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martedì 15 agosto 2023
Un’enorme struttura sepolta sotto l’Australia incuriosisce la comunità scientifica. - Angelo Petrone
Se le sue dimensioni saranno confermate, il cratere Deniliquin potrebbe superare Vredefort, in Sud Africa, il più grande finora identificato.
I ricercatori dell’Università del New South Wales (Australia) suggeriscono in un articolo pubblicato sulla rivista Tectonophysics che il più grande cratere da impatto di un asteroide al mondo potrebbe essere sepolto in profondità nel sud-est dell’Australia. Secondo Andrew Glikson, quando un asteroide colpisce la superficie terrestre si forma un cratere. La cavità risultante presenta una cupola centrale rialzata che, secondo Glikson, è caratteristica delle strutture ad alto impatto. Tuttavia, non è sempre facile, poiché tendono a erodersi nel tempo. Nel corso della storia, sia il continente australiano che il suo predecessore, noto come “Gondwana“, hanno subito numerosi impatti di asteroidi. Finora in Australia sono stati documentati 38 crateri da impatto, oltre ad altri 43 potenziali candidati di varie dimensioni.
In una recente ricerca, Glikson indica che la più grande struttura di impatto sul pianeta potrebbe essere Deniliquin, situata nel New South Wales meridionale, che misura circa 520 chilometri di diametro. Glikson precisa che il cratere Deniliquin sarebbe più grande di quello di Vredefort (Sudafrica), il più grande che sia stato finora individuato, il cui diametro è di 300 chilometri. L’esistenza della struttura Deniliquin è stata proposta per la prima volta alla fine degli anni ’90 dallo scienziato Tony Yeates, che si è basato su schemi magnetici sotto il bacino del fiume Murray nel New South Wales. Una successiva analisi, completata nel 2020, ha confermato l’esistenza di una grande struttura di impatto sotto questa regione del sud-est dell’Australia. Tuttavia, la maggior parte delle prove per il cratere Deniliquin proviene da dati geofisici di superficie, quindi è necessaria la perforazione profonda per la prova dell’impatto. Glikson ha stimato che l’impatto dell’asteroide sia avvenuto 445 milioni di anni fa, verso la fine del periodo del tardo Ordoviciano. Si ritiene che la collisione del corpo roccioso possa aver innescato un grande evento chiamato “glaciazione Hirnantiana“, che ha causato l’estinzione dell’85% delle specie del pianeta. Intanto, lo scienziato ha confermato che verranno raccolti nuovi campioni per determinare l’età esatta della struttura, che richiederà la perforazione del suo centro magnetico.
Il bioscanner che scopre il cancro. (da un posto di Fb di Viviana Vivarelli del g. 14.8.2023
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domenica 13 agosto 2023
Ha inventato la macchina che vede i tumori: lo accusano di stregoneria. - Stefano Lorenzetti - 14 Marzo 2010
Un tubo lungo 30 centimetri che permette di scoprire i tumori non appena cominciano a formarsi. Una sonda elettromagnetica che vede qualsiasi infiammazione dei tessuti. Un esame che dura appena 2-3 minuti, non è invasivo, non provoca dolore o disagi al paziente, e fornisce immediatamente la risposta. Un test innocuo, ripetibile all’infinito e senza togliersi i vestiti, che ha una precisione diagnostica come minimo del 70% ma, se eseguito da mani esperte, può arrivare anche al 100% di attendibilità. Uno strumento rivoluzionario, poco ingombrante, portatile, che si può usare ovunque e che non necessita di mezzi di contrasto radioattivi, lastre fotografiche o altro materiale di consumo. Un’apparecchiatura che si compra, anzi si comprava, con 43.000 euro più Iva, contro i 3-4 milioni di euro di una macchina per la risonanza magnetica, i 2 milioni di una Pet e il milione e mezzo di una Tac, tutt’e tre con costi di gestione elevatissimi.
Allora chi e perché ha paura del bioscanner, nome commerciale Trimprob? Non certo i potenziali pazienti, che potrebbero individuare per tempo la malattia. Non certo il ministero della Salute, che lo ha inserito nel repertorio dei dispositivi medici del Servizio sanitario nazionale. Non certo il professor Umberto Veronesi, che lo ha sperimentato nel suo Istituto europeo di oncologia di Milano e ne ha decantato la validità. Eppure la Galileo Avionica, società del colosso Finmeccanica, ha annunciato la chiusura della Trim Probe Spa, l’azienda che lo produceva e lo commercializzava, messa in liquidazione in quanto ritenuta non più strategica nell’ambito di un gruppo internazionale specializzato nei mezzi di difesa militare.
Questa è l’infelice historia di un cavaliere d’altri tempi, il professor Clarbruno Vedruccio, 54 anni, l’inventore del bioscanner, laureato in fisica e in ingegneria elettronica negli Stati Uniti, già collaboratore dell’Istituto di fisica dell’atmosfera del Cnr a Bologna e docente di metodologia della ricerca all’Università di Urbino, che nei tempi presenti avrebbe meritato i premi Nobel per la fisica e la medicina fusi insieme, se solo il mondo girasse per il verso giusto, e invece è costretto a prosciugare il conto in banca per tutelare la sua creatura.
Vedruccio è arrivato al bioscanner per puro caso, mentre stava fornendo tecnologia militare avanzata ad alcuni reparti d’élite delle nostre forze armate. Pur di non lasciarsi sfuggire un simile cervello, nel 2004 i vertici della Marina hanno rispolverato la legge Marconi del 1932, così detta perché fu creata su misura per Guglielmo Marconi, l’inventore della radio, che minacciava di passare armi e bagagli agli inglesi. Arruolato «per meriti speciali» nella riserva selezionata, con decreto del presidente della Repubblica, l’Archimede Pitagorico è diventato capitano di fregata ed è stato assegnato all’ufficio studi del Comando subacquei e incursori alla Spezia. Ha anche partecipato con l’Onu alla missione di pace Leonte in Libano, dove s’è guadagnato un encomio.
Quando nel 2004 una serie di fenomeni impressionanti - elettrodomestici che prendevano fuoco, vetri delle auto che esplodevano, bussole che impazzivano, cancelli automatici che si aprivano da soli - sconvolse la vita di Caronia, nel Messinese, la Protezione civile chiamò Vedruccio per trovare il bandolo della matassa. Lo studioso accertò che il paesino dei Nebrodi veniva colpito da fasci di radiazioni elettromagnetiche con particolari caratteristiche. Se oggi gli chiedi chi fosse a emetterle, si limita a tre parole: «Non posso rispondere». L’inventore abita con la moglie Carla Ricci, sua assistente, a pochi chilometri dal radiotelescopio Croce del Nord di Medicina (Bologna). Quando si dice il caso.
Nome insolito, Clarbruno.
«Viene dalla fusione di Clara e Brunello, i miei genitori».
Lei è un fisico. Perché ha accettato di diventare ufficiale di Marina?
«Non sono né guerrafondaio, né pacifista. Ma se la guerra si deve fare, si fa. Diciamo che la vita militare è la normalità, nella nostra famiglia. Sono nato a Ruffano, provincia di Lecce. Mio nonno materno, Ettore Giaccari, disperso in mare nel 1941, era il capo motorista dell’incrociatore Fiume, affondato dagli inglesi nella battaglia di Capo Matapan. Mio padre comandava la brigata costiera della Guardia di finanza. Sono cresciuto tra la caserma e il faro di Torre Canne. Nel gennaio 1958 precipitò in Adriatico un aereo F86 e papà si gettò a nuoto nelle acque gelide per salvare il pilota. Lo riportò a riva: purtroppo era già morto. Io passai l’infanzia fra i rottami di quel caccia militare. Ricordo ancora la carlinga, i comandi, la sala radio. Il mio amore per l’elettronica è nato lì».
E il bioscanner com’è nato?
«Nel 1985 collaboravo col battaglione San Marco. Mi fu chiesto se ero in grado di mettere a punto una tecnologia per intercettare i pescatori di frodo che di notte approdavano sull’isola di Pedagna, zona militare al largo di Brindisi. Le telecamere non potevano essere installate per la troppa salsedine e le frequenti mareggiate. Stavo lavorando a una specie di radar antiuomo, come quelli che gli americani usavano in Vietnam, quando mi accorsi che alcune bande di frequenza in Uhf, fra i 350 e i 500 megahertz, quindi al di sotto dei canali televisivi, interagivano bene con i tessuti biologici delle persone».
In che modo se ne accorse?
«Volevo sperimentare la possibilità di usare l’elettromagnetismo anche per rintracciare le mine antiuomo sepolte nel terreno: il rilevatore registrava qualsiasi discontinuità nella compattezza della sabbia fino a 20 centimetri di profondità. Mentre ero nel mio laboratorio, notai che sugli analizzatori di spettro una delle tre righe spettrali spariva completamente ogniqualvolta mi avvicinavo al banco di prova. Strano. Quel giorno avevo ingurgitato un panino col salame in treno ed ero in preda a una gastrite terribile. Mi si accese una lampadina in testa. Chiamai Enrico Castagnoli, ex radarista della Marina, mio vicino di casa, e gli chiesi come si sentisse in salute. “Benone”, mi rispose. Ripetei la prova su di lui: nessuna variazione di spettro. La conferma che cercavo».
Cioè?
«Allora non potevo saperlo. Ma avevo appena provato in vivo ciò che gli scienziati Hugo Fricke e Sterne Morse intuirono e descrissero nel 1926 su Cancer Research e cioè che i tessuti sani hanno una capacità elettrica più bassa, quelli infiammati più elevata, quelli oncologici ancora maggiore. In pratica il mio bioscanner consente di fare una specie di biopsia elettromagnetica, quindi incruenta, dei tessuti biologici, grazie a tre frequenze in banda Uhf, intorno ai 460, ai 920 e ai 1350 megahertz. In particolare, il segnale sulla prima frequenza interagisce con le formazioni tumorali maligne, evidenziando un abbassamento della riga spettrale».
E individua qualsiasi tipo di cancro?
«A eccezione delle leucemie. Ma i tumori solidi su cui abbiamo indagato li ha letti tutti. Ho visto alcuni carcinomi del seno con due anni d’anticipo sull’ecografia e sulla mammografia».
Chi è stato il primo paziente a sottoporsi all’esame?
«Un fisico britannico che era venuto all’Università di Urbino per un congresso. Gli ho scoperto un tumore alla prostata. Nei giorni successivi gli studenti di medicina, farmacia e veterinaria facevano la fila per sottoporsi all’esame e lo stesso i miei colleghi docenti. Io insegnavo a loro e loro a me. Nel 2006 ho portato la macchina in Libano durante la missione Leonte. È stato un altro screening di massa».
Ma chi garantisce che il test non faccia male e sia affidabile?
«Il bioscanner ha l’omologazione dell’Istituto superiore di sanità, che ne ha attestato la non nocività. Per ogni organo occorre poi una procedura di validazione presso enti accreditati dal ministero della Salute. Per le ovaie la sperimentazione avviata dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano ha dimostrato un indice di sensibilità del 91%, il che è particolarmente confortante, trattandosi di una neoplasia che non dà sintomi e in genere viene scoperta quando vi sono già le metastasi. Nello stesso istituto sono stati testati i tumori del retto: siamo sull’89% di attendibilità. Le prove per la tiroide e lo stomaco-duodeno, eseguite nelle Università di Catanzaro e Genova e nell’ospedale maggiore della Marina militare a Taranto, si sono rivelate esatte al 90% e in due casi al 100%. I tumori della vescica, testati all’ospedale Vito Fazi di Lecce, hanno restituito un dato sicuro nell’89,5% dei casi. Per la prostata e il seno siamo al 72%».
Il margine d’errore a che cos’è dovuto?
«All’imperizia di chi esegue l’esame e alla fallibilità di tutti i sistemi diagnostici. Non dimentichiamo che anche un ecografo può sbagliare nel 45% dei casi: tanto varrebbe buttare in aria una monetina e fare a testa o croce. Da uno studio pubblicato sulla rivista Urology nel 2008, e relativo alla diagnostica della prostata, risulta che il bioscanner ha offerto un’accuratezza del 72% contro il 55% di un’ecografia transrettale, tanto invasiva quanto fastidiosa».
Gli amici si rivolgeranno a lei al minimo acciacco.
«Li dirotto verso gli ospedali. È troppo pesante scoprire che una persona ha un tumore e doverglielo dire all’istante. Se il Trimprob fosse dato in dotazione ai medici di base, si risparmierebbero miliardi di euro spesi per accertamenti diagnostici spesso inutili. Purtroppo è presente solo in 50 ospedali sui circa 2.000 esistenti in Italia».
E all’estero?
«Si trova in Giappone, Brasile, Malesia, Turchia, Iran, Regno Unito, Francia, Belgio. Ma da due anni la Galileo Avionica ha smesso di produrlo e io mi ritrovo a pagare le spese per il mantenimento del brevetto internazionale dalla Cina al Sudafrica, dall’India al Canada. Si tratta di costi largamente superiori al mio stipendio».
E dire che la Galileo Avionica era andata ad analizzare col bioscanner persino la prostata di Beppe Grillo...
«Credo che il Trimprob sia stato testato anche su Umberto Bossi, che ne ha parlato benissimo a Silvio Berlusconi».
Attrezzo bipartisan. «A questo punto come si fa a dire che l’esposizione ai campi elettromagnetici non ha effetti sulle persone?», s’è chiesto Grillo nel suo blog.
«Il Trimprob utilizza una potenza 100 volte inferiore a quella dei cellulari: 10 milliwatt contro 2 watt. Però bisogna essere onesti: l’industria non ha alcun interesse a divulgare le indagini che invitano ad applicare il principio di precauzione all’elettromagnetismo».
Non mi aveva detto che la non nocività del bioscanner è certificata?
«È così. L’esame dura poco o niente, non vi è un’esposizione cronica, e la frequenza ha uno spettro di assorbimento selettivo sui tessuti infiammati, non su quelli sani».
E i collegamenti wireless sono sicuri?
«Da elettromagnetista ho sviluppato una particolare sensibilizzazione ai campi elettromagnetici anche deboli. Mi sono accorto che il mio vicino di casa aveva cambiato il modem per collegarsi a Internet perché ho cominciato a dormire male. Ho acceso l’analizzatore di spettro e ho visto che aveva installato una rete wi-fi. Gli ho chiesto di spegnerla almeno di notte e sono tornato a dormire bene».
Il Trimprob rischia di rendere superfluo il lavoro dei radiologi?
«No. La diagnostica per immagini resta lo standard. Il bioscanner aiuta, dà il primo allarme. Per esempio, gli urologi che lo impiegano hanno ridotto di molto la prescrizione di biopsie».
Però manda in pensione le mammografie per prevenire il tumore al seno.
«Se vuole condannarmi a morte, scriva così».
Insomma, a quali specialisti dà fastidio?
«A tutti quello che non lo usano».
Qualcuno l’ha ostacolata?
«Durante un vertice all’Istituto superiore di sanità, al quale ero stato accreditato dall’Ieo del professor Veronesi, uno dei presenti mi ha detto: “Cos’è? Stregoneria?”. Gli ho obiettato che un’industria che produce cacciabombardieri difficilmente spreca tempo in riti vudù. Il bioscanner è la macchina del futuro. Ma capisco che sarebbe stato come parlare dei telefonini nel 1700».
Com’è possibile che l’Italia non riesca a sfruttare l’invenzione di un italiano?
«Vuol sapere una cosa? Sono un capitano di fregata precario. In Marina ho lavorato solo sei mesi l’anno, agli inizi senza stipendio. E dal 2 luglio sarò congedato perché compio 55 anni, che è l’età limite per far parte come ufficiale delle forze di completamento. Eppure questo è il periodo più fertile della mia vita di inventore: due brevetti depositati, fra cui un’antenna tattica omnidirezionale per collegamenti satellitari utilizzata dal contingente italiano in Afghanistan, e altri quattro già pronti».
Si sarà pentito di non essere rimasto negli Stati Uniti.
«A fuggire si fa presto. Rimanere a combattere in Italia, quello sì è da soldati».
https://www.ilgiornale.it/news/ha-inventato-macchina-che-vede-i-tumori-accusano-stregoneria.html
Leggi anche:
https://www.lastampa.it/blogs/2010/07/05/news/il-fisico-svela-tumori-lascia-l-italia-1.37258658/
Progettati batteri in grado di rilevare il Dna del tumore: lo studio.
Sono come 'guardiani' invisibili, in grado di intercettare il nemico in maniera efficiente e veloce. A puntare su di loro è un gruppo di scienziati Usa, che ha ingegnerizzato dei batteri in grado di rilevare la presenza di Dna tumorale in un organismo vivo. Un'innovazione testata con risultati positivi nei topi che potrebbe aprire la strada a nuovi biosensori hi-tech capaci di identificare infezioni, tumori e altre malattie. I ricercatori dell'University of California San Diego e un gruppo di colleghi in Australia hanno descritto il passo avanti su 'Science'. Batteri come questi, in precedenza, erano stati progettati per svolgere varie funzioni diagnostiche e terapeutiche, ma non avevano la capacità di identificare specifiche sequenze di Dna e mutazioni al di fuori delle cellule. Il nuovo progetto - battezzato 'Catch' - nasce per fare proprio questo.
"Quando abbiamo iniziato 4 anni fa, non eravamo nemmeno sicuri che fosse possibile utilizzare i batteri come sensore per il Dna dei mammiferi", spiega il leader del team scientifico Jeff Hasty, professore della UC San Diego School of Biological Sciences e della Jacobs School of Engineering. "L'individuazione di tumori gastrointestinali e lesioni precancerose è un'interessante opportunità clinica a cui applicare questa invenzione". È noto che i tumori disperdono il loro Dna negli ambienti che li circondano. Molte tecnologie possono analizzare il Dna purificato in laboratorio, ma non sono in grado di rilevarlo lì dove viene rilasciato. I ricercatori hanno progettato e testato dei batteri con questa missione, utilizzando la tecnologia Crispr, dell'editing genetico.
"Molti batteri possono assorbire il Dna dal loro ambiente, un'abilità nota come competenza naturale", ha affermato Rob Cooper, co-autore dello studio, del Synthetic Biology Institute della UC San Diego. Hasty, Cooper e il medico australiano Dan Worthley hanno collaborato a un'applicazione di questa idea al cancro del colon-retto. Hanno iniziato a formulare la possibilità di ingegnerizzare i batteri che sono già prevalenti nel colon, come nuovi biosensori che potrebbero essere distribuiti all'interno dell'intestino per rilevare il Dna rilasciato da questo tumore.
Il team statunitense-australiano si è concentrato sull'Acinetobacter baylyi - un candidato con le qualità giuste - ingegnerizzandolo e testandolo come sensore per identificare il Dna di KRAS, un gene che è mutato in molti tipi di cancro e per discriminare tra la versione mutata e quella normale. "È stato incredibile quando ho visto al microscopio i batteri che avevano assorbito il Dna del tumore. I topi con tumori avevano sviluppato colonie batteriche verdi che avevano acquisito la capacità di crescere su piastre antibiotiche", ha affermato Wright.
I ricercatori stanno ora adattando la loro strategia di biosensori batterici a nuovi circuiti e diversi tipi di batteri per rilevare e trattare tumori e infezioni umane. In futuro, riflette Siddhartha Mukherjee, professore associato della Columbia University, non coinvolto nello studio, "le malattie saranno curate e prevenute da cellule, non da pillole. Un batterio vivente in grado di rilevare il Dna nell'intestino offre un'enorme opportunità" di schierare "una sentinella per cercare e distruggere il cancro gastrointestinale e molti altri".
La nuova invenzione richiede un ulteriore sviluppo e perfezionamento, precisano gli scienziati. Il team dell'UC San Diego sta continuando a ottimizzare questa strategia avanzata dei biosensori. "C'è un futuro in cui nessuno dovrà morire di cancro del colon-retto", auspica Worthley. "Speriamo che questo lavoro sia utile a bioingegneri, scienziati, e in futuro ai medici, nel perseguimento dell'obiettivo".