venerdì 31 luglio 2015

Italicum: Camera, Bindi porta in Aula palline "blocca tasti".

Silvia Fregolent inserisce una pallina giocattolo per gatti nella fessura con i pulsanti durante le  votazioni in aula della Camera © ANSA
Silvia Fregolent inserisce una pallina giocattolo per gatti nella fessura con i pulsanti durante le votazioni in aula della Camera. (Foto Di Alessandro Di Meo)

Sono quelle con cui giocano i gatti.


Addio palline di carta per "bloccare" il tasto del meccanismo di votazione. 
I deputati del Pd hanno 'scoperto' le palline colorate in gomma, quelle usate per far giocare i gattini: sono più carine e, pare, funzionino meglio. 
I deputati in Aula a Montecitorio sono soliti bloccare il tasto di voto con una pallina di carta per evitare di tenerlo premuto con il dito, specialmente nelle giornate di votazioni a raffica. Ma Rosy Bindi ha scoperto una valida, e più variopinta, alternativa allo strumento rudimentale. 
Durante le votazioni sugli ordini del giorno alla legge elettorale la presidente della commissione Antimafia ed esponente della minoranza Pd ha portato in Aula una confezione con tre palline per far giocare i gatti, quelle con dei piccoli tentacoli amatissime dai mici. Ne ha data una ciascuno alla sua compagna di banco, Anna Margherita Miotto ed una a Silvia Fregolent, che siede dietro di loro. Le due deputate, entusiaste, le hanno "installate" nel meccanismo di voto e le hanno provate sotto lo sguardo soddisfatto di Rosy Bindi.

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/05/04/italicum-camera-bindi-porta-in-aula-palline-blocca-tasti_c1b1daa9-6929-49e9-8c8f-4af4e9ccc999.html

mercoledì 29 luglio 2015

Lo scambio tasse-sanità di Renzi viene da lontano. - Pierfranco Pellizzetti

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Non c’era bisogno di essere un acuto politologo per capire che l’annuncio estivo di Matteo Renzi della manovra anti-tasse è solamente l’inizio di una lunga campagna elettorale per recuperare i consensi perduti. In una sequenza accelerata alla Ridolini: abolizione dell’Ici sulla prima casa nel 2016, diminuzione dell’Irap nel 2017 e poi dell’Irpef un anno dopo. Semmai la domanda era un’altra: da dove il mirabolante premier presume di far saltare fuori la provvista per un’operazione quantificabile in svariate diecine di miliardi.
Poi il dubbio è stato parzialmente sciolto: almeno una diecina di miliardi arriveranno da tagli sulla sanità. E – così – se resta il dubbio sul portato effettivo dell’annuncio, molti altri aspetti della complessiva politica renziana sono venuti alla luce. In particolare la stretta dipendenza dal modello berlusconiano, che ora risulta in tutta la sua pienezza. Non soltanto come priorità accordata all’illusionismo comunicativo; in una visione iomaniaca del proprio ruolo, ridotto a bulimia di potere.
Lo scambio tasse-sanità rivela ben di più: l’identificazione nelle strategie politiche messe a punto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso dalla destra repubblicana degli Stati Uniti, riconfezionate negli anni Novanta dai vari Tony Blair e Bill Clinton nelle retoriche della (presunta) Nuova Sinistra di Terza Via.
Insomma, emergono con nitidezza le coordinate cultural-politiche del giovane provincialotto di Rignano, sempre sulle orme del ganassa di Arcore; entrambi intenti a recitare la sceneggiatura da Italietta del dopoguerra de “L’americano a Roma”.
Facciamo qualche passo indietro per capirci: nell’Occidente del secondo dopoguerra venne portata a compimento un’opera di ingegneria politico-sociale già teorizzata nell’anteguerra da John M. Keynes e avviata dal presidente Franklin D. Roosevelt con il New Deal. Ossia, una poderosa opera di trasferimenti di risorse verso l’area centrale della società (inducendo al tempo stesso dinamiche ascensionali inclusive) per garantire sicurezza e qualità della vita tramite un vasto apparato di servizi sociali.
In questo modo si utilizzavano le capacità di programmare, organizzare e distribuire i grandi numeri e i grandi volumi, apprese e messe a punto dagli Stati durante i due conflitti mondiali, quale traduzione in modello del cosiddetto compromesso keynesiano-fordista (lo scambio negoziale tra cassi lavoratrici sindacalizzate e borghesia imprenditoriale, avente per oggetto l’accettazione del sistema capitalistico, a fronte della promessa di piena occupazione tendenziale).
Si affermava così in un po’ tutte le realtà occidentali il cosiddetto Stato Sociale, o Welfare State. Il programma con cui la sinistra democratica e/o socialdemocratica arrivò e si mantenne al potere per lustri. Da qui partiva la riflessione, che impegnò a lungo i think tanks conservatori/reazionari: come rompere la “simbiosi welfariana”. Ossia, le mosse per staccare i ceti medi beneficiati dai servizi dal personale politico-burocratico che tale sistema presidiava.
L’uovo di Colombo e – al tempo stesso – il cavallo di Troia furono trovati individuando il punto debole della costruzione: il finanziarsi attraverso la leva fiscale. Psicologi dell’egoismo avido, i progettisti NeoCon puntarono sulla miopia possessiva del “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. All’insegna della bieca metafora “infilano le mani nelle tasche dei cittadini”, partì già in quegli anni una campagna comunicativa che metteva a frutto tutte le armi propagandistiche accumulate negli arsenali dell’anti-Stato, propugnatrici dell’inesistenza del sociale. La febbre distruttrice trovò inizialmente il proprio speaker nell’attore sul rimbambito Ronald Reagan, già distintosi come pioniere della tematica quale governatore della California, portandolo alla presidenza degli Stati Uniti. Poi dilagò, arruolando tutti gli arrampicatori sociali impegnati in politica; nell’avvenuta cancellazione dei confini tra le varie posizioni e i vari schieramenti.
Questa la premessa di una lunga fase storica che Thomas Piketty ha soprannominato “i Quaranta ingloriosi”. In cui si è fatto macelleria sociale (mentre si propugnava l’intento mendace di combattere la presunta macelleria fiscale), si sono favoriti mastodontici ri-trasferimenti di ricchezza al vertice della piramide sociale, si è sbaraccato l’apparato sicuritario (Habermas diceva che “i servizi sono le stecche del corsetto della democrazia”) con l’assenso masochistico dei diretti beneficiari; lasciatisi turlupinare da chi faceva loro intravedere una succulenta bistecca virtuale, riflessa nello stagno della disuguaglianza imperante in questi anni.
Una vergognosa ricetta di successo, con cui Silvio Berlusconi si presentò sulla scena politica alla fine della Prima Repubblica (lo slogan vittorioso “meno tasse per tutti”); che ora riprende il neofita Matteo Renzi. Mentre si abbatte a colpi di piccone la scuola pubblica, si combattono i diritti del lavoro per consentire la gestione del business con molto bastone e un po’ di carota a un ceto manageriale incapace, si intende disarmare la magistratura inquirente perché non trovi collusioni tra malaffare e personale di partito, si lascia intuire ai malati che per salvare la pelle è meglio ricorrere alla sanità privata.
Il tutto a fronte di promesse non mantenibili (stante il pauroso deficit che ci opprime) di alleggerimenti futuri. Nell’intento immediato dell’epigono toscano di un americanista brianzolo di fare l’en plein alla roulette elettorale.

lunedì 27 luglio 2015

Sconosciuto amico. - Rosario Viola.



E' difficile non essere banali quando ti trovi davanti a scene del genere.
Il mio pensiero questa sera va a questo mio sconosciuto amico, beccato nel solito autobus del ritorno a casa;
Grazie di questa meravigliosa immagine amico mio, e scusa se ti ho rubato una foto, ma è più forte di me, gli eroi mi affascinano e devo fotografarli.
E sappi che per me eri il più elegante di tutto l'autobus, indossavi il vestito della stanchezza e della fatica vera, ed è il più bello di tutti.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10206228299259530&set=a.1227913391081.34222.1626455591&type=1&theater

KRUGMAN: GLI IRRITANTI DIFENSORI DELL’EURO. - Paul Krugman


Il Nobel Paul Krugman scrive un articolo un po’ velenoso contro quelli che lo accusano di non capire, da economista, le motivazioni politiche dell’euro e la sua importanza per il “progetto europeo”. Krugman rifiuta di essere considerato così ingenuo, e mostra di capire benissimo queste motivazioni. Il problema è che un progetto (l’euro) che non solo non era fondato economicamente, ma era palesemente votato alla catastrofe, non poteva servire nessuno scopo politico positivo, e i fatti lo stanno dimostrando. 
di Paul Krugman, 22 luglio 2015
C’è un qualsiasi buon argomento per non dire che la creazione dell’euro è stato un errore di dimensioni epiche? Forse. Ma gli argomenti che ho sentito finora sono alquanto pessimi. E sono anche decisamente irritanti.
Un argomento che continuo a sentire è che gli economisti critici, come me, non capiscono che l’euro è stato un progetto politico e strategico, anziché un mero fatto economico con dei costi e dei benefici. E certo, infatti io sono un rozzo e ottuso economista che non sa nulla dell’importanza della politica e delle strategie internazionali nelle decisioni politiche, uno che non ha mai sentito parlare di progetto europeo e del suo fondamento nel tentativo di lasciarsi dietro le spalle una storia di guerre, per non parlare del rafforzamento della democrazia durante la Guerra Fredda.
Certo, io non so nulla di tutto ciò. Il punto, però, è che mentre il progetto europeo, in ogni sua fase, ha combinato obiettivi economici con dei più ampi obiettivi politici – si parlava di pace e democrazia attraverso l’integrazione e la prosperità – non ci si può aspettare che l’intero progetto funzioni se le misure economiche che vengono decise non sono valide in sé e per sé, o quantomeno che non siano catastrofiche. Ciò che è successo durante la marcia verso l’euro è che le élite europee, per amore della moneta unica presa come un simbolo, hanno chiuso la mente ad ogni avvertimento sul fatto che un’unione monetaria – a differenza della semplice rimozione delle barriere al commercio – era quantomento ambigua nella logica economica, e nei fatti, per quanto si può dire e già era stato detto fin dall’inizio, una pessima idea.
Un altro argomento, che stiamo sentendo dalle economie europee depresse come la Finlandia, è che i costi a breve termine dell’inflessibilità sono più che compensati dai presunti enormi guadagni ottenuti da una maggiore integrazione. Ma dov’è l’evidenza di questi enormi guadagni? In un articolo si dice che siano dimostrati dalla forte crescita della Finlandia negli anni che hanno preceduto la crisi. Ma si può riconoscere il merito del boom della Nokia alla moneta unica?
Be’, il grafico qui sotto mostra un confronto che ho trovato interessante tra la Finlandia e la vicina Svezia, paese, quest’ultimo, che nel 2003 ha rifiutato l’appartenenza all’euro tramite referendum. (Mi ricordo quel voto: gli amici svedesi che condividevano con me le preoccupazioni sull’euro mi telefonarono nel cuore della notte per festeggiare.) Per entrambi i paesi considero il 1989 come punto di partenza. Si tratta dell’anno prima della grande recessione scandinava degli anni ’90, dovuta ad una corsa agli sportelli e ad una enorme bolla immobiliare.
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Dopo quella recessione la Finlandia a conosciuto un lungo periodo di solida crescita economica. Ma anche la Svezia, e tra i due paesi è difficile scorgere una qualsiasi differenza nella loro buona performance economica. Di certo non c’è nulla che indichi che l’appartenenza all’euro [della Finlandia, ma non della Svezia, NdT], abbia avuto un qualche ruolo speciale nella crescita. Dal 2008, invece, la Svezia ha iniziato – nonostante una gestione incostante della politica monetaria – a fare molto meglio.
Come ho detto, forse esistono anche degli argomenti da opporre all’affermazione che l’euro è stato un errore, ma far notare che la politica è importante, e che le economie crescono, non funziona. Le scorciatoie che credete voi non ci sono.

Manovra sanità. Cgil: “Ancora e solo tagli lineari. A rischio i Lea e il Patto per la Salute perde per strada quasi 5 miliardi in due anni”

Forti critiche della Cgil al pacchetto sanità degli emendamenti del Governo al decreto Enti Locali dove si recepiscono i contenuti dell’Intesa Stato Regioni del 2 luglio scorso. Dito puntato soprattutto sui tagli ai beni e servizi e sulla previsione di scaricare sui cittadini il costo delle prestazioni specialistiche inappropriate. 

IL DOCUMENTO.

22 LUG - Con un documento di analisi dettagliato la Cgil interviene sugli emendamenti presentati lunedì scorso dal Governo al decreto Enti Locali nella parte in cui recepiscono l’Intesa Stato Regioni del 2 luglio scorso.

Ecco punto per punto le osservazioni del sindacato:

Beni e servizi. Per beni e servizi si tratta di un ulteriore taglio “lineare” che si aggiunge a quelli sin qui stabiliti da precedenti manovre finanziarie: avrà effetti pesanti sulle condizioni dei lavoratori che forniscono servizi in appalto o convenzione (e sulla qualità dei servizi stessi), oltreché sulla filiera delle aziende di fornitura di beni. E’ positivo il tentativo di fissare prezzi di riferimento, anche grazie all’ANAC, e di vigilare su un settore di spesa esposto a rischi di spreco e corruzione. Occorre tuttavia una grande attenzione nel definire i prezzi di beni, quali una parte dei dispositivi medici, difficilmente standardizzabili e per i quali serve sviluppare l’HTA.

Prestazioni inappropriate. L’obiettivo di rendere appropriate le prestazioni del SSN è certamente necessario, tuttavia si tratta di un operazione delicatissima che riguarda “il perimetro” di copertura dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per i cittadini e che pertanto deve essere trattata, già nella fase di predisposizione del Decreto Ministeriale, con la massima trasparenza e il confronto anche con le forze sociali. Inoltre non è accettabile “scaricare” sul cittadino la responsabilità - e quindi il costo - circa l’appropriatezza della prestazione. La norma in questo senso deve essere meglio precisata a tutela del cittadino, come accade per alcune condizioni di erogabilità già attive per diverse prestazioni dei LEA. Ad esempio, bisogna definire che si tratta di prestazioni “ad alto rischio di inappropriatezza” e si deve utilizzare la formula: “tali prestazioni non possono essere poste a carico del SSN”, anziché “sono poste a carico dell’assistito”.

Standard ospedalieri. L’attuazione dei nuovi standard ospedalieri si sta realizzando come mero taglio ai servizi, così non solo colpisce il personale, ma sta avvenendo senza alcun investimento per costruire “alternative” alle chiusure, che dovrebbero invece essere riconversioni con l’apertura di servizi territoriali.

Rideterminazione del Fondo sanitario. Come abbiamo già ricordato subito dopo l’approvazione della Legge di Stabilità 2015, e della relativa Intesa Stato Regioni del 23 febbraio scorso, Il Patto per la Salute “perde per strada” quasi 5 miliardi. E resta tuttora quasi del tutto inapplicato.

L’effetto dei tagli sul Livello di Finanziamento previsto dal Patto Salute:
· Anno 2015: scende da 112,062 a 109,710 miliardi di euro (-2,352 miliardi)
· Anno 2016: scende da 115,444 a 113,092 miliardi di euro (-2,352 miliardi)

Fatto ancor più grave è che i tagli agiranno anche per gli anni successivi al 2016, aggiungendosi a quelli già stabiliti con le precedenti manovre finanziarie. Inoltre, per il 2015 le misure non hanno tempo di essere attuate, non a caso molte regioni si sono già attivate per fronteggiare quella che è una riduzione lineare del finanziamento.
Per il 2016 e gli anni successivi le misure definite costituiscono comunque una spending review come “riduzione del danno” per fronteggiare il taglio del finanziamento e non finalizzata ad ottenere risparmi da mantenere nel SSN (come prevedeva il Patto per la Salute). Così si riducono ulteriormente le risorse per garantire beni e servizi ai cittadini e per rinnovare il contratto ai lavoratori.


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