martedì 6 agosto 2013

Che strane cose si verificano ultimamente nel nostro paese.

Intervista esclusiva al giudice Esposito: «Berlusconi condannato perché sapeva» - Antonio Manzo



Silvio Berlusconi non è stato condannato «perché non poteva non sapere», ma «perché sapeva»: era stato informato del reato.

Così il giudice Antonio Esposito, presidente della sezione feriale della Cassazione, spiega la sentenza di condanna per il Cavaliere in una intervista esclusiva al Mattino. «Nessuna fretta nel processo. Abbiamo solo attuato un doveroso principio della Cassazione, quello di salvare i processi che rischiano di finire in prescrizione».

E quello Mediaset sarebbe andato prescritto il primo agosto scorso. «Abbiamo deciso con grande serenità» aggiunge il magistrato. Sulle polemiche che negli ultimi giorni lo hanno colpito dal fronte berlusconiano, il presidente preferisce non replicare: «La mia tutela avverrà nelle sedi competenti». Aggiunge: «Ero per la diretta tv, ma avremmo turbato il processo».

Giudice Esposito, può esistere, chiamiamolo così, un principio giuridico secondo il quale si può essere condannati in base al presupposto che l’imputato «non poteva non sapere»?

«Assolutamente no, perché la condanna o l’assoluzione di un imputato avviene strettamente sulla valutazione del fatto-reato, oltre che dall’esame della posizione che l’imputato occupa al momento della commissione del reato o al contributo che offre a determinare il reato. Non poteva non sapere? Potrebbe essere una argomentazione logica, ma non può mai diventare principio alla base di una sentenza».

Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E qual è allora?

«Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva. Non è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva. Tu non potevi non sapere, perché Tizio, Caio o Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere».



Il giudice Esposito corregge il tiro, ma Il Mattino ribadisce: «Intervista riportata in forma letterale»

«Posso assicurare a voi e ai miei lettori che l'intervista è letterale, cioè sono stati riportati integralmente il testo, le parole e le frasi pronunciate dal presidente di cui ovviamente abbiamo prova»: è quanto ha sottolineato Alessandro Barbano, direttore del Mattino, intervenuto oggi al programma di Radio1 '"Start, la notizia non può attendere", in merito all'intervista al giudice Antonio Esposito pubblicata oggi sul quotidiano (leggi) e poi smentita in alcuni passaggi dallo stesso presidente della sezione feriale della Cassazione.

«Non posso commentare la smentita - ha proseguito Barbano - ma posso commentare, di fronte a qualunque sede, che il presidente Esposito ha pronunciato esattamente le parole con la sintassi e la conseguenza logica con cui noi le abbiamo pubblicate».

«Ovviamente sì» ha poi risposto Barbano alla domanda se Il Mattino fosse in possesso della registrazione dell'intervista. «Posso immaginare - ha proseguito Barbano - che il presidente della Cassazione abbia valutato a posteriori che, in qualche modo, spiegare le motivazioni della condanna prima di averla emessa possa avere per lui un ritorno non positivo. Però non è una colpa da attribuire ai giornalisti, ma alla responsabilità e alla maturità di chi parla».



Cimici in Cassazione, rinvenuta una microspia negli uffici del Palazzaccio. - Andrea Spinelli Barrile.

Chissà se si tratta dell’ennesimo episodio della “strategia della tensione 2.0″ o semplicemente di un falso allarme: certo è che la notizia data dal quotidiano Il Tempo, che denuncia il ritrovamento di una cimice negli uffici della seconda sezione penale della Corte di Cassazione a Roma, dovrebbe far letteralmente tremare i polsi.
Un’impiegata della Corte, ieri pomeriggio alle 14, ha rinvenuto un circuito elettronico prestampato che servirebbe per registrare o intercettare le conversazioni: il ritrovamento della microspia sarebbe avvenuto nelle stanze degli “ermellini” preposti a pronunciarsi, tra 11 giorni, sulla posizione di Silvio Berlusconi nel processo per i diritti tv Mediaset.
Mentre da palazzo Grazioli devono ancora sciogliere la riserva sulla rinuncia o meno alla prescrizione, cosa che procrastinerebbe la sentenza della Cassazione a settembre dando il tempo agli avvocati di Berlusconi di “verificare” le ultime cose ed imbastire la strategia difensiva (cosa che ha il sapore del pretesto, visto che il rinvio a giudizio è stato richiesto dai magistrati Robledo e De Pasquale nel 2005), dall’altra parte del Tevere la notizia della microspia di bachelite rinvenuta negli uffici della Cassazione è molto grave.
Al lavoro ci sono già i Carabinieri, che stanno verificando l’effettivo funzionamento della cimice (che sarebbe stata ritrovata senza batterie) e che avranno l’arduo compito di scoprire chi l’ha piazzata e per conto di chi; il primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, nominato dal Csm nel maggio scorso, è stato immediatamente allertato dall’Arma che, per suo conto, ha già avviato tutti i rilievi scientifici necessari e portato via il “corpo” del reato.
La pressione sulla Corte che il 30 luglio si pronuncerà in modo definitivo sulla condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici è sempre più forte: da un lato le pedanti polemiche politiche che tengono il governo su un affilatissimo filo di rasoio, la cui lama si è ulteriormente assottigliata con le pressioni su Alfano nel clamoroso caso Shalabayeva, dall’altro il rinvenimento della microspia negli uffici dei supremi giudici.
Quello delle microspie è un argomento delicatissimo, dal sapore se vogliamo complottista, ma è in verità sempre più uno “strumento di pressione” più che di controllo: l’assenza di batterie infatti potrebbe far pensare, secondo indiscrezioni dei Carabinieri, più ad un’avvertimento che non a reali intenti spionistici.

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