giovedì 27 settembre 2012

Sallusti a giudizio per un’altra diffamazione.


Sallusti a giudizio per un'altra diffamazione

Sempre per omesso controllo, stavolta nei confronti di un magistrato della procura militare.

L’ex direttore del ‘Giornale’ Alessandro Sallusti, ieri condannato a 14 mesi dalla Cassazione, e’ stato rinviato a giudizio con l’accusa di omesso controllo in un procedimento per diffamazione ai danni dell’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block. L’accusa si riferisce a quando Sallusti era direttore di ‘Libero’.
LA STORIA – Il gup di Milano, Maria Grazia Domanico, si era ritirata in camera di consiglio in giornata per decidere se rinviare a giudizio o meno l’ex direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
Sallusti e’ accusato di omesso controllo in relazione a un’intervista comparsa sul quotidiano Libero, di cui allora era il direttore, il 3 luglio del 2007. Nell’articolo, la giornalista Barbara Romano, che e’ imputata per diffamazione in questo procedimento, intervistava il Generale Antonio Pappalardo che, secondo l’accusa, avrebbe diffamato un magistrato della procura militare di Padova, Maurizio Block.

Renato Farina ammette: «Dreyfus sono io, salvate Sallusti»


Renato Farina ammette: «Dreyfus <br />sono io, salvate Sallusti»
«Quel testo l’ho scritto io e me ne assumo la piena responsabilità morale e giuridica». Con queste parole Renato Farina ha ammesso questa mattina davanti alla Camera dei Deputati di essere lui a nascondersi dietro lo pseudonimo Dreyfus. Chiede scusa per aver scritto il falso sul giudice Cocilovo e invoca la grazia del capo dello Stato per Sallusti. L’intervento arriva dopo il colpo di scena all’ultimo minuto di Porta a Porta, registrato a Roma e in onda ieri sera su Rai Uno.
Stavano già correndo i titoli di coda. Si era parlato del Lazio, dell’Ilva, finché Vespa introduce l’argomento della condanna di Sallusti.
Vespa chiede un’opinione a Vittorio Feltri che critica «tutti i politici di destra e di sinistra che, in sessant’anni, non hanno abrogato una liberticida legge fascista».
Ma subito dopo, la principale firma del Giornale rivela l’identità del giornalista che si cela dietro quello pseudonimo, Dreyfus, che con un suo articolo ha portato alla condanna del collega Sallusti: «Bene, avevo sperato che avesse lui il coraggio di farsi avanti. Adesso questo nome voglio farlo io, lo fanno molti. Ma è bene che sia conosciuto da tutti: si tratta di Renato Farina».
Non è una rivelazione da poco, visto che il giudice della corte di Cassazione, che ha spalancanto di fronte al direttore del Giornale le porte del carcere, è stato pesantemente influenzato dall’irreferibilità dell’autore del pezzo incriminato.
Si spengono le telecamere. Vespa si avvicina a Feltri chiedendogli come mai solo adesso abbia scelto di rivelare quell’identità. A questo punto Feltri si arrabbia:  «L’ho difeso tutta la vita, speravo che avesse un minimo di coraggio, invece è un vigliacco. Speravo si prendesse le sua responsabilità. Non si è verificata né una cosa né un’altra. È semplicemente un pezzo di merda e Alessandro [Sallusti, ndr] sta pagando con un grandissimo coraggio per una colpa che non è sua»
Il paradosso vuole che Farina sia parlamentare eletto nelle liste del Pdl e che probabilmente avrebbe potuto godere, al contrario di Sallusti, dell’immunità parlamentare di fronte alla richiesta di arresto.
Feltri se ne va, scuotendo il capo: «Ci sono giornalisti, e poi ci sono gli uomini. Ho difeso per tanto tempo Renato. Ho parlato con lui per un’ora al telefono dicendogliene di tutti i colori. E’ una delle più grandi delusioni umane della mia vita».
Renato Farina per anni ha firmato con uno pseudonimo anche perché è stato radiato dall’Ordine in seguito all’inchiesta Abu Omar, in quanto è risultato essere  uno dei giornalisti che ricevevano soldi dal dirigente dei servizi segreti Pio Pompa.

Fiorito andrà in pensione a 50 anni con vitalizio da 4mila euro al mese.


Franco Fiorito a

Grazie ad un emendamento proposto dallo stesso Fiorito e approvato nel dicembre scorso.

Franco Fiorito, tra nove anni, a soli 50 anni potrà incassare il vitalizio di circa 4mila euro al mese che spetta agli ex consiglieri della regione Lazio. Tutto questo grazie ad un emendamento proposto proprio dallo stesso Fiorito (che chiedeva l'indicizzazione) e approvato nel dicembre scorso in Commissione Bilancio del Consiglio regionale da: Pdl, Udc, Lista Polverini e Lista Storace. L'emendamento Fiorito incassò il parere favorevole anche dell'assessore al Bilancio, Stefano Cetica, uno dei 14 assessori esterni della giunta Polverini a percepire il vitalizio. E i tagli ai vitalizi votati dalla Regione? Entreranno in vigore solo a partire dalla prossima legislatura.
I CONTI - Come scrive Il Giornale «la legge del Lazio del 1995 prevede come base di calcolo l'80% dell'indennità parlamentare (circa 5.200 euro) più l'intera diaria (3500 euro) per un totale di quasi 9mila euro. L'importo del vitalizio poi si ottiene a seconda degli anni di consiliatura. A Fiorito, che aveva già all'attivo una legislatura prima di quella targata Polverini, spetta il 40%, quindi circa 4mila euro al mese». Il diritto all'assegno maturerebbe a 55 anni ma rinunciando a una piccola percentuale si può anticipare a 50 anni, quindi anche Fiorito potrebbe seguire qusto iter. Tutto questo anche se la legislatura finisce in anticipo (così come sembra) rispetto alla sua scadenza naturale.
FOSCHI - Intanto il consigliere regionale del Pd alla Regione Lazio Enzo Foschi, ha deciso di rinunciare al vitalizio maturato in questa legislatura. Lo ha annunciato lui stesso in una nota. «Rinuncio al vitalizio maturato in questa legislatura - spiega -. Non perché io abbia rubato o compiuto illegalità, non ho visto un euro di quei 100 mila di cui parla Fiorito, ma perché come esponente del consiglio regionale per il Pd mi sento moralmente responsabile di quanto accaduto. Ma, e questo deve essere chiaro, non tutti fanno politica per fare soldi, perlomeno io non sono fra questi. La politica è passione e servizio. Il mio gesto vuole essere semplicemente un risarcimento a un'istituzione ferita nella sua sacralità - continua Foschi -, nei confronti dei cittadini giustamente offesi da quanto accaduto e anche per rispetto verso gli uomini e le donne che volontariamente nel quotidiano si impegnano nei circoli del Pd. Per queste ragioni ho già presentato la mia lettera formale al presidente del Consiglio del Lazio. Sarebbe bello se anche i miei colleghi della Pisana facessero altrettanto».

Le nomine in extremis di Polverini. - Ernesto Menicucci


Renata Polverini (Ansa)

Il governatore vuole un rimpasto: i nemici interni rischiano di uscire.

ROMA - L'ultimo atto di Renata Polverini, alla fine, sarà il più politico: «Taglio gli assessori e mi dimetto: i consiglieri non li posso ridurre, la mia giunta la posso diminuire. Non serve lo stesso numero di assessori per l'amministrazione ordinaria. Ho lavorato all'accorpamento delle deleghe, domani (oggi, ndr ) le riassegnerò e allora potrò dimettermi».
È l'effetto dei veleni nel Pdl. Perché a fare le spese del rimpasto quasi «postumo» saranno, molto probabilmente, i membri di giunta più vicini ai rivali interni della Polverini, in particolare quelli legati ad Antonio Tajani. «Ballano» quasi tutti gli ex forzisti: Fabio Armeni (Patrimonio), Marco Mattei (Ambiente) e Stefano Zappalà (Turismo). Ma rischiano anche Angela Birindelli (Agricoltura), indagata a Viterbo, e gli ex An Pietro Di Paolo (Rifiuti) e Luca Malcotti (Lavori pubblici). Uomini, questi ultimi, vicini ad Alemanno il primo e al senatore Andrea Augello il secondo.
Salvi tutti gli assessori vicini alla Polverini. I due dell'Udc (Ciocchetti e Forte), «er pecora» Teodoro Buontempo (La Destra), l'ex Ugl Stefano Cetica, gli amici di Renata come Mariella Zezza, Pino Cangemi e Fabiana Santini che con lei vanno a correre la domenica mattina. Ha tutta l'aria di un regolamento di conti: la Regione è caduta, ma la guerra col Pdl non è finita. La governatrice, in una riunione-lampo con gli assessori, è chiara: «Tengo solo quelli di cui mi fido». Deciso anche il percorso: azzeramento dell'esecutivo regionale e rinomina con nuove deleghe. Mossa che scatena i malcontenti nel Pdl. Tanto che, di nuovo, è intervenuto Berlusconi, avvertito dagli uomini del Lazio a lui più vicini: «Evitiamo di esasperare gli animi», il tentativo in extremis del Cavaliere. Che, però, come nel caso delle dimissioni della governatrice, ha poi mollato la presa. La Polverini è determinata: «Sono il presidente uscente della Regione Lazio, ma non sono ancora uscita. Stiamo concordando con il ministro Cancellieri alcuni aspetti: mi spiace non essere rimasta cinque anni». E aggiunge: «Sono dettagli per chi fa demagogia, ma continuo ad agire con senso di responsabilità. Aspetto ancora le dimissioni annunciate dai consiglieri». Ma la diminuzione da 70 a 50 rimane lettera morta? Al mattino, Gianni Alemanno si sbilancia: «La Polverini, prima di uscire, vuole convocare il consiglio in seduta straordinaria e approvare i tagli». Lei prima lo gela («è l'ennesima invenzione di Alemanno»), poi - a Porta a Porta - conferma: «Il consiglio rimane in carica e può essere chiamato per questioni straordinarie. C'è la proposta della giunta sul taglio dei consiglieri e degli assessori. Oppure se arriva un decreto governativo condiviso, si può approvare la proposta». Ringrazia Napolitano «perché non si può circoscrivere tutto al Lazio», loda un consigliere di Rifondazione («una persona perbene») e poi torna all'attacco, sulle spese della Pisana: «Questa Regione è talmente indebitata che dovevamo trasferire i fondi al Consiglio regionale quando ce li chiedevano, altrimenti rischiavano il pignoramento, di non pagare gli stipendi o di essere commissariati e fare la fine della Campania». E ancora: «Ai gruppi 14 milioni? Non esiste. Ne mancherebbero 10 all'appello».
Il penultimo atto della giunta, ieri, è stato però la conferma di una serie di direttori: sette interni, uno esterno (il capo dell'avvocatura) e uno proveniente da un'altra amministrazione (Raffaele Marra, altro ex Ugl). Angelo Bonelli (Verdi) ed Esterino Montino (Pd) attaccano: «La Polverini vada via, è un bluff. Una di queste nomine è stata già bocciata dal Tar due volte». Tra i provvedimenti anche il ricorso alla Consulta sull'accorpamento delle Province previsto nella spending review . È sotto pressione, la governatrice. I fotografi la inseguono, lei rischia di finire sotto l'auto di servizio e sbotta: «Basta, sono dieci giorni che mi state appresso». E il futuro politico? In molti la vedono in Parlamento con Casini, possibile ministro di un governo tecnico ma con una spruzzata di politici. Ma, da ieri, circola un'altra voce: la tentazione del Campidoglio con Alemanno dirottato sul rinnovamento del Pdl. Fantapolitica? Chissà.

Ironizzando.



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In Sicilia la prima centrale elettrica solare produrrà 30 megawatt senza emissioni.


In Sicilia la prima centrale elettrica solare produrrà 30 megawatt senza emissioni


La centrale - la prima operativa al mondo - sarà realizzata da Enel Green Power in provincia di Catania e sarà comparabile per potenza a quelle tradizionali a combustibili fossili, ma senza emissioni inquinanti e produzione di gas che alterano il clima.

Sarà siciliana, sarà pronta nel 2015 e fornirà elettricità sufficiente agli usi domestici di circa 40 mila famiglie la prima centrale operativa nel mondo a solare termodinamico e integrata a biomasse. La centrale sarà realizzata da Enel Green Power in provincia di Catania e sarà comparabile per dispacciamento a quelle tradizionali a combustibili fossili, ma senza emissioni inquinanti e produzione di gas che alterano il clima. L'impianto, che avrà una potenza di 30 megawatt e costerà circa 200 milioni di euro, è già in fase di autorizzazione e produrrà il 60% di una centrale di pari potenza che utilizzi una fonte fossile (una quantità di energia molto alta per una fonte rinnovabile, doppia rispetto a quella prodotta dal solare fotovoltaico).

Lo ha annunciato la stessa Enel Green Power durante il convegno "Sicilia, l'isola del solare termodinamico. Carta del Sole, un patto per l'energia tra territorio e industria", organizzato da Anest (Associazione nazionale per l'energia solare termodinamica) e Fred Sicilia (Forum regionale energia distribuita), che si è tenuto il 19 settembre scorso a Palermo. Secondo le stime di Anest, il numero di lavoratori direttamente occupato in una centrale di queste dimensioni può arrivare fino a 150 unità in fase di funzionamento, mentre molto maggiore sarebbe il numero di operai coinvolti nella costruzione: da 1.000 a 1.500 in tre anni.

La Sicilia già oggi è la vera capitale del solare termodinamico. Una vocazione sancita dalla firma della Carta del Sole, un documento di impegno sullo sviluppo di questa nuova fonte rinnovabile proposto da Anest e Fred e sottoscritto dal ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, dal vicepresidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, dalla segretaria della Cgil Sicilia, Mariella Maggio, dal presidente della Fondazione Sicilia, Giovanni Puglisi e dai candidati presidenti della Regione Siciliana Rosario Crocetta, Claudio Fava e Mariano Grillo.

mercoledì 26 settembre 2012

Sicilia, pignorati i conti dell’Assemblea regionale: stop agli stipendi. - Giuseppe Pipitone


Sicilia, pignorati i conti dell’Assemblea regionale: stop agli stipendi


I dipendenti del Parlamento più antico d'Europa domani non percepiranno lo stipendio: non era mai successo. Tutto nasce dalla sentenza del tribunale del lavoro che ha dato ragione a 76 dipendenti riconoscendo scatti d'anzianità dal 2005.

Per anni è stato l’obiettivo di ogni siciliano alla ricerca di un lavoro sicuro. Da domani però il mitico “posto fisso alla Regione” rischierà di perdere la simbolica aurea di stabilità eterna. Per la prima, infatti, ai dipendenti dell’Assemblea Regionale Siciliana non verrà, accreditato lo stipendio come accade ogni 27 del mese da 67 anni. A comunicarlo agli oltre trecento dipendenti dell’Ars una striminzita circolare che ha spiegato come i conti correnti del parlamentino siciliano siano al momento congelati e gli stipendi di settembre verranno quindi “differiti”. Come dire che le casse del parlamento più antico e ricco d’Italia sono al momento inaccessibili.
Ieri è stato infatti notificato a Palazzo dei Normanni un decreto ingiuntivo da quasi 24 milioni e trecentomila euro. Il congelamento dei fondi dell’Ars da parte del tribunale è dovuto ad un ricorso presentato da 72 dipendenti della stessa assemblea che lamentavano il mancato avanzamento di carriera. I dipendenti dell’Ars, assistenti parlamentari e amministrativi, hanno diritto ad un aumento di stipendio fisso ogni due anni fino al massimo di quattro mila e cinquecento euro netti.
Alcuni di questi scatti di carriera, e quindi di stipendio, sarebbero però stati ignorati dall’Assemblea regionale. I dipendenti hanno quindi fatto causa al loro datore di lavoro nel 2010 e nel marzo scorso hanno ottenuto una sentenza favorevole. Ma nonostante la sentenza sia divenuta esecutiva l’ente regionale ha continuato a fare orecchie da mercante, ignorando le sollecitazioni dei dipendenti. Che a questo punto hanno deciso di ricorrere alle maniere forti. Il problema è che dopo aver ricevuto il super pignoramento da quasi 25 milioni di euro, all’Assemblea regionale si sono accorti di non avere abbastanza denaro in cassa. E i conti correnti del parlamento più ricco d’Italia sono stati quindi sigillati dal tribunale.
Nel luglio scorso, causa di un errore nei fondi trasferiti dall’assessorato al Bilancio, erano slittati di qualche giorno gli emolumenti degli stipendi da 13 mila euro dei novanta deputati regionali siciliani. In quell’occasione il presidente dell’Ars, il pidiellino Francesco Cascio, aveva protestato animosamente contro il governo di Raffaele Lombardo per il lieve ritardo dell’accredito degli stipendi agli onorevoli. “L’assessore all’Economia, Gaetano Armao, tratta l’Ars alla stregua di un qualunque fornitore o di una partecipata della Regione. Ciò non è consentito” aveva tuonato dallo scranno più alto di palazzo dei Normanni.
Oggi, a proposito del maxi pignoramento, spiega invece di aver già fatto ricorso contro la sentenza che blocca i fondi dell’ente da lui presieduto. “Abbiamo ragionevoli speranza di vincere quel ricorso – racconta – anche perché nel frattempo le regole sugli scatti di anzianità sono state modificate dal Consiglio di presidenza”. Nel frattempo però tutti i 270 dipendenti dell’Assemblea rimarranno senza stipendio. E, ironia della sorte, tra loro ci sono anche i 72 dipendenti querelanti, autori del maxi decreto ingiuntivo, che in pratica hanno causato il blocco dei loro stessi stipendi e di quelli dei loro colleghi.