giovedì 6 dicembre 2012

Fassino perde le staffe e attacca la consigliera Appendino dandole della Giovanna D'Arco




Pubblicato in data 05/dic/2012
dal minuto 2:54 Fassino alza i toni.
dal minuto 4:37 la controreplica della Appendino.
qui il riassunto della vicenda:http://www.movimentotorino.it/2012/12/davide-contro-golia.html

Breve premessa: nel bilancio del Comune erano previsti 4,5 milioni di euro in entrata da sponsorizzazioni che non verranno accertati poichè, su decisione autonoma del Sindaco e dell'assessore alla cultura, sono stati dirottati ad un soggetto terzo - fondazione FAM.
La prova sono delle lettere firmate da entrambi i soggetti con l'esplicita richiesta agli sponsor di bonificare le cifre direttamente sul conto della FAM.
Dopo un primo intervento in aula in cui chiedevamo spiegazioni in merito (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=qzl2IL-IDKc), non avendo ricevuto risposte soddifacenti, abbiamo presentato un'interpellanza generale che si è discussa nel consiglio di lunedì 3/12/12 (qui il testo:http://www.comune.torino.it/consiglio/documenti1/atti/testi/2012_06258.pdf). Dopo una risposta non soddisfacente dell'assessore e una dura contro-risposta della Consigliera Appendino, è intervenuto il Sindaco che, invece di dare risposte di merito, ha prima dichiarato "erroneamente" che le risorse non erano previste a bilancio, poi ha attaccato sul piano personale la consigliera.
In conclusione la consigliera, appoggiata dal Consiglio, riprende la parola e ribadisce la sua posizione.
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qui il video con gli interventi completi:http://www.youtube.com/watch?v=r5YuqBeCYXw




Tendere un velo pietoso sul COMMEDIANTE Fassino..(Falce, Martello ed OMERTA'...)e sue FONDAZIONI con le quali commette affaracci alla NASO AQUILINO..
Il suo millantare di essere di SINISTRA..??? (valori della Resistenza che non incarna) di sinistro c'e' solo la sua OSTINATA ISTERIA da **politico** asservito a tutto ed a tutti (anche al COTA..ed elezioni fasulle...vedasi affare con sentenza a proposito del PARTITO dei PENSIONATI per COTA, Piemonte)
Un video mostra in azione il CABARETTISTA PIERO, omertoso sui CONFLITTI di INTERESSE) ed amante dei Musicals a Broadway (Stati Uniti) dove si sa', i metalmeccanici del Paese, Taranto inclusa, vanno spesso, come lui, a RILASSARSI....
(Giovanni Giovannelli)

Da Presidente a Monarca. - Franco Cordero




Qualche telefonata di troppo. Una procura dall’orecchio attento. L’ordine di distruggere i nastri. Magistrati accusati di ordire un colpo di Stato. Sofismi e argomenti tautologici e infondati. Uno scontro tra magistratura e capo dello Stato senza precedenti nella storia della Repubblica. Una vicenda (e una sentenza) che stravolge la nostra democrazia, nell’analisi lucida e imparziale di uno dei più grandi giuristi.

1. La storia comincia da una gaffe. Teme gl’indaganti l’ex ministro N.M., testimone su affari oscuri tra Stato e mafia: quindi spera che il procedimento passi in sedi meno ostiche; e volendo anche schivare un antipatico confronto, manda appelli al Quirinale. La risposta corretta sarebbe: «nihil de hoc». Il presidente non è organo censorio d’atti giudiziari, quali erano i monarchi francesi, forti del residuo d’un originario carisma giurisdizionale («justice retenue»), estinto nel collasso dell’ancien régime. Nemmeno Sua Maestà Carlo Alberto, sovrano bigotto costretto alla riforma costituzionale (5 febbraio 1848), oserebbe mettere becco nei processi brandendo una formula statutaria (art. 68: «La giustizia emana dal re»), ma 164 anni dopo, da Monte Cavallo spirano arie rétro. Anziché declinare l’improponibile argomento, il consigliere all’altro capo del filo sta al gioco: corrono dialoghi solidali; e siccome N.M. era sottoposto a controllo telefonico, ogni sillaba va nei nastri. Otto colloqui, dal 25 novembre 2011 al 5 aprile 2012. Spigoliamo qualche punto. L’altissima persona «s’è presa la questione a cuore» (24 febbraio). «Non vediamo molti spazi, purtroppo», e quanto al temibile confronto, affiora l’idea d’una versione concertata (12 marzo). «È orientato a fare qualcosa» (3 aprile). L’assillante manda una memoria, trasmessa dal Quirinale al procuratore generale della Cassazione affinché gli uffici lavorino «coordinati»: «Lui sa tutto»; «voglio che» quella «lettera sia inviata… con la mia condivisione» (5 aprile»). La procura palermitana era in regola, sicché le indagini proseguono lì, chiuse dalla richiesta d’un rinvio a giudizio: l’ex ministro vi compare ai margini quale falso testimone; l’udienza preliminare dirà se esista materia d’accusa e relativo dibattimento. Nastri e testi degli otto colloqui stanno agli atti. Segreti, invece, i quattro in cui parla l’Homo in fabula, irrilevanti, secondo il pubblico ministero, quindi obliterabili, nel senso d’una distruzione fisica: disporla spetta al giudice che ha ordinato la misura investigativa; ed è materia soggetta al contraddittorio (art. 269, c. 2), incluso il ricorso in Cassazione. No, afferma il presidente: l’ascolto ledeva una sua prerogativa; l’empio materiale sia subito distrutto; nessuno lo veda o ascolti. Gli fanno eco varie platee (intrusione «eversiva», s’è persino detto). Tali i petita davanti alla Consulta.

2. Niente da obiettare sugli otto dialoghi in cui interloquiva il consigliere; ed è particolare curioso: se l’immunità esistesse, vi sarebbe incluso l’intero staff, rispetto agli atti d’ufficio. L.D’A. svelava dei retroscena, in chiave veridica, stando alla lettera 19 luglio direttagli dal presidente (sette giorni dopo, il destinatario muore), resa pubblica nell’arringa 15 ottobre alla scuola dei magistrati. Che quel soccorso esorbitasse dalle funzioni, è rilievo ovvio ma la domanda proposta alla Corte sarebbe infondata quando anche allargassimo il concetto della funzione a tali scambi verbali (ipotesi temeraria). Nessuna delle due norme invocate dal ricorrente risulta applicabile alla fattispecie. Art. 90 cost.: Il Presidente non risponde degli atti compiuti en titre, esclusi alto tradimento e attentato alla Costituzione; ebbene? Nessuno gli muove accuse. Stiamo discutendo l’uso processuale del dialogo con persone sottoposte a controllo telefonico: argomenti diversi; confonderli è il sofisma che i dottori chiamavano «ignoratio elenchi», ossia «prouver autre chose que ce qui est en question» (Logique de Port-Royal, 1683, Parte III, Cap. I, § 1), espediente consueto nelle dispute viziose (vedi gli stratagemmi 1-3 dei trentotto esposti nella schopenhaueriana Arte d’ottenere ragione). Dove sta scritto che siano adoperabili in sede investigativa o istruttoria le sole parole implicanti una responsabilità? Né interessa l’art. 7, c. 3, l. 5 giugno 1989 n. 219: l’intercettazione può essere disposta solo quando versi in stato d’accusa, votato dal parlamento, e la Corte l’abbia sospeso dalla carica; nihil sequitur perché l’intercettato era N.M. L’inquirente sorveglia i canali attraverso cui comunica l’imputato virtuale o effettivo: i collocutori sono incogniti nel momento in cui il provvedimento è emesso, più o meno identificabili poi; nessuno immaginava che nel fiume vocale captato (9.295 pièces) quattro volte risuonasse l’augusta voce; ed è assurdo pretendere operatori fulminei nell’interrompere l’ascolto, quasi fosse nefas. Roba da fiaba o rituali primitivi (ormai lavorano le macchine, senza intervento umano). Col permesso del giudice l’indagante controlla gli apparecchi d’un tale: il sèguito è futuribile; forse restano muti o vi passano mille voci; quali, quante, se utili o no, consterà post auditum.

3. Discorso chiuso, tra interlocutori fedeli alla sintassi: l’immunità processuale non fiorisce spontaneamente; esiste in quanto una norma la regoli; e non se ne vede il più pallido segno. I soli due testi addotti dicono tutt’altro. Siamo alle prese con una tautologia del tipo: «P non morrà mai»; «dimmi perché», «ovvio, gl’immortali non muoiono». Il ricorso postula un presidente la cui persona sia «sacra e inviolabile», qual era Carlo Alberto (art. 4 dello Statuto), quindi indenne da ogni servitus iustitiae, ma non è più tempo d’arie mistiche e re taumaturghi. Siamo in Italia, anno Domini 2012: vige una Carta votata dalla Costituente lunedì 22 dicembre 1947; perso ogni connotato monarchico, il presidente assume un’identità laica, da commis de l’Etat. Chi osi definirsi «sacro e inviolabile» riscuote lievi sorrisi. Ricordiamo però un incidente, quando Camere servizievoli lavoravano pro domino Berluscone, tirando in ballo ex aequo il capo dello Stato. L’obiettivo era renderli immuni da qualunque processo (salvo i due casi previsti dall’art. 90 cost.), finché durino in carica; e l’Uomo del Colle segnalava «profonde perplessità»: tale regime affievolirebbe uno status del quale afferma d’essere già investito (nota 22 ottobre 2009). Nossignore, non esiste l’asserita prerogativa. Se ne convinca consultando i precedenti, su fino ai lavori preparatori della Costituente: a parte gli atti coperti dalla funzione (spetta al giudice stabilire se ricorra tale caso), è justiciable come lo siamo tutti; e non chiamiamola lacuna rimediabile dall’interprete; i costituenti compivano una scelta d’alto valore etico, imposta dal principio capitale d’eguaglianza davanti alla legge. Quanto pesante anacronismo rintocca nel coro monarcofilo.

4. Ripetiamolo, è incongruo volo nel passato remoto pretendere che, udita la Voce, gl’inquirenti rompano l’ascolto mandando subito in cenere i materiali sacrileghi. A parte ogni questione ideologica, l’assunto ignora norme positive. L’art. 271, c. 3, vieta la distruzione del reperto fonico costituente corpo del reato (ad esempio, parole d’estorsore o mandato a uccidere, magari allusivo: «Chi mi libera da quel maledetto oppositore?; vedi Enrico II Plantageneto contro Thomas Becket, o Mussolini sul conto del pericoloso Giacomo Matteotti). Idem è arguibile quando disco o nastro costituiscano notitia criminis. Infine, l’art. 269 subordina la distruzione dei reperti irrilevanti al vaglio camerale, nel contraddittorio degl’interessati: operata segretamente sarebbe illegale; né sono pensabili varianti contro l’art. 111 cost., cc. 2 e 4. Può darsi che i materiali de quibus siano prove importanti, nel giudizio in atto o altrove, perciò gl’interessati devono potervi interloquire. Ad esempio, Alfred Dreyfus sconta l’ergastolo nell’Isola del Diavolo: l’accusavano d’avere venduto segreti militari; ed emergono cose enormi dal dialogo d’una altissima persona col sottoposto ad ascolto telefonico; il galeotto è innocente; i felloni erano gli autori delle false prove d’accusa. Lasciamo le cose come stavano «a tutela della riservatezza», mandando al diavolo nell’omonima isola verità storica e giustizia? Semmai, l’attuale disciplina appare perfettibile: non è detto che quel giudice sia infallibile; la critica delle decisioni avviene in Appello e Cassazione; gli artt. 268, c. 2, e 271, c. 3, tagliano il contraddittorio escludendo un secondo grado (valgono le norme sui procedimenti camerali); ed eseguita la decisione distruttiva, l’ipotetico errore emerso nel sèguito del processo forse risulta irrimediabile.

5. Tiriamo le somme: il ricorrente postula un’immunità della quale non esiste l’ombra nelle fonti; e vìola l’art. 111 cost. la pretesa d’annientamento occulto della possibile prova, né vista né udita dagl’interessati; bel salto indietro, nella cupa gnoseologia inquisitoria. Viene in mente un quesito teologal-filosofico (in logica novecentesca liquidabile come mal formulato): se l’Onnipotente lo sia al punto d’evocare un triangolo i cui angoli, sommati, non diano 180° (nello spazio euclideo, beninteso: tolto il quinto postulato, niente glielo impedisce). Sì, risponde Cartesio; Spinoza lo nega. Ora, chi dica fondato nelle norme vigenti (Carta inclusa) quel ricorso, postula l’equivalente giuridico d’un triangolo dagli angoli abnormi, fermo restando il quinto postulato: l’incenerimento occulto dei nastri su cui pesa il tabù, presuppone un mondo diverso dall’attuale, dove non viga l’art. 111 cost., cc. 2 e 4; se l’impresa le riesce senza evadere dal sistema qual è, la Corte risulta più potente del Dio pensato da Baruch Spinoza.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/da-presidente-a-monarca/#.UL-dPf1MG1V.facebook

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mercoledì 5 dicembre 2012

Corruzione: Transparency Italia 72/a, scende 3 posti.


Mueller, portavoce dell'Organizzazione anticorruzione Transparency International Germany


L'Italia e la Grecia peggiorano nella classifica pubblicata nel consueto rapporto annuale.

BERLINO - L'Italia e la Grecia peggiorano nella classifica della corruzione pubblicata nel consueto rapporto annuale di Transparency International. I due paesi sono rispettivamente al 72/o e al 94/o posto della graduatoria mondiale, con solo 42 e 36 punti (da un massimo di 100 a un minimo di zero) e perdono rispettivamente tre e 14 posti rispetto all'anno passato. Il nostro paese ha un livello di corruzione equivalente a quello della Tunisia (41 punti), mentre la Grecia eguaglia la Colombia. L'organizzazione responsabile dello studio nota che la corruzione colpisce ''in quei paesi piu' affetti'' dalla crisi economica e finanziaria. Meno duramente colpite dalla crisi stessa, Germania e Francia si piazzano rispettivamente 13/a e 22/a con punteggi superiori a 70. Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda sono i paesi piu' virtuosi e raggiungono i 90 punti. Afghanistan, Corea del Nord e Somalia occupano la 174/a e ultima posizione della classifica con soli 8 punti.

Crocetta: soldi di un dipartimento nei conti dei dipendenti regionali.


Il presidente prima di entrare a Sala d'Ercole per la prima seduta della XVI legislatura dell'Ars: "L'ho scoperto ieri ed è terrificante"

PALERMO. «Ieri ho scoperto una cosa terrificante. In un dipartimento della Regione i soldi destinati ai fornitori transitavano nei conti correnti di alcuni dipendenti». A denunciarlo è il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, prima di entrare a sala d'Ercole, dove è appena cominciata la seduta inaugurale della XVI legislatura dell'Assemblea regionale. 

I consiglieri del m5s siciliani si recano all'Ars.



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Horseshoe Bend, Arizona - USA.



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Stato-Mafia, Gup respinge eccezioni, processo resta a Palermo.



ROMA (Reuters) - Il procedimento per la presunta trattativa tra Stato e mafia resta a Palermo, come aveva chiesto la procura siciliana.
Lo ha deciso oggi il Gup Piergiorgio Morosini che ha rigettato tutte le eccezioni di incompetenza presentate dalle difese.
Anche gli ex ministri democristiani Calogero Mannino e Nicola Mancino - indagati a vario titolo insieme ad altre dieci persone - saranno giudicati dal giudice ordinario palermitano e non a Roma né dal tribunale dei ministri, come chiesto dai loro legali.
Il gup, infatti, ha stabilito oggi che i due politici non sono accusati di aver commesso il reato con riferimento alle loro funzioni ministeriali, funzioni che peraltro non ricoprivano all'epoca dei fatti contestati.
Gli indagati a vario titolo nell'inchiesta, oltre a Mannino e Mancino, sono: i boss mafiosi Totò Riina, Giovanni Brusca, Nino Cinà, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano. Poi, Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito; il generale dei carabinieri, Mario Mori, l'ex capitano dell'Arma, Giuseppe De Donno e l'ex capo del Ros, Antonio Subranni; il senatore Pdl Marcello Dell'Utri.
I reati ipotizzato a vario titolo sono violenza o minaccia a corpo politico dello Stato e concorso in associazione mafiosa. A Mancino viene contestata la falsa testimonianza, mentre a Ciancimino jr la calunnia (oltre al concorso in associazione mafiosa).
L'inchiesta è stata curata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene.
Su alcune intercettazioni raccolte dagli investigatori in questa inchiesta pende il giudizio della Corte costituzionale - che potrebbe arrivare tra la serata di oggi e la giornata di domani - dopo che il presidente della Repubblica ha sollevato un conflitto di attribuzione con la procura di Palermo.
Il Quirinale contesta, perché lesiva dei suoi poteri, la decisione dei pm di acquisire nell'inchiesta le intercettazioni di telefonate tra Mancino e la presidenza della Repubblica su possibili interventi di quest'ultima presso il Csm circa l'operato della magistratura palermitana.