lunedì 23 maggio 2011

Tracce suo sperma su abiti cameriera.


'Risulta da test del Dna effettuati a New York'. Lo dice un sito francese. In e-mail rivela: 'Sono triste'.


PARIGI - I primi test del Dna effettuati dalla polizia di New York avrebbero individuato tracce di sperma di Dominique Strauss-Kahn sugli abiti della cameriera dell'hotel Sofitel che lo ha denunciato per violenza sessuale. Lo rivela il sito francese Atlantico.fr, citando il rapporto fornito dalle autorità americane a quelle parigine, che "dovrebbe essere reso pubblico nelle prossime ore". I test, precisa il sito, sono stato effettuati sui campioni raccolti dopo la presunta aggressione da parte dell'unità vittime.

IN E-MAIL A FMI RIVELA FRUSTRAZIONE E TRISTEZZA - In una e-mail diretta ai suoi ex collaboratori del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn esprime la sua "profonda tristezza e frustrazione nell'aver dovuto lasciare in queste circostanze". La notizia viene diffusa dalla Cnn. "Respingo nel modo più assoluto le accuse che mi trovo a dover affrontare", scrive DSK, che afferma di essere sicuro che sarà prosciolto dalle accuse, ma spiega che non poteva accettare che il "Fondo monetario Internazionale - e voi cari colleghi - doveste in alcun modo condividere il mio incubo personale. Per questo motivo ho dovuto lasciare".


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Pil, Istat: “Italia fanalino di coda dell’Ue” Crescita peggiore di tutti nell’ultimo decennio.


L'istituto ha presentato i suoi dati sulla situazione del paese nel 2010. Un italiano su quattro ha sperimentato il rischio di povertà. In due anni 500 mila giovani hanno perso il lavoro. L’8,7 per cento delle lavoratrici racconta di essere stata allontanata perché incinta e i lavoratori stranieri vengono pagati il 24 per cento in meno degli italiani

Nel 2009, un attivista della 'coalizione italiana contro la povertà' manifesta contro il G8 con una maschera di Silvio Berlusconi

“Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell’Unione europea“. Questo il giudizio dell’Istatsulla situazione economica della penisola, che emerge dai dati contenuti nel rapporto annuale ‘La situazione del paese nel 2010′, presentato oggi alla Camera dei deputati. L’Italia, nella definizione dell’istituto, è il “fanalino di coda nell’Ue per la crescita”, con un tasso medio annuo di appena lo 0,2 per cento contro l’1,3 registrato dall’Ue e l’1,1 dell’Uem. ”La crisi ha portato indietro le lancette della crescita di ben 35 trimestri, quasi dieci anni”, si legge nel documento, e l’attuale “moderata ripresa” ne ha fatti recuperare ancora solo tredici. Anche l’inflazione continua a crescere: nella media dell’anno scorso l’aumento è stato dell’1,5 per cento, sette decimi di punto in più rispetto al 2009. Nell’anno in corso la tendenza sembra restare in rialzo. Per l’Istat, nei primi mesi del 2011, fino ad aprile, il tasso d’inflazione è aumentato al 2,6 per cento. Un terzo della risalita, secondo l’istituto, è dovuto alla sola componente energetica. Unica nota positiva contenuta nel rapporto: “A differenza di molte economie europee”, l’Italia non ha avuto bisogno durante la crisi “di interventi di salvataggio del sistema finanziario”. La situazione economica ha portato un italiano su quattro - il 24,7 per centodella popolazione, più o meno 15 milioni di persone – a “sperimentare il rischio di povertà o di esclusione sociale”. Un valore superiore alla media europea, che è del 23,1 per cento. Così una famiglia italiana su dieci è in arretrato nei pagamenti del mutuo o delle bollette, e quattro su dieci non si possono permettere una settimana di vacanza lontano da casa. Secondo l’Istat, quello concluso con il 2010, per l’Italia è stato un “decennio perduto”.

L’occupazione e istruzione. ”In Italia l’impatto della crisi sull’occupazione è stato pesante”, conferma l’Istat. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità. Tra questi, 501 mila sono giovani tra i 15 e i 29 anni. C’è chi non lavora, chi non studia né frequenta un corso di formazione: i giovani inattivi in Italia – con un calcolo al 2010 – sono più di due milioni, 134 mila in più rispetto a un anno prima. E insieme ai disoccupati, giovani e adulti, crescono anche gli scoraggiati. Nel 2010 sono stati circa 2 milioni gli italiani che hanno rinunciato a cercare un lavoro: 500mila tra loro sono però in attesa di una risposta di passate ricerche. Anche in questo caso l’Italia registra un primato negativo, con un’incidenza più che doppia del fenomeno “rispetto all’insieme dei Paesi dell’Unione”. La caduta dell’occupazione non è però uguale in tutta la penisola. Nel Mezzogiorno la discesa della manodopera industriale è doppia rispetto al centro-nord e anche l’impego della cassa integrazione è più massiccio. Nel sud, inoltre, si registra il minor numero di rientri sul posto di lavoro: il 33,6 per cento in confronto al 64,2 del nord. Per quanto riguarda ancora i giovani, resta preoccupante il numero di abbandoni scolastici prematuri nel Paese. Nel 2010 il 18,8 per cento dei ragazzi iscritti ha lasciato gli studi senza conseguire un diploma di scuola superiore. Una soglia molto più alta del limite del 10 per centofissato come obiettivo nella Strategia Europa 2020, e comunque più di quattro punti in rialzo rispetto alla media europea.

Le questione femminile. Secondo i dati Istat, il ruolo svolto dalle donne italiane all’interno della famiglia condiziona ancora la possibilità di lavorare. E, soprattutto, di ricoprire incarichi qualificati. Nel 2009 più di un quinto delle donne con meno di 65 anni - che lavorano o hanno lavorato – ha interrotto l’attività per il matrimonio, una gravidanza o altri motivi familiari. Per il 30 per cento si tratta di madri e l’interruzione del lavoro è dovuta nella metà dei casi alla nascita di un nuovo figlio. Nella metà dei casi, secondo l’istituto, non si tratta di scelte volontarie. Circa 800 mila donne - l’8,7 per cento di quelle che lavorano o hanno lavorato – hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere, nel corso della loro vita lavorativa, a causa di una gravidanza. L’abbandono femminile del posto di lavoro diminuisce man mano che dalle generazioni più anziane si guarda alle più giovani: un trend dovuto alla diminuzione delle interruzioni per matrimonio. Sottolinea ancora l’Istat, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro italiano, confrontata con il resto dell’Europa, continua a essere “molto più bassa”. Nel 2010 il tasso di occupazione femminile è stato del 46,1 per cento, 12 punti percentuali in meno di quello medio europeo. A incidere negativamente sulla performance italiana è soprattutto il dato relativo al Mezzogiorno: sono circa tre su dieci le donne occupate al sud, contro le quasi sei del nord. Un altro indicatore del “peggioramento della qualità del lavoro femminile – si legge nel rapporto – riguarda poi la crescita delle donne sovraistruite“. Tra le lavoratrici laureate il 40 per cento – contro il 31 per cento degli uomini – svolge un lavoro sottoqualificato.

Il lavoro straniero in Italia. Le buste paga più leggere della penisola toccano ai lavoratori stranieri. A parità di professione, la retribuzione mensile netta dei migranti è stata del 24 per cento in meno rispetto a quella degli italiani: rispettivamente 973 euro contro 1.286. La differenza aumenta ancora di più se si considera la retribuzione delle donne straniere, inferiore del 30 per cento. “Le disuguaglianze – spiega l’istituto – tendono a differenziarsi a livello territoriale passando da circa il 22 per cento nel nord a poco meno del 34 del Mezzogiorno”. In generale, il tasso di occupazione degli stranieri è sceso dal 64,5 per cento del 2009 al 63,1 del 2010, “un calo più che doppio in confronto a quello degli italiani”, riferiscono gli esperti Istat. Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione è passato dall’11,2 all’11,6 per cento: la crescita dell’occupazione straniera ha riguardato però, in più della metà dei casi, le professioni non qualificate. Dal manovale edile all’addetto nelle imprese di pulizie, dal collaboratore domestico al bracciante agricolo, dall’assistente familiare al portantino. Ma, sottolinea l’Istat, “sono 880 mila gli stranieri che hanno un livello d’istruzione e un profilo culturale più elevato rispetto a quello richiesto dal lavoro svolto”. Si tratta del 42,3 per cento degli occupati: una quota più che doppia di quella degli italiani con le stesse caratteristiche.



E' un paese alla corde



Il commento alla giornata politica di Massimo Giannini (la Repubblica)









1) Il Pdl senza amore - 2) L’uomo nero della politica.




Il PdL senza amore.

Il litigio sui ministeri. Le bordate de Il Giornale contro Formigoni. E viceversa. L’insistenza sulla zingaropoli “islamica” di Berlusconi. Il silenzio imbarazzato della Moratti, che sembra imbambolata nell’ultima settimana di campagna elettorale. Le pernacchie di Bossi agli alleati.

Se la malignità fosse una categoria politica, e la dietrologia un metodo scientifico, non sarebbe fuori dal mondo pensare che nel centrodestra c’è chi sta facendo di tutto per perdere – se non è già persa – la città di Milano.

E invece, probabilmente, nessuno lavora veramente “contro”. Nessuno, a tavolino, ha deciso o sta decidendo di affossare la Moratti.

Più semplicemente, il caso Milano è la prova plastica che dietro la figura carismatica di Berlusconi non c’è la politica, ma un aggregato confuso di poteri in rotta di collisione reciproca. Poteri e persone che a forza di preparare la guerra, quella guerra finiranno per farla.

Quando i commentatori terzisti riconoscono al Cavaliere il merito di aver tenuto assieme istanze opposte e diverse, dimenticano di dire che lo ha fatto piegando le differenze a sé, e non guidando un processo di sintesi culturale e politica.

Direbbe Vendola, e stavolta a ragione, che la politica è come l’amore. Può nascondersi, anche per vent’anni. Ma alla fine una strada la trova.

L'uomo nero della politica.

Se vince quello arrivano i froci e i transessuali. Se vince quell’altro la città sarà preda di zingari e terroristi. Con il terzo musulmani e altri negri invaderanno le nostre chiese.

Sarà la paura che fa novanta, ma il livello della propaganda elettorale del Pdl si è inabissato in una preoccupante spirale regressiva.

Elettori trattati come bambini piccoli, in qualche asilo dei presunti orrori, terrorizzati dall’uomo nero.

Ogni giorno, nelle aule mediatiche allestite per l’occasione, i maestrini moderati spengono la luce e additano ai votanti in grembiule gli enormi pericoli che li attendono se non intendono marciare ordinatamente e in fila per due.

Chissà se i giovanardi, i gasparri e i berlusconi educherebbero mai così i propri figli.

Forse sì, e questo è ancora più preoccupante.

http://bracconi.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER1-1





Occupare i telegiornali è stato solo un autogol. - di Giuliano Ferrara


La scelta di apparire quasi a reti unificate e di usare un linguaggio incattivito come mai rischia di essere un favore ai suoi detrattori.


Ho passato un bel pezzo della mia vita a difen­dere come potevo e sa­pevo Berlusconi, a cui ho sempre riconosciuto, in amicizia militante e mai servi­le, grandissimi meriti storici nel tentativo di tirare fuori l’Ita­lia dalla crisi della Repubblica e dalla rovina della giustizia, e una simpatia di tratto liberale e scanzonato senza eguali; e quando non ero d’accordo, è successo spesso, riprendevo forza ed energia dal modo di­sgustoso scelto dai suoi avver­sari per combatterlo.

La mostri­ficazione, la teoria del nemico assoluto,l’orrore del guardoni­smo giornalistico, della faziosi­tà dispiegata, le accuse forsen­nate di stragismo, di mafia, ac­compagnate dalla totale resa al più sinistro spirito forcaiolo: questo mi è sempre bastato per dirmi senza problemi ber­lusconiano e per prendere il mio posto, costante negli anni, nella battaglia contro la deriva ideologica e di stile della sini­stra più scalcinata e ipocrita del mondo, prigioniera di una cultura demagogica che la di­vorava.

Vorrei continuare la corsa, ma se la strada è quella dell’invadenza arrogante a reti unificate, del monologo che umilia gli interlocutori e gli elet­tori, del semplicismo e del ba­by talk arrangiato, sciatto, po­veramente regressivo, mi man­ca il fiato.

Va bene che Enzo Biagi face­va i suoi show el­ettorali con Be­nigni per bastonare il Cav sotto elezioni quando era capo del­l’opposizione, ma quale esper­t­o impazzito di marketing poli­tico ha suggerito al premier di presentarsi in tutti i tg come un propagandista, di diminuire la sua autorità e credibilità di pre­sidente del Consiglio e di lea­der del partito di maggioranza relativa di una grande nazione occidentale con discorsi da bet­tola strapaesana?

Chi gli ha consigliato di perdere all’istan­te i voti dei cattolici diocesani abbracciando a Milano, dove le intemerate leghiste più sprovvedute non hanno mai at­­tratto consensi, la crociata del­la lotta a zingaropoli o il truc­chetto del trasferimento in terra meneghina di al­cuni ministeri romani, subi­to contraddetto dal sindaco della Capitale?
Che cosa può portare il capo di una classe dirigente che dovrebbe pun­tare su libertà e responsabili­tà ad avallare, dopo la magra figura dell’attacco ad perso­nam a Pisapia, e senza le do­vute scuse, l’idea che la vitto­ria dell’avversario nella lotta per il Municipio porterebbe terrorismo e bandiere rosse a Palazzo Marino?

Perché farsi del male con parole d’ordine primitive, giocando irrespon­sabilmente la carta dei cosid­detti «valori conservatori» in una offensiva lanciata da gen­te di governo contro «gay e drogati», una caricatura del motto Dio-patria-e-fami­glia, quando quella carta è sempre stata pudicamente scartata quando si doveva giocarla con sensibilità e in­telligenza nelle occasioni giu­ste e per motivi giusti?

Spero che la Moratti vinca e che Pisapia perda il ballot­taggio, per ovvie e argomen­ta­te ragioni politiche e ammi­nistrative che si stanno per­dendo nei fumi sulfurei di un incendio ideologico senza senso.

Ma intanto non voglio che Berlusconi perda la fac­cia nella contesa, che il suo comprensibile radicalismo politico, il suo accento popo­lare e diretto nel linguaggio, diventino un incattivito vani­loquio della disperazione.

Non lo merita lui e non lo me­ritano coloro che si sono bat­tuti e si battono per ciò che lui ha rappresentato.

Ero in­curiosito dal suo silenzio pro­lungato, dopo il primo turno elettorale, mi auguravo fosse indizio di un ripensamento dopo l’ozio della ragione di questi ultimi tempi, e i vizi e le sconfitte che quell’ozio ha generato.

Chiunque conosca Berlusconi e la storia del ber­lusconismo sa quel che man­ca a questo punto della para­bola: mancano la sicurezza di sé, un minimo di ottimi­smo, la capacità originaria di sfidare le convenzioni, di fa­re cose nuove e liberali, di smascherare le ipocrisie al­trui, di parlare pianamente e urbanamente anche il lin­guaggio più irriducibile e aspro, manca il gentile «mi consenta», manca il Berlu­sconi ilare e sapido che rom­pe il monopolio dell’informa­zione, che disintegra ogni for­ma di conformismo, che spiazza e interloquisce con la società italiana alla sua ma­niera originaria.

Vedo in questa deriva la vit­toria dell’avversario di tutti questi anni, e di quello più in­carognito e miserabile. Farsi simili alla caricatura che il ne­mico fa di te è il peggiore erro­re possibile per un leader po­litico. È l’errore che può ca­gionare «l’ultima ruina sua», che lo isola con le tifoserie, che ne avvilisce l’indipen­denza intellettuale e di tono, la credibilità personale.





In un Paese in cui...


In un Paese governato dalla gerontocrazia plutocratica, non c'è posto per la democrazia, non c'è posto per la libertà, non c'è posto per il welfare, non c'è posto per i giovani.

La gerontologia plutocratica ha altri interessi, quello di soddisfare le necessità dei potenti e delle lobby con le quali hanno stipulato un patto: appoggiarsi e sostenersi a vicenda per acquisire sempre più potere economico e il controllo del territorio.

Questo succede in Italia, dove alla guida del Governo si succedono sempre le stesse persone da tempo immemorabile. Non c'è un ricambio generazionale, e se ce n'è un accenno, è quello pilotato dagli stessi politici che insediano nuovi elementi asserviti alla loro volontà.

E' questo il motivo per cui qui da noi aumenta la corruzione che altri non è che la morte dell'economia di una nazione, di un futuro possibile.

Diciamo basta ai padroncini della politica che si votano una legge che gli da il diritto di maturare un vitalizio per aver presenziato un solo giorno in Parlamento e negano una pensione ai nostri giovani; diciamo basta a questi vecchi plutocrati ottantenni che si sono auto nominati padroni di una nazione come ne fossero i legittimi proprietari.

Incitiamo i nostri figli a ribellarsi, ad uscire le unghie e pretendere ciò che gli è DOVUTO!



19 ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI 23 maggio 1992 - 23 maggio 2011



Alle 17,58 del 23 maggio 1992, 500 chili di tritolo venivano fatti deflagrare da Giovanni Brusca sull'autostrada A29, all'altezza dello svicolo di Capaci. Nell'attentato perdevano la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. 19 anni dopo Palermo li ricorda cosi'.

In occasione del diciannovesimo anniversario della strage, oggi Palermo ospiterà una serie di eventi, organizzati dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, con la collaborazione del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, volti a stimolare la memoria dei terribili episodi del 1992 – in quell’anno Cosa Nostra uccise anche Paolo Borsellino – ed a trasmettere alle nuove generazioni i valori dell’ antimafia. La giornata del ricordo si aprirà con l’arrivo al porto di Palermo delle due “Navi della Legalità”, salpate rispettivamente da Civitavecchia e da Napoli, con a bordo le scolaresche di ogni ordine e grado vincitrici del concorso, indetto dal ministero del’Istruzione, “Il Mondo che Vorrei”. Oltre mille giovani, che si sono distinti con la presentazione di differenti progetti educativi, accompagnati dai rispettivi docenti, saranno accolti dagli studenti siciliani, che faranno loro da ciceroni per il proseguimento della giornata e delle commemorazioni.

All' aula Bunker di Palermo le commemorazioni si apriranno alle ore 10:00, con la proiezione di un video del centro sperimentale di cinematografia e musica dal vivo dell'orchestra sinfonica e del coro di voci bianche del conservatorio Vincenzo Bellini, la manifestazione ommemorativa Giovanni e Paolo, due italiani, organizzata dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone in occasione del XIX anniversario della strage di Capaci, nella quale persero la vita il magistrato palermitano, sua moglie e gli uomini della scorta. Dopo il saluto di Maria Falcone, presidente della Fondazione, gli interventi del presidente della corte d'appello di Palermo Vincenzo Oliveri, del procuratore generale Luigi Croce e del presidente del tribunale Leonardo Guarnotta.

Alla commemorazione partecipano, fra gli altri, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ai colleghi dell'Interno Roberto Maroni, dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo e dell'Istruzione Mariastella Gelmini. I quattro esponenti di governo sono i protagonisti dei dibattiti tematici moderati dal direttore di Rai Giovanni Minoli. Per la Sessione Giustizia, intervengono il guardasigilli e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.

Alle ore 12:30, conclusione dei lavori con la premiazione del concorso nazionale Il mondo che vorrei.

A seguire i giovani, provenienti da tutta Italia, visiteranno i “villaggi della legalità”, allestiti dalle scolaresche palermitane in diverse zone della città. Infine, nel pomeriggio, due cortei sfileranno lungo le strade del capoluogo siciliano, per ricongiungersi, in via Notarbartolo, sotto l’abitazione del giudice Falcone, davanti al famoso albero, simbolo della lotta alla criminalità organizzata, stracolmo di biglietti, disegni e pensieri lasciati, negli anni, a testimonianza dell’indelebile ricordo di tutte le vittime della barbarie mafiosa. Alle 17.58 in punto, l’ora esatta della strage di diciannove anni fa, la Polizia di Stato suonerà il Silenzio commemorativo.

Alle 19 e 30 a Villa Trabia va in scena il concerto "L'antimafia se la canta".