Ogni sera i corrispondenti Rai fanno la faccia scura mentre ci raccontano che succede di brutto in America: default, apocalisse, crisi mostruosa che travolgerà presto l’intero pianeta. Ma, spente le telecamere, quello che vedono coi loro occhi è molto più rassicurante.
Nel bell’edificio di Tribeca, quartiere alla moda di New York, lo staff di Rai Corporation è quanto di più pacioso e lussureggiante si possa immaginare: 12 dirigenti, 30 tecnici, una decina di producer e supervisor più impiegati, amministrativi, collaboratori, stagisti e chi più ne ha più ne metta. Tanto lo spazio non manca: la sede costa cara, circa un milione di dollari l’anno, ma sono pur sempre tremila metri quadri su due piani con due studi di ultimissima generazione, uno identico a quello della Cnncon megawall al plasma e multivideo a 12 finestre che consentirebbe vere magie se non fosse che in realtà tutta la banda (47 dipendenti a tempo indeterminato più altrettanti con contratti variegati) è al servizio di Antonio Di Bella, Giovanna Botteri (Tg3), Gerardo Greco (Tg1, attualmente in Italia per condurre Unomattina Estate) e Dino Cerri (pure lui impegnato ordinariamente da Unomattina).
Certo a leggere la ragione sociale della compagnia (di diritto americano ma controllata Rai al 100 per cento) c’è di tutto e di più: produzione, distribuzione e commercializzazione di prodotti radiofonici e televisivi, coproduzioni internazionali, supporto all’intero gruppo Rai. In concreto, l’unico committente di un colosso che costa 16 milioni di dollari l’anno è la Rai. Per fare che? Semplice: coprire i tg e radiotg Rai coi quattro giornalisti ospiti, e poi rispondere alle eventuali richieste dei programmi cui serve un servizio dagli Usa.
Se per esempio Chi l’ha visto o La vita in diretta decidono di approfondire un tema, il responsabile chiama il direttore generale di Rai Corp, Guido Corso, e chiede una mano. Risposta sempre affermativa ed entusiastica: dove ci mandate? Chi intervistiamo? E via con la trasferta. Pare che le troupe siano numericamente sempre ben attrezzate, e senza particolare fretta di rientrare alla base considerato il generoso budget annuale. Un buon albergo, diversi giorni di viaggio – l’America è grande – e infine il conto, perché il servizio reso da Rai Corp si paga con tanto di maggiorazione dell’8 per cento secondo quanto stabilito da un apposito accordo.In più serve un giornalista made in Italy: o i famosi quattro o uno ad hoc mandato da casa, perché un pezzo fatto e finito non si fa nemmeno per sogno.
Forse anche per questo le richieste d’intervento dall’Italia non piovono copiose sulla società che – in ogni caso – garantisce lauti stipendi a tutti grazie a un efficiente e autocefalo sindacato interno. I cameraman prendono dai 100 ai 130 mila dollari l’anno, idem per producer e supervisor (che arrivano a scucire 250 mila dollari) e botta finale per il direttore che ne incassa 500 mila. Ma almeno lui parla bene l’inglese, ed è lì tutti i giorni. Peggio va in genere con i presidenti, scelti dal Cda italiano con il consueto abuso di spartizione politica. In carica ora c’è il direttore generale della Rai Lorenza Leigrazie a un interim con cui ha sbattuto fuori il vertice precedente: Mauro Masi (insediatosi lo scorso febbraio e subito scalzato dal precipitare degli eventi), Antonio Marano (il vicedirettore generale Rai che diceva: giusto la Gabanelli paghi in proprio le cause di Report) e Gianfranco Comanducci(vicedirettore generale Rai accusato di sostenere la struttura Delta).
Storia passata, adesso si dovrà decidere chi mandare laggiù evitando se possibile gli scandali alla Angela Buttiglione (multa della Corte dei conti per bonus e fuoriuscite milionarie conquistate anche nella Grande Mela) o Massimo Magliaro, pubblicamente fustigato per la casa da 11 mila dollari al mese, la carta di credito da 80 mila dollari, un piano industriale fatto stilare a Terni da gente fidata (200 mila dollari) e l’autista sempre in tiro. Spesucce in realtà piuttosto consuete da quelle parti, e più volte indicate come voragine assurda a fronte di un budget Rai sempre più in rosso. Eppure la soluzione ci sarebbe: se il gruppo di lavoro fosse messo a produrre contenuti anche per altri committenti, come siti web, canali digitali, reti locali e nuovi media, forse il missmanagement – lo scarso sfruttamento delle risorse – forse potrebbe essere corretto. Al momento l’unica voce di possibili cambiamenti riguarda l’arrivo di Bruno Soccillo, già responsabile della radiofonia, alla istituenda Direzione corrispondenti. Così forse ci sarà qualcuno cui chiedere: come mai Rai Corp è l’unica sede estera Rai a non avere un capo responsabile del budget? Come mai, da sola, spende come tutte le altre sedi estere messe insieme?
Nel bell’edificio di Tribeca, quartiere alla moda di New York, lo staff di Rai Corporation è quanto di più pacioso e lussureggiante si possa immaginare: 12 dirigenti, 30 tecnici, una decina di producer e supervisor più impiegati, amministrativi, collaboratori, stagisti e chi più ne ha più ne metta. Tanto lo spazio non manca: la sede costa cara, circa un milione di dollari l’anno, ma sono pur sempre tremila metri quadri su due piani con due studi di ultimissima generazione, uno identico a quello della Cnncon megawall al plasma e multivideo a 12 finestre che consentirebbe vere magie se non fosse che in realtà tutta la banda (47 dipendenti a tempo indeterminato più altrettanti con contratti variegati) è al servizio di Antonio Di Bella, Giovanna Botteri (Tg3), Gerardo Greco (Tg1, attualmente in Italia per condurre Unomattina Estate) e Dino Cerri (pure lui impegnato ordinariamente da Unomattina).
Certo a leggere la ragione sociale della compagnia (di diritto americano ma controllata Rai al 100 per cento) c’è di tutto e di più: produzione, distribuzione e commercializzazione di prodotti radiofonici e televisivi, coproduzioni internazionali, supporto all’intero gruppo Rai. In concreto, l’unico committente di un colosso che costa 16 milioni di dollari l’anno è la Rai. Per fare che? Semplice: coprire i tg e radiotg Rai coi quattro giornalisti ospiti, e poi rispondere alle eventuali richieste dei programmi cui serve un servizio dagli Usa.
Se per esempio Chi l’ha visto o La vita in diretta decidono di approfondire un tema, il responsabile chiama il direttore generale di Rai Corp, Guido Corso, e chiede una mano. Risposta sempre affermativa ed entusiastica: dove ci mandate? Chi intervistiamo? E via con la trasferta. Pare che le troupe siano numericamente sempre ben attrezzate, e senza particolare fretta di rientrare alla base considerato il generoso budget annuale. Un buon albergo, diversi giorni di viaggio – l’America è grande – e infine il conto, perché il servizio reso da Rai Corp si paga con tanto di maggiorazione dell’8 per cento secondo quanto stabilito da un apposito accordo.In più serve un giornalista made in Italy: o i famosi quattro o uno ad hoc mandato da casa, perché un pezzo fatto e finito non si fa nemmeno per sogno.
Forse anche per questo le richieste d’intervento dall’Italia non piovono copiose sulla società che – in ogni caso – garantisce lauti stipendi a tutti grazie a un efficiente e autocefalo sindacato interno. I cameraman prendono dai 100 ai 130 mila dollari l’anno, idem per producer e supervisor (che arrivano a scucire 250 mila dollari) e botta finale per il direttore che ne incassa 500 mila. Ma almeno lui parla bene l’inglese, ed è lì tutti i giorni. Peggio va in genere con i presidenti, scelti dal Cda italiano con il consueto abuso di spartizione politica. In carica ora c’è il direttore generale della Rai Lorenza Leigrazie a un interim con cui ha sbattuto fuori il vertice precedente: Mauro Masi (insediatosi lo scorso febbraio e subito scalzato dal precipitare degli eventi), Antonio Marano (il vicedirettore generale Rai che diceva: giusto la Gabanelli paghi in proprio le cause di Report) e Gianfranco Comanducci(vicedirettore generale Rai accusato di sostenere la struttura Delta).
Storia passata, adesso si dovrà decidere chi mandare laggiù evitando se possibile gli scandali alla Angela Buttiglione (multa della Corte dei conti per bonus e fuoriuscite milionarie conquistate anche nella Grande Mela) o Massimo Magliaro, pubblicamente fustigato per la casa da 11 mila dollari al mese, la carta di credito da 80 mila dollari, un piano industriale fatto stilare a Terni da gente fidata (200 mila dollari) e l’autista sempre in tiro. Spesucce in realtà piuttosto consuete da quelle parti, e più volte indicate come voragine assurda a fronte di un budget Rai sempre più in rosso. Eppure la soluzione ci sarebbe: se il gruppo di lavoro fosse messo a produrre contenuti anche per altri committenti, come siti web, canali digitali, reti locali e nuovi media, forse il missmanagement – lo scarso sfruttamento delle risorse – forse potrebbe essere corretto. Al momento l’unica voce di possibili cambiamenti riguarda l’arrivo di Bruno Soccillo, già responsabile della radiofonia, alla istituenda Direzione corrispondenti. Così forse ci sarà qualcuno cui chiedere: come mai Rai Corp è l’unica sede estera Rai a non avere un capo responsabile del budget? Come mai, da sola, spende come tutte le altre sedi estere messe insieme?
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