mercoledì 18 gennaio 2012

Tir e “forconi’ paralizzano la Sicilia. Carburante quasi esaurito sull’Isola. - di Giuiseppe Pipitone



Bloccano strade, ferrovie, porti. La protesta continuerà fino alla mezzanotte di venerdì prossimo, portata avanti da un movimento che raccoglie camionisti, agricoltori e pescatori. Categorie unite nella protesta dall’esponenziale aumento del prezzo dei carburanti. E al caro-gasolio per i padroni dei tir si aggiunge la crescita delle tariffe autostradali.


A Palermo sono duecento e con quaranta mezzi pesanti stanno bloccando l’accesso alla strada statale per Sciacca. A Catania i presidi degli autotrasportatori si moltiplicano di ora in ora, e hanno interrotto quasi completamente la circolazione in tangenziale. A Messina hanno iniziato a scioperare i dipendenti marittimi, che hanno occupato il porto. A Gela sono migliaia, tra agricoltori riuniti in sit – in di protesta e blocchi di tir a guardia del petrolchimico dell’Eni.

Il secondo giorno di protesta del neonato Movimento dei Forconi sta letteralmente paralizzando la Sicilia. Gli improvvisati capi popolo del movimento – che annovera tra le sue fila soprattutto agricoltori e autotrasportatori – le avevano annunciate come “le cinque giornate di Sicilia”: una sorta di Vespri formato terzo millennio (leggi). Una manifestazione di massa contro l’aumento vorticoso del costo dei carburanti, le sempre più precarie condizioni lavorative nel campo dell’agricoltura, il cartello imposto dalle compagnie assicurative e una rete infrastrutturale inadeguata. In pochi ci avevano creduto veramente. Compresi i telegiornali che ieri hanno dato pochissimo spazio all’avvio del maxi sciopero che dovrebbe durare fino alla mezzanotte di venerdì. Stamattina però l’Isola si è svegliata in uno stato permanente d’assedio: bloccate le autostrade, le strade statali, le ferrovie e a breve saranno “congelati” anche i porti.

Oltre allo scalo di Messina anche a Termini Imerese il porto industriale e stato preso d’assalto dagli operai marittimi. A Santa Flavia, 20 chilometri a est di Palermo, la ferrovia è stata occupata da duecento pescatori arrabbiati per l’aumento del carburante per le imbarcazioni. Erano certi che il treno proveniente da Messina si sarebbe fermato. Invece il macchinista ha appena rallentato, i manifestanti si sono scansati per un soffio e la tragedia è stata appena sfiorata. Da stamattina la linea ferrata Palermo – Messina è stata comunque sospesa.

La zona più calda per ora è la parte orientale dell’Isola. A Gela lo stabilimento petrolchimico dell’Eni è off limits: passano soltanto i mezzi che trasportano medicinali e dopo parecchie ore di coda le automobili. Bloccati tutti gli altri automezzi. A Lentini, in provincia di Siracusa, lo sbarramento non è andato a genio ad un venditore ambulante che, estratto un coltello, ha ferito al volto un camionista che gli bloccava il passaggio.

Lungo le strade la temperatura sale di ora in ora. “A morte questa classe politica, come si è fatto con i francesi, con il Vespro. A raccolta tutti i siciliani per liberare la Sicilia dalla schiavitù di questa classe politica” gridano in coro i manifestanti di “Forza d’urto”, il gruppo più numeroso e acceso che costituisce il movimento dei Forconi. Che tra le sue file annovera anche l’Aias, il sindacato degli autotrasportatori che già nel 2001 aveva bloccato l’isola, associazioni ambientaliste e anche organizzazioni di studenti.

Già ieri però erano arrivate le prime critiche al movimento che si è più volte dichiarato lontano da qualsiasi partito. Sotto accusa è finito il leader dei Forconi Mariano Ferro, ex agricoltore con un passato nell’Mpa del Governatore siciliano Raffaele Lombardo. Proprio oggi però, proprio dalle parti di Catania, i Forconi hanno chiesto a gran voce le dimissioni del presidente della regione: “Lombardo ha tradito i siciliani – dicono alcuni manifestanti – li ha imbrogliati promettendo loro la defiscalizzazione della benzina”.

Più controverso invece il ruolo di Gaetano Bonanno, leader della sezione catanese di Forza Nuova, che è intervenuto alla manifestazione etnea dei Forconi il 15 gennaio. “Il Movimento dei Forconi, non è strumentalizzato da nessuna forza politica. Abbiamo più volte detto che il Movimento è apolitico e apartitico – scrivono i manifestanti sulla loro pagina Facebook – Certamente non possiamo impedire a nessuno di partecipare chiedendogli la tessera elettorale”. Una certa vicinanza di Forza Nuova al movimento siciliano però è certificata anche dall’appello di “pieno sostegno al Movimento dei Forconi” che i militanti del partito di Roberto Fiore hanno  diffuso su internet.

Nel frattempo i cittadini delle varie città siciliane potenzialmente “isolate” hanno iniziato a reagire alla protesta. Dopo aver sottovalutato il potenziale della manifestazione dei Forconi adesso si è aperta la corsa ai rifornitori di benzina: ci sono ancora tre giorni di manifestazione e il rischio di rimanere a secco ha allarmato i siciliani. O almeno quelli che non manifestano.

Costa Concordia, disperso il batterista Lasciò il posto sulla scialuppa a un bambino.



La famiglia appende le foto in vari luoghi all'isola del Giglio: «Se sapete qualcosa, se l'avete visto, chiamateci».

Giuseppe Girolamo (Facebook)
Giuseppe Girolamo (Facebook)

MILANO- Apprensione e angoscia. E quel filo di speranza che non si spezza. Nemmeno con il passare delle ore che inesorabilmente sono diventati giorni. Continuano le ricerche dei dispersi della Costa Concordia. Tra le decine di persone che non si trovano più, c'è anche Giuseppe Girolamo. La famiglia è arrivata al Giglio e ha appeso in vari luoghi dell'isola una sua foto e la richiesta: «Se sapete qualcosa, chiamateci». L'ultima volta che è stato visto era venerdì notte. Sul ponte con i migliaia di passeggeri. Testimoni raccontano che «aveva un posto sulla scialuppa di salvataggio, ma l'ha lasciato a un bambino».
Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersiCosta Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi    Costa Concordia, Giuseppe Girolamo tra i dispersi
IL BATTERISTA - Da quel momento si sono perse le sue tracce. Nessuno sa più nulla di questo trentenne, di Alberobello, dai capelli lunghi e gli occhi scuri. Un giovane che ama il poker e la musica. Si era imbarcato sulla Concordia come batterista della band Dee Dee Smith a ottobre. Il collega Roberto Napoleone lo descrive come «educato e rispettoso di tutto e tutti come ce ne sono pochi, timido e fragile e se sta li dentro al buio e al freddo sarà spaventato come un bambino indifeso».
LA FAMIGLIA - Per il musicista si sono mobilitati tutti i suoi amici. Su una pagina Facebook continuano ad arrivare messaggi. «Sappiamo che ci sei, fatti sentire», oppure: «Siamo qui che ti aspettiamo». Al Giglio sono arrivati i familiari. La voce rotta al telefono: «La prego non vorrei che proprio ora chiamasse qualcuno per darci notizie». Ma per il momento nulla. Il suo nome è ancora nella lista dei dispersi. Un elenco di nomi a cui ne è stato tolto uno, quello di un tedesco che era tornato a casa senza darne notizia alle autorità locali. E così la speranza rimane ancora nel cuore di molti. Anche perché «si è comportato da eroe».

martedì 17 gennaio 2012

Il ragazzo che è diventato un ponte umano sulla Costa Concordia.

Un  diciannovenne  ha aiutato molti passeggeri a fuggire facendoli passare sul suo corpo
Un ballerino inglese ha aiutato alcuni passeggeri a sbarcare dalla Costa Concordia trasformandosi in un “rampicante umano”. Ne parla il Daily Mail.
PONTE UMANO - James Thomas, 19enne impiegato sulla nave, si è disteso sfruttando la sua altezza per collegare due ponti. A quel punto dozzine di passeggeri si sono arrampicati su di lui per raggiungere le scialuppe di salvataggio. “Non potevamo raggiungere le scialuppe e queste erano bloccate su un lato della nave. A quel punto ho tenuto con un braccio una scialuppa e con l’altro il ponte superiore. A quel punto ho fatto arrampicare la gente sulle mie spalle e lungo il mio corpo. Le ultime persone che ho aiutato erano un francese e sua moglie, disabile”.
ALLARME DATO IN RITARDO – James Thomas ha anche criticato le procedure di evacuazione della nave da crociera “l’ordine di abbandonare la nave doveva essere dato almeno un’ora prima, se non di più. Abbiamo iniziato ad inclinarci a babordo, e la situazione peggiorava con il passare dei minuti. Si è capito subito che la nave si stava inclinando in maniera innaturale. A quel punto dal sistema di altoparlanti è arrivato il messaggio ai passeggeri di stare calmi e che il tutto era dovuto solo a un piccolo problema tecnico”.
IMBARCAVAMO ACQUA – “Purtroppo – ha aggiunto il giovane – sono stati trasmessi una serie di codici sonori che son stati recepiti dall’equipaggio come l’avviso di una perdita. A quel punto qualcuno ha detto ai passeggeri di indossare i giubbotti di salvataggio anche se stava continuando l’avviso secondo il quale l’emergenza era dovuta a un piccolo problema tecnico. Quando poi abbiamo cominciato ad inclinarci, a quel punto ho avuto la conferma che qualcosa non andava”.
CONFUSIONE – L’allarme -continua il giovane- è stato dato in ritardo, al punto che ormai a causa dell’inclinazione non era più possibile sfruttare le scialuppe a babordo, per cui siamo dovuti andare sul lato di dritta. Alcuni andavano da una parte, altri seguivano diversi percorsi. La gente cadeva in acqua, e il tutto perché nessuno ha dato l’allarme quando andava dato, ovvero almeno un’ora prima rispetto a quanto successo”.
Panico a bordo durante l’evacuazione

Concordia, comandante nega l’avaria e fugge. E a lanciare il mayday è una passeggera.



La Procura di Grosseto accusa Francesco Schettino, capitano della Concordia, di avere abbandonato la nave molto prima che i passeggeri fossero tratti in salvo. Ilfattoquotidiano.it è in grado di ricostruire i movimenti e i contatti del comandante in fuga: "Lo chiamò la Capitaneria intimandogli di tornare a bordo, ma non ne volle sapere".


Il comandante Francesco Schettino
Si porterà per sempre appresso due nomi la tragedia dell’isola del Giglio: uno è Concordia, il nome della nave, l’altro è Schettino, nome di battesimo Francesco, campano, l’uomo fermato dai magistrati e ritenuto il responsabile numero uno di quanto accaduto venerdì notte: è stato lui, secondo la Procura, a dirottare la nave verso la costa, lui che si è avvicinato troppo, lui che ha abbandonato i passeggeri e l’equipaggio al loro destino.

Il fattoquotidiano.it è in grado di ricostruire tutto quanto avvenuto quella maledetta sera che, fino a oggi, ha restituito cinque cadaveri e un milione di incertezze.

Il mayday mai dato. “Costa Concordia, tutto ok?”. “Sì, Compamare Livorno, solo un guasto tecnico”. “Costa Concordia, siete sicuri che è un guasto tecnico. Sappiamo che a bordo ci sono i passeggeri con i giubbotti salvagente”. “Compamare, confermiamo: è un guasto tecnico”. E’ andata più o meno così, secondo le testimonianze raccolte dal Fatto.it e secondo le prime ricostruzioni della Guardia costiera, la conversazione tra la plancia di comando della Costa Concordia e la sala operativa della Capitaneria. Anzi, bisogna dire piuttosto tra la Capitaneria e la Concordia, visto che sono stati i militari della guardia costiera a chiamare la nave. Chissà quanto avrebbero atteso ancora a chiedere aiuto, se non fosse stato per una signora pratese a bordo.

L’allarme? Lanciato dalla passaggera. Atterrita, ha chiamato la figlia a casa, dicendo di trovarsi all’interno della nave, che si stava già inclinando, in un locale in cui era buio pesto e con addosso il giubbotto salvagente. La figlia ha chiamato la Capitaneria di Savona perché la madre aveva detto che era nel tratto tra Civitavecchia e il porto ligure, ma la sala operativa non sapeva niente. Così la telefonata successiva è stata ai carabinieri di Prato che hanno contattato i colleghi di Livorno. E hanno coinvolto la Capitaneria di Livorno che si è messa “a caccia” della nave Costa grazie al cosiddetto ‘Ais’ (Automatic Identification System), il sistema tecnologico di identificazione navale.

“Solo un guasto”. Dalla sala operativa livornese hanno dunque chiamato a bordo del Concordia. “Problemi?”, hanno chiesto. Dall’altra parte hanno risposto che era solo un guasto tecnico (e siamo già alle 22 passate, almeno un quarto d’ora dopo la collisione contro gli scogli secondo gli orari della Procura). Ma il militare della Capitaneria è vispo, sente che qualcosa non torna: un guasto tecnico e i passeggeri hanno il salvagente? Meglio chiarire: scusate, Concordia, ma allora perché i passeggeri hanno il giubbetto? Dall’altra parte, di nuovo la stessa risposta: confermiamo, guasto tecnico. Una risposta che hanno sentito anche i finanzieri della prima motovedetta arrivata in assoluto sul posto, appartenente al Reparto aeronavale delle fiamme gialle di Livorno. “All’inizio dalla nave hanno detto che si trattava di un guasto tecnico, senza specificare la natura – racconta il tenente colonnello Italo Spalvieri, comandante del reparto – Successivamente hanno chiesto all’equipaggio della motovedetta di poter agganciare un cavo in modo da essere trainati, ma era come chiedere a una formica di spostare un elefante”. Dopo circa 20 minuti, spiega Spalvieri, hanno dato l’ ‘abbandono nave’, il segnale per l’evacuazione.

La fuga. Schettino è tra i primi ad arrivare al Giglio, sulle banchine del porto. Lui e moltissimi membri dell’equipaggio. A bordo resta praticamente solo il primo commissario di bordo quello che, al contrario degli altri, farà il suo lavoro, verrà trasformato in eroe. Lui resta e aiuta i passeggeri a trasferirsi sulle scialuppe, ma gran parte del resto dell’equipaggio è già sulla terra ferma, in salvo. Il bar, l’unico del porto, il Caffè Ferraro, riapre la saracinesca per aiutare i naufraghi.

Schettino sale su un taxi. Tra le persone gigliesi, così si chiamano gli abitanti dell’isola, arriva sul molo anche un tassista. E’ a lui che il comandante, in abito bianco pronto per la cena di gala, si rivolge. “Mi porti lontano da qui”. “Comandante”, risponde il tassista, “io la posso portare a casa mia, questa d’inverno è un’isola deserta”. Così il tassista porta a casa il capitano e gli prepara un caffè.

Le telefonate dalla Capitaneria di porto di Livorno. Schettino, che è frastornato, ma non sotto choc, riceve tre telefonate in serie. E’ sempre la Capitaneria di porto di Livorno che lo chiama. L”ufficiale in servizio alla sala operativa non riesce a capire. “Come capitano, lei non è sulla nave?”. “No, non sono sulla nave e non ci torno”. Un’altra telefonata. “Capitano”, dice il funzionario di turno, “ordini superiori mi riferiscono di dire che lei deve tornare sulla sua nave”. “Non ci torno”. La terza telefonata, racconta il tassista, è concitata. Urlano da Livorno, urla Schettino. Sempre con le stesse ragioni. Il comandante a quel punto si fa accompagnare sulla banchina, ma sale sulla prima barca che lo porta a Porto Santo Stefano. Sulla nave non ci tornerà.

L’inchiesta e la disperata difesa. Il giorno successivo al naufragio, Schettino viene trattenuto nella caserma dei carabinieri di Orbetello. Quando il Procuratore riesce a ricostruire quello che è accaduto, senza neppure interrogarlo, ordina lo stato di fermo. Schettino viene trasferito nel carcere di Grosseto. Schettino (dopo la fuga appare improprio chiamarlo ancora comandante) continua a ripetere che la sua manovra è stata regolare, che gli scogli non erano segnalati da nessuna carta, che lui doveva passare da lì, a 100 metri dall’Isola del Giglio, distanza di sicurezza a malapena consentita per un pedalò.

Naufragio colposo, omicidio plurimo colposo, abbandono della nave. Ma secondo le fonti inquirenti, non è neppure la bontà delle sue intenzioni dal timone, anche se l’ordine di avvicinarsi all’isola lo ha dato lui in persona, per il consueto saluto di sirene: il punto è che Schettino ha abbandonato la nave a un’ora dall’incidente, lasciando a bordo i passeggeri e i suoi membri dell’equipaggio, in balia di un’organizzazione che alla fine, infatti, non c’è stata. Doveva essere lui – secondo il codice della navigazione e quello penale – a coordinare le operazioni di soccorso. Non poteva sparire nel nulla, pensare a salvarsi e lasciarsi alle spalle quel bestione di 282 metri che la compagnia di navigazione gli aveva affidato.

Le dichiarazioni del procuratore. E questo il nodo centrale dell’inchiesta. Il procuratore della Repubblica di Grosseto,  Francesco Verusio dice che “il comandante ha abbandonato la nave quando c’erano ancora molti passeggeri da portare in salvo”, e “le operazioni di soccorso non sono state coordinate dal comandante”, ha detto. Un delitto imperdonabile per chi comanda una nave. “A questo punto  - dice il procuratore capo – vogliamo capire chi si è assunto poi il compito di dirigere le operazioni di salvataggio, perché il comandante ha abbandonato la nave molte ore prima che si concludessero”. Sul numero di vittime il procuratore inizia a essere pessimista: “I morti per ora accertati sono cinque a questo punto, due turisti francesi e un membro dell’equipaggio peruviano oltre ai due anziani individuati nel pomeriggio”, ma “abbiamo gravi sospetti per altre cinque o sei persone. All’appello ne mancano una trentina – ha aggiunto – stiamo spuntando i loro nomi uno per uno dagli elenchi”, ma “non è facile dire con precisione quanti manchino all’appello”. Indiscrezioni, provenienti da fonti della Prefettura di Grosseto parlerebbero di 36 persone, delle quali 10 membri dell’equipaggio di nazionalità cinese e filippina, e 26 passeggeri. Ma anche questo dato è parziali. Fonti della Capitaneria ripetono che la lista definitiva non esiste. Esiste una lista, ma non è possibile sapere fino a questo momento quante fossero i membri dell’equipaggio, quelli che svolgono i lavori più umili, la lavanderia e la pulizia delle cucine e della nave. Filippini, molti, e cinesi.

La compagnia Costa dice che non ci sono lavori appaltati ad aziende esterne, fonti vicine agli inquirenti continuano a ripetere che invece è una possibilità che viene valutata.

Perché avvicinarsi all’isola? Il magistrato è riuscito a capirlo, alla fine. Schettino si è avvicinato al Giglio perché voleva salutare l’isola. Un codice campano, procidese per essere precisi, che impone l’inchino quando si passa dalle parti di un’isola. Una consuetudine, forse neppure così strana. Ma Schettino, venerdì, ha sbagliato i calcoli o fose si è abbandonato alla distrazione.

L’ordine di negare. Nei momenti successivi all’incidente l’ordine di Schettino è negare. Negare con i passeggeri e, come abbiamo visto, con la Capitaneria di porto: “Nessun incidente, solo un guasto tecnico”.

Le scatole nere. Ciò che è successo tra la comunicazione del presunto guasto tecnico e l’annuncio dell’abbandono nave verrà accertato con l’analisi delle scatole nere, già in Procura a Grosseto, che per le navi si chiamano ‘Voyage data recorder’ (che registra tutto cio’ che ‘fa’ la nave, compresi i movimenti prima e dopo l’impatto con lo scoglio) e ‘Voyage voice recorder’, che oltre a registrare le comunicazioni radio recupera anche le conversazioni all’interno della plancia di comando, una sorta di intercettazioni ambientali. “E qui – sorride un investigatore – se ne sentiranno delle belle”.

L’assicurazione sulla nave. Cinquecento milioni di dollari, secondo un broker genovese, è probabilmente il valore assicurativo di Costa Concordia. L’assicuratore è il gruppo statunitense Aon, leader mondiale nel settore del risk management e nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa. Ma i 500 milioni di dollari riguardano soltanto la copertura della nave, scafo e macchina. Per la copertura assicurativa delle responsabilità dell’armatore, che comprendono risarcimenti ai passeggeri e all’equipaggio, eventuali danni all’ambiente, e rimozione del relitto, interviene il club inglese Protection&Indemnity Club, nel mondo dello shipping comunemente indicato come P&I.  Nel caso di Costa Concordia interverrà la Standard. La nave, secondo gli esperti del settore, è totalmente irrecuperabile. Costa Crociere dovrà quindi fare eseguire la rimozione del relitto. Per asportare il carburante è stata ingaggiato l’olandese Smit International Group che, in Italia, lavora con l’azienda Neri di Livorno. I rappresentanti dei due gruppi sono già al Giglio in attesa di disposizioni della magistratura per poter operare. Non si sa quando. “Sicuramente”, spiegano, “sarà una corsa contro il tempo. Un cambiamento climatico e la nave, che ora è appoggiata su un fondale basso, potrebbe inabissarsi”. A pochi metri, infatti, il fondale scende fino a 70 metri: se dovesse alzarsi il venti di scirocco, come le previsioni dicono, la situazione potrebbe diventare irrecuperabile. E il danno ambientale di proporzioni senza precedenti.

di Emiliano Liuzzi, Diego Pretini e Antonio Massari

Abusi sessuali ad Abu Ghraib, ecco le foto stoppate da Obama.



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Un sito cinese pubblica le foto dello scandalo, le presentiamo qui, debitamente offuscate, in esclusiva.
Barack Obama non volle che fossero pubblicate, probabilmente proprio a causa del contenuto agghiacciante delle immagini.
La conferma venne da parte del generale Usa, in congedo dal 2007, Antonio Taguba il quale però si disse d’accordo con lo stop richiesto da Obama: «Queste foto mostrano torture, abusi, stupri ed ogni tipo di atti indecenti. Non sono sicuro quale scopo avrebbe la loro pubblicazione, se non quello puramente legale. E la conseguenza sarebbe di mettere in pericolo le nostre truppe, gli unici difensori della nostra politica estera, in un momento in cui ne abbiamo grande bisogno, o quella dei britannici che stanno tentando di garantire la sicurezza in Afghanistan».
Ad aprile, il governo di Obama annunciò che avrebbe pubblicato le foto e che non aveva alcun senso ricorrere contro la sentenza a favore della pubblicazione, vinta dall’American Civili Kiberties Union. Poi la marcia indietro: pressato dai vertici militari, Obama ha cambiato idea e ha detto che la pubblicazione potrebbe mettere in pericolo la sicurezza delle truppe statunitensi. Secondo Obama, comunque i protagonisti di questi atti «sono stati identificati, e sono state adottate misure contro di loro».

Assunzioni clientelari, 7 arresti in Abruzzo indagato il vicepresidente della Regione. - di Giuseppe Caporale


Gli ordini di custodia cautelare, quattro in carcere, tre ai domiciliari, disposti dalla procura dell'Aquila: "Associazione criminale tesa a condizionare l'affidamento di commesse pubbliche". Coinvolto Castiglione (Pdl).


Assunzioni clientelari, 7 arresti in Abruzzo indagato il vicepresidente della Regione
Alfredo Castiglione Vicepresidente Regione Abruzzo

L'AQUILA  -  "Mi rifiuto di pensare che la mia attività sia soltanto quella di distributore di mazzette!". E poi ancora: "... Noi dobbiamo pagare la tangente...". Suonano come una confessione le parole dell'imprenditore Duilio Gruttaduria  -  arrestato questa mattina per tangenti alla Regione Abruzzo insieme ad altre sei persone - pronunciate al telefono con la moglie durante suoi lunghi e interminabili viaggi in auto. Una confessione che gli uomini della squadra mobile di Pescara (guidati da Pierfrancesco Muriana) per mesi hanno registrato e messo a verbale (e che sono alla base della richiesta di misura cautelare).

"Io passo dalla mattina alla sera a fare cose che sono contro legge...", "Io vivo di cose da galera...". E la moglie Anna Teodoro risponde: "... E non è che rischi la galera e poi andiamo al mare... Le cose vanno fatte... E vanno fatte anche bene...". E ancora Gruttadiuria: "Credimi... il 95 per cento delle cose di cui mi occupo sono reati... sono cose vietate dalla legge... Perché di che mi occupo? Mi occupo di favorire che l'Ecosfera vinca le gare...".

E nelle quasi duecento pagine di ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari Marco Billi trascrive il rendiconto dei favori che esponenti della pubblica amministrazione (politici e dirigenti) avrebbero ottenuto dal gruppo Grattaduria. C'è il vice presidente della Regione che cerca di ottenere l'approvazione di un progetto in Albania per favorire la compagna, c'è la dirigente regionale Giovanna Andreola, che ottiene assunzioni, consulenze per il marito. Quest'ultima secondo Grattaduria dimostra "l'arroganza del potere..." e si comporta come Caligola (che nominò senatore un cavallo) chiedendo a loro di far assumere con ruoli importanti persone assolutamente non qualificate e inutili. C'è un avvocato sponsorizzato dall'ex braccio destro del governatore Ottaviano Del Turco che deve essere "preso" per "non fare nulla... proprio nulla...".

Secondo la Procura dell'Aquila, dunque, con la complicità di funzionari dell'ente pubblico regionale era stata messa in piedi "un'associazione criminale tesa a condizionare l'affidamento di commesse pubbliche in cambio di partite economiche consistenti in contratti di consulenza e assunzioni clientelari". Le misure riguardano l'imprenditore siciliano  Gruttadauria, Annamaria Teodoro (moglie del Gruttadauria), Lamberto Quarta, Giovanna Andreola e poi Michele Galdi (marito dell'Andreola), Corrado Troiano e Mario Gay. Per i Alfredo Rossini e Antonella Picardi, tutti gli indagati sarebbero coinvolti a vario titolo nella fraudolenta aggiudicazione in favore della società Ecosfera di appalti per milioni di euro.

A far scattare le indagini sarebbe stato proprio il coinvolgimento di Lamberto Quarta, assunto come consulente con un contratto da 70 mila euro l'anno, poco dopo che lo stesso aveva terminato gli arresti domiciliari per un'altra vicenda: quella di Sanitopoli, dove finì in carcere insieme all'ex governatore Ottaviano Del Turco. Secondo gli inquirenti la Ecosfera avrebbe offerto a Quarta un paracadute economico forse a fronte di rapporti già in essere. Il nome dei Gruttaduria finì anche nelle carte dell'inchiesta G8, in quanto proprio una delle società del gruppo era pronta ad assumere il figlio trentenne di Angelo Balducci, Filippo.

I Ros di Firenze intercettarono il fratello di Duilio Gruttaduria, Enzo, al telefono con Diego Anemone, mentre chiedeva come regolarsi con il figlio di Balducci e che tipo di contratto deve fare. Il nome degli imprenditori Gruttadauria, all'inizio degli anni '90, fu al centro di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che aveva trovato due numeri telefonici con l'indicazione "ingegnere Gruttadauria" sopra alcune rubriche sequestrate nell'ambito della maxi indagine sulla spartizione degli appalti pubblici in Sicilia sotto il controllo di Cosa Nostra. Proprio in questa inchiesta, assieme ad altri costruttori finiti in carcere, era stato indagato Dino Anemone (poi prosciolto nel 2004), il padre dei due imprenditori romani Daniele e Diego.

Per amore di Cammarata. - di Giampiero Caldarella.



Il sindaco Diego Cammarata si dimette “per amore della città”. Era il sindaco meno amato dagli italiani, l’ultimo dei mohicani rimasto sul trono dopo l’addio della Jervolino che gli contendeva il primato. Lui, il “meno amato”, si dimette “per amore”. Se ne è uscito cornuto e mazziato dopo 10 anni di storia d’amore. E ora che ci farà con quelle corna? Qualcuno gli suggerisce di usarle come tornio per le narici, nel caso periodicamente occorra rifarle per permettere l’ingresso di pulviscolo bianco e polveri sottili. In ogni caso, adesso avrà molto più tempo per pensare ai cazzi suoi. Del resto, Diego è un bell’uomo, a marzo fa 60 anni e pare ancora un giovanotto. Sempre sorridente, bocca larga, sorriso largo, narici larghe e profonde, tasche larghe. E’ la larghezza di vedute che l’ha fottuto.
L’ho conosciuto nel ’94 quando insegnava “Diritto dell’informazione” all’Università di Palermo. Mi ha dato trenta all’esame. Anzi, ora che ci penso, mi pare che ha dato trenta a tutti, tanto a lui che gli costava? Lasciava tutti contenti, pare che si vedeva che era destinato a fare il sindaco. E poi, noi sapevamo che lui aveva studiato in America, che era presidente dello IACP (Istituto autonomo case popolari) dove le graduatorie per gli alloggi non si sono rinnovate per decenni in nome dell’autonomismo e in culo all’automatismo. Sapevamo che gli piaceva il tennis e tante altre belle cose. Perciò quando non veniva a lezione o si faceva un’ora di ritardo su due magari perché erano andati oltre il terzo set, noi non ci stupivamo. Ce la pigliavamo comoda pure noi. Ci facevamo i fatti nostri. E chi parlava? Eravamo quattro gatti e poi lui non si poneva come il professore, faceva il simpatico, era uno di noi. Uno dei libri che portammo all’esame fu “Giudici e telecamere”. A distanza di anni rivedo quel libro e penso ai guai giudiziari del professore Cammarata, tutti vissuti davanti alle telecamere.
Per amore del mare rinunciava all’uso della sua barca “Molla2” (dicono che il nome della barca sia dedicato alla figlia che non brilla per tonicità muscolare) affittandola in nero a sconosciuti che non lo potessero così ringraziare e per lo stesso principio si serviva di un dipendente comunale che durante le ore di servizio faceva lo skipper.
Per amore del verde pubblico fece pulire la strada privata dove si battezzava la figlia dai dipendenti comunali. Non concepiva il concetto di verde privato. Ha fatto bene. Anche il verde come l’acqua dovrebbe essere pubblico. Ci vorrebbe un referendum per difenderlo, ma siccome si finirebbe per aiutare Cammarata, i comunisti, perché sono loro che raccolgono le firme, non lo faranno mai.
Per amore della professione forense creò la “giurisprudenza Cammarata” che gli permetteva di cumulare gli stipendi da parlamentare e da sindaco. Qualcuno si è chiesto se un uomo può amare più di una poltrona. Sembra che lui abbia risposto: “Tranquilli, vedrete che su nessuna delle due poltrone si accumulerà la polvere. Ho narici larghe, io.”
Per amore della giustizia è stato diffamato da alcuni mafiosi che lo accusavano di averlo visto vomitare su un tavolo dell’esclusivo bar della Cuba, con il boss Rotolo che commentava “E’ una cosa schifosa”.
Per amore di Santa Rosalia ha interrotto la tradizione di salire sul carro della Santuzza e dire “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Sono anni che Diego non si mette più in mostra perché pensa che l’amore per la città vada consumato più intimamente. Le piazzate non gli piacciono.
Per amore di Silvio, accettò più di cento milioni di euro per salvare il comune di Palermo dalla bancarotta. Lui non li voleva, ma Silvio ha insistito: “Prendili, ti prego, Palermo è la città che amo di più dopo Milano. Marcello mi è testimone”. E lui accettò, per amore della città.
Per amore delle tradizioni riempì il foro italico, la passeggiata a mare, di centinaia di birilli in ceramica realizzati da Parrucca. Qualcuno gli avrà detto che i birilli sono la versione riveduta e corretta dei pupi, solo che sono senza fili, moderni, wireless, moderni. Hanno solo un difetto, come i pupi. Cadono. Anche se sono invisibili.



http://www.santalmassiaschienadritta.it/2012/01/per-amore-di-cammarata.html