Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 7 novembre 2012
Gente del Colorado...
Ieri il Colorado (USA) ha legalizzato la Marijuana: la foto è stata scattata questa mattina nella metropolitana di Denver.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=483784428332340&set=a.114119385298848.6708.114119185298868&type=1&theater
Uccide i figli a coltellate per punire la moglie che non voleva portare il velo.
Perugia - (Adnkronos) - Il duplice delitto a Umbertide, Mustafa Hajjiji, 44 anni di nazionalità marocchina. I bambini di 8 e 12 anni vivevano con la madre in un appartamento a Umbertide, provincia di Perugia, da poco tempo dopo la separazione dei due.
Perugia, 7 nov. (Adnkronos) - Un uomo di 44 anni di nazionalità marocchina, Mustafa Hajjiji, ha ucciso a coltellate ieri sera i suoi figli di otto e dodici anni. I piccoli, il maschio più piccolo, di 8 anni e la femmina di poco più grande (12), vivevano con la madre in un appartamento a Umbertide, provincia di Perugia, da poco tempo. L'uomo dopo il gesto ha tentato il suicidio.
A quanto emerge dalle indagini dei carabinieri coordinati dal pubblico ministero Mario Formisano, la madre dei due bambini uccisi, aveva litigato con il convivente per questioni legate al velo. Secondo quanto si apprende, la volontà della donna di non indossare il velo e di essere più indipendente, potrebbe essere l'antefatto alle angherie del convivente Mustafa Hajjiji, denunciato per maltrattamenti dalla donna il mese scorso. La donna aveva riferito ai carabinieri della stazione di Città di Castello, che l'uomo le aveva puntato un coltello contro minacciandola.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Uccide-i-figli-a-coltellate-per-punire-la-moglie-che-non-voleva-portare-il-velo_313868341826.html
Quando l'uomo si renderà conto del fatto che le donne non sono cose ma esseri umani come loro?
L'uomo è fondamentalmente stupido! Tranne qualche eccezione.
Inps, l'allarme della Corte dei Conti "Il precariato inciderà sui trattamenti".
Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino
MILANO - Le "crescenti forme di precarietà del mercato del lavoro, nei posti e nelle retribuzioni, che incidono sui futuri trattamenti pensionistici, soprattutto per le fasce più deboli (giovani e donne)" avranno "riflessi su adeguatezza delle prestazioni e sostenibilità sociale del sistema". Lo afferma la Corte dei Conti nel rapporto sull'Inps in cui si sottolinea anche la necessità di monitorare assiduamente l'incidenza delle riforme del lavoro e della previdenza obbligatoria sulla spesa pensionistica fino all'entrata a regime del sistema contributivo e sottoporre a riesame il modello della previdenza complementare.
La Corte rileva un'ulteriore contrazione dell'avanzo finanziario nel 2011 e un accentuato deficit economico e prevede "pesanti risultanze negative nel 2012, che incorporano lo squilibrio strutturale già evidenziato dalla corte" nel referto sulla gestione acquisita dell'Inpdap. Per questo i giudici ritengono che siano "indilazionabili" le misure di risanamento dei principali fondi dell'Inps e la razionalizzazione di quelli minori "in consecutiva e più marcata perdita complessiva, contenuta solo in parte dagli attivi della Gestione per le prestazioni temporanee e di quella per i parasubordinati, il cui netto patrimoniale congiunto prevale sui gravosi passivi degli autonomi (agricoli e commercianti) e del più grande Fondo per il lavoro dipendente (appesantito dai dissesti strutturali dei dirigenti di azienda e di quelli della elettricità, trasporti e telefonia), i cui saldi negativi tra contributi e prestazioni trovano insufficiente copertura nel finanziamento statale, ancora non adeguatamente individuato nella componente assistenziale a carico della fiscalità".
La Corte rileva un'ulteriore contrazione dell'avanzo finanziario nel 2011 e un accentuato deficit economico e prevede "pesanti risultanze negative nel 2012, che incorporano lo squilibrio strutturale già evidenziato dalla corte" nel referto sulla gestione acquisita dell'Inpdap. Per questo i giudici ritengono che siano "indilazionabili" le misure di risanamento dei principali fondi dell'Inps e la razionalizzazione di quelli minori "in consecutiva e più marcata perdita complessiva, contenuta solo in parte dagli attivi della Gestione per le prestazioni temporanee e di quella per i parasubordinati, il cui netto patrimoniale congiunto prevale sui gravosi passivi degli autonomi (agricoli e commercianti) e del più grande Fondo per il lavoro dipendente (appesantito dai dissesti strutturali dei dirigenti di azienda e di quelli della elettricità, trasporti e telefonia), i cui saldi negativi tra contributi e prestazioni trovano insufficiente copertura nel finanziamento statale, ancora non adeguatamente individuato nella componente assistenziale a carico della fiscalità".
I conti generali dell'Istituto - sottolinea la Corte - registrano nel 2011 "un'ulteriore contrazione dell'avanzo finanziario e un accentuato deficit economico, connessi al primo declino degli apporti statali, dalle cui dimensioni quantitative e soprattutto qualitative (a titolo di trasferimenti o di anticipazioni a debito ) restano condizionate le stime di pesanti risultanze negative nel 2012, che incorporano lo squilibrio strutturale, già evidenziato dalla Corte nel recente referto sulla più grande gestione acquisita dell'ex Inpdap, corretto solo in parte dagli ultimi provvedimenti normativi". Anche in quest'ottica sono necessarie "misure di rilancio" per la previdenza complementare per "incentivare le esigue iscrizioni" ma anche misure di "razionalizzazione" per ridurre l'estrema polverizzazione dei fondi. Secondo la Corte dei Conti il modello della previdenza complementare va "sottoposto a riesame".
La Corte dei Conti "richiama", poi, l'Inps a una "attenta e responsabile riflessione sul crescente ricorso a risorse umane esterne" (lavoro in somministrazione a copertura dell'organico, consulenze, utilizzo generalizzato di procuratori e sostituti di udienza, massiccio impiego di medici convenzionati) "per le incidenze sullo svolgimento di funzioni istituzionali spesso delicate e di elevato rilievo sociale ed i rischi di perdita delle stesse capacità di autogoverno dell'Ente". Lo afferma la Corte nella sua relazione sulla gestione finanziaria dell'Inps per il 2011.
http://www.repubblica.it/economia/2012/11/06/news/inps_l_allarme_della_corte_dei_conti_monitorare_la_spesa_per_pensioni-46010645/
Era facilmente deducibile...questo governo di "saccenti", succeduto a quello di imbecilli, sta affossando ulteriormente l'economia del paese. L'austerità non comporta espansione, bensì implosione.
Grillo: “Di Pietro è amico, non è alleato. No talk show per i 5 Stelle”.
Di Pietro corre insieme al Movimento 5 Stelle? Niente affatto. E’ lo stesso Grillo a smentire le voci che lo darebbero alleato al leader dell’Italia dei Valori per le prossime politiche in 12 punti pubblicati online (sopra lo screenshot del post) in cui specifica, tra l’altro, quale è la linea del movimento su primarie e partecipazione alle trasmissioni televisive. E dove cancella anche uno dei pilastri del movimento, ovvero quello delle dimissioni in bianco. Un’abitudine consolidata nel Movimento tra chi ha assunto incarichi pubblici che consisteva nel rimettere ogni sei mesi il mandato nelle mani dei cittadini. Un modo, forse, per salvare i ‘colonnelli’ del Movimento che altrimenti non rischiano di non vedersi rinnovata la fiducia della base.
Beppe Grillo pubblica sul blog “una ‘guida for dummies‘ per tutti coloro che hanno dubbi interpretativi, dietrologie, necessità di chiarimenti”. Innanzitutto l’alleanza alle politiche, dove il movimento correrà da solo. “Antonio Di Pietro ha la mia amicizia – scrive il comico genovese sul suo blog -, ma il M5S non si alleerà né con l’Idv, né con nessun altro. Il M5S vuole sostituire il Sistema dei partiti con la democrazia diretta. In sostanza vuole la fine dei partiti basati sulla delega in bianco”.
Poi, alla voce “T come Televisione“, Grillo specifica che “non sono ‘vietate’ interviste di eletti del M5S trasmesse in televisione per spiegare le attività di cui sono direttamente responsabili”, ma allo stesso tempo “è fortemente sconsigliata (in futuro sarà vietata) la partecipazione ai talk show condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti, come è il caso delle reti Rai, delle reti Mediaset e de La7“. Un riferimento che punta dritto alla scorsa puntata di Ballarò, al centro delle polemiche dopo la partecipazione della consigliera comunale di Bologna Federica Salsi. Il leader M5S ha paragonato la tv al “punto G” e lei ha replicato accusandolo di essere figlio della cultura berlusconiana. Attacchi e polemiche al vetriolo culminati nell’isolamento della Salsi in Consiglio comunale a cui la consigliera ha reagito paragonando il Movimento a Scientology.
Cruciale anche il dietrofront sulla remissione mandati. Una decisione che si innesta sulla scia delle polemiche a seguito di quanto accaduto in consiglio comunale a Bologna, dove il consigliere Massimo Bugani, dopo la presa di distanza da Federica Salsi, rischia di non vedersi rinnovata la fiducia dei cittadini nell’assemblea fissata per il 14 novembre. Infatti alla lettera “R comeRemissione del mandato” Grillo scrive che ”il consigliere, il sindaco o il parlamentare non ha alcun obbligo di rimettere il mandato periodicamente (ad esempio ogni sei mesi)”.
Nella ‘guida for dummies’, il blogger puntualizza la posizione dei 5 Stelle su alcuni grandi temi, ricordando, tra le altre cose, che gli eletti nelle file del Movimento non percepiranno più di 5mila euro lordi al mese; non ci saranno primarie ma la sola scelta del portavoce per Camera e Senato. Il Movimento inoltre voterà anche proposte di altri partiti se aderenti al programma dei 5 Stelle. Sulla questione euro, la decisione di rimanere nella moneta unica “spetta ai cittadini italiani attraverso un referendum”. E prosegue: “Io ritengo che l’Italia non possa permettersi l’euro, ma devono essere gli italiani a deciderlo e non un gruppo di oligarchi o Beppe Grillo”. Il M5S inoltre “non candida chi ha svolto due mandati anche se interrotti” e “supporta e appoggia le istanze dei movimenti con obiettivi comuni, come è avvenuto per il no al nucleare, l’acqua pubblica, il No Tav e il No Gronda, eccetera”. Sui rimborsi confermata la linea di sempre: “il M5S non ha incassato alcun rimborso elettorale per le regionali e non lo incasserà per le prossime politiche”.
Pdci: “Editto è web-dittatura” – Flavio Arzarello, responsabile della comunicazione del Pdci, definisce il post “l’editto di Beppe Grillo”, che è il contrario della “democrazia diretta” perché vietare “ai suoi la partecipazione ai talk show è segno di delirio di onnipotenza”. Per Arzarello “siamo alla ‘web-dittatura’ di una sola persona. Gli italiani se ne accorgeranno molto in fretta”.
Puppato (Pd): “Solidarietà a Federica Salsi” – Laura Puppato, consigliere regionale del Pd in Veneto e candidata in corsa alle primarie del centrosinistra, solidarizza con Federica Salsi e si schiera contro “il bavaglio” voluto dal comico 5 Stelle. “E’ vero che ogni movimento o partito ha le sue regole, ma le regole si possono anche infrangere quando sono irragionevoli e immotivate. Qui non stiamo parlando di valori o di principi non rispettati ma di televisione, di comunicazione”. Inoltre, ha aggiunto, “ritenere tuttavia che questo possa essere una ragione per determinare un’autoesclusione dalla tv o dagli spazi informativi che ti consentono di spiegare come la pensi e cosa vorresti fare, lo trovo presuntuoso eccessivo e esagitato. Proprio non lo condivido”.
"T come Televisione: non sono "vietate" interviste di eletti del M5S trasmesse in televisione per spiegare le attività di cui sono direttamente responsabili. E' fortemente sconsigliata (in futuro sarà vietata) la partecipazione ai talk show condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti, come è il caso delle reti RAI, delle reti Mediaset e de La7"
martedì 6 novembre 2012
Legge elettorale: premio col 42,5%. Rutelli: “Così non lo prende Grillo”.
Via libera della commissione Affari Costituzionali del Senato a un emendamento alla legge elettorale che prevede che per conquistare il premio di maggioranza una coalizione debba superare una soglia del 42,5% (oggi invece lo prende la coalizione a prescindere dalla percentuale). A favore dell’emendamento presentato da Francesco Rutelli, oltre al suo gruppo Api, anche la Lega, Udc, Mpa e Pdl. Il senso del provvedimento dell’ex sindaco di Roma? E’ lui a spiegarlo: “Evitare che Grillo prenda il premio di maggioranza”. Contrari Pd e Idv. Si tratta della seconda approvazione, nel giro di poche settimane, che avviene con i voti della “vecchia maggioranza” (cioè il centrodestra che vinse le elezioni del 2008), anche se in questo caso ha avuto la presenza – decisiva – delle forze di centro dell’Udc e dell’Api di Rutelli. Che dice: “Una soglia significativa è la condizione base per evitare avventure. Il Sicilia il primo partito è stato quello di Grillo e la prima coalizione quella di centrosinistra – è il ragionamento dell’ex sindaco di Roma – Occorre una soglia alta per avere un premio di maggioranza per governare altrimenti il rischio è che il primo partito che ottiene il premio è Grillo. Ed è un rischio molto alto”.
Un emendamento anti Grillo, quindi. E Rutelli non lo nasconde. “Qui si tratta – aggiunge – di mettere a punto un sistema che consenta a una coalizione di governare, altrimenti diventa una legge truffa. O c’è una maggioranza coerente e adeguata che ottiene il premio per il governo oppure è bene redistribuire il premio in modo che sia il parlamento a formare la coalizione che sceglie il premier anziché affidare il tutto a un terno al lotto”. Secondo il leader dell’Api “non si può dare il 55 per cento” dei seggi “a chi prende il 30 per cento” dei voti, “sennò lo prende Grillo”.
Tutto ciò accade nella stessa giornata in cui il segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani aveva avvertito: “Sulla legge elettorale non si fanno colpi di mano da parte di maggioranze spurie. Il Pd è pronto a discutere in commissione ma no a votazioni random né a forzature”. Il no a qualsiasi forzatura è per Bersani uno dei due punti fermi. L’altro è la garanzia di governabilità. “Serve attenzione alla governabilità perché l’Italia si trova davanti a tantissimi problemi e la colpa più imperdonabile sarebbe allestire una legge elettorale che in premessa inibisse la governabilità”, ha avvertito. Detto questo, ha proseguito, “siamo assolutamente pronti a discutere. La commissione deve continuare una discussione che porti a una soluzione ben fatta, non con votazioni random e l’idea di forzare la mano che potrebbe avere qualcuno. La soluzione è possibile e noi abbiamo qualche idea”. E sempre oggi il presidente del Consiglio Mario Monti aveva auspicato un accordo tra i partiti anche se aveva avvertito che anche il governo potrebbe avere gli strumenti tecnici per intervenire, in questo sostenendo anche il nuovo appello del presidente della Repubblica.
E invece? Invece è successo proprio quello che Bersani aveva auspicato non succedesse. Così la capogruppo del Pd in Senato, Anna Finocchiaro, usa toni duri: così, dice, è rotto il dialogo. Questo voto ripropone “la riedizione di una strana maggioranza, una strana coalizione magari con un premier tecnico che garantirebbe il Pdl che così non registra una debacle, la Lega e le opposizioni”. A questo punto, continua Finocchiaro, “i lavori della commissione sono compromessi, ora si va in Aula. Noi presenteremo un emendamento per l’Aula se fisserà una soglia al 40% però un premio al 54% oppure un premio al primo partito del 10-12%”. Coloro che hanno votato l’emendamento Rutelli sulla soglia al 42,5% “sono forze politiche – sottolinea – che vogliono consegnare il Paese ad una situazione dove nessuno vince e nessuno perde”. Noi del Pd, invece, vogliamo una legge che dia stabilità al Paese. Purtroppo si sono avverate le previsioni di Bersani”.
Ancor più duro il commento del segretario democratico. “Sia chiaro che se ci si ferma ad oggi noi non ci stiamo non per noi ma per l’Italia, questo impianto va profondamente aggiustato” ha detto Bersani, secondo cui ”evidentemente c’è qualcuno che per paura che governiamo noi vuole impedire la governabilità del Paese. Ma sul punto della governabilità noi non cederemo in nessun modo”. Il segretario del Pd, poi, ha detto la sua anche sul rapporto con l’Udc e con Pierferdinando Casini: “La strada è lunga, ora vedremo quanti sgambetti” ha risposto Bersani a chi gli ha ricordato che il leader dei centristi aveva assicurato che nella riforma elettorale non avrebbe fatto sgambetti al Pd.
Il Pd, proprio perché aveva odorato l’aria di sconfitta in commissione, era rimasto a consulto per oltre un’ora, alla Camera, sulla riforma della legge elettorale prima della seduta in commissione. All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, i capigruppo Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, Maurizio Migliavacca, Luciano Violante, Gianclaudio Bressa. La linea emersa dalla riunione era stata quella di continuare a trattare sulla riforma per evitare che il Pd si ritrovi isolato da un nuovo asse Pdl-Lega-Udc. Il rischio è infatti, si ragiona in ambienti dei democratici, quello di un voto sulla riforma senza il Pd che potrebbe dare il destro agli altri partiti di intestarsi, indipendentemente dall’esito finale del provvedimento, la volontà di riformare l’attuale legge indicando i democratici come quelli che vogliono mantenere il Porcellum. In realtà il problema, secondo il Pd, non era tanto il premio di maggioranza alla coalizione (42,5%, appunto) quanto l’appendice che i democratici vorrebbero: se nessuno conquisti il premio di coalizione scatterebbe il premio (del 10%) al primo partito. In tal senso, il Pd ha fatto intendere che presenterà un proprio emendamento ad hoc non in Commissione, bensì in Aula.
In questo bailamme Pierferdinando Casini trova modo comunque per esultare: “Stanno maturando le condizioni per un accordo sulla legge elettorale. Finalmente”. ”L’individuazione di una soglia era cosa sacrosanta dopo i rilievi della Corte Costituzione” dice Casini. Per il leader dei centristi il testo è “migliorabile”. E non ha nulla a che vedere con il Monti-Bis, sostiene. Questo sulla legge elettorale, spiega, è “un work in progress. La norma è perfezionabile in Aula, si troverà un’intesa” ed anche nel Pd “lo sanno benissimo che alla fine un accordo si trova”. “Bisognava trovare un punto, altrimenti non se ne usciva” commenta. E il voto contrario del Pd? “Ci sono reazioni di facciata e altre di sostanza. A me interessano le seconde”. Poi sbotta su Twitter: “Basta sceneggiate sulla legge elettorale. Una soglia minima per il premio di maggioranza la chiede anche la Corte Costituzionale. Il Pd, invece di protestare, colga l’ottima occasione per migliorare il lavoro della Commissione. Siamo disponibili a ogni ragionevole modifica”. La ritrovata intesa tra Pdl e Udc è testimoniata anche da un altro fattore: Casini dice le stesse identiche cose (con le stesse identiche parole) di un colonnello del Popolo della Libertà: Fabrizio Cicchitto. “Al netto del confronto avuto col Pd che ci auguriamo possa trovare nei lavori successivi una ricomposizione, comunque è positivo che in Commissione al Senato ci sia stata una decisione perché mette in moto un meccanismo innovativo rispetto all’attuale legge elettorale e quindi crea le condizioni per scriverne un’altra. Ci auguriamo che anche il Pd colga questa occasione per contribuire a scrivere una nuova legge elettorale in una situazione nella quale l’alternativa è il mantenimento della legge attuale”.
Non la pensa così Nichi Vendola, che coglie l’occasione per tornare ad attaccare duramente il leader dell’Udc. ”Al Senato è andata in scena la ‘Notte dei morti viventi’” ha detto il numero uno di Sel, secondo cui “si è ricostruito il centrodestra sulla base della disperazione e con l’obiettivo di rendere ingovernabile il Paese” Poi la stoccata a Pierferdinando Casini che per Vendola “evidentemente ha sentito il richiamo della foresta. Della serie, va dove ti porta il cuore…”.
Acqua sul fuoco, invece, da Gaetano Quagliariello che ha spiegato il timing di quanto accaduto a Palazzo Madama. ”La settimana scorsa ho chiesto una pausa per cercare degli accordi, oggi sono arrivato qui e non ho trovato novità; se ci fosse stata unanimità non ci saremmo tirati indietro su un’ulteriore proroga” ha detto il vice capogruppo del Pdl al Senato. Che poi ha specificato: “Abbiamo votato la soglia ma questo non implica che questo testo non possa essere allargato e specificato. Non abbiamo ancora stabilito cosa accade se non si arriva alla soglia e se si misura con seggi o voti. Diciamo al Pd di scendere dalla torre d’avorio dalla quale ci giudicano per cercare una soluzione per contemperare stabilità e rappresentatività. Per quello che ci riguarda – ha aggiunto Quagliariello – non c’è stata una rottura. C’è l’Aula ma ci sono anche le proposte dei relatori che possono essere ancora fatte in commissione”. E se arrivasse una proposta sul modello D’Alimonte? “Questa proposta – replica Quagliariello – non è ancora arrivata. Se arriverà la valuteremo, se viene fuori non c’è alcuna preclusione”.
Tav, in Francia la Corte dei conti boccia il progetto: “Costi alti e ricavi a rischio”. - Andrea Giambartolomei
I costi sono aumentati troppo, da 12 a 26 miliardi di euro, e il flusso delle merci è diminuito. Sono alcune delle critiche al progetto dell’Alta velocità Torino-Lione espresse dalla Corte dei Conti francese. Ieri i magistrati contabili di Parigi hanno pubblicato il parere, fornito al primo ministro Jean-Marc Ayrault a inizio agosto, in cui vengono elencati i dubbi sul progetto. Si tratta di un documento importante in vista del vertice sul Tav tra Mario Monti e François Hollande a Lione il prossimo 3 dicembre.
“Il carattere internazionale del progetto, la sua anzianità e la sua complessità rendono difficile esprimere delle raccomandazioni”, scrive il presidente della Corte Didier Migaud, che chiede di non trascurare soluzioni alternative, cioè i miglioramenti della linea esistente, e di considerare delle misure per spostare il traffico transalpino dalla strada alla ferrovia. I costi del progetto vanno considerati in maniera sistematica, consiglia, tenendo conto della situazione finanziaria del Paese, della rendita dell’opera e della sua capacità di far crescere l’economia. Il documento della Corte ripercorre diverse obiezioni sollevate dai No Tav sul versante italiano.
I costi. Nel documento di quattro pagine, la Corte rivede l’aumento del budget del programma di studio e dei lavori preliminari, “stimato inizialmente a 320 milioni, poi a 371, è stato portato a 534,5 a partire dal marzo 2002, in seguito a 628,8 milioni nel programma del 2006. Le stime presentate alla conferenza intergovernativa del 2 dicembre 2010 l’hanno portato a 901 milioni”. Questo costo, quasi triplicato è dovuto alla realizzazione delle discenderie (gallerie), ai problemi geologici e, sul versante italiano, alle proteste e alla variazione del tracciato (da Venaus a Chiomonte), ricorda il presidente Migaud.
Per la parte comune del progetto, i dati del giugno 2010 prevedevano 10,259 miliardi di euro “senza spese finanziarie, manodopera e studi preliminari”, quasi due miliardi in più rispetto al 2003. Nel complesso, la stima del costo globale del progetto è passato da 12 miliardi nel 2002 a venti miliardi nel 2009 e poi a 26 miliardi “secondo gli ultimi dati comunicati dalla direzione generale del Tesoro”.
C’è poi la questione: chi pagherà? Se l’accordo del 30 gennaio scorso prevede una ripartizione dei costi della prima fase (42 per cento alla Francia, il resto all’Italia), mentre la seconda fase (acquisti dei terreni, reti deviate) pesa tutta sull’Italia, non si sa di preciso quanto sborserà l’Unione europea per i lavori.
I flussi. Il progetto è stato “concepito in un contesto di forte crescita dei traffici attraverso l’arco alpino”, scrive Migaud, per questo ora bisognerebbe rivalutare i flussi. Nel 1991, negli anni in cui venne lanciata l’idea della Torino-Lione, il rapporto Legrand prevedeva che i passaggi di mercisarebbero più che raddoppiati tra il 1987 e il 2010, ma già nel 1993 uno studio riteneva che quel rapporto sovrastimasse i passaggi e la crescita. Poi, dal 1999, i traffici sono diminuiti: da una parte la chiusura temporanea del Monte Bianco, dall’altra l’apertura di nuove vie in Svizzera, la fine dei transiti notturni e la crisi. Tutti i passaggi tra Francia e Italia ne hanno risentito, fatta eccezione di Ventimiglia su cui arrivano i flussi dalla Spagna. Solo nel 2035, ricorda la Corte citando uno studio dei flussi voluto da Ltf (Lyon-Turin ferroviaire, società che gestisce l’opera), è prevista la saturazione della linea storica.
Per queste ragioni, tra costi eccessivi e dubbi incassi dei pedaggi, la Corte dei conti ritiene che il progetto abbia una rendita poco certa. Anzi, sottolinea Migaud, “secondo gli studi economici voluti nel febbraio 2011 da Ltf sul progetto preliminare modificato, il valore attuale netto è negativo in tutti gli scenari”, che siano di crisi o di ripresa.
Tuttavia la politica non sembra turbata dal documento. Nella sua risposta a Migaud, il premier Ayrault ribadisce le intenzioni politiche del governo, gli impegni internazionali e in particolare gli accordi con l’Italia. Domani saranno invece i senatori delle regioni francesi interessate dalla linea, Rhones-Alpes e Savoia, a lanciare un appello a sostegno del Tav.
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