domenica 22 marzo 2020

Ieri sono andato da mio figlio. - Ettore Zanca

Risultato immagini per l'amore di un padre verso il figlio

Mi sono portato la mia brava documentazione per dimostrare che ero giustificato a uscire. Il mio "ricorso per separazione" che mi autorizzava proprio quel giorno e ho avuto un controllo.
Ne ho approfittato per fare la spesa. In tutto dieci minuti, temevo peggio, in cui tra l'altro con molta gentilezza e senza isterie un po' di noi in fila hanno avvertito delle coppie che insieme non potevano entrare o rischiavano una sanzione.
Quando sono arrivato da lui abbiamo parlato a distanza. Insieme alla mamma in questo triangolo surreale in cui eravamo i lati lontani, abbiamo spiegato quanto tempo secondo noi ci vorrà perché tutto finisca e che forse andrà più a lungo di quanto si era preventivato. Per un attimo si è sconfortato all'idea che potrebbe dover dare gli esami in collegamento video.
Abbiamo sdrammatizzato. Gli ho fatto un po' di battute, gli ho detto "credi che non mi manchi tu, o Linda, o litigare con mamma di presenza?".
Gli ho detto che capivo il suo disappunto, che c'era gente che aveva condizioni più difficili, ad esempio i malati in ospedale che riferiscono ai dottori messaggi da portare ai familiari. Che purtroppo questa malattia non consente contatti con l'esterno nemmeno quando si muore.
Gli ho parlato di Bergamo, dei carri militari con le bare. "Se ti dico tutto questo è perché voglio che tu non abbia una visione del mondo distorta". È un ragazzo come tutti, non è più speciale, non mi frega di farlo apparire un piccolo genio o inventarmi frasi di dialogo da mitomani solo perché così si suscita approvazione. Sono solo un padre che non capisce cosa cazzo sta succedendo nel buio e nel frattempo prova a descrivere tra un lampo di luce e l'altro, questa realtà al proprio figlio.
Ma una cosa che è successa non me la scorderò mai finché campo. E ha incrinato molto del mio realismo ottimistico a oltranza di questi giorni. Non facili anche per cose fastidiose da un punto di vista personale.
Poco prima di andare via, lui si è alzato dal suo posto, ed è venuto a braccia aperte verso di me. Ho capito che si era distratto, non aveva più pensato che dovevamo stare lontani. L'ho fermato. Gli ho detto "che fai? No, non puoi". Solo così. Lui è riemerso da qualcosa. Come se gli avessero spezzato una scena che voleva diversa. Ha detto "ah già". Ed è tornato indietro.
Io sono sceso con un groppo in gola. È la prima volta che mi rendo conto che ho rinunciato a una cosa che volevo davvero per il bene altrui. Non quelle decisioni che le prendi o non le prendi fa lo stesso, al massimo sei una merda. No. Proprio dire "è per il tuo bene".
I miei mi hanno insegnato che "ti voglio bene" significa "voglio il tuo bene". Sarà una cazzata e per ora c'è molto, molto di peggio da passare, ma chissà perché, il valore di questa frase mi è arrivato come uno schiaffo. E cazzo se per un attimo ha fatto male.



I miei mi hanno insegnato che "ti voglio bene" significa "voglio il tuo bene".
Riporto il post di un padre che va a trovare il figlio, è tutto da leggere, ma io l'accento lo pongo su una delle sue ultime frasi, quella scritta qui sopra. In quella frase è racchiuso il senso del vero amore verso gli altri.
Grande Uomo, grande amore.
Cetta.

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