mercoledì 31 ottobre 2012

Napolitano non riceve Berlusconi: inaffidabile. Semmai vedrà Alfano, dopo Casini (oggi) e Bersani (forse domani)


Silvio Berlusconi
Stavolta Giorgio Napolitano non lo riceve. Il presidente della Repubblica non ci sta a finire dentro la tela intricatissima che Silvio Berlusconi pare voler tessere intorno al governo Monti, magari per stritolarlo. L'incontro al Colle era stato chiesto dal Cavaliere, prima della conferenza stampa di villa Gernetto. E sarebbe potuto avvenire domenica scorsa, come se fosse quasi una prosecuzione dell'incontro che Berlusconi aveva avuto con il premier a Palazzo Chigi martedì scorso, quando aveva indossato i panni della colomba offrendo a Monti la guida dei moderati, e dicendosi pronto al passo indietro per favorirla. Così non è stato. Perché nel frattempo è venuto a cadere il format che avrebbe potuto garantire quella prosecuzione. Sabato scorso, infatti, all'indomani della condanna di primo grado per il processo Mediatrade, il Cavaliere ha mostrato l'altro volto, quello arrabbiato, antimontiano, antieuropeista, tutto tranne che moderato e rassicurante sulla tenuta dell'esecutivo dei tecnici. È tornato falco, arrivando a un passo dalla rottura.
Un furore che ha messo in bilico non solo il governo ma anche la stessa chance per Berlusconi di incontrare il capo dello Stato. E così, raccontano a palazzo Grazioli, l’appuntamento al Quirinale è slittato a data da destinarsi, di certo non questa settimana. Tanto che Berlusconi ha confermato il suo viaggio a Malindi – partirà domani – e oggi ha approfittato del pomeriggio libero per un salto a Montecatini, ufficialmente per qualche visita di controllo, in realtà per una misteriosa visita personale. Sia come sia, col Colle è tornato il grande freddo che si percepiva lo scorso novembre. Perché è chiara la base della discussione che Berlusconi vorrebbe intavolare. I suoi lo spiegano senza tante perifrasi. Semplicemente vorrebbe intavolare una trattativa “politica” sul suo destino: cessazione delle ostilità su Monti in cambio di una tregua giudiziaria. O comunque in cambio di un sostegno di fronte a quella che ritiene una ingiusta persecuzione. L’ex premier avrebbe già voluto l’attesa sentenza della corte costituzionale sul processo Mediaset. E voleva che il Csm spedisse gli ispettori nella procura di Milano per il processo Ruby. Terreni che giudica di “influenza” del capo dello Stato.
Per Napolitano lo stile negoziale dell’ex premier non è una novità. La novità stavolta è che non è obbligato a riceverlo come quando era inquilino di palazzo Chigi. E in fondo il segretario del Pdl si chiama Angelino Alfano. È lui che parla con Monti di questioni politiche, e si confronta anche con gli altri leader della strana maggioranza: prima o poi, trapela dal Colle, qualcosa di definitivo dovrà dirla anche lui in un incontro a quattr’occhi con il capo dello Stato, senza l’ingombrante presenza di Berlusconi. Proprio la linea attendista del Quirinale ha consentito alle colombe di evitare l’incidente. Oggi, per esempio, al buffet organizzato al Quirinale per i 150 anni della Corte dei Conti, Napolitano ha avuto uno scambio di vedute con Gianni Letta e anche con il presidente del Senato, Renato Schifani. Entrambi gli hanno garantito che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, che è stata una “sparata” determinata da tante ragioni, compresa l’amarezza per la sentenza, ma che non ci saranno conseguenze sull’esecutivo.
Ma la sensazione è che ormai più nessuno riesca a offrire le garanzie necessarie su Berlusconi. Di lui non ci si fida. Nessuno tra i suoi è disposto a rassicurare su quella che sarà la sua linea futura e al Colle non possono che prendere atto della facilità con cui l’ex premier cambia idea. Nel giro di pochi giorni, come è successo la settimana scorsa, quando da martedì a sabato è passato dalla linea Monti bis alla linea anti-Monti. Tutte le incertezze dell’ex premier sul da farsi sono perfettamente percepite al Colle, filtrano attraverso l’umore dei berlusconiani più moderati, quelli che mantengono i contatti con la presidenza della Repubblica.
Nell’agenda del capo dello Stato per il momento non c’è alcun incontro con il Cavaliere. Ci vorrà del tempo per arrivarci. Troppo fresca la burrasca di sabato. Ora al Colle ci tengono a non finire risucchiati in un ennesimo gioco di affermazioni e smentite, che mettono a repentaglio la credibilità internazionale italiana in vista del voto del 2013. Che avverrà al completamento naturale della legislatura e non prima, ha rimarcato anche oggi il capo dello Stato, richiamando i partiti ad una ulteriore “assunzione di responsabilità” nei confronti del governo e degli obblighi europei imposti dalla crisi ed esortandoli a riformare la legge elettorale. Su quest’ultima, il tempo di attesa al Colle scade a fine novembre, suppergiù.
Nel senso che il presidente della Repubblica aspetta di vedere cosa riesce a licenziare il Senato, dove proprio oggi in commissione per un solo voto non è passato un emendamento dei Radicali che proponeva il doppio turno alla francese ribaltando il testo Malan approvato giorni fa. Per dire di quanto il dibattito sia in alto mare. Comunque, dal testo che verrà licenziato da Palazzo Madama si capirà molto, sarà subito evidente se si tratterà di una proposta destinata a morire al passaggio a Montecitorio. A quel punto, potrebbe scattare il messaggio del capo dello Stato alle Camere per chiedere la riforma del sistema di voto. Non che questa sia la bacchetta magica, al Colle lo sanno, ma il capo dello Stato userà tutti mezzi che può per insistere affinché non si vada al voto con il Porcellum.
Intanto oggi Napolitano ha ricevuto al Colle Pier Ferdinando Casini. Si tratta, fanno sapere, dell’inizio di un nuovo giro di orizzonte con i leader della strana maggioranza su quanto rimane da fare fino alla fine della legislatura, oltre alla legge elettorale, anche l’estensione dei controlli sull’uso delle risorse finanziarie pubbliche. Forse già domani mattina il capo dello Stato potrebbe ricevere il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che tra l’altro oggi ha avuto un colloquio alla Camera con il leader dell’Udc: ufficialmente, hanno parlato di emendamenti comuni alla legge di stabilità; ufficiosamente, la chiacchierata testimonia un riavvicinamento da parte di Casini verso il Pd, alla luce dell’antimontismo di Berlusconi e della vittoria con Crocetta in Sicilia. Casini, Bersani: non resta che Alfano. Prima o poi, al Colle attendono anche lui, sempre che voglia pronunciarsi sul percorso indicato da qui alla scadenza naturale della legislatura. Lui, ma non Berlusconi.

La carica dei magnifici 15!


M5S
Matteo Mangiacavallo
Giancarlo Cancelleri
Angela Foti
Francesco Cappello*
Gianina Ciancio
Antonio Venturino
Valentina Zafarana
Claudia La Rocca
Salvatore Siragusa
Giorgio Ciaccio
Giampiero Trizzino*
Vanessa Ferreri
Stefano Zito
Valentina Palmeri
Sergio Troisi
*Cancelleri dovrà optare per un seggio tra i collegi di Caltanissetta, Catania e Palermo

Debito pubblico e la fila per il pane.



"Caro Beppe, non solo il Grecia si fa la fila per il pane. Anche a Milano, tutte le mattine in viale Monza migliaia di persone si rivolgono alla sede di "Pane Quotidiano".
'Fino a dieci anni fa c'erano circa 1500 persone in fila tutti i giorni', racconta Luigi Rossi, uno dei responsabili della struttura, 'oggi sono 2500, divisi tra il centro di viale Toscana e quello di viale Monza. E nel fine settimana si arriva anche a 3000'. Mario M.


http://www.beppegrillo.it/2012/10/debito_pubblico_e_la_fila_per_il_pane.html

DUE O TRE COSE SU DI PIETRO – di Marco TRAVAGLIO



"IN VENT’ANNI DI PROCESSI, SPIATE DEI SERVIZI SEGRETI AL SOLDO DI CHI SAPPIAMO, CAMPAGNE CALUNNIOSE ORCHESTRATE DA CHI SAPPIAMO CHE L’HANNO VIVISEZIONATO E PASSATO MILLE VOLTE AI RAGGI X, RICICCIA FUORI SEMPRE LA SOLITA MINESTRA, GIA GIUDICATA INFONDATA E DIFFAMATORIA DA FIOR DI SENTENZE "

"Come ciclicamente gli accade, da quando è un personagg
io pubblico, cioè esattamente da vent’anni, Antonio Di Pietro viene dato per morto. Politicamente, s’intende. Gli capitò nel ’ 94, quando dovette dimettersi da pm per i ricatti della banda B. Poi nel ‘ 95, quando subì sei processi a Brescia per una trentina di capi d’imputazione (sempre prosciolto). Poi nel ‘ 96 quando si dimise da ministro per le calunnie sull ’affaire Pacini Battaglia-D’Adamo. Poi nel 2001, quando la neonata Idv fu estromessa dal centrosinistra e per qualche decimale restò fuori dal Parlamento. Poi ancora quando il figlio Cristiano finì nei guai nell’inchiesta Romeo a Napoli; quando i suoi De Gregorio, Scilipoti e Razzi passarono a miglior partito; quando alcuni ex dipietristi rancorosi lo denunciarono per presunti abusi sui rimborsi elettorali e sull’acquisto di immobili; quando una campagna di stampa insinuò chissà quale retroscena su un invito a cena con alti ufficiali dell’Arma alla presenza di Contrada; quando le presunte rivelazioni dell’ex ambasciatore americano, ovviamente morto, misero in dubbio la correttezza di Mani Pulite. Ogni volta che finiva nella polvere, Di Pietro trovava il modo di rialzarsi.

Ora siamo all’ennesimo replay, con le indagini sui suoi uomini di punta nelle regioni Lazio, Emilia, Liguria, mentre il centrosinistra lo taglia fuori un’altra volta, Grillo fa man bassa nel suo elettorato più movimentista e Report ricicla le accuse degli “ex” sui rimborsi e sulle case. Si rimetterà in piedi anche stavolta, o il vento anti-partiti che soffia impetuoso nel Paese spazzerà via anche il suo?

Cominciamo da Report, programma benemerito da tutti apprezzato: domenica sera Di Pietro è apparso in difficoltà, davanti ai microfoni dell’inviata di Milena Gabanelli. Ma in difficoltà perché? Per scarsa abilità dialettica o perché avesse qualcosa da nascondere, magari di inedito e inconfessabile? A leggere (per noi, rileggere) le carte che l’altroieri ha messo a disposizione sul suo sito, si direbbe di no: decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia. E nemmeno nelle case, che non sono le 56 che qualche testimone farlocco o vendicativo, già smentito dai giudici, ha voluto accreditare: oggi sono 7 o 8 fra la famiglia Di Pietro, la famiglia della moglie e i due figli. Quanto alla donazione Borletti, risale al 1995, quando Di Pietro era ancora magistrato in aspettativa e imputato a Brescia: fu un lascito personale a un personaggio che la nobildonna voleva sostenere nella speranza di un suo impegno in politica, non certo un finanziamento a un partito che ancora non esisteva (sarebbe nato tre anni dopo e si sarebbe presentato alle elezioni sei anni dopo, nel 2001, e l’ex pm lo registrò regolarmente alla Camera tra i suoi introiti).

Il resto è noto e arcinoto: all’inizio l’Italia dei Valori era un piccolo movimento “personale”, tutto incentrato sulla figura del suo leader, che lo gestiva con un’associazione omonima insieme a persone di sua strettissima fiducia. In un secondo momento cambiò lo statuto per dargli una gestione più collegiale. Decine di giudici hanno già accertato che fu tutto regolare, fatta salva qualche caduta di stile familistica e qualche commistione fra l’entourage del leader e il movimento.

Di Pietro potrebbe anche fermarsi qui: se, in vent’anni di processi, spiate dei servizi segreti al soldo di chi sappiamo, campagne calunniose orchestrate da chi sappiamo che l’hanno vivisezionato e passato mille volte ai raggi X, riciccia fuori sempre la solita minestra, già giudicata infondata e diffamatoria da fior di sentenze, vuol dire che di errori ne ha commessi, ma tutti emendabili, perché il saldo finale rimane positivo. Senza l’Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all’indulto, agl’inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti; e certe Procure, come quella di Palermo impegnata nel processo sulla trattativa, sarebbero rimaste sole, o ancor più sole. Senza contare che Di Pietro non ha mai lottizzato la Rai e le Authority. É vero, ha selezionato molto male una parte della sua classe dirigente (l’abbiamo sempre denunciato). Ma quando è finito sotto inchiesta si è sempre dimesso e, quando nei guai giudiziari è finito qualcuno dei suoi, l’ha cacciato.

Ora la sorte dell’Idv, fra l’estinzione e il rilancio, è soltanto nelle sue mani. E non dipende dal numero di case di proprietà, ma da quel che farà di qui alle elezioni. Siccome è ormai scontato che si voterà col Porcellum, dunque ancora una volta i segretari di partito nomineranno i propri parlamentari, apra subito i gazebo per le primarie non sulla leadership, ma sui candidati. E nomini un comitato di garanti con De Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto. Qualche errore sarà sempre possibile, ma almeno potrà dire di aver fatto tutto il possibile per sbarrare la strada a nuovi Scilipoti, Razzi e Maruccio. Nel prossimo Parlamento, verosimilmente ingovernabile e dunque felicemente costretto all’inciucione sul Monti-bis, ci sarà un gran bisogno di oppositori seri, soprattutto sul tema della legalità. Se saranno soltanto i ragazzi di Grillo o anche gli uomini dell’Idv, dipende solo da lui.

Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO, 31 ottobre 2012





La morte dei poveri non f notizia.



Tutti i media parlano dell'uragano che sta colpendo l'america, ma nessuno del disastro che ha lasciato con il suo passaggio a Cuba.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/30/processo-ruby-fede-avvocati-troppo-cari-rinuncio-a-difendermi/398864/

martedì 30 ottobre 2012

Uragano Sandy: Repubblica Dominicana, ma tutti parlano solo di New York.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=541567432535800&set=a.187107907981756.53620.187106444648569&type=1&theater

Pdl bancomat: Scilipoti, Pionati, Miccichè. Migliaia di euro ai mini alleati di B..


BERLUSCONI PAGA TUTTI


Nel 2011 il partito ha erogato oltre 2 milioni di euro a movimenti e associazioni che hanno sostenuto il Cavaliere. Dai responsabili di Scilipoti ai cristiano popolari Baccini fino ad arrivare agli "Italiani per la libertà" di Caselli (coinvolto nell'inchiesta Finmeccanica) e addirittura alla Forza del Sud di Miccichè, ieri decisivo (in negativo) per la vittoria di Crocetta.

Centinaia di migliaia di euro ai “mini alleati”: i movimenti che rappresentano un deputato o due come l’ex Idv Mimmo Scilipoti o l’ex Udc Mario Baccini. O che vantano piccole percentuali in qualche pezzetto del Paese, che possono raccogliere adesioni e fare “marketing” sul territorio (Michela Vittoria Brambilla e i suoi Circoli delle Libertà). Certo, spiccano coloro che hanno “saltato il fosso” ai tempi del 14 dicembre 2010, quando Berlusconi aveva rischiato di cadere una prima volta (un anno prima di essere invitato a lasciare dai mercati, da mezza Europa e dal presidente della Repubblica e di essere sostituito da Monti). Il Pdl, comunque, è un bancomat: nel 2011 ha erogato, soprattutto per le spese elettorali, contributi per oltre 2 milioni di euro a tutta la galassia intorno al Pdl. Tra questi anche quelli che non “dovrebbero” esserci: Gianfranco Miccichè e al suo Forza Sud, per esempio, essenziale (in negativo per il centrodestra) per la vittoria in Sicilia di Rosario Crocetta. Ma anche Italiani per la libertà, l’associazione presieduta dal senatore pidiellino Esteban Juan Caselli, di professione ambasciatore, eletto in Sud America, il cui nome è emerso dall’inchiesta su Finmeccanica
Secondo l’ultimo bilancio, quello per l’esercizio 2011, il partito di Silvio Berlusconi ha erogato lo scorso anno, soprattutto per partecipare alle spese elettorali, contributi per una somma complessiva di 2 milioni 196mila 246 euro. La cifra, inserita nella voce “Contributi ad associazioni”, pur essendo diminuita di 2 milioni 705mila euro rispetto all’importo di 4 milioni 901mila euro versato nel 2010, resta molto consistente in tempi di crisi come questo. I beneficiari? Si va dal Movimento di responsabilità nazionale di Mimmo Scilipoti al Circolo della Libertà di Michela Vittoria Brambilla. Dai Cristiano popolari di Mario Baccini ai Liberal democratici di Italo Tanoni
Tra i maggiori beneficiari tuttavia (con ben 300mila euro) c’è proprio Forza del Sud, il movimento politico fondato nell’ottobre di due anni fa dall’allora sottosegretario all’Economia del Berlusconi quater, Gianfranco Miccichè. Cioè colui che ha rotto poi l’alleanza con il Pdl in Sicilia, favorendo così il successo di Crocetta (Forza del Sud è poi confluito nel Grande Sud).
Desta ulteriore curiosità, invece, il contributo di 175 mila euro ricevuto da Italiani per la libertà, l’associazione presieduta dal senatore Caselli. Originario dell’Argentina ed eletto nella circoscrizione estero, ripartizione America Meridionale, introdotto all’allora direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere (poi arrestato) proprio da Berlusconi. Il politico avrebbe voluto, come altri, “provvigioni” da Finmeccanica. Il ruolo di Caselli, secondo gli inquirenti, sarebbe stato quello di mediatore per degli affari (poi sfumati) con l’Indonesia. Pozzessere aveva raccontato tutto agli inquirenti l’11 novembre 2011: “Nel marzo-aprile 2011 mi trovavo al circolo degli Esteri a Roma… quando ho ricevuto una telefonata dal presidente Berlusconi il quale mi chiese se Finmeccanica (o meglio Alenia e Agusta) erano interessate a vendere aerei e elicotteri al Governo dell’Indonesia: a tale domanda io risposi affermativamente e lui mi disse che c’era un suo amico, il senatore Esteban Caselli, che poteva esserci utile, nel senso che Caselli conosceva una persona che poteva esserci utile per la trattativa in Indonesia”.
E ancora spicca il milione di euro, poi ridotto a 700mila euro, a favore dei Liberal Democratici per il Rinnovamento, guidato dai parlamentari Italo Tanoni e dall’ex sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre. Si tratta degli ex “diniani”. La Melchiorre entrò nel governo Prodi bis (2006-2008) come sottosegretario. Poi i “lib-dem” contribuirono a far cadere il governo di centrosinistra e furono rieletti in quota con il Pdl. Per un po’ non ebbero incarichi nell’esecutivo Berlusconi e si limitarono all’appoggio esterno, ma alla fine la Melchiorre tornò sottosegretario alla Giustizia per una ventina di giorni: all’improvvisò si sorprese delle celebri dichiarazioni del Cavaliere a Obama durante un vertice internazionale sulle persecuzioni dei giudici di sinistra. Così la Melchiorre si dimise dal governo. A ridosso del 14 dicembre 2010 decisero di togliere la fiducia a Berlusconi, ma non furono decisivi. Ma i lib-dem restano nell’area Pdl e nell’aprile del 2011 sono tra le forze politiche che sostengono il conflitto di attribuzione per il processo Ruby: è il giorno in cui la Camera votò la tesi secondo la quale Berlusconi era davvero convinto che la ragazza marocchina fosse la nipote di Mubarak.
“Va segnalato - scrivono i tesorieri pidiellini Rocco Crimi e Maurizio Bianconi nella relazione gestionale del rendiconto pubblicato di recente sulla Gazzetta ufficiale - che l’ammontare iniziale dell’impegno verso la formazione politica in questione era di 1 milione 300mila euro, sceso a 1 milione di euro per effetto del pagamento di 300mila euro eseguito nell’anno, importo infine successivamente ridotto a 700 mila euro”. I rappresentanti legali del partito spiegano le ragioni del caso dei Liberal Democratici anche in un altro passaggio della relazione: “Nel mese di maggio la Camera ha approvato nuove disposizioni in materia di finanziamento e bilanci dei partiti politici. Tali norme, oltre a prevedere regole più stringenti in materia di controllo attraverso la creazione di un’apposita Commissione e l’introduzione dell’obbligo di certificazione da parte di società di revisione, stabiliscono una forte riduzione dei rimborsi delle spese elettorali già a partire dall’annualità relativa al 2012”. Dopo l’approvazione di queste regole, continuano Crimi e Bianconi, “è stato sottoscritto un atto di transazione con i Liberal Democratici per il Rinnovamento con il quale l’importo residuo di 1 milione di euro ad esse ancora dovuto è stato decurtato fino a 700mila euro. Questo ammontare, come concordato nell’atto in questione, è stato immediatamente a loro versato”.
La “lista dei beneficiati” del Pdl è ampia e coinvolge anche molte formazioni che hanno consentito al governo Berlusconi di sopravvivere con una maggioranza risicata alla Camera. Centomila euro sono stati assegnati ad Azione sociale, il movimento che fa capo alla deputata pidiellina Alessanda Mussolini, che già in passato ha beneficiato di altre elargizioni. Ottantamila euro sono finiti all’Alleanza di centro per la libertà di Francesco Pionati, 49mila euro al Movimento di responsabilità nazionale, fondato dall’ex dipietrista Scilipoti, leader dei responsabili che salvò più volte il governo Berlusconi dalla crisi di governo; 40mila euro per i Cristiano popolari, movimento guidato dall’ex ministro Udc Baccini.
E ancora: 144 mila euro sono stati attribuiti a Democrazia cristiana per la Campania, associazione (presieduta da Ugo Grippo) che fa parte della Federazione dei partiti della Democrazia cristiana a cui hanno aderito varie regioni tra cui, appunto, la Campania; 27 mila al “brambilliano” Circolo della libertà nato il 20 novembre 2006 e presieduta dall’ex ministro.
“Ogni contributo – aggiungono Crimi e Bianconi - è stato erogato nell’anno in esame, ad eccezione dell’importo di 700mila euro che al 31 dicembre risulta ancora da versare ai Liberal Democratici per il Rinnovamento, secondo la scadenza di pagamento stabilità negli impegni economici e politici sottoscritti nel 2011. Tale ammontare è iscritto nello stato patrimoniale negli ‘Altri debiti correnti’, esigibili, quindi, entro l’esercizio successivo”.  In particolare, il Pdl ha staccato un assegno di quasi 200 mila euro “a titolo di partecipazione delle spese” per alcune campagne elettorali. Per la precisione: 96mila sono stati attribuiti al Comitato regionale romano della Democrazia cristiana per le autonomie dell’ex ministro Rotondi, mentre 180mila sono stati versati al “Comitato per Guido Podestà presidente della provincia di Milano” e 4mila euro al “Comitato elettorale Macerata nel cuore” per sostenere la candidatura a sindaco di Fabio Pistarelli alle elezioni amministrative di due anni fa. “Questi due contributi – si legge nella relazione – sono stati erogati a titolo di partecipazione alle spese effettuate dai due comitati nel corso della campagna elettorale relativa al rinnovo, rispettivamente, del consiglio provinciale di Milano svolta nel 2009 e di altre locali elezioni amministrative del 2010”.
All’interno della voce “Quote associative”, i tesorieri segnalano poi la “presenza del versamento di 234 mila 639 euro effettuato dal nostro partito al Ppe, come accaduto anche negli anni precedenti, quale quota di nostra spettanza relativa all’anno 2011”. Infine, nella voce “Contributi erogati a parlamentari a sostegno della loro attività di comunicazione”, figura un unico contributo al segretario Angelino Alfano per una somma di 61mila 539 euro. Discorso a parte le “iniziative per accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica” che ammontano a 192mila euro nel 2011: “Rispetto al passato esercizio aumentano del medesimo importo in quanto all’epoca non esponevano alcun totale”. In questa voce è compreso anche il versamento di un contributo all’ex ministro Mara Carfagna pari a 75mila euro.