Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 28 febbraio 2014
giovedì 27 febbraio 2014
Che schifo. - Rita Pani
Mi affaccio al balcone per sincerarmi che il cumulo di spazzatura sia sempre là.
Cresce, con le auto che arrivano e lanciano il loro sacchetto senza nemmeno fermarsi. Scivola giù una busta azzurra, che pare viva.
Sembra voler fuggire, sembra voler non stare al gioco della schifezza; ma impietosamente muore schiacciata sotto le ruote di un camion, lasciando le sue budella melmose sull’asfalto. Prima o poi il probo cittadino scenderà di sotto, nottetempo, e incendierà tutto, cosicché l’acre odore di fumo e diossina si sparga nei nostri polmoni.
“A che punto siamo!” “A che punto siamo?” e non è importante che si affermi o si domandi.
Lo sconforto è uguale.
Siamo quel cumulo di spazzatura, e siamo in quel cumulo di spazzatura.
Distratti dalla laboriosa opera dei poteri mediatici, siano essi il governo, i politici/non politici, la televisione o i giornali.
Siamo spettatori annoiati di questo teatro mal recitato, dove i ruoli a copione paiono scontati come quelle dei polpettoni sudamericani, che si sa già come andrà a finire tra amori e tradimenti, nascite e morti, ricchezza e povertà, già prima che parta la sigla.
O l’inno nazionale.
Esattamente come in una fiction recitata all’italiana, cambiano gli attori ma resta la povertà dei testi, lo guardo vacuo nei visi di plastilina di chi al massimo ha imparato che l’attore deve avere almeno due espressioni: una triste e una allegra; ma non ha imparato bene a utilizzarle.
Un po’ come George Clooney, che non sai mai distinguere se è un film o la pubblicità di un caffè, nemmeno quando dice al taxista l’indirizzo al quale lo si deve accompagnare.
Da tempo utilizzo quel cumulo di spazzatura, che cambia come cambiano i giorni, come misura dello scempio del paese intero. A nessuno importa un accidente dell’obbrobrio, della puzza, dell’inciviltà che dilaga, della necessità del singolo di trovare un luogo dove abbandonare furtivo la sua spazzatura.
Non importa nemmeno a chi ci vive accanto, schifato sì, ma abituato, che non si impegna a far quel poco di differenziazione dei rifiuti, “perché chi mi garantisce che poi finisca davvero per essere riciclata?”
Mentalità figlia del “tanto son tutti uguali” che ha portato tanti a sfiduciarsi, altri a premiare chi diceva d’essere diverso.
E invece era più uguale degli altri, ormai spinti tutti dalla stessa bramosia di essere padroni del tempo, del piccolo mondo, e delle nostre vite.
E qualcuno lo dimostra, gettando via le risorse umane indegne del movimento.
Altri sacchetti sul cumulo.
O minacciando l’espulsione dal partito.
Un altro sacchetto.
Perché il capo non si discute.
E il cumulo di merda nella quale ci si ritrova ad annaspare, aumenta.
Ma non è importante ripulirla, l’importante è promettere di farlo, con promesse assurde, a tratti esilaranti, alle quali, per fortuna quasi nessuno crede più, fatto salvo il reddito di cittadinanza, che molti giovanissimi elettori traducono con un “pure se non lavoriamo almeno un po’ di soldi ce li danno” (virgolettato, perché tristemente testuale).
Ma che volevo dire?
Scusate, mi son persa.
Ah, sì, ora mi sovviene: “Che tristezza, tutto intorno.
E quanta miseria nella in questa umanità ormai vinta.”
C’è la Chiesa accanto alla spazzatura.
Sabato porteranno via il monticello, e noi ne faremo un altro, più alto, colorato, puzzolente e deprimente.
Perché noi, partecipiamo! Noi non molliamo mai.
Rita Pani (APOLIDE)
In ogni caso, tengo a precisare che il capo lo discutiamo eccome!
E, in piena democrazia, il capo accetta.
Cetta
Ecco una breve lista degli espulsi dal PD
ESPULSA DAL PD L’EX SINDACO DI AVIGLIANA, CON LEI VICESINDACO E ASSESSORE.
ACQUI TERME. FERRARIS E GIGLIO ESPULSI DAL PD.
IL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO DEL IV MUNICIPIO DI ROMA HA DECISO DI ESPELLERE IL CONSIGLIERE GIORGIO LIMARDI, A SEGUITO DI UN RIPETUTO COMPORTAMENTO DIFFORME ALLE LINEE DEL PARTITO.
MARIO RUSSO, VALERIO ADDENTATO E ROBERTO MERLINI SONO STATI ESPULSI DAL SEGRETARIO DEL PD PROVINCIALE DI ROMA CARLO LUCHERINI.
AGROPOLI. CARMINE PARISI: “CACCIATO DAL PD PERCHÉ HO DENUNCIATO LA SPECULAZIONE EDILIZIA”.
TROINA. ESPULSI DAL PD DUE CONSIGLIERI COMUNALI, PER AVERE VOTATO IN CONTRASTO CON LE INDICAZIONI DEL PARTITO.
CASTIGLIONE DEL LAGO. ROSANNA GHETTINI, CATERINA BIZZARRI, GIANCARLO PARBUONO E IVANO LISI ESPULSI DAL PD.
TERREMOTO PD ALESSANO: ESPULSI COSIMO DEL CASALE E DONATO MELCARNE.
PIACENZA, BUFERA NEL PD: ESPULSI I SOSTENITORI DI RENZI DALL’ESECUTIVO. SOSTITUITI I DIRIGENTI CON UNA TELEFONATA.
RAPALLO, SONO STATI ESPULSI DAL PD: MARIA CRISTINA GERBI, GIORGIO BRACALI, ALESSIO CUNEO, EMANUELE GESINO, MAURIZIO IVAN MASPERO, MARIA MORRESI, GIULIO RIVARA.
LA SEGRETERIA CITTADINA DI ORTA NOVA HA ATTIVATO LE PROCEDURE PER IL DEFERIMENTO DEL CONSIGLIERE COMUNALE ANTONIO BELLINO ALLA COMMISSIONE DI GARANZIA, ALLA QUALE SARÀ PROPOSTA L’ESPULSIONE DAL PD PER VIOLAZIONE DELLO STATUTO E DEL CODICE ETICO.
SAN MAURO TORINESE, RUDY LAZZARINI ESPULSO DAL PD INSIEME A UN NUTRITO GRUPPO DI COLLEGHI.
CASERTA. RINO ZULLO È STATO ESPULSO DAL PD.
CARMELO MAZZOLA E DOMENICO PRISINZANO SONO STATI ESPULSI DAL PD DI CASTELBUONO.
AFRAGOLA: VALENTINO ESPULSO DAL PD.
SEI ISCRITTI AL PD ALLONTANATI DAL PARTITO PER NON AVER APPOGGIATO MARINI CANDIDATO SINDACO A FROSINONE.
SOLIDARIETÀ A PAOLO DEAN EX SINDACO DI FIUMICELLO E A ROSANNA FASOLO, EX ASSESSORE DELLA GIUNTA DEAN, ESPULSI DAL PD.
TERLIZZI. SEGRETERIA PD: «ESPULSI DAL PARTITO 2
VAL SUSA, IL PD ESPELLE 4 AMMINISTRATORI CONTRARI ALLA LINEA TORINO-LIONE
Peccatori e verginelle. - Marco Travaglio
E, se anche fosse vero che è prevista dal regolamento o dal non-statuto che dir si voglia, vorrebbe dire che è sbagliato e antidemocratico il regolamento, o il non-statuto che dir si voglia.
Lo scrivemmo quando toccò alla senatrice Gambaro e lo ripetiamo a proposito dei senatori Battista, Bocchino, Campanella e Orellana.
Se Grillo e Casaleggio hanno un po’ di sale in zucca, dovrebbero riunirsi con gli eletti e scrivere un altro non-statuto, più elastico e meno autolesionista, riaprendo le porte agli espulsi per “reato di opinione”.
E, se gli eletti hanno un po’ di sale in zucca, dovrebbero chiamare i due leader a Roma e pretenderlo.
È trascorso un anno da quando i 5Stelle entrarono in Parlamento con 163 rappresentanti, sicuramente troppi per la gracile struttura di un movimento così giovane e inesperto.
Dodici mesi bastano e avanzano per far tesoro dell’esperienza maturata, così com’è avvenuto con la retromarcia sulla tv: all’inizio l’ordine di scuderia era di disertare i talk show perché qualcuno aveva deciso che “la tv è morta”, poi si comprese che era viva e vegeta e gli italiani cominciarono a conoscere, grazie alla tv, i Di Maio, Nuti, Di Battista, Sarti, Taverna, Fraccaro ecc.,e a toccare con mano quanto fosse ridicola la rappresentazione mediatica dei “grillini” come un branco di brubru incolti, xenofobi, decerebrati e telecomandati dalla Casaleggio Associati.
Più volte, anzi, capitò di vederli metter sotto politici navigati.
In 12 mesi di impegno parlamentare è nata e cresciuta una piccola classe dirigente – per ora soltanto di opposizione – che ha segnato molti punti al suo attivo, con scelte nobili e di grande effetto (la rinuncia ai soldi pubblici) e battaglie meritorie (le mozioni di sfiducia individuale contro Alfano, Cancellieri e De Girolamo, le campagne contro gli F-35 e il Porcellum, l’ostruzionismo sulla controriforma dell’art. 138 e sul decreto Bankitalia), anche contro il parere dei capi (l’abolizione del reato di clandestinità).
Questa classe dirigente s’è guadagnata sul campo il diritto-dovere di una sempre maggior autonomia dai vertici, inevitabilmente lontani dalla quotidianità parlamentare: del resto era stato proprio Grillo a dirsi ansioso di tornare al suo vecchio mestiere e a incitare gli eletti a camminare con le proprie gambe.
Tutto ciò premesso, il problema che i 5Stelle credono di risolvere brutalmente e autolesionisticamente a suon di espulsioni e calci in culo esiste non solo al loro interno, ma in tutti i partiti.
Ora si sprecano paroloni, lezioni di democrazia da cattedre improbabili (tutti i partiti usano biecamente lo strumento delle espulsioni, anche se nessuno lo scrive), paralleli con il comunismo e il fascismo, citazioni dell’art. 67 della Costituzione (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”). Ma qui la questione è molto più banale e attuale: fino a che punto un partito, o un movimento, o uno o più suoi eletti possono disattendere gli impegni presi con i propri elettori? È vero che ogni parlamentare rappresenta tutta la Nazione, ma non è detto che debba per forza rappresentarla con la maglietta di un partito in cui non si riconosce.
Se avessero avuto un pizzico di dignità, i senatori Battista, Bocchino, Campanella e Orellana, anziché sparare ogni giorno dalle tv e dai giornali contro il Movimento e gli elettori che li hanno paracadutati in Senato, in nome di una linea politica rispettabilissima ma incompatibile con quella che si erano impegnati a seguire, si sarebbero dimessi e iscritti al gruppo misto.
Oppure, se ne avessero avuti i numeri (come pare avranno tra breve a Palazzo Madama), formare un gruppo autonomo.
Non ti piace (più) il tuo partito?
Ti fanno schifo i tuoi compagni?
Scopri con notevole ritardo che il tuo leader è la reincarnazione di Hitler?
Vattene, senza aspettare che ti caccino.
Altrimenti non sei un Solgenitsin, o un Sacharov: sei soltanto uno Scilipoti.
E, già che ci siamo, sarebbe il caso di risolvere una volta per tutte il dilemma: perché un berlusconiano o un grillino che vuole allearsi col Pd è un figliuol prodigo redento alla democrazia e mosso da nobili slanci da accogliere con il vitello grasso, mentre se uno fa il percorso inverso è un bieco voltagabbana? Paradossalmente, i 5Stelle scontano un sistema di selezione delle candidature molto più “democratico” di quelli praticati dai partiti: i vertici Pdl, Pd, Udc, Lega, Scelta civica, Sel ecc. conoscevano tutti i candidati che han portato in Parlamento grazie al Porcellum: perché se li sono scelti e nominati uno per uno (ne sa qualcosa Renzi, che si ritrova i gruppi parlamentari targati Bersani).
Grillo e Casaleggio i loro eletti li hanno conosciuti per la gran parte dopo il voto, non prima. Per questo, nei partiti, non muove mai foglia che i leader non vogliano, nemmeno quando compiono scelte contro natura come le larghe intese con B. e poi con Alfano (due volte), nate all’insaputa anzi nel tradimento degli elettori.
Ci sono, è vero, le riserve indiane tipo i civatiani: ma, giunti al dunque, si allineano sempre: altrimenti verrebbero espulsi anche loro, democraticamente si capisce.
Da oggi, grazie all’ennesimo autogol dei 5Stelle, assisteremo alla solita sceneggiata dei partiti più antidemocratici d’Europa che danno lezioni di democrazia.
Ma sarà soltanto un espediente ipocrita e propagandistico per rinviare la discussione su un problema che riguarda tutti: davvero la democrazia è chiamare ogni tanto i cittadini alle urne, incassarne i voti su un certo programma e usarli per fare esattamente l’opposto?
Da Il Fatto Quotidiano del 26/02/2014.
Da Il Fatto Quotidiano del 26/02/2014.
Non sono d'accordo con la linea:
Non ti piace (più) il tuo partito?
Ti fanno schifo i tuoi compagni?
Scopri con notevole ritardo che il tuo leader è la reincarnazione di Hitler?
Vattene, senza aspettare che ti caccino.
perchè, quando si viene eletti con un programma ed in un partito o movimento, si ha il dovere di seguire la linea indicata da quel partito o movimento, non si può cambiare opinione dopo il voto, questo è un vero e proprio tradimento!
Cetta.
Espulsioni M5s, stupidità e dittatura della maggioranza. - Peter Gomez
A Beppe Grillo e a tutti i parlamentari e iscritti del Movimento 5 Stelle che hanno votato l’espulsione dei quattro senatori considerati dissidenti va consigliata la lettura di La Democrazia in America di Alexis de Toqueville. Le pagine che il filoso francese dedica al problema della dittatura della maggioranza sono esemplari. E anche se si riferiscono al governo degli Stati, indicano bene la strada che una parte del movimento rischia di imboccare.
Fino a qualche tempo fa la libertà di parola e il diritto di critica erano temi centrali per l’intero M5s. Molti cittadini avevano anzi deciso di sostenere l’ex comico alle elezioni dopo aver visto il suo blog e i Meetup battersi anche per questo. Nel novembre del 2010, per esempio, in uno dei tanti post di Grillo si poteva leggere: “La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un ‘politically correct’ asfissiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto”.
Oggi invece dobbiamo constatare che la libertà di parola nel Movimento 5 Stelle è minacciata e offesa dauna brutta voglia di unanimismo. Dalla decisione di far votare gli aderenti 5 Stelle non sulla violazione di una norma del non statuto o del codice di comportamento parlamentare, ma su una critica al Capo, o se preferite al Megafono. Discutere se i senatori avessero ragione o torto nel prendere posizione contro le modalità con cui Grillo ha deciso di strapazzare Matteo Renzi in diretta streaming – sbattendogli peraltro in faccia molte verità difficili da contestare – non ha infatti senso. Il dato importante è uno solo: non esisteva alcuna regola che impedisse ai senatori di farlo.
Certo, per qualsiasi movimento è fondamentale e giusto apparire unito, evitare, come scrive Alessandro Di Battista, che escano “sistematicamente” e per mesi dichiarazioni pronte “a coprire i messaggi del gruppo” o in contrasto con la linea stabilita. Ma anche se le cose sono andate così – tanto che i quattro senatori avrebbero dimostrato maggior dignità andandosene da soli da un movimento del quale non condividevano più gli obbiettivi – la questione non cambia di una virgola. Punire qualcuno per dei comportamenti per i quali non sono state previste esplicitamente sanzioni non è solo liberticida. Rappresenta un rischio per tutti: anche per coloro i quali oggi votano a favore dell’espulsione dei dissidenti. Domani, e per un motivo qualsiasi, una nuova maggioranza potrebbe infatti votare la loro.
Consolarsi col fatto che le espulsioni (vedi il caso degli amministratori locali del Pd in val Susa fatti fuori perché anti Tav) sono spesso la regola in altri partiti, non serve. Il M5S dice infatti (e quasi sempre lo è) di essere diverso dagli altri movimenti politici. Per questo molti elettori, almeno a giudicare dai commenti e dalle mail che arrivano a questo giornale online, avrebbero trovato più intelligente e democratico che il Movimento, già in occasione del brutto e analogo caso di Adele Gambaro, avesse riformato il regolamento e il non statuto stabilendo con chiarezza cristallina diritti e doveri degli eletti. Non averlo fatto lascia spazio all’arbitrio, alla legge più forte e alle espulsioni di massa. Oltretutto votate online in blocco senza che agli iscritti fosse permesso esprimere valutazioni diverse su ogni singola posizione.
Pensare, come fa il Movimento 5 stelle, di rivoluzionare (con il voto) il Paese è perfettamente legittimo. Credere che sia possibile farlo rinunciando a dimostrare che, sempre e in ogni caso, si è meglio di ciò che si vuole combattere e abbattere non è solo sbagliato. È stupido.
Nel caso dei 4 espulsi non si tratta di difformità di opinione o di diritto di critica, ma di ben altro. Questi 4, pur essendo stati eletti nel movimento e pur conoscendone le regole, hanno cambiato opinione, hanno tradito le aspettative di chi li ha eletti, di chi ha riposto in loro la propria fiducia. Questi 4 individui, consci di aver vinto una lotteria entrando a far parte del parlamento e di tutti i privilegi che ne derivano, hanno deciso di cambiare opinione e di buttare discredito sul movimento. Io non credo che sia accettabile, ammissibile, trattenere nella propria casa chi vuole demolirla. Un ospite è gradito se gradevole. Si può accettare la critica e discuterla assieme, ma non si può parlar male di chi ospita ed in pubblico. Ciò che è venuto a mancare in tutta la faccenda sono state la sincerità e la coerenza. Fatto sta che, a quanto pare, i 4 abbiano già deciso di cambiare blusa e movimento formandone uno loro. Era scontato, comunque, che ci sarebbero stati fuoriusciti anche nel movimento, le cui regole differiscono diametralmente da quelle degli altri partiti.
Cetta.
mercoledì 26 febbraio 2014
Tav: larghe intese, larghi affari. - Lirio Abbate
Nell'inchiesta di Firenze spuntano 'amici' di D'Alema, Dell'Utri, Alfano e Finocchiaro. Uniti per spartirsi tutto.
Il Commissario Ingravallo (“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) «diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo». E questo intreccio romanissimo che tanto colpì Carlo Emilio Gadda sembra essere diventata adesso la formula dominante dei pasticciacci contemporanei. Negli ambienti giudiziari la chiamano «larga intesa degli affari» e accomuna, di fatto, esponenti politici di destra e di sinistra. Tutti insieme appassionatamente, in un gioco abilissimo e sotterraneo di nomi e prestanome: si palesano solo i volti di professionisti e tecnici, ma le loro ombre celano segretari di partito, ministri, presidenti di gruppi parlamentari, capi correnti, deputati e senatori. I pupari. E le marionette. Per muovere affari di milioni, velocizzare pratiche di appalti pubblici, approvare decreti per favorire imprese amiche, cambiare componenti di commissioni di vigilanza e authority. Di fatto, svuotare le istituzioni e piegare le regole democratiche in uno spoil system che genera un sistema viziato. In pubblico c’è lo scontro politico o la lite dei talk show; dietro le quinte invece c’è un magma rovente che fonde gli appetiti meno nobili. Una suburra in cui tutti si scambiano favori e dialogano per concretizzare interessi senza badare a casacche e stemmi di partito.
AMICO DI LORENZETTI E FINOCCHIARO
L’inchiesta giudiziaria di Firenze sui lavori della Tav in cui è stata arrestata Maria Rita Lorenzetti, esponente del Pd, presidente di Italferr ed ex governatore dell’Umbria, ha fatto emergere la larga intesa degli affari. Prima ancora che nascesse l’esecutivo di Enrico Letta, lungo l’Alta velocità andava già in scena una “grosse koalition” tessuta da personaggi che si presentano uomini di fiducia e consulenti di esponenti politici. Amici di Massimo D’Alema e Marcello Dell’Utri, Anna Finocchiaro e Angelino Alfano: pedine che garantivano il dialogo e le spartizioni tra ex fascisti ed ex comunisti.
Al centro di questo giro c’è un geologo siciliano del Pd, Walter Bellomo, arrestato dai carabinieri del Ros di Firenze: in passato ha fatto parte del Pci, e nel 1996 è stato segretario del Pds a Palermo. Come componente della commissione Valutazione impatto ambientale del ministero dell’Ambiente, fondamentale per varare qualunque opera, oggi ha la qualifica di pubblico ufficiale. Ma per gli inquirenti il suo ruolo era strategico: facilitatore di appalti. I pm scrivono che «ha tenuto una condotta assolutamente spregiudicata, svendendo la propria funzione non in maniera occasionale ma permanente, mettendosi a disposizione del gruppo criminale (di cui faceva parte anche Lorenzetti, ndr) condividendone gli obiettivi futuri».
Per gli esponenti del Pd, fra cui l’ex governatrice umbra, quelle di Bellomo sono azioni «meritevoli di riconoscimenti» e per questo viene presentato alla senatrice Anna Finocchiaro con la quale avvia un dialogo spesso mediato dal di lei consigliere politico Paolo Quinto. L’ex capogruppo del Pd al Senato negli ultimi due anni si è mossa spesso per favorire Bellomo: intercedendo con l’allora ministro Corrado Clini perché lo riconfermasse nella commissione Via, o tentando anche un pressing sul governatore siciliano appena eletto, Rosario Crocetta, suggerendolo come assessore.
GIANNI LETTA FOREVERAMICO DI LORENZETTI E FINOCCHIARO
L’inchiesta giudiziaria di Firenze sui lavori della Tav in cui è stata arrestata Maria Rita Lorenzetti, esponente del Pd, presidente di Italferr ed ex governatore dell’Umbria, ha fatto emergere la larga intesa degli affari. Prima ancora che nascesse l’esecutivo di Enrico Letta, lungo l’Alta velocità andava già in scena una “grosse koalition” tessuta da personaggi che si presentano uomini di fiducia e consulenti di esponenti politici. Amici di Massimo D’Alema e Marcello Dell’Utri, Anna Finocchiaro e Angelino Alfano: pedine che garantivano il dialogo e le spartizioni tra ex fascisti ed ex comunisti.
Al centro di questo giro c’è un geologo siciliano del Pd, Walter Bellomo, arrestato dai carabinieri del Ros di Firenze: in passato ha fatto parte del Pci, e nel 1996 è stato segretario del Pds a Palermo. Come componente della commissione Valutazione impatto ambientale del ministero dell’Ambiente, fondamentale per varare qualunque opera, oggi ha la qualifica di pubblico ufficiale. Ma per gli inquirenti il suo ruolo era strategico: facilitatore di appalti. I pm scrivono che «ha tenuto una condotta assolutamente spregiudicata, svendendo la propria funzione non in maniera occasionale ma permanente, mettendosi a disposizione del gruppo criminale (di cui faceva parte anche Lorenzetti, ndr) condividendone gli obiettivi futuri».
Per gli esponenti del Pd, fra cui l’ex governatrice umbra, quelle di Bellomo sono azioni «meritevoli di riconoscimenti» e per questo viene presentato alla senatrice Anna Finocchiaro con la quale avvia un dialogo spesso mediato dal di lei consigliere politico Paolo Quinto. L’ex capogruppo del Pd al Senato negli ultimi due anni si è mossa spesso per favorire Bellomo: intercedendo con l’allora ministro Corrado Clini perché lo riconfermasse nella commissione Via, o tentando anche un pressing sul governatore siciliano appena eletto, Rosario Crocetta, suggerendolo come assessore.
L’esponente del Pd Lorenzetti, intercettata, rivela incosapevolmente che durante il governo Monti alcune nomine istituzionali venivano decise ancora da Gianni Letta, l’ex sottosegretario di Berlusconi. Ne parla con il consigliere politico della senatrice Finocchiaro il quale non appare scandalizzato. I due trattano la questione della nomina dei componenti dell’Authority sui trasporti che non riesce a passare al Consiglio dei ministri. Lorenzetti si è auto-candidata e afferma al telefono di aver saputo da Enrico Letta che la situazione di stallo si è creata in quanto lo zio Gianni «non recede per quanto riguarda la candidatura di De Lise». L’ex sottosegretario appoggiava l’allora presidente del Consiglio di Stato Pasquale de Lise. Lorenzetti dice al consigliere della Finocchiaro: «Secondo me devono acchiappare qualcuno del Pdl. Se la linea è quella che diceva Anna (Finocchiaro ndr) che Letta le ha detto, bisogna che chiappino questi del Pdl, ma in particolare Gianni Letta. Me lo diceva ieri durante una telefonata imbarazzata Enrico Letta. Da parte sua ovviamente l’imbarazzo, che suo zio, Gianni Letta, non vuole sentire ragioni a mollare De Lise».TRA L’AMICO DI D’ALEMA E DELL’UTRI
Walter Bellomo lo scorso gennaio è intenzionato a giocarsi tutto pur di trovare un posto in lista per le elezioni nazionali. In Sicilia il Pd ha eliminato dalle candidature per una questione etica Wladimiro Crisafulli - che Bellomo conosce bene e al quale aveva inviato diversi sms nei mesi precedenti quando voleva andare a fare l’assessore di Crocetta - e Antonio Papania. Il geologo pensa che con tutti i favori politici che ha fatto è la volta buona per approdare in Parlamento, e per questo sceglie una strada diversa. Punta su un referente nuovo che prima non era emerso e con il quale sembra avere un rapporto attraverso un collega della commissione del ministero dell’Ambiente, Giuseppe Chiriatti. L’uomo da contattare è Roberto De Santis, un imprenditore considerato molto vicino a Massimo D’Alema. Chiriatti assicura il suo interessamento per procurare il contatto con De Santis: «Faccio io».
Dopo un paio di ore è tutto fatto. L’amico di D’Alema è disponibile a incontrare Bellomo. Gli inquirenti sottolineano che dalle intercettazioni «emerge l’esistenza tra i due di un rapporto di confidenzialità se non di amicizia». De Santis non è un politico, ma avrebbe potuto introdurre Bellomo a D’Alema. E a proposito di grandi alleanze, occorre ricordare che nel consiglio di amministrazione della società svizzera Avelar che commercializza metano Roberto De Santis sedeva accanto a Massimo De Caro, che le cronache giudiziarie indicano molto vicino a Marcello Dell’Utri.
COME I NAZI-MAOISTI
Per costringere Sergio Santoro a lasciare la poltrona di presidente dell’Authority sugli appalti perché considerato finiano, politici di destra e sinistra stringono un accordo. Lo fanno lo scorso novembre a Roma. Il Ros intercetta la Lorenzetti, con due componenti dell’autorità di vigilanza Piero Calandra, vicino al Pd, e Alessandro Coletta, area di destra. L’occasione è l’incontro per festeggiare la nomina di Lorenza Ponzone a direttore dell’Authority ed è qui che Calandra segnala alla Lorenzetti la sua “aspirazione” a diventare presidente, pianificando l’attività «per indurre l’attuale presidente Santoro a lasciare l’incarico ovvero a “smammare”». Il piano viene messo in pratica coinvolgendo i consiglieri del Pd e gli “storaciani” che fanno capo a Storace. Calandra dice: «Con lo storaciano abbiamo commissariato il presidente, noi due estremi. Eh, be’, come i nazi-maoisti, ti ricordi, praticamente cerchiamo di fare il grosso del lavoro noi insomma, lo storaciano è quello che si è candidato a succedere a marzo 2014, quindi gradisce moltissimo con me stare in coppia».
NO, I TAGLI NON LI VOGLIAMO
Lorenzetti & C. vanno in fibrillazione nel luglio 2012 perché si ventila il taglio dei posti dei cda nelle società parastatali. È una persona molto vicina a Renato Schifani (all’epoca presidente del Senato) ad avvertire la presidente di Italferr della manovra del governo. Lorenzetti sembra nel panico e chiama subito il consigliere politico della senatrice Finocchiaro al quale espone “il pericolo” a cui vanno incontro: il taglio di manager nella pubblica amministrazione. Il consigliere della Finocchiaro tenta di consolare Lorenzetti: «Ho parlato con Anna e ho due novità: uno che si interesserà personalmente con Schifani per sapere se questa cosa è vera però lei non ne sa nulla. Sicuramente nel partito non c’è stata nessuna discussione e quindi non è una linea del partito. È una linea del governo Monti, di Bondi, il superconsulente di taglio delle spese degli enti pubblici. Il partito non ha fatto assolutamente nulla. Assolutamente non è niente di certo».
Inchiesta sugli appalti, arrestato per corruzione l'ex capo dei vigili urbani di Roma Angelo Giuliani.
L'ex capo dei vigili urbani di Roma Angelo Giuliani è stato arrestato, ai domiciliari, con l'accusa di corruzione. Per la Procura di Roma avrebbe fatto ottenere irregolarmente un appalto alla Sea (Società sicurezza e ambiente), società che si occupava della pulizia delle strade della città dopo ogni incidente.
Gli arresti, eseguiti dai carabinieri del Nucleo investigativo, hanno riguardato anche altre tre persone, tutte ai domiciliari: il direttore generale della Sea, Angelo C......., il legale della società, ........... e il direttore Iano Santoro.
Nell'inchiesta risulta indagato anche l'ex direttore generale della Rai Alfredo Meocci: è accusato di corruzione in qualità di componente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Per chi indaga, infatti, nel 2013 Meocci avrebbe dato parere favorevole sull'assegnazione dell'appalto alla Sea senza che ci fosse stata alcuna gara. Su questo appalto, però, l'Autorità nel 2012 aveva espresso giudizio negativo.
Mazzette mascherate da sponsor. Giuliani sarebbe intervenuto illecitamente nella gara d'appalto poi assegnata alla Sea in cambio di mazzette. Secondo quanto accertato dai pm della Procura, il massimo dirigente della municipale avrebbe ricevuto dai titolari della Sea sponsorizzazioni al Centro sportivo dei vigili, una struttura, secondo i pm Ilaria Calò e Laura Condemi, gestita in prima persona da Giuliani.
http://www.ilmessaggero.it/ROMA/CRONACA/arrestato_ex_capo_vigili_urbani_roma_angelo_giuliani_inchiesta_appalti_corruzione_sea_mazzette_meocci/notizie/541870.shtml
Andrea Scanzi
E' incredibile lo stato confusionale, e dunque caricaturale, del Pd.
Civati vota la fiducia, però è contrario e nel frattempo (lo dice pubblicamente) opererà per una fronda interna che coinvolga anche Sel e dissidenti 5 Stelle.
Fassina è contrario, però vota sì anche se "non riscontro novità".
Al Senato le facce dei Mineo, Casson, Tocci e Ricchiuti durante le tapioche di Renzi denotavano una mestizia - e un disgusto - siderali, però anche loro hanno votato sì.
Perché?
a) "Perché altrimenti ci cacciano" (alla faccia dell'art. 67 della Costituzione, quello che Grillo sbaglia a voler cancellare, ma anche quello che il Pd dimostra di non rispettare, con buona pace della millantata "democrazia interna").
b) "Perché le poltrone son comode.
c) "Perché fuori dal Pd non ci vota neanche il gatto" (tranne rari casi).
d) "Perché stiamo qua ai bordi del fiume ad aspettare che la corrente porti il fallimento politici dei nemici-amici al Governo".
Siamo oltre la psicanalisi, e la cosa mette non poca tristezza. Un po' per pavidità e un po' per il sogno di rosolare lentanente Renzi, il Pd per ora finge coesione. Nel frattempo, al Senato, i renziani erano certi di prendere tra i 172 e i 176 voti. Ne hanno presi 169, cinque in meno del Letta senza Berlusconi (quello che doveva durare e "stare sereno"). Il significato politico è chiaro: basta una sciatalgia della Finocchiaro o un herpes di un Popolare e il Governicchio Antani cade. Con questi numeri non solo non è ipotizzabile fare "scelte radicali" (ennesima bomba del Bomba), ma forse non sarà nemmeno possibile realizzare l'unico grande sogno vero dell'esecutivo Napolitano III: tirare a campare.
(Vamos).
https://www.facebook.com/pages/Andrea-Scanzi/226105204072482
Fonsai, sequestrati 2,5 milioni destinati a Paolo Ligresti su conto svizzero. - Andrea Giambartolomei
Le Fiamme Gialle hanno precisato che i capitali erano "in fuga" verso un conto corrente bancario di Lugano. Il figlio di Salvatore Ligresti, diventato cittadino svizzero poco prima dell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare che ha fatto scattare gli arresti per la sua famiglia, è imputato nel cosiddetto processo 'Fonsai bis'.
Paolo Ligresti stava per mettere le mani su una fetta di Unipol-Sai. Quasi due milioni di euro in azioni della nuova compagnia assicurativa e 400mila euro di fondi sono stati bloccati dalla Guardia di finanza su ordine del gip di Torino Paola Boemio per il rischio che il malloppo fosse sottratto a possibili azioni della giustizia. I valori erano destinati alla holding lussemburghese dell’ultimogenito di Salvatore Ligresti.
All’origine di questa operazione c’è una scoperta fatta dalla Banca d’Italia che ha segnalato un’operazione sospetta alle Fiamme Gialle. La Compagnia Fiduciaria Nazionale spa, società che detiene una parte delle azioni di Unipol Sai e dietro la quale si cela la famiglia Ligresti, stava inviando questo pacchetto azionario su un conto corrente di Lugano appartenente alla Limbo Invest SA. Si tratta della società fiduciaria lussemburghese il cui amministratore delegato è Gioacchino Paolo Ligresti, indagato di falso in bilancio e manipolazione del mercato dalla Procura di Torino, e sfuggito agli arresti del 17 luglio perché residente a Montagnola, vicino Lugano, ed era cittadino svizzero da poche settimane.
Gli investigatori, dopo l’allerta della Banca d’Italia, si sono resi conto che i Ligresti stavano cercando di veicolare i capitali schermati dalla società fiduciaria. Ora tutto è stato sequestrato a garanzia delle spese del processo e di ogni altra somma dovuta all’Erario.
La Limbo Invest SA non ha terminato la sua attività nonostante l’indagine del pm Marco Gianoglio della Procura di Torino avesse già svelato la sua funzione. Stando agli atti la fiduciaria di Gioacchino Paolo (così come la Hike Securites SA di Jonella e la Canoe SA di Giulia Maria, tutte lussemburghesi) permette ai Ligresti di contare all’estero “su di una rete di relazioni in grado di offrire loro un valido supporto” e di tutelare i “propri capitali personali ubicati fuori dal territorio nazionale”.
Le tre società del Granducato detenevano il 30% di Premafin, la finanziaria di famiglia che controllava Fonsai. “Si tratta delle tre società che risultano integralmente partecipate dalla Compagnia Fiduciaria Nazionale – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del 17 luglio scorso -, società che non svolgono attività commerciale alcuna, risultando strumento attraverso il quale vi è controllo indiretto da parte della famiglia Ligresti di Fondiaria-Sai S.p.A. attraverso Premafin”.
Il dispositivo dei sequestri è coperto da segreto investigativo e verrà depositato nel fascicolo “Fonsai bis” che riguarda Paolo Ligresti. L’udienza preliminare sarà il 5 marzo, quando le difese solleveranno nuovamente la questione di competenza territoriale del processo, già sollevata e già respinta nel giudizio immediato contro Salvatore Ligresti e gli ex manager. Domani al tribunale di Torino comincerà il giudizio immediato contro Jonella Ligresti, che non ha potuto patteggiare la condanna. L’intenzione della Procura è ottenere l’accorpamento dei tre procedimenti in un unico processo.
Monete rare italiane: ecco le lire che valgono una piccola fortuna.
Ecco le monete del vecchio conio che potrebbero essere vendute ai collezionisti perché rare. Attenzione alla data di produzione e alla conservazione.
Le monete rare italiane dei nostri tempi non sono tantissime. La cara vecchia Lira ha tuttavia lasciato alcune rarità agli appassionati di numismatica che possono arrivare a pagare svariate migliaia d’euro per un esemplare come si dice in gergo, “in Fdc”, ovvero “Fior di conio” vale a dire moneta che non presenta segni.
Già, perché graffi, solchi e usura compromettono significativamente il valore di un esemplare per gli appassionati del genere.
È questo il caso delle 100 lire coniate dell’anno 1955 e delle 50 lire dell’anno 1958. Le prime non sono particolarmente rare (ne furono tirate circa 8,6 milioni). Tuttavia gli esemplari appunto “in fior di conio” possono veder schizzare il prezzo fino a 1.200 euro. Non male per un cento lire di poco meno di sessant’anni fa. Stesso discorso per le monete da 50 lire che riportano la data del 1958. Ne furono stampati e diffusi 825.000 esemplari e tuttavia di questi non se ne trovano molti in giro. Dunque una 50 lire del 58 può variare tantissimo il suo valore e passare dai 20 euro per un esemplare usurato ai 2.000 euro per quelle in perfetto stato di conservazione
E ancora: ci sono le 10 lire dell’anno 1954. Coniate in oltre 95 milioni di esemplari, valgono 70 euro ognuna al massimo, sempre stante una perfetta conservazione. Poi ci sono le 5 lire del 1956: queste sono sicuramente più rare. Ne furono messi in circolazione dalla Zecca solamente 400mila esemplari e possono valere un minimo di 50 e un massimo di 1.500 euro. Di recente la Bolaffi ha reso noto un dettagliato elenco di monete antiche e rare: vale la pena dargli una occhiata. Anche nell’ambito dell’euro ci sono delle monete rare che valgono letteralmente una fortuna come un particolare tipo di centesimo con la stampa della mole Antonelliana che può valere fino a 2.500 euro.
martedì 25 febbraio 2014
L’UMANITA’ DISUMANA. - Maria Caporuscio
E’ davvero triste constatare che le parole più belle che arricchivano la nostra umanità come bontà, solidarietà e riconoscenza sono scomparse non solo dal vocabolario, ma dalla nostra coscienza di esseri umani.
La scomparsa di queste qualità, che rappresentavano le fondamenta della nostra civiltà, sta riportando gli uomini indietro di secoli, quando le differenze con le altre specie animali erano minime.
Ieri ho assistito sconcertata ad un episodio per davvero indegno, compiuto dagli esponenti di un condominio contro una donna, colpevole di non essere stata baciata dalla fortuna (come invece era toccato a loro) di non ritrovarsi proprietaria di una casa, quasi regalata.
La scomparsa di queste qualità, che rappresentavano le fondamenta della nostra civiltà, sta riportando gli uomini indietro di secoli, quando le differenze con le altre specie animali erano minime.
Ieri ho assistito sconcertata ad un episodio per davvero indegno, compiuto dagli esponenti di un condominio contro una donna, colpevole di non essere stata baciata dalla fortuna (come invece era toccato a loro) di non ritrovarsi proprietaria di una casa, quasi regalata.
Questa brutta storia ha avuto inizio dalla svendita di quello che era e doveva restare patrimonio pubblico: le case popolari.
Case pagate dai nostri padri con una trattenuta a vita sulla busta paga e che dovevano servire a dare una casa a chi non poteva permettersi di pagare un affitto oneroso.
Oltretutto questi affitti, anche se minimi, andavano ad incrementare il monte premio dell’INPS, per il pagamento delle pensioni. Purtroppo per fare cassa, è stato svenduto agli inquilini questo patrimonio pubblico al prezzo irrisorio di 30.000,00 (trentamila euro per 50 mq). Questo immobile (restaurato a spese delle belle arti che si trova in una zona semi-centrale della capitale) disponeva anche dell’abitazione del portiere (vuoto da circa trent’anni perché nessuno più poteva permettersi di pagare un portierato, tant’è che le nuove costruzioni ne sono prive) veniva anche questa abitazione “regalata” ai fortunati acquirenti.
Quest’appartamentino di 48 mq è abitato da una pensionata vedova a 500 euro al mese (che aveva reso abitabile a sue spese con l’aiuto dei parenti) dove paga un affitto di 260,00 euro al mese. Ora questi “padroni” vorrebbero cacciare questa disgraziata, per riaffittarlo ad un prezzo più elevato o rivenderlo addirittura, naturalmente a prezzo di mercato. La motivazione addotta è quella che nella capitale con 260 euro non si affitta neppure un box, dimenticando, questi “graziati dalla sorte” che essi, con trentamila euro non lo avrebbero mai potuto comprare quel box.
Questa gente è la stessa che pretende dalla politica diritti uguali per tutti. Sono gli stessi che contestano i privilegi della casta, gli stessi che parlano di pari opportunità fra tutti gli uomini, di leggi giuste, di solidarietà, di giustizia sociale. Mi chiedo con quale diritto si pretende onestà e giustizia dagli altri quando essi per primi la negano al loro prossimo?
Vergogna! Tutti si vuole la giustizia ma fuori la porta di casa nostra!
Piuttosto che regalare a questa gente (già ampiamente graziata) anche quella casetta, non sarebbe stato più giusto e logico l’avesse venduta a quella disgraziata che ci viveva dentro? Questa vergognosa ingiustizia ce la saremmo risparmiata!
Passaparola - La Difesa a picco - Domenico Leggiero
“Vediamo il nascere di soggetti industriali: la Difesa Servizi, Difesa spa, un sistema di scatole vuote, si creano strutture per capitalizzare un prodotto interno lordo come qualsiasi altro settore.
Nascono strutture per controllare la valorizzazione del patrimonio abitativo. Quando si parla di ministero della Difesa si immaginano fucili, carri armati, navi e aeroplani.
La Difesa è fatta di uomini, di strutture logistiche, di immobili, di tantissime altre cose che rappresentano una spugna per il sistema economico italiano. Le proprietà immobiliari della Difesa, senza considerare le strutture andate in dismissione, sono circa 37 mila alloggi distribuiti su tutto il territorio che, anziché essere uno strumento di produzione di reddito, sono diventati una dispersione di bilancio di circa il tre per cento. Il 15% dell’intero parco alloggi è in malora, stanno cadendo a pezzi.” Domenico Leggiero
Oggi parleremo di F-35, degli alloggi della Difesa, della valorizzazione del patrimonio abitativo della Difesa, quella che dovrebbe essere una risorsa è invece uno spreco. Voglio salutare gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Domenico Leggiero, ho denunciato il problema dell’uranio impoverito, ho fatto la rappresentanza militare per quattro anni e sono un pilota militare in pensione e uno fra i pochissimi ispettori CFE ancora rimasti in Europa.
Da buon pilota posso fare considerazioni di doppio profilo, il primo dal punto di vista tecnico e operativo: è un velivolo poco funzionale, molto pericoloso per gli obiettivi e esigenze che si prefigge di coprire, un velivolo inefficiente che mette a repentaglio lo stesso equipaggio durante le missioni operative.
Da buon pilota posso fare considerazioni di doppio profilo, il primo dal punto di vista tecnico e operativo: è un velivolo poco funzionale, molto pericoloso per gli obiettivi e esigenze che si prefigge di coprire, un velivolo inefficiente che mette a repentaglio lo stesso equipaggio durante le missioni operative.
La illogicità di questo acquisto è naturale: se non lo acquista neanche chi lo fa … figurati gli altri! Se tutti coloro che lo hanno prenotato non l’hanno acquistato, soltanto noi siamo rimasti in corsa, chiediamoci quanto meno il perché!
Che poi lo sviluppo tecnologico di un velivolo o di un carro armato o di una nave possa rappresentare uno spunto per ricerca ben venga, ma deve avere una logica! Per esempio un programma molto positivo è stato il programma Tornado. Sull'operazione e sull'evoluzione della strumentazione dell’equipaggiamento del Tornado abbiamo dato lezioni al mondo, sia noi che i francesi che gli inglesi. Il Tornado era un velivolo fatto bene, con dei criteri di aerodinamicità e di costi abbastanza buoni, e apriva un percorso di studio e di sviluppo che oltre alla tecnologia ha fruttato anche economicamente a tutti i partner che hanno partecipato.
Si voleva fare la stessa cosa con l’F-35 . Io, nella mia esperienza, ho avuto due velivoli che rappresentano, secondo me, l’antitesi del volo.
Per primi gli AMX. Altro scandalo, li abbiamo venduti, siamo usciti dal programma, erano velivoli efficientissimi e meravigliosi, bastava non metterci un proiettile sopra, appena ci montava un tipo di armamento perdeva in aerodinamicità, in prestazioni e in tutto, e poi abbiamo avuto gli F-35. Stiamo allestendo hangar, preparando strutture, per ospitare l’assemblaggio dell’F-35. Ma, se già adesso è fallito prima di partire come possiamo pretendere che il nostro impianto di preparazione possa andare avanti?
Mi piacerebbe che non si ponga il problema di un velivolo militare, ma di uno civile,mi piacerebbe sviluppare studio e evoluzione sui mezzi che già abbiamo. Il sistema militare può essere visto come un indotto, tutte le prime tecnologie, dai cellulari, tutto quello che noi usiamo normalmente, deriva dalla ricerca militare.
Vediamo il nascere di soggetti industriali: la Difesa Servizi, Difesa S.p.A., un sistema di scatole vuote, si creano strutture per capitalizzare un prodotto interno lordo come qualsiasi altro settore. Nascono strutture per controllare la valorizzazione del patrimonio abitativo. Quando si parla di ministero della Difesa si immaginano fucili, carri armati, navi e aeroplani. La Difesa è fatta di uomini, di strutture logistiche, di immobili, di tantissime altre cose che rappresentano una spugna per il sistema economico italiano. Le proprietà immobiliari della Difesa, senza considerare le strutture andate in dismissione, sono circa 37 mila alloggi distribuiti su tutto il territorio che, anziché essere uno strumento di produzione di reddito, sono diventati una dispersione di bilancio di circa il tre per cento. Il 15% dell’intero parco alloggi è in malora, stanno cadendo a pezzi. La legge del 2005 prevedeva che chi era all’interno, quindi il personale militare, avesse il diritto di prelazione. Un costo che doveva essere calmierato e tenere conto degli affitti pagati durante il tempo di servizio. Questo non è avvenuto, ci sono stati costi pazzeschi al punto tale che una buona parte di questo personale non ha aderito all’acquisto.
La politica non è mai entrata nel sistema Difesa, non ha voluto pestare i piedi a chi lo gestisce. I vertici militari hanno creato delle correnti che fanno capo a questo o quell’altra forza politica. Io mi sono arruolato nell’85, ma fino agli anni ‘60 se chi faceva il concorso al ministero della Difesa aveva dei precedenti per una iscrizione ai movimenti giovanili comunisti o era stato fotografato in piazza in una manifestazione nell’esercito non entrava. Oppure se entrava arrivava a un certo grado e non accedeva agli organi di comando. Chi veniva da una famiglia che aveva una connotazione politica veniva controllato e bloccato a gradi e posizioni in cui non poteva nuocere né poteva essere pericoloso. Non si può entrare in caserma, non si può indagare un ufficiale, un sottoufficiale, perché si discreditano le Forze armate. Il militare è ancora visto come qualche cosa di chiuso, ma il militare non è chi difende il potente di turno, ma chi difende gli italiani.
La Difesa opera in silenzio, senza grandi clamori, e mano a mano che i Capi di Stato Maggiore, finiscono la loro carriera militare, entrano in automatico a Montecitorio, vedi Di Paola, vedi Ramponi, il comandante dei servizi segreti, in Commissione Difesa, figurati se poteva dire che l’uranio uccide, o in Finmeccanica. Non è più la politica di servizio per le istituzioni, ma sono le istituzioni al servizio della politica.
Mi raccomando, passate parola.
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