nord-ovest.

 

Conterrebbe 99 tonnellate per un valore di 5 miliardi di euro.

(ANSA) - ISTANBUL, 22 DIC - Un'importante miniera d'oro dal valore stimato di quasi 5 miliardi di euro è stata scoperta nel nord-ovest della Turchia. Il sito, che rientra nella proprietà dell'azienda per la produzione di fertilizzanti Gubretas, si trova nella località di Sogut, circa 250 km a sud di Istanbul, e conterrebbe 99 tonnellate del metallo prezioso.

A rendere nota la scoperta è stato il proprietario della compagnia e responsabile delle Cooperative di credito agricolo del Paese, Fahrettin Poyraz, citato da Anadolu.
"Entro due anni saremo in grado di estrarre le prime quantità d'oro", ha sostenuto Poyraz. La sua società ha acquisito il controllo dell'area interessata lo scorso anno a seguito di una controversia giudiziaria. Le azioni della compagnia hanno fatto segnare oggi un aumento di circa il 10% alla Borsa di Istanbul.
Secondo il ministro dell'Energia Fatih Donmez, nel 2019 la Turchia ha registrato il record nell'estrazione e produzione d'oro, per un totale di 38 tonnellate. (ANSA).

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/12/22/turchia-scoperta-maxi-miniera-doro-nel-nord-ovest_fd1c7d90-d954-419b-92f1-63e2e30a088f.html?fbclid=IwAR0e7fjMBeBbLgK1d6gcpDhdXH31mg53t5AYUQPWoJMTPbaCXbxzO8cK8T0

Astronave, non solo Moncler: Invernizzi ritira i 4 mln donati. - Andrea Sparaciari

 

Fiera. Anche l’importante Fondazione non si fida più dell’ospedale-simbolo di Fontana&Gallera.

Dopo quella di Moncler, un’altra donazione milionaria a Regione Lombardia per l’Ospedale in Fiera riprende la via di casa. Si tratta dei 4 milioni di euro della potentissima Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi del 2 aprile 2020. Assegni staccati da tre società riconducibili alla Fondazione: la Finnapo S.r.l. (2,8 milioni bonificati il 6 aprile 2020); l’Immobiliare Mongesu S.r.l. (700 mila euro bonificati il 3 aprile); la Bina S.r.l. (che, sempre il 3 aprile, dona altri 500 mila euro). Totale: 4 milioni tondi. Fondi vincolati a uno scopo, la costruzione della struttura ospedaliera. Ma che si riveleranno non necessari, considerati i 21 milioni raccolti dalla Fondazione Fiera. Così Fondazione Invernizzi, come Moncler, ha dovuto scegliere se lasciare i fondi al Pirellone oppure prenderli indietro.

Il 21 giugno 2020 Fondazione Invernizzi, come testimonia la delibera di giunta n. 3982 del 14 dicembre, ha reclamato il denaro con una motivazione chiara: “Destinare le donazioni per due importanti progetti (di ricerca, ndr) individuati dalla stessa Fondazione con l’Università degli Studi di Milano”. E, visto che la legge regionale n. 4/2020 prevede l’obbligo di “destinare i proventi delle donazioni” solo “per iniziative di carattere emergenziale”, Regione Lombardia è stata costretta a restituire il denaro.

Una questione tecnica, ma fino a un certo punto: la Fondazione, infatti, avrebbe potuto scegliere di lasciare i 4 milioni alla Regione, anche se, per statuto, può finanziare solo progetti specifici. Avrebbe cioè potuto scegliere la via di Moncler e foraggiare progetti proposti dalla giunta Fontana. Invece ha preferito riprenderli e girarli alla Statale di Milano, che per altro non ha ancora individuato i “due importanti progetti. “Al momento la donazione alla Statale non è stata ancora formalizzata, né riscossa”, chiarisce l’Università al Fatto. “Quando la donazione verrà effettuata, sarà portata all’attenzione del cda dell’ateneo. L’intenzione sarebbe quella di finanziare i progetti di ricerca Covid non ancora finanziati”. Un messaggio chiaro: sui soldi meglio che decida la Statale, piuttosto che il Pirellone.

Una scelta comprensibile, considerando anche la nube di mistero che circonda i 10 milioni ripresi da Moncler un mese fa. La società dei piumini, dopo l’articolo del Fatto che raccontava come avesse richiesto indietro la donazione anch’essa destinata all’Ospedale in Fiera, aveva fatto sapere che avrebbe utilizzato 2 milioni per l’acquisto di 15 mezzi da destinare alle Usca, mentre i restanti 8 sarebbero andati per un progetto di telemedicina da attivare presso l’Ospedale di Niguarda. Un mese dopo del progetto di telemedicina si sono perse le tracce. “Come sindacato non ne sapevamo nulla prima e non ne sappiamo nulla ora”, spiega Isa Guarneri, segretaria FP Cgil Milano. Nonostante il sindacato, subito dopo l’articolo del Fatto, avesse chiesto informazioni precise ai vertici della Sanità Lombarda sul tanto pubblicizzato “Progetto Moncler”. Senza ottenere alcuna risposta. Il 13 novembre Niguarda ha effettivamente avviato un progetto simile a quello annunciato da Moncler – si chiama “Monitoraggio territoriale dei pazienti Covid” ed è gestito da 4 infermieri –, tuttavia questo pre-esisteva alla donazione di Moncler ed era stato approvato ben prima della restituzione del denaro.

La stessa società dei piumini, interrogata in proposito, ha preferito non rispondere. E anche sulle dotazioni delle Usca aleggia più di un dubbio: “Non mi risulta che a Milano siano entrati in servizio nuovi mezzi”, dice la consigliera Pd Carmela Rozza. “Anzi, il vero problema, oltre alla carenza di medici e infermieri, è ancora oggi la mancanza di mezzi attrezzati”.

E, intanto, l’Ospedale alla Fiera di Milano continua a lavorare, ma ampiamente sottodimensionato, a causa della carenza di personale sanitario. Lunedì 20 dicembre i ricoverati in terapia intensiva erano 47 sui 540 totali della Lombardia; il giorno prima erano 47 su 560 e quello prima ancora, i letti occupati erano 55 su 602 pazienti gravi totali. Non certo numeri enormi, per un’Astronave che avrebbe dovuto “salvare la Lombardia” e l’intero Paese. Avrebbe dovuto avere oltre 400 letti pienamente funzionanti. Peccato siano rimasti per lo più sulla carta.

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Monoclonali, Palù apre alla sperimentazione. L’Aifa riscrive la vicenda del “trial mancato”, ma finisce per ammettere l’occasione persa. - Thomas Mackinson

 

“Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. Sui farmaci a base di anticorpi il neopresidente dell'Agenzia ha impresso la svolta. “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti". Ma l'ente difende la sua inerzia ricostruendo a suo modo l'occasione lasciata cadere nel nulla di sperimentarli gratis già a novembre. "Mai arrivata proposta di cessione gratuita", ma perché l'Aifa stessa non l'ha più chiesta. "Arrivata solo quella di autorizzazione alla vendita". Ma il ministero della Salute ormai poteva solo comprare il Bamlanivimab. Ecco come sono andate le cose.

“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Sui farmaci a base di anticorpi Giorgio Palù ieri ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre. Dopo le rivelazioni del Fatto ha messo il punto all’ordine del giorno riaprendo la strada che, per ragioni poco chiare, era stata chiusa: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. In verità lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10mila dosi di Bamlanivimab, il farmaco sviluppato da Eli Lilly contro il Covid-19, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero.

Nicola Magrini, dg dell’Aifa, s’intesta la smentita di una storia che il Fatto ha ricostruito – in forza di documenti testimonianze dirette – e di cui prima nulla si sapeva. Magrini, che mai ha accettato di parlarne, parla ora di “una generica disponibilità a collaborare” della multinazionale di Indianapolis. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto alcuna proposta di “cessione gratuita delle dosi” bensì una richiesta di autorizzazione alla vendita, non alla sperimentazione. E che in ogni caso: “Non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.

Racconta tutt’altro la documentazione in nostro possesso. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare esclusivamente la proposta di un “trial clinico-pragmatico” gratuito che avrebbe garantito al nostro Paese ormai schiacciato dalla seconda ondata l’accesso a una delle poche cure disponibili al mondo contro il virus. Nessun documento di quelli visionati parla di vendita: un’opzione che l’Italia ha valutato solo quando il tergiversare dell’Aifa sulla sperimentazione ha reso impossibile la cessione, perché il 9 novembre il farmaco è stato autorizzato negli Usa ed è entrato in commercio.

“Il 7 ottobre il virologo Guido Silvestri da Atlanta chiamò me”, racconta ora la senatrice M5S Elena Fattori. “Mi parlò della possibilità di far avere all’Italia almeno 10mila dosi di quel medicinale a costo zero”. La senatrice chiama subito il capo segreteria di Speranza, Massimo Paolucci. “Il ministero mi diede immediato riscontro. Da lì in poi la palla passò all’Aifa dove la cosa evidentemente si è arenata, non so perché”. Una versione che coincide con quella del viceministro Pierpaolo Sileri: il giorno stesso, nel giro di 16 minuti, girò la proposta all’Aifa per le opportune valutazioni del caso: a distanza di due mesi e mezzo non ha avuto risposta. L’aspettano anche i senatori M5S della Commissione Sanità: due giorni fa hanno depositato un’interrogazione al ministro Speranza in cui chiedono, alla luce della notizie emerse, cosa intenda fare. Il presidente Palù ha risposto nei fatti, travolgendo resistenze mai chiarite a un trial clinico di monoclonali già in uso all’estero.

Sempre di questo (non di vendita) si parla ancora nella riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly, il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e lo stesso professor Silvestri che da Atlanta aveva dato impulso all’iniziativa. La conferma definitiva che quello fosse l’oggetto, mai la vendita, arriva proprio da Ippolito: in una lettera al Fatto del 18 dicembre il direttore dello Spallanzani parla appunto di “sperimentazione”, non di offerte di acquisto.

La smentita dell’Aifa gioca però con le parole, usa a sua discolpa i propri atti mancati. Sostiene, ad esempio, di non aver mai ricevuto la proposta di sperimentazione gratuita. E questo è assolutamente vero, ma non l’ha ricevuta per il semplice fatto che al termine della riunione citata l’ha lasciata cadere per palese disinteresse. La multinazionale, contattata dal Fatto nei giorni scorsi, aveva confermato: “L’interlocuzione sul trial clinico gratuito è stata interrotta allora”. Aifa però rimarca d’aver ricevuto la richiesta di autorizzazione alla vendita. Facendo così passare il sospetto che alla fine di questo si trattasse: “In data 20 novembre – si legge – l’azienda Eli Lilly ha presentato all’Aifa una offerta per l’acquisto del farmaco da parte dell’Ssn, consegnando una ipotesi di contratto alla Struttura Commissariale all’emergenza Covid-19 il giorno 25 Novembre”.

Quello che la smentita non dice è che in realtà, persa l’occasione, non poteva accadere altrimenti. Il 9 novembre l’Fda americana autorizza l’uso d’emergenza del Bamlanivimab e da quel giorno, col prezzo fissato in 1200 dollari per le prime 300mila dosi, la casa madre di Indianapolis non può più cederne 10mila gratis a un altro Paese. Tuttavia l’Italia all’improvviso è disposta anche a pagare il farmaco che poteva avere gratis: il 16 novembre il ministero della Salute riporta la multinazionale al tavolo con Arcuri per l’unica opzione rimasta: trattare il prezzo.

L’Aifa infine torna sui limiti regolatori che sono la foglia di fico di tutta la storia. “Gli anticorpi monoclonali – si legge nel comunicato – necessitano di una approvazione europea, mentre l’azienda Eli Lilly ha proposto una procedura di approvazione del farmaco in deroga a tali procedure”. Ricorda poi che Ema ha espresso un giudizio assai cauto sulle possibilità di approvare il Bamlanivimab sulla base dello studio di fase 2 che evidenziava benefici moderati e ha richiesto ulteriori dati a supporto”. Non spiega però perché quei risultati siano bastati agli altri Paesi. Gli Stati Uniti hanno acquistato un milione di dosi, in Canada ne arriveranno altre migliaia dallo stabilimento di Latina. L’Ungheria fa parte dell’Unione dal 2004 e ha autorizzato il farmaco senza aspettare l’Ema. La Germania è sulla stessa scia.

E’ stato chiarito che in Italia si poteva autorizzare senza violare la legge, bensì applicandola: la 648/1996 è stata fatta apposta per autorizzare medicinali innovativi autorizzati in altri Stati, ma non in Italia, e quelli non ancora autorizzati dall’Ema ma in corso di sperimentazione clinica. La legge è sul sito dell’Aifa, per altro, con l’elenco dei farmaci. Nel 2005, ad esempio, Aifa autorizzò il trastuzumab per il trattamento del tumore alla mammella un anno e mezzo prima dell’Ema: ed è un anticorpo monoclonale, proprio come il Bamlanivimab. Adesso, dopo l’inchiesta, la posizione dell’Aifa è cambiata. È una vera fortuna. Potevamo essere i primi d’Europa, potremmo rischiare di non arrivare ultimi. Questa, alla fine, è la storia.

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