mercoledì 7 agosto 2013

Sull'intervista esclusiva de "Il Mattino" al giudice Esposito....



Prescindendo dal fatto che il quotidiano "il Mattino" risulta essere di proprietà dei Caltagirone dal 1996; sappiamo anche che i Caltagirone sono imparentati con Casini e che Casini non disdegna alleanze con il soggetto Berlusconi...andiamo, pertanto, ad esaminare i fatti.

Appena undici giorni prima dell'attesa sentenza della Corte di Cassazione nei confronti del Cavaliere sul processo Mediaset, si verifica un fatto strano, viene rinvenuto un apparecchio elettronico negli uffici dei Supremi Giudici che dopo pochi giorni avrebbero dovuto pronunciarsi sulla sentenza dell’ex premier. Qui l'articolo: 

Microspia nell’ufficio dove si giudica il Cav  


Ora c'è da capire se la "presunta" intervista del giudice non sia una delle solite macchinazioni dell'insana mente di Berlusconi.

La "presunta" intervista, infatti, potrebbe essere proprio il risultato di una ricostruzione artefatta di quanto illecitamente intercettato...Non dobbiamo dimenticare che il tizio, lapalissianamente in odor di mafia, ama corrompere, comprare "anime" e, quando non ci riesce con il vil denaro, crea prove indiziarie per procedere, all'occorrenza, con il ricatto.

E' un semplice sospetto, ma non lo escluderei a priori, poichè la vicenda ha come oggetto-soggetto una  personalità ambigua e discutibile come quella di Berlusconi.


Travaglio. Carriera di un evasore! (un delinquente che ancora è senatore della Repubblica!)



Secondo Angelo Panebianco, editorialista del Corriere (e non solo lui), la condanna definitiva di B. per frode fiscale non dipende dal fatto che B. è un frodatore fiscale, ma dallo “squilibrio di potenza fra magistrati e politica”. 
Perché in Italia la politica sarebbe “un potere debole e diviso” che non riesce a riformare il “potere molto più forte e unito” della magistratura. Solo separando le carriere, abolendo l’azione penale obbligatoria, trasformando il pm in “avvocato dell’accusa”, spogliando il Csm, cambiando la scuola e il reclutamento delle toghe e rimpolpando i poteri del governo nella Costituzione si eviteranno sentenze come quella del 1 ° agosto. 
Forse Panebianco non sa che in tutte le democrazie del mondo, anche quelle che hanno da sempre nel loro ordinamento le riforme da lui auspicate, capita di continuo che uomini politici vengano condannati se frodano il fisco, con l’aggiunta che vengono pure arrestati e, un attimo prima, cacciati dalla vita politica. 
Ma soprattutto il nostro esperto di nonsisachè ignora la carriera criminale di B., che froda il fisco da quando aveva i calzoni corti. 
E se non fu scoperto all’epoca è perché con i fondi neri corrompeva politici, Guardia di Finanza e giudici che avrebbero potuto scoperchiare le sue frodi fin dagli anni 70. 
Chi conosce il curriculum del neo-pregiudicato non si stupisce per la condanna dell’altro giorno, ma per il fatto che un tale delinquente matricolato sia rimasto a piede libero fino a oggi. 

La prima visita. 
Il 12 novembre 1979 una squadretta della Guardia di Finanza ispeziona l’Edilnord Centri Residenziali Sas che sta realizzando a Segrate la città-satellite di Milano 2, sospettata di varie irregolarità tributarie. Nel cantiere, con alcuni operai, c’è un omino spelacchiato e imbrillantinato che si presenta come “semplice consulente” della società. È Silvio Berlusconi, il proprietario, iscritto da un anno alla loggia deviata P2. I finanzieri vogliono sapere perché abbia prestato fideiussioni personali in favore di Edilnord e Sogeat, società il cui capitale è ufficialmente controllato da misteriosi soci svizzeri. 
Ma lui fa lo gnorri e mette a verbale: “Ho svolto un ruolo molto importante nei confronti dell’Edilnord Centri Residenziali e della Società generale attrezzature Sas, perché entrambe mi hanno fin dall’inizio affidato l’incarico professionale della progettazione e della direzione del complesso residenziale Milano 2”. Anziché ridergli in faccia e approfondire le indagini, il maggiore Massimo Maria Berruti che guida la squadra si beve tutto, chiude l’ispezione in meno di un mese, nonostante le anomalie finanziarie riscontrate e archivia tutto con una relazione rose e fiori. 
Poi, il 12 marzo 1980, si dimette dalle Fiamme Gialle. Per qualche mese lavora per l’avvocato d’affari Alessandro Carnelutti, titolare a Milano di un importante studio legale con sedi a New York e Londra, dove si appoggia all’avvocato inglese David Mackenzie Mills. 
Poi Berruti inizia a lavorare per il gruppo Fininvest, specializzandosi in operazioni finanziarie estere e in contratti per i calciatori stranieri del Milan. Gli altri due graduati che erano con lui nel blitz del ’ 79 sono il colonnello Salvatore Gallo e il capitano Alberto Corrado. Il nome di Gallo verrà trovato nelle liste della loggia P2. Corrado verrà arrestato nel ’ 94 e poi condannato con Berruti per i depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette Fininvest. 
Versate a chi? Alla Guardia di finanza, naturalmente. San Bettino vede e provvede. 
Nel 1980 Berlusconi rischia di ritrovarsi un’altra volta la Finanza in casa. Allarmatissimo, scrive una lettera al-l’amico Bettino Craxi, leader del Psi che sostiene il governo Cossiga: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Ca-bassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare”. 
Che si sappia, anche quella volta le Fiamme Gialle si tengono alla larga dal Biscione. Che evidentemente ha sempre più cose da nascondere. Giudici venduti e no Il 24 maggio 1984 il vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga B., assistito dall’avvocato Cesare Previti e imputato “ai sensi dell’articolo 1 della legge 15 / 12 / 69 n. 932” per interruzione di pubblico servizio a causa delle presunte antenne abusive sul Monte Cavo che interferiscono nelle frequenze radio della Protezione civile e dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Ma la posizione di B. viene subito archiviata il 20 luglio 1985, mentre altri 45 rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo grazie all’amnistia. Non potevano sapere che Squillante e Previti avevano conti comunicanti in Svizzera. 
Insomma, che il giudice romano era a libro paga della Fininvest. Il 16 ottobre 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi e Adriano Sansa, sequestrano gli impianti che consentono a Canale 5, Italia 1 e Rete 4 di trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla legge. 
Craxi neutralizza le ordinanze con due “decreti Berlusconi”. Mills e la Fininvest occulta. Nel 1989 l’avvocato Mills, consulente Fininvest da alcuni anni, costituisce per conto del gruppo Berlusconi la All Iberian e decine di altre società offshore (la Kpmg, per conto della Procura di Milano, arriverà a contarne 64) domiciliate nelle isole del Canale (all’ombra di Sua Maestà britannica), nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali. 
Ordine è partito dai responsabili della finanza estera del gruppo, Candia Camaggi e Giorgio Vanoni. Nasce così il “Comparto B” della Fininvest, “very discreet”, cioè occulto e in gran parte mai dichiarato nei bilanci consolidati, alimentato perlopiù dalla Silvio Berlusconi Finanziaria Sa (società lussemburghese regolarmente registrata a bilancio), ma anche da denaro proveniente dal Cavaliere in persona (in contanti, tramite “spalloni” che lo portano da Milano oltre il confine elvetico). Sul conto svizzero di All Iberian, in soli sei anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire. Usati per operazioni riservate e inconfessabili, come confermeranno le sentenze definitive All Iberian, Mills e Mediaset. Anzitutto, B. versa 23 miliardi a Craxi tra il 1990 e il ’ 91. Gira soldi di nascosto ai suoi prestanome Renato Della Valle e Leo Kirch: non potendo, per la legge Mammì, detenere piú del 10 % di Telepiú, B. finanzia occultamente le teste di legno che rilevano le sue quote eccedenti. Acquista per 456 miliardi il capitale di Telecinco, la tv spagnola, di cui per la legge antitrust di Madrid non potrebbe controllare più del 25 %. Presta soldi a Giulio Margara, presidente di Auditel e direttore di Upa, l’associazione utenti pubblicitari. Gira 16 miliardi a Previti, in parte per pagarlo in nero in parte perché versi tangenti a giudici romani come Squillante e Vittorio Metta (autore della sentenza comprata che nel 1990 scippa la Mondadori a De Benedetti per regalarla alla Fininvest). Scala di nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori in barba alla normativa Consob. E soprattutto, tramite alcune offshore, intermedia l’acquisto di film dalle major di Hollywood, facendone lievitare i costi per 368 milioni di dollari e dunque abbattendo gli utili di Mediaset per tutti gli anni 90, consentendo al gruppo di pagare meno imposte e al beneficiario dei conti esterni, cioè a se stesso, di accumulare una fortuna extrabilancio ed esentasse. 
E cosí via. 
Resta pure il sospetto che parte del denaro di destinazione ignota sia servito a pagare i politici del pentapartito per la legge Mammì del 1990 sull’emittenza: quella che consente a B. di tenersi tutt’e tre le reti Fininvest in barba a qualunque minimo principio antitrust. Lo testimoniano i responsabili della Fiduciaria Orefici, che aiuta il Cavaliere a foraggiare il conto All Iberian: il dirigente Fininvest Mario Moranzoni confidò loro che “i politici costano, c’è in ballo la Mammí”. Per le presunte tangenti Fininvest in cambio di quella legge, la magistratura romana indagherà Gianni Letta e Adriano Galliani, ma l’ufficio Gip guidato da Squillante negherà il loro arresto, e l’inchiesta finirà nel nulla

Le Fiamme Sporche. 
Nel 1989 il responsabile servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, altro ex finanziere passato alla corte del Cavaliere, si libera di una verifica fiscale a Videotime (la società Fininvest che racchiude Canale 5, Rete 4 e Italia 1) versando ai finanzieri una tangente di 100 milioni di lire. Lo stesso fa nel 1991 con 130 milioni scuciti per ammorbidire un’ispezione a Mondadori. E poi nel 1992 con altri 100 milioni per una visita delle Fiamme Gialle a Mediolanum. E ancora nel 1994 con 50 milioni perché i finanzieri chiudano un occhio, o possibilmente due, durante un blitz disposto dalla Procura di Roma e dal Garante per l’editoria sulla reale proprietà di Telepiù: che, se dovesse risultare ancora in mano a B. tramite i soliti prestanome (così com’è nella realtà), porterebbe al-l’immediata revoca delle concessioni per Canale 5, Rete 4 e Italia 1. Ma anche quella volta i finanzieri corrotti se ne vanno con gli occhi bendati. Nel ’ 94, appena un sottufficiale confessa a Di Pietro di aver ricevuto parte di una tangente Fininvest, esplode lo scandalo Fiamme Sporche, che in poche settimane porta all’arresto di un centinaio di finanzieri corrotti e all’incriminazione di oltre 500 imprenditori e manager corruttori (il Gotha dell’imprenditoria milanese). Confessano quasi tutti. Tranne uno: Silvio B., che non può ammettere nulla perché è appena divenuto presidente del Consiglio. Sciascia dice che ha fatto tutto per ordine di Paolo Berlusconi, Silvio non c’entra nulla. Intanto l’avvocato Berruti chiama l’ex collega Corrado (quello dell’ispezione del 1979), ormai in pensione, perché tappi la bocca sulle mazzette Fininvest il capobanda, colonnello Angelo Tanca. E così avviene. Quando il pool Mani Pulite ha pronta la richiesta di cattura per Sciascia e Paolo, il governo di Silvio vieta la manette per corruzione col decreto Biondi. È il 14 luglio ’ 94. L’Italia si ribella, Bossi e Fini si defilano, B. è costretto a ritirare il decreto a furor di popolo, così finiscono dentro Sciascia, Paolo, Corrado e Berruti. Il quale, si scopre, prima di orchestrare il depistaggio è volato a Roma per incontrare il premier a Palazzo Chigi. 
La prova che ha fatto tutto Silvio, non Paolo. Di qui l’invito a comparire durante la conferenza Onu di Napoli e poi il processo. Primo grado: condannati Silvio e Sciascia, assolto Paolo. Appello: prescritto Silvio, condannato Sciascia. Cassazione: condannato Sciascia, assolto per insufficienza di prove Silvio, perché potrebbe essere stato Paolo, che però non può essere riprocessato una volta assolto. La prova contro Silvio potrebbe, anzi dovrebbe fornirla Mills, sentito come testimone al processo: purtroppo è stato corrotto con 600 mila dollari e mente ai giudici, salvando il Cavaliere. 9 processi aboliti per legge. 
Ma le tangenti c’erano, e quello che il gruppo Berlusconi ha da nascondere alla Guardia di Finanza è più che evidente. Lo dimostra la miriade di processi nati da quei fondi neri negli anni 90, quando i giudici e i finanzieri corrotti iniziano a scarseggiare. Non potendoli neutralizzare a monte a suon di mazzette, B. li cancella a valle con una raffica di leggi ad personam: falso in bilancio, condoni fiscali ed ex Cirielli. Risultato: 2 processi fulminati perché il reato non c’è più, cancellato dall’imputato (All Iberian-2 e Sme-2) e 8 caduti in prescrizione. 
L’ultimo, per il semplice decorrere del tempo, sulla divulgazione dell’intercettazione della telefonata segreta e rubata tra Fassino e Consorte. Gli altri 7: corruzione del giudice Metta per la sentenza Mondadori e caso All Iberian-1 per i 23 miliardi a Craxi (prescritti grazie alle attenuanti generiche); falsi in bilancio Fininvest anni 90; altri falsi in bilancio per i 1550 miliardi di lire di fondi neri sottratti al consolidato col sistema All Iberian; fondi neri nel passaggio del calciatore Lentini dal Torino al Milan; corruzione giudiziaria del teste Mills (prescritti grazie al-l’ex Cirielli); appropriazioni indebite e i falsi in bilancio e la gran parte delle frodi fiscali sui diritti Mediaset (prescritti grazie al combinato disposto della legge sul falso in bilancio e all’ex Cirielli). I reati superstiti, e cioè le frodi fiscali del 2002 e 2003, per un totale di 7 milioni di euro (su un totale di 360 milioni di dollari, ormai evaporati), sono miracolosamente giunti in Cassazione per la sentenza definitiva del 1 ° agosto prima della solita falcidie. Sarebbe questo il sintomo di una politica debole e di una giustizia forte? E che c’entra, con questa fogna, la politica? Marco Travaglio FQ 7 agosto 2013

https://www.facebook.com/notes/gabriele-lanzi/travaglio-carriera-di-un-evasore-un-delinquente-che-ancora-%C3%A8-senatore-della-repu/10151772483249629

martedì 6 agosto 2013

Love police.



Love Police è un gruppo di persone carismatiche che evidenziano i fallimenti del sistema capitalistico. Questo gruppo si concentra sulle idee dell'anarchismo (anarchismo vero, quello pacifico). Stanno facendo un grande lavoro rivelando la realtà per quello che è, anche se trattano solo alcuni problemi sociali e non le soluzioni. Trovi altri loro video (in inglese) sul sito http://www.cveitch.org

Visita il sito http://www.zeitgeistitalia.org e partecipa al movimento ZEITGEIST se ti interessano i problemi ambientali, economici, sociali e soluzioni intelligenti e pacifiche a questi problemi.
(Il video è montato dal gruppo "Società Empatica")

Andrea Scanzi.



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=529344287115548&set=gm.10151675056679193&type=1&theater

Che strane cose si verificano ultimamente nel nostro paese.

Intervista esclusiva al giudice Esposito: «Berlusconi condannato perché sapeva» - Antonio Manzo



Silvio Berlusconi non è stato condannato «perché non poteva non sapere», ma «perché sapeva»: era stato informato del reato.

Così il giudice Antonio Esposito, presidente della sezione feriale della Cassazione, spiega la sentenza di condanna per il Cavaliere in una intervista esclusiva al Mattino. «Nessuna fretta nel processo. Abbiamo solo attuato un doveroso principio della Cassazione, quello di salvare i processi che rischiano di finire in prescrizione».

E quello Mediaset sarebbe andato prescritto il primo agosto scorso. «Abbiamo deciso con grande serenità» aggiunge il magistrato. Sulle polemiche che negli ultimi giorni lo hanno colpito dal fronte berlusconiano, il presidente preferisce non replicare: «La mia tutela avverrà nelle sedi competenti». Aggiunge: «Ero per la diretta tv, ma avremmo turbato il processo».

Giudice Esposito, può esistere, chiamiamolo così, un principio giuridico secondo il quale si può essere condannati in base al presupposto che l’imputato «non poteva non sapere»?

«Assolutamente no, perché la condanna o l’assoluzione di un imputato avviene strettamente sulla valutazione del fatto-reato, oltre che dall’esame della posizione che l’imputato occupa al momento della commissione del reato o al contributo che offre a determinare il reato. Non poteva non sapere? Potrebbe essere una argomentazione logica, ma non può mai diventare principio alla base di una sentenza».

Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E qual è allora?

«Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva. Non è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva. Tu non potevi non sapere, perché Tizio, Caio o Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere».



Il giudice Esposito corregge il tiro, ma Il Mattino ribadisce: «Intervista riportata in forma letterale»

«Posso assicurare a voi e ai miei lettori che l'intervista è letterale, cioè sono stati riportati integralmente il testo, le parole e le frasi pronunciate dal presidente di cui ovviamente abbiamo prova»: è quanto ha sottolineato Alessandro Barbano, direttore del Mattino, intervenuto oggi al programma di Radio1 '"Start, la notizia non può attendere", in merito all'intervista al giudice Antonio Esposito pubblicata oggi sul quotidiano (leggi) e poi smentita in alcuni passaggi dallo stesso presidente della sezione feriale della Cassazione.

«Non posso commentare la smentita - ha proseguito Barbano - ma posso commentare, di fronte a qualunque sede, che il presidente Esposito ha pronunciato esattamente le parole con la sintassi e la conseguenza logica con cui noi le abbiamo pubblicate».

«Ovviamente sì» ha poi risposto Barbano alla domanda se Il Mattino fosse in possesso della registrazione dell'intervista. «Posso immaginare - ha proseguito Barbano - che il presidente della Cassazione abbia valutato a posteriori che, in qualche modo, spiegare le motivazioni della condanna prima di averla emessa possa avere per lui un ritorno non positivo. Però non è una colpa da attribuire ai giornalisti, ma alla responsabilità e alla maturità di chi parla».



Cimici in Cassazione, rinvenuta una microspia negli uffici del Palazzaccio. - Andrea Spinelli Barrile.

Chissà se si tratta dell’ennesimo episodio della “strategia della tensione 2.0″ o semplicemente di un falso allarme: certo è che la notizia data dal quotidiano Il Tempo, che denuncia il ritrovamento di una cimice negli uffici della seconda sezione penale della Corte di Cassazione a Roma, dovrebbe far letteralmente tremare i polsi.
Un’impiegata della Corte, ieri pomeriggio alle 14, ha rinvenuto un circuito elettronico prestampato che servirebbe per registrare o intercettare le conversazioni: il ritrovamento della microspia sarebbe avvenuto nelle stanze degli “ermellini” preposti a pronunciarsi, tra 11 giorni, sulla posizione di Silvio Berlusconi nel processo per i diritti tv Mediaset.
Mentre da palazzo Grazioli devono ancora sciogliere la riserva sulla rinuncia o meno alla prescrizione, cosa che procrastinerebbe la sentenza della Cassazione a settembre dando il tempo agli avvocati di Berlusconi di “verificare” le ultime cose ed imbastire la strategia difensiva (cosa che ha il sapore del pretesto, visto che il rinvio a giudizio è stato richiesto dai magistrati Robledo e De Pasquale nel 2005), dall’altra parte del Tevere la notizia della microspia di bachelite rinvenuta negli uffici della Cassazione è molto grave.
Al lavoro ci sono già i Carabinieri, che stanno verificando l’effettivo funzionamento della cimice (che sarebbe stata ritrovata senza batterie) e che avranno l’arduo compito di scoprire chi l’ha piazzata e per conto di chi; il primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, nominato dal Csm nel maggio scorso, è stato immediatamente allertato dall’Arma che, per suo conto, ha già avviato tutti i rilievi scientifici necessari e portato via il “corpo” del reato.
La pressione sulla Corte che il 30 luglio si pronuncerà in modo definitivo sulla condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici è sempre più forte: da un lato le pedanti polemiche politiche che tengono il governo su un affilatissimo filo di rasoio, la cui lama si è ulteriormente assottigliata con le pressioni su Alfano nel clamoroso caso Shalabayeva, dall’altro il rinvenimento della microspia negli uffici dei supremi giudici.
Quello delle microspie è un argomento delicatissimo, dal sapore se vogliamo complottista, ma è in verità sempre più uno “strumento di pressione” più che di controllo: l’assenza di batterie infatti potrebbe far pensare, secondo indiscrezioni dei Carabinieri, più ad un’avvertimento che non a reali intenti spionistici.

Se il palco è abusivo. - Rita Pani




A questo punto dovremmo appendere delle lenzuola bianche ai nostri balconi, in segno di resa. Esigere  una tregua, giacché non siamo riusciti a pretendere la decenza del silenzio. Inutile dire che dovremmo contarci per organizzarci perché lo sappiamo che a parole saremo milioni, ma pronti a fare una decina.

A questo punto dovremmo chiedere ai giornali di avere pietà di noi: “Per favore basta! Scriveteci del meraviglioso miracolo del pancione della diva, della cellulite che non risparmia le famose chiappe della modella, dell’amore nato e morto tra questa e quello. Ma basta. Smettete di insultare le poche intelligenze, risparmiate chi ormai è vicino a perdere l’ultimo neurone.”

Abbiate pietà di voi, giornalisti. Ricordatevi cos’è la vostra professione, ricordate i sacrifici che avete fatto per sedere a quella scrivania, fosse anche quello di aver dovuto aprire le gambe, rovesciate su un divano, per un adiposo pieno di bava, che magari puzzava e sudava. Riprendetevi la dignità.

Perché davvero non può essere accettabile, che oggi per tutti voi spruzzatori di inchiostro a caso, il problema sia che il palco di Roma fosse illegale. Non può essere il problema, che i cartelli stradali siano stati divelti per far spazio alla folla oceanica che si attendeva. Il problema non è quel che è restato dopo il passaggio dello tsunami berlusconoide, con le carte dei panini, e le bottigliette delle bibite o le bucce di banana, così come ormai crede la maggioranza dei rivoluzionari italiani del clic, mi piace, condividi.

Il problema è quel che da quel palco è stato detto, l’immagine deteriorata dell’Italia che fa ridere tutto il mondo, e vergognare i milioni di italiani che da questo PAESE DI MERDA son dovuti scappare, per sopravvivere dignitosamente, per ritrovare l’orgoglio di sentirsi attivi, vivi e partecipi alla vita.

Non può essere l’abusività di un palco il problema del giorno dopo, ma l’evidenza di una nazione in ostaggio di un manipolo di criminali dall’indiscussa mafiosità. Il problema reale del paese è che non riesce a dire basta alla malavita organizzata, succube, schiavo, complice.

Arrendiamoci, perché hanno vinto e vincono ogni giorno, svuotando le nostre povere vite – ogni giorno di più. È inutile pensare che un giorno ci riprenderemo, che un giorno saremo nuovamente capaci di organizzarci, di ripensare al nostro domani, di riavere una progettualità che non riusciamo più nemmeno a sognare.
Vien male scrivere persino che l’Italia non è un paese normale, perché sembra idiota scrivere una siffatta banalità. 

Eppure normale non lo è per nulla, se ancora oggi tutte le istituzioni sono impegnate a trovare il mondo per garantire la libertà di un delinquente, se a quel delinquente è ancora dato parlare del futuro di tutti noi, o se addirittura già si preannuncia la probabile abdicazione del trono in favore della figlia … il trono di un impero mafioso e finanziario che nulla ha a che fare con una Repubblica libera e democratica, o che almeno nulla avrebbe a che fare.

Vuole andare in galera, dice. E lo fa come se fosse una minaccia. 
Riprendete a scrivere minchiate il giorno che se lo dimenticheranno a Badu ‘e carros, o il giorno che farà la fine del povero Stefano Cucchi. 
Io quel giorno, dopo la festa, riprenderò a leggere i giornali.

«È il momento di unire le forze dei movimenti». Intervista a Stefano Rodotà. - Eleonora Martini



Intervista a Stefano Rodotà: la grazia a Berlusconi? «Inaccettabile. «Subito la riforma della legge elettorale, e poi il voto». E nel frattempo, «insieme ad altri», sta pensando a un modo di «unire le forze di quei soggetti civili, politici e sociali» tornati da tempo protagonisti e che ora «non possono più essere trascurati».

La grazia a Berlusconi? «Inaccettabile. Anche perché sarebbe come istituire una super-Cassazione». Il giurista Stefano Rodotà parla di «rischio istituzionale che non va corso». È un momento delicato questo, dice, che richiederebbe un po' di «coraggio e lungimiranza politica» da parte dei partiti. «Subito la riforma della legge elettorale, e poi il voto», auspica. E nel frattempo, «insieme ad altri», sta pensando a un modo di «unire le forze dei soggetti civili, politici e sociali» tornati da tempo protagonisti e che «non possono più essere trascurati».
 
Mentre per il Financial Times «cala il sipario sul buffone di Roma», Sandro Bondi usa toni apocalittici minacciando la «guerra civile». Frasi che il Quirinale giudica come «irresponsabili». C'è da preoccuparsi o è solo un'altra farsa?
Ciò che sta avvenendo non è solo una reazione simbolica, rivolta a impressionare l'opinione pubblica. I comportamenti tenuti sono qualificabili come eversivi, nel senso che negano i fondamenti della democrazia costituzionale... La richiesta ufficiale del Pdl che, dicono, formalizzeranno nell'incontro con Napolitano, è di «eliminare un'alterazione della democrazia». Sono parole e comportamenti da valutare come rifiuto dell'ordine costituzionale. Al di là delle conseguenze, non si può cedere ancora all'abitudine di derubricare e sottovalutare quelle che vengono considerate «intemperanze verbali». Sono molto colpito dalla parola «irresponsabile» attribuita al presidente Napolitano, che di solito è molto cauto. Ma è evidente che la situazione configurata da Berlusconi e dal Pdl - considerare «un'alterazione della democrazia» una sentenza passata in giudicato - è eversiva. È un fatto di assoluta gravità che non possiamo sottovalutare.
 
Dunque i toni apocalittici vanno presi sul serio?
Assolutamente sì.
 
Ma non era tutto prevedibile?
Certo, il governo delle larghe intese è stato un grandissimo azzardo perché tutti sapevano che in pista c'era la vicenda giudiziaria di Berlusconi e che il Pdl non avrebbe certo mostrato responsabilità. Si è scelta questa strada nella speranza che non sarebbe accaduto, ma la storia di Berlusconi, fin da quando rovesciò il tavolo della bicamerale di D'Alema per sottrarsi al giudizio, testimonia esattamente che tutto era prevedibile. E allora oggi confidare in un ravvedimento operoso è pericoloso. Perché Berlusconi può continuare a condizionare pesantemente non solo il governo ma l'intero sistema costituzionale. Presidente della Repubblica, parlamento, magistratura: l'intero sistema costituzionale è in questo momento sotto ricatto.
 
Un ricatto che rischia di immobilizzare in ogni caso Napolitano. Secondo lei, il capo dello Stato dovrebbe concedere la grazia a Berlusconi?
No. Indipendentemente dai toni, penso che Napolitano non debba concedere la grazia. E sembra che il Quirinale vada prudentemente in questa direzione. Napolitano dovrebbe dire e dirà che una richiesta proveniente da Schifani e Brunetta è irricevibile dal punto di vista formale, anche perché per concedere la grazia vanno prese in considerazione una serie di condizioni, non ultima la condotta del condannato. Su Berlusconi invece pendono altri procedimenti e una condanna di primo grado nel processo Ruby. Rispetto a una persona che ha questo profilo, si può intervenire con un provvedimento di clemenza? Ma c'è di più: una grazia all'indomani della condanna assumerebbe la funzione di un quarto grado di giudizio, cioè una sconfessione della magistratura, facendo di Napolitano una sorta di super-Cassazione che elimina tutti gli effetti della condanna. È un rischio istituzionale che non va corso.
 
Ieri sul manifesto il presidente della Giunta per le autorizzazioni Dario Stefano ha ricordato l'iter istituzionale che seguirà la decadenza di Berlusconi da senatore. Non è un atto dovuto, dunque?
Ricordiamoci che Alfano ritirò la fiducia al governo Monti dopo l'approvazione della norma sulla decadenza e sull'ineliggibilità. Naturalmente la decadenza dovrebbe essere un atto dovuto e questo passaggio previsto in Parlamento può apparire una singolarità. Ma la legge è molto chiara sul punto: il passaggio in Parlamento è una presa d'atto di un provvedimento operativo nei confronti di uno dei suoi membri. La procedura può essere anche macchinosa ma l'esito non può essere discrezionale.
 
Il voto non riserverà sorprese?
Forse, visto che la legalità per una certa parte politica è un optional. Ma al Senato c'è una maggioranza che va ben al di là dei numeri del Pdl; sarebbe un fatto davvero istituzionalmente inqualificabile.
 
Come mai ora sarebbe «necessaria» quella riforma della giustizia fin qui ritenuta «impensabile»?
Appunto. Questa riforma assume il significato della rivincita politica di Berlusconi nei confronti della magistratura. Riscrive - nella situazione drammatica che vive l'Italia - le priorità dell'agenda come condizione per far vivere il governo. Ma anche questa non è una novità. Faccio un solo esempio: quando si costituì la Commissione bicamerale D'Alema Berlusconi chiese che al primo posto fosse iscritta la questione giustizia. Non era compresa tra i compiti della commissione ma ne divenne l'architrave, per accontentare Berlusconi. E infatti, come ci ha rivelato alcuni giorni fa l'ex ministro Flick il suo pacchetto di riforma della Giustizia venne allora bloccato; D'Alema stesso glielo chiese con una lettera. Non si può continuare su questa strada.
 
Nemmeno con il lavoro dei «saggi»?
Considero quella commissione istituita solo per dare consigli, che non può diventare in nessun modo politicamente rilevante né tantomeno vincolante. E in più ritengo nel merito largamente inaccettabili le loro proposte.
 
Allora elezioni subito? Con questa legge elettorale?
No, perché rischiamo di nuovo l'ingovernabilità. E ormai sappiamo - ce lo ha detto la Corte Costituzionale e ricordato il suo presidente - che andremmo a votare con una legge viziata di incostituzionalità. Sulla questione a dicembre ci sarà una sentenza della Consulta, su richiesta della Cassazione. Ma al di là di questo, c'è anche un problema politico: si può accettare di andare al voto con una legge incostituzionale e politicamente devastante per gli effetti che ha prodotto? Propongo di riconvocare subito le camere per affrontare la legge elettorale. Non occorre sospendere le vacanze: possiamo utilizzare lo spazio riservato alla riforma costituzionale calendarizzata all'inizio di settembre per arrivare subito a una riforma elettorale. D'altronde non si può fare una riforma costituzionale con chi mette in discussione l'ordine costituzionale, è incosciente in questo clima. E invece occorre un'iniziativa immediata per anticipare i tempi e modificare in brevissimo tempo la legge elettorale, partendo a settembre dalla proposta più semplice, quella di Giachetti di ritorno al mattarellum. È l'unica iniziativa politica possibile per mettere minimamente in sicurezza il sistema.
 
Settembre è un tempo breve e lungo insieme. E il M5S ha smentito di essere disponibile a un governo, sia pur programmatico, con il Pd.
Indipendentemente dalle dichiarazioni del M5S, il Pd dovrebbe porre il problema di sciogliere le camere solo nel caso fosse accertata la mancanza di una maggioranza per costituire un governo, anche di breve durata, che si faccia carico immediatamente della riforma della legge elettorale. Ed è un problema che si presenta solo al Senato. Ma è un passaggio politico che richiede iniziativa, coraggio e lungimiranza politica da parte dei partiti; non ci si può solo chiedere cosa farà il capo dello Stato. Lui deve essere lasciato nella condizione di fare il suo lavoro ma non nel vuoto politico che si era determinato quando i tre responsabili dei partiti che oggi costituiscono la maggioranza, incapaci di eleggere un qualsiasi presidente della Repubblica, si ripresentarono da Napolitano facendo una mossa politicamente gravissima, dettata da debolezza politica.
 
Lei stesso ne fu protagonista...
Venni coinvolto ma oggi guardo alla vicenda con distacco. Piuttosto come allora in questo periodo, non solo in questi giorni, si è sedimentato attorno al tema della difesa della Costituzione - ma in senso alto: difesa dei valori e dei principi - un'attenzione di forze sociali politiche e civili che non può essere assolutamente trascurata. Ci sono state moltissime iniziative, tra le quali io metto anche l'ostruzionismo parlamentare di Sel e del M5S che ha inseguito la forzatura dell'approvazione ai primi di agosto della legge sulla revisione costituzionale. Ma in questo momento sono necessario iniziative non solo per sostenere la difesa di questi principi ma anche per porre le forze politiche davanti alla loro responsabilità.
 
Quali iniziative?
È ancora presto per dirlo, con altri abbiamo appena cominciato a pensarci, ma qualcosa è assolutamente necessario fare.

Potrebbe tornare lei stesso protagonista?
I discorsi da protagonista li ho sempre scartati. Dico solo che oltre alle responsabilità dei partiti, c'è una responsabilità propria di soggetti politici sociali e civili che in questo periodo si sono mobilitati - ne abbiamo visto un esempio a Bologna il 2 giugno - e che devono trovare forme di espressione. Non è questione di investitura, semmai l'investitura l'hanno ricevuta in molti e questo è il momento di unire le forze...