La norma - varata nell'agosto del 2016 dal governo Renzi - era stata aspramente contestata da magistrati e investigatori. Prevedeva che l’informativa di reato - cioè il primo atto all'interno dell'inchiesta - dovesse scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I rispettivi ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia.
La legge che poteva consentire ai politici di conoscere in anticipo le indagini è incostituzionale. Il motivo? Lede le attribuzioni costituzionali del pubblico ministero. Lo ha stabilito la Consulta che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal procuratore di Bari nei confronti del governo. La norma era stata varata nell’agosto del 2016 quando a Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi. A luglio, invece, si erano registrate le prime fughe di notizie all’interno dell’inchiesta Consip. I vertici della centrale acquisti della pubblica amministrazione furono informati quasi in diretta dell’esistenza dell’indagine che ora rischia che di portare alla richiesta di rinvio giudizio per l’ex ministro dello Sport Luca Lotti e il generale dell’Arma Tullio Del Sette. L’ad Luigi Marroni, intercettato il 20 dicembre 2016, confessò al capo dell’ufficio legale di sapere dell’esistenza degli accertamenti “4-5 mesi” prima.
Il conflitto sollevato dal procuratore di Bari – Il procuratore del capoluogo pugliese, Giuseppe Volpe, sosteneva che la norma di fatto abrogasse parzialmente il segreto investigativo e che il governo fosse andato oltre la delega del Parlamento introducendo una sorta di deroga alla riservatezza. “Notizie riservate potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini”, cioè vere e proprie “fughe di notizie legittimate”, commenta il magistrato che ha definito “la sentenza come “un grandissimo successo”. Il magistrato spiega che la legge rischiava di “compromettere il segreto istruttorio e la stessa obbligatorietà dell’azione penale”. Il ricorso è stato scritto personalmente dal procuratore di Bari, rappresentato nel giudizio dai professori Giorgio Costantino e Alfonso Celotto.
La norma bocciata – Al centro dell’atto c’è l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016. La disposizione prevede che, a fini di coordinamento informativo, “i vertici delle Forze di Polizia adottino istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettano alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. La Corte, pur riconoscendo che le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzione, la specifica disciplina della trasmissione per via gerarchica delle informative di reato.
Spataro: “Incostituzionale. Segreto investigativo carta straccia” – Un testo che all’epoca aveva fatto molto discutere. “Una norma a dir poco sorprendente”, l’aveva definita il procuratore di Torino, Armando Spataro segnalando subito “profili di incostituzionalità“, ma soprattutto di un “contrasto con alcune norme del codice di procedura penale che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine”. “Così il segreto investigativo diventa carta straccia“, diceva il magistrato parlando di un ulteriore passo della “generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria”. La legge, sottolineava sempre Spataro, non prevede infatti “alcun divieto” per le gerarchie delle forze dell’ordine “di riferire all’autorità politica”. La questione era arrivata sui tavoli di Palazzo dei Marescialli, con il Consiglio superiore della magistratura che si era espresso in maniera critica sul provvedimento.
Le indagini top secret al governo in anteprima –L’informativa di reato è il primo atto scritto in cui uno o più membri delle forze dell’ordine riassumono i risultati di un’inchiesta, in quel momento coperta da segreto, per trasmetterli alla magistratura, alla procura di competenza. Il “coordinamento” di cui parla il testo, necessario per evitare doppioni e sovrapposizioni, in precedenza spettava proprio ai magistrati inquirenti. Con la norma, invece, l’informativa deve scalare le scale gerarchiche di Polizia, carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia. Così, per esempio, un’inchiesta per corruzione o per mafia, o qualunque indagine che possa mettere in imbarazzo un ministro, un parlamentare, un amministratore locale, potrà arrivare sul tavolo della politica prima di essere resa nota all’interessato con un provvedimento della magistratura.
La circolare di Gabrielli – Una normativa simile era già prevista i carabinieri, sottoposti al Testo unico dell’ordinamento militare del 2010. Con la legge del 2016 è stata estesa a tutti le altre forze dell’ordine. L’8 ottobre 2016 una circolare dal capo della polizia, Franco Gabrielli, spiegava che i superiori gerarchici devono essere informati anche degli ulteriori sviluppi “rilevanti” dell’inchiesta, “fino alla fine delle indagini preliminari”. Ma precisava che nel farlo è necessario “preservare il buon esito delle indagini in corso”, e quindi le comunicazioni dovevano essere selezionate in modo “graduale” e al solo scopo di “garantire un adeguato coordinamento informativo”.
Il conflitto sollevato dalla procura di Bari – La Corte costituzionale – giudice relatore Nicolò Zanon – aveva ammesso il conflitto tra poteri dello Stato il 6 dicembre del 2017. Anche se l’allarme sui possibili profili di incostituzionalità della norma era stato lanciato dai procuratori – Spataro in primis – e dal Csm già diversi mesi fa, in piena tempesta sull’inchiesta Consip tra fughe di notizie e dubbi sulle prove manipolate. E aveva suscitato la reazione indignata di Gabrielli. A sollevare il conflitto era stato il procuratore Bari, Volpe nei confronti del governo per quella disposizione inserita a sorpresa nel decreto che aveva accorpato la Forestale all’Arma dei carabinieri. La norma venne introdotta con l’obiettivo dichiarato di evitare duplicazioni e sovrapposizioni tra le forze di polizia e e per ottenere così un efficace coordinamento informativo. Per il procuratore pugliese, però, non solo il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento, ma aveva di fatto abrogato parzialmente il segreto investigativo, che è uno dei cardini del nostro sistema processuale, introducendo una sorta di deroga alla segretezza.
Per procuratore Bari lesi gli articoli 109 e 112 della Costituzione – Non solo: introducendo quell’obbligo a carico della polizia giudiziaria, il governo, per il procuratore, aveva anche leso le prerogative riconosciute dalla Costituzione alla magistratura inquirente. Perché quella norma contrasta con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112), che garantisce l’indipendenza funzionale del pm da ogni altro potere e soprattutto da quello esecutivo; e ledeva anche l’articolo 109 della Costituzione che dà ai pubblici ministeri il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria.
I rilievi del Csm – Gli stessi rilievi che aveva mosso nel giugno del 2017 il Csm. L’organo di autogoverno della magistratura sollevò il problema anche del rischio di “interferenze” nelle indagini dei magistrati con la trasmissione di notizie sulle inchieste a “soggetti che non rivestono la qualifica di polizia giudiziaria e che, per la loro posizione apicale, vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza organica dalle articolazioni del potere esecutivo”. La delibera fu approvata dal plenum del Consiglio superiore della magistratura. Fu quel passaggio che fece sentire “offeso” Gabrielli, “come se il sottoscritto – disse in un’intervista – e i vertici delle forze dell’ordine non avessero giurato fedeltà alla Costituzione, ma alla maggioranza di governo del momento.” Anche a giudizio del plenum il governo era andato oltre la delega ricevuta dal Parlamento. Palazzo dei Marescialli suggerì anche una possibile via d’uscita: che la comunicazione in via gerarchica sulle informative della polizia giudiziaria avvenisse “compatibilmente con gli obblighi” di legge sul segreto investigativo e non “indipendentemente” da tali obblighi, come detto nella disposizione. Che però è stata bocciata dai giudici costituzionali.
Fonte: ilfattoquotidiano del 7 novembre 2018