sabato 23 aprile 2011

Bologna, le continue gaffe del candidato sindaco fanno tremare il Pd. - di Ferruccio Sansa


Il peggior nemico di Virginio Merola sono le sue figuracce. Dal "sogno" rossoblu di andare in serie A, alla sconfitta contro il Brescia, fino al bidone per la festa della Liberazione. Tutti assist insperati per il candidato del centrodestra

Virginio Merola? È meglio di Filippo di Edimburgo”. Ormai anche quelli del Pd bolognese ci scherzano su. A denti stretti. Il loro candidato sindaco si è guadagnato una fama di gaffeur da far tremare il marito della Regina d’Inghilterra. Prima il Bologna, adesso la festa della Liberazione. Ma ogni battuta fa scendere i sondaggi. Le ingenuità di Merola sono diventate un’arma politica per gli avversari che gli cuciono addosso l’etichetta di portasfiga.

L’ultima battuta che circola a Bologna: “L’avversario del Pd? Merola”. I cronisti assiepati ai dibattiti stringono la penna pronti a cogliere ogni defaillance. Più delle questioni politiche si discute delle battute del probabile futuro sindaco.

A cominciare dal Bologna Calcio. E pensare che Merola è un politico navigato: da casellante autostradale, sedici anni fa è diventato presidente di quartiere, quindi assessore all’Urbanistica con Cofferati, infine consigliere provinciale. Una carriera sotto l’ala del Partito. Eppure Merola ignora una regola aurea della politica: gli italiani perdonano concussione e prostituzione minorile, ma non le mancanze verso la squadra del cuore.
Così mentre Merola navigava con i sondaggi in poppa (venti punti sull’avversario leghista) se n’è uscito con una frase kamikaze: “Spero che il Bologna vada in serie A”. Peccato che in serie A ci sia già. Scoppia uno scandalo che neanche un’indagine per mazzette. E Merola va nel pallone: “Ho solo detto che speravo che il Bologna tornasse in serie B”. Oddio, addirittura la serie B. Poi arriva Report. L’intervistatore ricorda: oggi si gioca con il Brescia. E Merola trionfante: “Il Brescia non ha speranze”. Detto, fatto: il Bologna incassa un secco 3 a 1.

Aperta la breccia, gli avversari ci si buttano a capofitto. Quelli del centrodestra, ma anche quelli interni, perché il Pd non ha accettato compatto la candidatura. Le cronache ricordano che Merola era arrivato terzo alle primarie precedenti, dietro Flavio Del Bono e Maurizio Cevenini. Poi il destino, e il Pd, ci mettono lo zampino: il sindaco Del Bono viene indagato (patteggerà una condanna a un anno e sette mesi) e si dimette. Il testimone passa a Cevenini. Ma il candidato più caro alla Curva che al Partito, viene colto da un malore e rinuncia. Il partito, scartata l’eventualità di ricorrere a un esorcista, sonda la società civile: si parla di Lorenzo Sassoli De Bianchi, presidente di Valsoia e amico di Luca Cordero di Montezemolo. Poi di Andrea Segré, preside di Agraria di Bologna e padre del Last minute market. Ma qui Merola si comporta come un esperto terzino: vede gli attaccanti distratti, parte dalle retrovie e segna. Coglie il Pd alla sprovvista e si candida: alle primarie prende il 58%. Certo, Merola non è l’ultimo arrivato, può contare per esempio sull’appoggio dei vertici di Unipol.

La strada è spianata: il Pdl ha candidato Manes Bernardini, un leghista. E la Lega, per quanto in crescita, alle Regionali non ha superato l’8%. Ma a frenare la corsa del Pd ci si mette proprio lui, Merola. Così Antonio Amorosi, ex assessore della Giunta Cofferati uscito dopo aver denunciato uno scandalo nell’assegnazione delle case popolari, rispolvera una registrazione radiofonica in cui il candidato parlerebbe con voce un po’ “impastata”. Amorosi sul suo blog scrive: “Sembra alticcio”. Una battuta? La notizia comunque finisce sui quotidiani nazionali. Ed ecco un dibattito con i suoi avversari. Merola tiene testa agli altri candidati fino allo scivolone: “Da dieci anni non è in declino la città, ma il suo ceto politico”. E la claque dei leghisti gli salta al collo: “Ritirati!”.
Fino alla festa della Liberazione, che a Bologna si celebra il 21 aprile. Come ogni anno l’Anpi si ritrova in piazza. Sorpresa: l’unico candidato presente è il leghista. Merola? “È malato”, spiegano i suoi. Peccato che due ore dopo sia stato visto a un incontro con i dipendenti dell’azienda di trasporto pubblico. “Si era sentito meglio”, è la spiegazione ufficiale.

La Lega si frega le mani, pregusta un ballottaggio che sarebbe un successo. E nel Pd qualcuno si lascia scappare: “Virginio sarà sindaco. Ma speriamo che quando ricorderemo la strage della stazione, il 2 agosto, lui non faccia il ponte”.



“Quelli del Pdl hanno cercato di comprarmi”.


Una telefonata della Gelmini e poi l'offerta di un posto sicuro in Mondadori per fare pace con Nicole Minetti. A parlare è Sara Giudice, l'ex pidiellina, adesso passata a Fli, che ha criticato i metodi di selezione del suo ex partito

“Mi hanno offerto un posto in Mondadori per rientrare nei ranghi”. Se proprio in quel momento non fosse arrivata in studio la notizia della solidarietà espressa da B. a Roberto Lassini, (l’uomo dei manifesti “Fuori le Br dalle procure”), forse Sara Giudice, la giovane ex pidiellina che ha raccolto 12 mila firme per chiedere le dimissioni di Nicole Minetti dal Consiglio regionale della Lombardia, lo avrebbe detto in diretta ad ‘Annozero‘. Invece ha avuto solo il tempo di raccontare che qualcuno aveva cercato di “comprarla”. Ecco la storia completa.

Sara, chi ha cercato di comprarla?
Poco più di un mese fa ho ricevuto una telefonata di Maria Stella Gelmini. Ero appena stata daGad Lerner, la famosa puntata della chiamata di Berlusconi in cui parlava di “cosiddette signore” e stavo per essere ospitata ad ‘Annozero‘. La Gelmini mi chiese di non partecipare alla trasmissione di Santoro, perché la mia presenza, in un momento di estrema difficoltà per il presidente del Consiglio, non era opportuna.

A che titolo le ha telefonato?
La Gelmini è stata coordinatore regionale del Pdl e abbiamo lavorato insieme.

E lei cosa ha risposto?
Ho rivendicato il diritto di discutere nel merito la questione che ponevo, cioè il metodo di selezione della classe dirigente all’interno del Popolo della Libertà, cosa che ho tentato, invano, di fare anche con Berlusconi.

E il ministro come ha reagito al suo rifiuto?
Ne ha preso atto. Il giorno dopo ha rilasciato un’intervista a Repubblica accusandomi di aver raccolto le firme perché, a differenza della Minetti, ero stata esclusa dal listino bloccato. Una questione personale insomma.

E poi cos’è successo?
Qualche giorno dopo sono stata avvicinata da alcuni dirigenti del Pdl, che so per certo essere persone di fiducia di Maria Stella Gelmini. Mi hanno proposto un caffè con Nicole Minetti in favore di telecamera, una specie di “carrambata” per chiudere l’incidente. E per essere convincenti, conoscendo la mia condizione di lavoratrice precaria, mi hanno fatto capire che se avessi accettato ci sarebbe stato un posto sicuro in Mondadori per me.

E lei?
Ovviamente ho rifiutato. É stato in quel momento che ho capito che non c’era più niente da fare e ho lasciato il Pdl per Fli.



Milano, Letizia Moratti regala una scuola alla Lega nord. - di Gianni Barbacetto


L'edificio di Quarto Oggiaro è stato assegnato alla Guardia nazionale padana. Insorgono le associazioni di quartiere: "Non sapevamo niente della gara d'appalto". La verità è che il sindaco si deve guadagnare il sostegno del Carroccio nella difficile campagna elettorale in corso

Una scarna nota dell’ufficio stampa del Comune di Milano comunica che l’edificio di via Lessona 65, nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, è stato assegnato alla Guardia Nazionale Padana. È una ex scuola elementare, da anni inutilizzata. Chi scrive – passatemi per una volta un riferimento personale – nelle sue aule ha frequentato la quinta. “Il bando di gara per l’assegnazione dell’immobile si è tenuto lo scorso novembre”, ci informa la nota. “La destinazione si inserisce nell’ambito delle funzioni di protezione civile assegnate al Comune di Milano. L’Amministrazione ha sviluppato nel corso di questi ultimi anni numerose forme di collaborazione con soggetti pubblici e privati in grado di supportare le strutture comunali ed in particolare proprio la Protezione Civile. Lo stabile di via Amoretti, che si estende su circa 1000 metri quadrati, pur trovandosi in discrete condizioni necessita di una seria opera di manutenzione, si trova in una zona a rischio vandalismi e occupazioni abusive. Si è ritenuto che l’utilizzo dell’immobile da parte di un’associazione onlus quale la Guardia Nazionale Padana possa essere funzionale alle strategie di sviluppo sociale perseguite dall’amministrazione”.

Proviamo a interpretare il burocratese. Il Comune, dopo aver lasciato nell’abbandono l’edificio per anni, ora non ha i soldi per ristrutturarlo. Dunque lo affida a qualcuno che provvederà a sue spese, par di capire, salvando la ex scuola da vandalismi e possibili occupazioni abusive. Chi provvederà è la Guardia Nazionale Padana, accostata, non si capisce bene come, a non meglio precisate “funzioni di protezione civile”. Dovrà ristrutturare l’edificio, chissà con quali finanziamenti.

La onlus del Carroccio, dice il comunicato, ha vinto una gara che si è “tenuta lo scorso novembre”. E qui le associazioni del quartiere insorgono: nessuno a Quarto Oggiaro sapeva della gara. Non il Circolo Perini presieduto da Antonio Iosa, che da decenni sviluppa attività culturale nella zona. Non Quarto Oggiaro Vivibile e i tanti altri gruppi attivi in questa porzione di Milano agli estremi confini nord della città. Come è stata pubblicizzata, a novembre, questa gara? Chi vi ha partecipato? Chi ha giudicato le eventuali candidature proposte? In base a quali criteri ha vinto la Guardia Nazionale Padana? Che cosa ci farà in quell’edificio, come lo utilizzerà?

La verità è che Letizia Moratti, non molto amata dalla Lega, si deve guadagnare il sostegno del Carroccio nella difficile campagna elettorale in corso. Anche a costo di regalare una sede alla Guardia Nazionale Padana. A farne le spese, questa volta, un quartiere da cui è passato un pezzo della storia di Milano.

Quarto Oggiaro nasce negli anni Sessanta come “quartiere dormitorio”, sorge per ospitare l’immigrazione dal Sud Italia (di quei “terroni” che sono stati i primi nemici della Lega, poi sostituiti dagli extracomunitari). È un “quartiere operaio” all’inizio senza servizi (viene chiamato “Corea”, o “Barbon City”), ma è anche un esempio di quel riformismo ambrosiano ormai irrimediabilmente perduto che comunque riusciva in pochi anni a creare migliaia di nuovi alloggi e ad accogliere migliaia di “nuovi milanesi”. Poi il quartiere vede il crescere delle lotte sociali, dei movimenti popolari e, insieme, di una piccola frangia di terroristi. Infine, l’aumento del disagio sociale, il dilagare della droga, la silenziosa occupazione delle famiglie legate alla ’ndrangheta. Negli ultimi anni Quarto Oggiaro, anche per merito delle sue associazioni e dei suoi preti, ha intrapreso un orgoglioso cammino, rivendicando una sua buona “normalità”, pur fra tanti problemi. Ha bisogno di presenza dello Stato, di cultura e di luoghi d’aggregazione. Invece Letizia Moratti gli manda le Guardie Padane.




Vietato parlar male della Croce Rossa.



Il provvedimento è stato preso nei confronti di Anna Montanile, ex funzionaria del settore vendite del patrimonio immobiliare dell'ente pubblico, che aveva rilasciato un'intervista al programma di Milena Gabanelli. Motivato dalla "rivelazione del segreto di ufficio". Due mesi di sospensione dallo stipendio, in pratica l'anticamera del licenziamento. E tocca anche al volontario Daniele Tosoni

Il lavoratore denuncia sprechi e malagestione? L’ente se la prende con lui invece di ringraziarlo. Questa volta la persona punita per aver rivelato le storture e il sistema di gestione patrimoniale di un ente pubblico ha il volto e il nome di una donna che lavora alla Croce Rossa Italiana: Anna Montanile. Una dei quasi 3mila dipendenti di Cri (1300 circa di ruolo, 1600 precari, militari esclusi).

La sua colpa? Aver parlato con i giornalisti di Report nella puntata dedicata all’ente di soccorso, dal titolo “La croce in rosso”, trasmessa su Rai3 il 5 dicembre scorso. Un provvedimento disciplinare durissimo: “Due mesi di sospensione” e “interruzione dello stipendio” a partire da questa settimana.

Un provvedimento che equivale all’anticamera del licenziamento. La commissione disciplinare in seno alla Croce Rossa, presieduta dal capodipartimento del personale, Nicola Niglio, avvia il procedimento disciplinare l’11 gennaio scorso, poche settimane dopo la messa in onda della trasmissione. Giovedì 14 aprile arriva l’esito del procedimento, per la commissione la Montanile è colpevole di “violazione del segreto di ufficio”, della “fuoriuscita di documenti interni senza autorizzazione” e “dichiarazioni non corrette”. Colpa ‘grave’ per i vertici di un ente commissariato da anni. La donna ha denunciato ai videogiornalisti che lavorano nel programma della Gabanelli che la Cri ha un patrimonio immobiliare sommerso e di conseguenza non lo valorizzerebbe abbastanza. Quell’enorme patrimonio immobiliare che possiede e che potrebbe in buona parte coprire la voragine di bilancio.

L’inchiesta, firmata da Sabrina Giannini, finiva proprio col ‘botto’, il racconto circostanziato di Anna Montanile, ex funzionaria del settore vendite del patrimonio immobiliare della Cri. La Montanile dichiarava che per mettere nella dichiarazione fiscale gli immobili di proprietà, già dal 2007 aveva dovuto incrociare i dati del catasto con l’inventario della Cri. E un inventario degli immobili aggiornato, incredibile ma vero, non c’era. “Ho avuto quindi la possibilità – raccontava nell’intervista tv la funzionaria romana – di riscontrare che c’era un patrimonio immobiliare sommerso, non dichiarato fiscalmente”. Non solo edifici, ma anche terreni edificabili di valore. Secondo Report sono 68 gli immobili di cui si sono perse le tracce. La Montanile segnala con dovizia di particolari e cifre ai dirigenti della Croce rossa. Poi a settembre del 2009 la funzionaria viene trasferita ad altro incarico, e cioè nell’archivio storico dell’ente. Tra i compiti di ‘alta responsabilità’ quello, come racconta alle telecamere di Rai3, “di reperire tre bandiere storiche per poterle poi portare all’interno dei musei della Croce rossa italiana”. E, come risulta ailfattoquotidiano.it, la funzionaria è ancora lì all’archivio storico.

Ma Anna Montanile non è sola: lo stesso trattamento è stato riservato a Daniele Tosoni, volontario della Croce Rossa di Carlino (in provincia di Udine) che, sempre a Report, aveva parlato del comitato abruzzese della Cri, il cui Presidente è Maria Teresa Letta, sorella di Gianni. Il volontario è stato sospeso per un mese: ha fatto ricorso, ma non ha ricevuto alcuna risposta da Roma, e la sospensione l’ha già scontata. Non vuole rilasciare altre dichiarazioni, per il bene del Comitato locale di cui fa parte e per quello “di tutti i volontari”.

Già, perché nel frattempo, l’11 novembre 2010 la Croce rossa ha approvato un codice etico e di condotta che ha suscitato molte polemiche fra gli appartenenti all’Ente. Il codice, di fatto, vieta ai membri dell’Associazione di rilasciare interviste, e prevede sanzioni in caso di violazione. Il tutto accade con un tempismo straordinario e sospetto: la puntata di Report, infatti, andò in onda il 5 dicembre 2010 ed era già in lavorazione da diversi mesi.

La Cri è un costo per i contribuenti: finanziata da 4 ministeri percepisce circa 170 milioni di euro l’anno (184.437.664 nel 2004, 180.021.377,55 nel 2005, 174.219.737305 nel 2006166.305.527,22 nel 2007), anche se non mostra un bilancio alla Corte dei conti dal 2005. Un fiume di denaro pubblico affluisce nelle sue casse. Poi ci sono le donazioni dei privati. L’inchiesta tv denunciava tutto questo: sprechi, le clientele durante le ultime campagna elettorali, il caos che regnava con le donazioni dei cittadini, specie dopo i terremoti dell’Abruzzo e di Haiti. E poi la confusione nell’amministrazione del cespite più grande in mano alla Cri: le proprietà immobiliari. Donati o comprati negli anni da generosi benefattori. Immobili, in molti casi, lasciati andare in rovina.

Ma qualche certezza c’è in Croce rossa: la sospensione per una impiegata che guadagna circa 1500 euro al mese e che avrebbe potuto e voluto far recuperare milioni di euro all’ente; la sospensione di chi parla con i giornalisti.


di David Perluigi e Alberto Puliafito



venerdì 22 aprile 2011

Vogliono boicottare il referendum: rompiamo il silenzio. - di Giuseppe Giulietti



Ed ora ci riproveranno con i referendum sull'acqua, come per altro ha già annunciato il ministro Romani. Così, dopo aver imbrogliato le carte sul nucleare, cercheranno di fare lo stesso con gli altri quesiti, in modo da svuotare la consultazione e da impedire che il referendum sul legittimo impedimento, quello che turba i sonni del capo, sia affossato per mancanza di quorum.
Siamo in presenza di una colossale truffa che dovrebbe trovare la risposta unitaria anche di chi non ha firmato i referendum, persino di chi non li condivide in parte o in tutto.
Lo strappo democratico che si è già consumato non può essere archiviato, magari per non scontentare gli interessi di chi già si lecca i baffi ed il conto in banca al pensiero dei soldi che potrà ricavare dalle privatizzazioni degli acquedotti.
Quello che sta accadendo è un dichiarato imbroglio per far passare il tempo, per allentare la tensione, per impedire che ai cittadini sia fornita una adeguata informazione sui referendum.
Non bisogna cadere nella trappola, bisogna comportarsi come se le votazioni fossero domattina.
Per queste ragioni l'associazione Articolo 21, insieme a tanti altri comitati e movimenti che hanno dato vita alla grande manifestazione per la costituzione del 12 marzo scorso, ha deciso di promuovere sulle piazze virtuali e sulle piazze reali Il “referendum week”, una settimana di campagna informativa per spiegare ai cittadini che i referendum ci saranno, che quello in atto è solo un imbroglio, che le supreme magistrature non potranno che respingere un simile trucco, anzi proprio a loro chiediamo di tutelare la legalità costituzionale e di impedire che l'interesse privato possa continuare a soffocare l'interesse generale.
A tutto il mondo della comunicazione, dell'informazione, della cultura chiediamo di aderire a questa campagna, di trovare il modo di rompere la consegna del silenzio, di usare loro stessi e i propri spettacoli o le proprie trasmissioni per invitare gli italiani a rifiutare il broglio perchè potrebbe essere la premessa di brogli ancora più gravi ed ancora più insidiosi per la vita pubblica.
Il 25 aprile ed il primo maggio sono due date simboliche per l'Italia civile, usiamole anche per respingere l'assalto di chi, dopo aver regalato la prescrizione al capo, vorrebbe " proscrivere" il diritto degli italiani a pronunciarsi liberamente sui quesiti referendri.

Care Autorità di Garanzia fateci votare ai referendum - FIRMA L'APPELLO

http://www.articolo21.org/3030/notizia/vogliono-boicottare-il-referendum-rompiamo-il.html



Tangenti:in manette ex consigliere FI.


Arrestato Francesco Muncivì, considerato il "consulente" della famiglia mafiosa guidata da Daniele Emmanuello (nella foto)
di Grazia La Paglia

Il boss Daniele Emmanuello Terreni agricoli trasformati in edificabili con una delibera ad hoc. Tangenti imposte agli imprenditori che volevano cimentarsi nella costruzione di una cittadella residenziale da 170 alloggi. Alle spalle la sicurezza di essere coperto dalla famiglia mafiosa degli Emmanuello.

Un affare da milioni di euro quello che ha portato agli arresti Francesco Muncivì, ex consigliere comunale di Forza Italia a Gela. Secondo l'accusa Muncivì sarebbe stato un sorta di consulente” per la famiglia Emmanello, ma anche per quattro cooperative edilizie impegnate nella costruzione della cittadella: “Città Futura”, “Casa Nostra”, “Giada” e “Halley”.

Le 170 residenze sarebbero state costruite nei terreni dello stesso Muncivì che, grazie a una delibera apposita firmata dal commissario straordinario (insediatosi a Gela dopo le dimissioni del sindaco Franco Gallo del Pd), si sono trasformati in edificabili. L'affare avrebbe consentito a Muncivì di estorcere denaro ai soci delle cooperative e alle imprese costruttrici, imponendo una tangente del 2% da versare alla famiglia del boss Daniele Emmanuello, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel 2007. Inoltre, imponeva l'utilizzo dei materiali più costosi fuori catalogo e da acquistare in determinate ditte, come la “Sandro Missuto” per il calcestruzzo e la “Orazio Pirro” per la sabbia, entrambe facenti capo a Cosa Nostra. Muncivì avrebbe anche imposto l'assunzione fittizia di uomini del clan. Compreso nel prezzo c'era anche la realizzazione di lavori straordinari e gratuiti per la famiglia Emmanuello e per altri affiliati del clan.

Chi non ubbidiva e rifiutava le condizioni imposte da Muncivì sarebbe stato costretto a pagare una tangente più alta, pari al 5%. Questa serie di estorsioni avevano portato diversi imprenditori, interrogati nel 2009, a definirsi sull'orlo del fallimento. Muncivì, oltre a dichiararsi “uomo” degli Emmanuello, partecipava alle riunioni con gli imprenditori spalleggiato da un esponente mafioso.

I suoi rapporti con gli Emmanuello non si fermavano solo agli affari edilizi. Oltre a riservare una delle 170 costruzioni alla famiglia del boss, avrebbe partecipato insieme al figlio Paolo (anche lui consigliere comunale delPdl dal 2007 al 2010) alla cresima della figlia di Emmanuello e si sarebbe mobilitato per cercare un'abitazione aRoma al figlio del mafioso, studente universitario presso la Luiss.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=203



Mafia, finisce in cella a Parma la carriera di Massimo 'il prestigiatore' .



Il figlio dell'ex sindaco mafoso di Palermo incastrato dalla perizia della scientifica. Il"pizzino" di don Vito è risultato in parte manomesso.

di Giuseppe Lo Bianco
e Sandra Rizza

A tradirlo e’ stato un gioco di prestigio riuscito male, ma organizzato ancora peggio, al punto che i pm si stanno interrogando sul confine tra ingenuita’ e scaltrezza di Massimo Ciancimino, da oggi pomeriggio richiuso in una cella di sicurezza della questura di Parma, accusato di calunnia nei confronti del responsabile del Dis Gianni De Gennaro. I pm hanno emesso un provvedimento di fermo, domani Antonio Ingroia,Nino Di Matteo e Paolo Guido lo andranno ad interrogare a Parma, sulla sua liberta’ personale decideranno i magistrati emiliani, visto che Ciancimino jr e’ stato bloccato con tutta la famiglia sull’Autostrada del Sole all’altezza dello svincolo di Fidenza, mentre stava andando in Francia a trascorrere le vacanze pasquali. Tra le decine di documenti autografi del padre con il bollo di autenticita’ della scientifica di Roma, 48 ore fa ne e’ saltato fuori uno falso: una lista di funzionari dello Stato collusi con la mafia consegnata dal teste ai pm nel giugno scorso. Tra i nomi, quello del prefetto, ‘’icona’’ dell’antimafia investigativa di questo Paese. ‘’Quel nome l’ho visto scrivere a mio padre’’, disse il giovane Ciancimino, aggiungendo in un successivo verbale: ‘’il coinvolgimento di soggetti come il De Gennarodi cui mio padre aveva, diciamo, chiare idee e notizie certe, comporta per me una grande paura e una grande riserva".

Vito Ciancimino
Ma quel cognome, De Gennaro, certamente scritto da don Vito, ha stabilito la perizia, e’ stato apposto posticciamente, come in un fotomontaggio, prelevandolo da un altro documento che conteneva il cognome De Gennaro, riferito, pero’, in questo caso, al magistrato Giuseppe Di Gennaro che fu consulente del ministero della Giustizia. E qui la vicenda si tinge di giallo. Questo secondo documento, che non conteneva particolari notizie di interesse investigativo (solo un’intervista al Tg 2 del magistrato Di Gennaro) ma che ha reso possibile la comparazione della grafia e quindi la scoperta del passo falso, venne consegnato spontaneamente ai pm dallo stesso Ciancimino jr due mesi fa, nel febbraio scorso. Clamorosa ingenuita’ al confine con la stupidita’, desiderio occulto di sabotare le sue precedenti accuse, magari per paura, depistando le indagini, o polpetta avvelenata apparecchiata e servita da altre ‘manine’ per demolire integralmente la sua credibilita’? E soprattutto, il suo ‘’puntare in alto’’, verso i vertici investigativi che hanno fatto la storia della lotta alla mafia e’ tutta farina del suo sacco, o dietro questo cambio di rotta ci sono suggeritori occulti che agiscono nell’ombra e alle spalle del giovane rampollo palermitano? Domande che oggi si pongono i pm e che probabilmente porranno anche a lui, nel corso dell’interrogatorio di domani a Parma. Dopo l’incriminazione per calunnia dei pm diCaltanissetta e quella per riciclaggio della procura di Reggio Calabria, questo passo falso finale del giovane superteste della trattativa tra Stato e mafia ormai se lo aspettavano in molti.

E non e’ un caso che a sanzionarlo, con una severita' pari al trucco escogitato, siano stati i pm di Palermo, quelli che si erano spinti piu’ in la’ nel riconoscere credibilita’ e affidabilita’ alle dichiarazioni di Ciancimino jr, e che oggi sono intervenuti tempestivamente per metterne a nudo i giochi di prestigio che non compromettono la tenuta delle inchieste in corso. "In fondo – dicono in procura – che ci potesse essere alle sue spalle un suggeritore occulto, ce lo siamo sempre chiesti, ma non bisogna dimenticare che l’accusa nelle inchieste e nei processi in corso si regge su elementi di riscontro alle sue parole e su altri elementi del tutto autonomi’’. Le inchieste e i processi continuano, dunque, e se questa vicenda rafforzera’ il setaccio giudiziario attraverso cui i suoi segreti verranno passati, a cominciare dalla trattativa tra mafia e Stato, oggi il teste Ciancimino e’ a un bivio: ‘’speriamo che la smetta di giocare e si decida a dire finalmente tutta la verita’’’, dicono in procura. Nessuno dimentica che sono state le parole di Ciancimino jr a sollecitare la memoria di illustri esponenti delle istituzioni che fino a quel momento si erano ben guardati dal riferire cio’ che sapevano, ma nessuno puo’ ignorare che nelle procure di mezza Italia, compresa Palermo, la misura e’ ormai colma.

La sovraesposizione mediatica ha trasformato in mito antimafia il figlio minore del gran burattinaio degli affari palermitani a cavallo tra politica e mafia, che ha deciso, per motivi suoi, di rompere, con modi e tempi tutti suoi, l’omerta’ paterna definendosi, poi, nelle conversazioni intercettate con un imprenditore vicino alla ‘ndrangheta’’, un ‘’icona dell’antimafia’’. A dicembre si vantava di fare ‘’quello che minchia voglio la’ dentro (in procura, ndr)’’, giurando sulla propria piena impunita’. Oggi, a sue spese, ha capito che cosi’ non e’, e che alle sirene di uno che si chiama Ciancimino, questa citta’, come si dice, ha gia’ concesso abbastanza.

http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=219