giovedì 3 gennaio 2013

Circolo polare artico. - Armando Di Napoli



Zitto stregato ingoio sorsi di notte
il silenzio sornione
delle montagne
del circolo polare artico
emana l’animo della solitudine
che livido s’appoggia
sull’ombra della sacra vita
metamorfosi dell’infinito
l’alito di Dio
tramutato in vento
mi sfiora i capelli ghiacciati

tanta strada da percorrere
le scarpe bucate
e nelle tasche- dispensa
un pezzo di pane e formaggio
polvere di neve svolazza sulla strada deserta
toccando le corde dell'infinito
di un’inutile cammino

l’aurora lisa ebbra
di sublimezza rincasa
mentre il sole ambiguo
annunciando l’alba
inizia a giocare
trasformandosi
in un’artista depresso
che con violenti colpi di genio
spande colori
sulle triste facce
di laghi ghiacciati
che spatolati si struccono
sciogliendosi
in lacrime d’amore
per annegarene
gli abissi delle emozioni
incorniciati da struggenti sentimenti
di un’esistenza straziata d'angoscia…

Circolo polare artico 8 aprile 2006

Lapponia. - Armando Di Napoli



L’incanto steso ad asciugarsi
a fili d’arcobaleno
l’innocenza gioca a nascondino
intrufolandosi nell’animo
di montagne di neve
una volpe arancione
corre senza fiato
dietro ad una bianca lepre impaurita
spezzando il colore del cielo colbalto
case buffe sbuffano dai comignoli
fiumi di fumo imbottiti
dal delizioso profumo
di carpe e salmoni arrostite
smaniose renne scavando
nel bianco brucano erba secca
slitte tirate da huskies
colme di bambini con le gote vermiglio
scherzano felici le stelle dell’orsa maggiore
si possono spegnere con le dite
con complicita´ti illuminano il cammino

l’incubo in agguato
seguendo con lo sguardo
il volo di un corvo
che stanco s’appoggia
su un cartellone pubblicitario
che altezzoso indica
Mc Donald’s a 2 chilometri
e l’ingannevole scempio
vestito di vergognoso consumismo
continua imperioso
ad assassinare la speranza…
Lycksele 22 marzo 2006


Negli ambulatori del Parlamento 60 camici bianchi a 2 milioni di euro all’anno. - Thomas Mackinson


Aula Senato


Con una nuova delibera datata 18 dicembre, Palazzo Madama punta a rafforzare ulteriormente il presidio di cardiologi e infermieri interni: aperte le selezioni per altri cinque cardiologi e altrettanti tra anestesisti e rianimatori.

La via crucis del ri-candidato si fa più stretta e incerta che mai. Una corsa al cardiopalma, roba da rimanerci secchi. Sarà per questo che il presidente del Senato, Renato Schifani ha deciso di rafforzare il presidio di cardiologi e infermieri presso l’Ambulatorio di Palazzo Madama. Sotto l’albero di Natale, il 18 dicembre, è arrivata una delibera dell’ufficio di presidenza che apre ufficialmente le selezioni per cinque specialisti in cardiologia e cinque in anestesia e rianimazione. Non tirocinanti di primo pelo ma laureati con almeno 105/110 ed esperienza professionale minima di cinque anni per i medici e di quattro per gli infermieri.
Quello del Senato, del resto, è un ambulatorio di tutto rispetto: aperto tutto l’anno, 24 ore su 24, gratuito e a uso esclusivo degli inquilini del palazzo. E lì per legge da ben 27 anni: in origine, spiegano da Palazzo Madama, doveva garantire ai senatori non residenti a Roma l’assistenza sanitaria dei loro colleghi della Capitale, ma col tempo il mini-ambulatorio è diventato maxi. La platea dei pazienti si è infatti allargata a deputati, ex parlamentari, dipendenti del Senato e dei gruppi, mentre il personale conta oggi un medico e quattro infermieri in pianta stabile, più altri 26 camici bianchi retribuiti a prestazione per assicurare i turni h24. E così sono lievitati i anche i costi: nel 2011, ultimo dato disponibile, sono arrivati a 650mila euro. Non è difficile crederlo, visto che per quasi trent’anni il presidio è stato aperto anche quando il palazzo era semideserto e gli inquilini in vacanza, nei week end, perfino a Natale e ad agosto.
Solo qualche mese fa il Consiglio di Presidenza ha deciso di chiuderlo dalle 13 di sabato alle 8 del lunedì, durante i festivi infrasettimanali e nei giorni di ferie con un risparmio di circa 240mila euro. Ma niente panico. Quando l’ambulatorio è chiuso l’assistenza medica è assicurata da una società esterna (Medical Care) a un costo di 20 mila euro l’anno. A Palazzo Madama spiegano che non sono soldi buttati perché nel presidio medico si lavora a pieno regime: in un anno si effettuano 13mila prestazioni, più 700 soccorsi, in maggioranza di tipo cardiologico. Un dato sorprendente se rapportato al numero dei senatori e alla platea dei potenziali marcatori di visita. In un giorno di normale attività parlamentare al Senato, infatti, entrano più o meno 2.500 persone. Forse lavorare in Parlamento è più usurante di quanto si pensi e questo potrebbe spiegare anche quei 7,7 milioni di euro chiesti da senatori (e parenti) per prestazioni sanitarie integrative.
I deputati non sono da meno. I servizi sanitari d’emergenza alla Camera sono assicurati da un ambulatorio con personale medico-infermieristico rinforzato da un servizio distaccato dall’Asl di Roma e da una convenzione diretta con il Policlinico Gemelli. Un presidio che conta su una trentina di camici bianchi tra interni ed esterni che costa 1,4 milioni di euro l’anno. La convenzione per i presidi di palazzo Montecitorio e dei palazzi Marini, in corso dal 2007, conta quattro medici dirigenti e due unità di personale infermieristico che prestano servizio per 36 ore la settimana. Tutti ben retribuiti. Un medico alla Camera costa 60 euro lordi l’ora che diventano 90 dopo le 22, il sabato e nei giorni festivi.
A fine anno il camice bianco a Montecitorio porta a casa 90-100 mila euro. E sono in quattro. Gli infermieri, prendono 44 mila euro l’anno più maggiorazioni e sono in due. Ma vanno poi aggiunti i turnisti esterni e i 435mila euro per la convenzione con il Policlinico. Il conto finale è così salato da spiazzare gli stessi beneficiari del servizio (che in teoria dovrebbero godere di ottima salute, visti i 10 milioni di rimborsi sanitari dello scorso anno). Rita Bernardini (Pd), ad esempio, il 12 ottobre scorso ha chiesto al Collegio dei Questori di optare per uno dei due servizi. Il parere è stato accolto e protocollato ma non si sa se sortirà qualche effetto. L’emergenza sanitaria in Parlamento, a quanto pare, continua.

Direzione nazionale antimafia, ridate quel posto a Caselli. - Benny Calasanzio Borsellino


Dopo lo “spostamento” di ruolo di Pietro Grasso da procuratore nazionale antimafia a candidato del Partito Democratico alle prossime elezioni politiche (“il Pd è la mia casa”, e gente come Vladimiro Crisafulli il suo coinquilino), si è aperta la corsa alla successione del magistrato palermitano che era stato giudice a latere nel maxiprocesso a cosa nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E si fanno già i primi nomi: dai più affascinanti ma che francamente hanno poche possibilità, come Ilda Boccassini e Roberto Scarpinato, a quelli più probabili, come Franco Roberti e Roberto Alfonso.
Durante la conferenza stampa in cui ha annunciato la sua candidaturaAntonio Ingroia ha provato a ristabilire una verità troppo spesso dimenticata: nel 2005, dopo la fine dell’incarico di Pier Luigi Vigna, il magistrato destinato a ricoprire la funzione di procuratore nazionale antimafia, a parere di molti, era Giancarlo Caselli. Il decreto legge del 20 novembre 1991, convertito il 20 gennaio successivo, all’art. 6 prevedeva infatti che “alla Direzione è preposto un magistrato avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di Cassazione (Caselli lo era dal 1991, Nda), scelto tra coloro che hanno svolto anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni, funzioni di pubblico ministero o giudice istruttore, sulla base di specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. L’anzianità nel ruolo può essere valutata solo ove risultino equivalenti i requisiti professionali”.
Dal 15 gennaio del 1993, giorno dell’arresto di Totò Riina, fino al 1999 Caselli era stato procuratore capo a Palermo dando il via ad un’irripetibile stagione interrotta proprio dall’arrivo di Pietro Grasso, considerato, anche da molti magistrati di quella procura, un “normalizzatore”.
Ma il provvidenziale governo Berlusconi, grazie all’emendamento firmato dall’ex An Luigi Bobbio presentato nell’ambito della controriforma dell’ordinamento giudiziario, cancellò per sempre la possibilità che il canuto magistrato piemontese sedesse su quella poltrona. L’emendamento indicava infatti come tetto massimo per l’assegnazione degli incarichi direttivi l’età di 66 anni ed escludeva coloro che non potevano garantire quattro anni di presenza prima dell’età pensionabile. Mancava solo che ci fosse scritto che erano esclusi dalla “gara” tutti quelli che avevano un cognome che iniziasse con “C” e finisse con “aselli”. Anche se sembra (ed effettivamente era) una legge contra personam, che doveva far pagare a Caselli le sue indagini sui rapporti mafia politica, in testa il processo Andreotti, Piero Grasso accettò l’incarico senza fare una piega. Mors tua vita mea.
Nessuna sorpresa, dunque, quando nel maggio scorso, a pochi giorni dal ventesimo anniversario della strage di Capaci, Grasso fece la memorabile e blasfema dichiarazione: “darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia”. E per forza (Italia): senza Silvio e gli altri sventurati il buon Grasso mai sarebbe riuscito a diventare procuratore nazionale, sovrastato per esperienza, coraggio e carisma dal buon Caselli.
Per queste ragioni, dopo lo scippo del 2005, sarebbe giusto e soprattutto necessario, vista la carriera e le capacità unanimemente riconosciute a Giancarlo Caselli, che quel posto venga oggi assegnato, o meglio, ridato a lui.

martedì 1 gennaio 2013

Casa triciclo della Cina e giardino.





http://www.architizer.com/en_us/blog/dyn/70029/tricycle-house-and-garden/#.UOM0ZOScNTJ

Quella chiavetta lanciata nel cortile. Conoscere gli hacker per difendersi. - Claudio Campanella


Quella chiavetta lanciata nel cortile. Conoscere gli hacker per difendersi

Hack The Lab Xperience, questo il titolo di un workshop di due giorni nella sede storica dell’azienda Stonesoft, ad Helsinki in Finlandia. Dati, tecniche, esperienze e una storiella molto istruttiva.

HELSINKI - Il reale pericolo di un attacco informatico su larga scala non si percepisce appieno. C'è poco da fare. Come già accaduto in passato nella storia dell’uomo, potrebbe essere necessario un evento catastrofico reale e tangibile (milioni di persone senza elettricità o azzermento globale delle carte di credito, tanto per fare due esempi) perché i governi si rendano conto dell’effettiva gravità della situazione. E' questo il concetto con cui di Ari Vänttinen (VP Marketing diStonesoft, azienda finlandese all’avanguardia nelle tecniche e nei prodotti per la difesa dei network aziendali da tali attacchi), ha aperto il suo intervento al Hack The Lab Xperience tenutosi nei giorni scorsi a Helsinki. Parole da brivido, le sue.

Vänttinen ha spiegato come gli attacchi informatici siano, purtroppo, quasi invisibili ai normali software di difesa, in quanto scopo principe degli hacker è proprio quello di rimanere silenti e indisturbati all’interno di un network per poi colpire all’improvviso e dileguarsi senza lasciare traccia. Ecco perché molto spesso le grandi aziende che rilasciano dichiarazioni dell’avvenuto attacco infromatico non hanno quasi mai idea di cosa sia successo nei loro sistemi. Sono solo in gradi di dire che c’è stata un’intrusione. 

Di sicuro l'attenzione nei confronti del cyber-crime ha avuto un'impennata: basti pensare che nel 2011 il "guadagno" illegale dei crimini informatici ha molto probabilmente superato quello del traffico internazionale di stupefacenti. Di contro che dal punto di vista strategico l’attenzione ai sistemi di difesa comincia a entrare a pieno titolo nelle voci di un bilancio aziendale: spendere per firewall o antivirus non è più sotto la voce costi ma sotto quella investimenti. Perché prevenire è meglio che curare.

E' una fresca giornata di dicembre, a Helsinki sono le 8 e il termometro segna -18°. Un veloce passaggio in taxi per arrivare alla sede centrale su un’soletta dell’arcipelago antistante la capitale finlandese. Qui ci accoglie Otto Airama, Senior Network Security Specialist dell'azienda. Con lui, seduti ai nostri banchi come fossimo a scuola, apprenderemo, i rudimenti degli attacchi alle reti. Del resto Stonesoft è una dell’aziende europee all’avanguardia nelle tecniche e nei prodotti per la difesa dei network aziendali, con una sedi anche a Milano (il responsabile è Emilio Turani) e ad Atlanta (Stati Uniti). 

Dopo pochi minuti già ci accorgiamo di quanto sia semplice per un occhio ben allenato scoprire le falle di un sito o di un portale non ben protetto. Subito un esempio: ad Otto bastano pochi semplici passaggi per ottenere l’intera lista dei dati - nomi, cognomi, indirizzi, telefoni e numeri di carte di credito - di un portale per acquistare musica. Ma c'è di più: per ottenere queste informazioni, il nostro "prof" non ha fatto altro che utilizzare script e software assolutamente legali e scaricabili gratuitamente da internet, software a disposizione di chiunque per eseguire proprio test di vulnerabilità sui propri network. Ovviamente queste tecniche funzionano solo ladovve i gestori del sito abbiano sbadatamente lasciato porte aperte. Ma a dirla tutta - sorride Otto - non esistono network completamente sicuri. 

Per dimostrarcelo invita il vero hacker della situazione - un giovane dipendente della Stonesoft che sembra uscito da un libro di Gibson o Sterling con i suoi sandali ai piedi e il laptop ricoperto di adesivi pirateschi - a raccontare un episodio significativo di come spesso le aziende credono di essere davvero sicure nei confronti degli attacchi informatici. Si parla di un'azienda che si vantava della sua inattaccabilità poiché nessuna delle sue reti interne e nessuno dei suoi computer era connesso ad internet e quindi, secondo loro, invulnerabile per gli hacker. Ma questi decidono di adottare una tecnica evergreen che fa leva sull’atavica curiosità del genere umano. Non potendo entrare via rete, i pirati informatici caricano il loro virus su una chiavetta usb e poi con una fionda la lanciano dalla strada oltre il muro di cinta dell’azienda fino al parcheggio interno e si mettono in attesa. Non è necessario attendere molto, per altro: un dipendente mentre va in ufficio nota questa chiavetta usb abbandonata in terra e non resiste alla tentazione di connetterla al pc sulla scrivania. Un gesto, questo, che dura un attimo. Un attimo in cui la tanto decantata sicurezza va a farsi benedire: il virus entrato da quel pc comincia a diffonderesi a tutti i gli altri computer del palazzo collegati dalla rete interna. L'incubo è appena cominciato.

In nome di Dio, andatevene!

Cromwell_in_Parlamento.jpg

Se ne devono andare tutti, dove non ha importanza. In un'isola delle Barbados, nell'appartamento monegasco del cognato, in un ospizio, nella tipografia romana del suocero, in Vaticano a pregare per lo Ior, in Europa al posto di Van Rompuy, a insegnare alla Bocconi a studenti inconsapevoli, in un tribunale a esercitare la loro professione, in uno dei loro studi legali a incassare milioni di euro. 
Se ne devono andare. 
Non li regge più nessuno. 
Loro non capiscono. 
Si credono intoccabili perché garanti di interessi economici delle lobby del cemento, delle cooperative, dei concessionari, della Bce, delle banche internazionali, di Stati esteri. 
Vivono in un mondo a parte, fatto di studi televisivi, di giornalisti proni, di incontri istituzionali a discettare del nulla al quadrato con la rituale foto di gruppo, circondati da commessi, servi, maggiordomi, amanti. 
Onorevoli disonorati. 
Facce di bronzo, facce di merda, facce da impuniti, facce da dimenticare se si vuole riacquistare un minimo di serenità. 
Facce di responsabili dello sfacelo economico e sociale che si fanno il lifting, i sorrisi tirati ormai in un ghigno, l'incedere da uomini di potere che si credono statisti in scatola. 
Si ripresentano ancora, riverginati, innocenti, candidi come se non fossero colpevoli del più piccolo errore. Loro che hanno disfatto l'economia, l'informazione, la giustizia, la scuola, il tessuto produttivo, lo stesso Stato. 
Mantenuti nelle loro posizioni privilegiate per decenni, pagate dalle tasse degli italiani a suon di vitalizi mai rinnegati, di leggi ad personam, ad partitum, per gli amici, per i concessionari, per le mafie. Parassiti, pidocchi, mignatte, zecche. 
Virus che si spacciano per miracolosi medicinali mentre infettano il corpo della Nazione, certi della copertura vigliacca dei media e confidando nella memoria breve degli italiani. Se ne devono andare. In Parlamento non li vuole neppure l'italiano più mite, il più tollerante, il più distaccato dalla politica. 
L'Italia è in overdose dei Bindi, Finocchiaro, Cicchitto, Berlusconi, Monti, Bersani, Fini, Alfano, Casini, Maroni e delle centinaia di compari si ostinano a imporre la loro presenza. Non capiscono che sono come Ceaucescu al balcone, Mussolini nel camion verso la Svizzera vestito da soldato tedesco, Hitler nel bunker di Berlino mentre da ordini a divisioni che non esistono più. E' questione di tempo, ma la loro avventura politica è terminata. La campanella del 2013 è suonata, la ricreazione a spese di generazioni di italiani è finita. 

"Voi siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari, scambiereste il vostro Paese come Esaù per un piatto di lenticchie; come Giuda tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli. Avete conservato almeno una virtù? C'è almeno un vizio che non avete preso? Chi fra voi non baratterebbe la vostra coscienza in cambio di soldi? E' rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene della Repubblica? Siete diventati intollerabilmente odiosi per l'intera Nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie ed ora siete voi l'ingiustizia! Ora basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene! (*)"

(*) Dal discorso di Oliver Cromwell al Parlamento inglese nel 1653


http://www.beppegrillo.it/2013/01/in_nome_di_dio_andatevene.html