giovedì 1 dicembre 2016

Tra scrofe ferite e fritture velenose, lo scippo della sovranità … e occhio ai brogli!! - Rosanna Spadini

Non c’e che dire, dopo il Brexit e Trump, il vento sembra essere decisamente cambiato e il populismo sta soffiando forte anche in Italia se persino l’Economist ha sentito l’impulso di liquidare una Riforma pasticciata come quella della Costituzione Boschi-Verdini , anche perché si è reso conto che probabilmente non passerà, dunque è sceso in campo senza preavviso a sostegno del NO … ma intanto fa terrorismo politico e aggiunge «Il rischio è che il principale beneficiario potrebbe essere lo scombussolato M5S».
Interessante però notare che dal 12 agosto 2015 Exor, la holding della famiglia Agnelli, è diventato il primo azionista del settimanale economico inglese, passando dal 4,7% al 43,4%, quindi mentre tutti gli altri media controllati dalla grande finanza e dagli industriali fanno il loro endorsement per il SI’, i padrini anglo-americani del governo Renzi e dell’Economist Group prendono le distanze da una Riforma talmente raffazzonata, che invece di semplificare l’iter legislativo tra le due Camere, lo complica a tal punto da provocare possibili inestricabili contenziosi, per di più non toccando minimamente il bicameralismo paritario, anzi rendendolo ancora più macchinoso e intricato.
Del resto la Costituzione del ’48 era stata scritta da persone quali Umberto Terracini, Piero Calamandrei, Emilio Lussu, Benedetto Croce, Alcide De Gasperi, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Aldo Moro, Ignazio Silone, Arturo Labriola 
invece quella del 2016 è stata scritta da Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Angelino Alfano, Denis Verdini, Ivan Scalfarotto, Beatrice Lorenzin, Federica Guidi, Maria Anna Madia, Roberta Pinotti, Pietro Carlo Padoan, Andrea Orlando, Paolo Gentiloni, Graziano del Rio, Dario Franceschini, Giuliano Poletti, Davide Faraone. 
Cosa avremmo potuto aspettarci?
Dunque, cominciato lo showdown per Renzi, ormai mancano pochissimi giorni, e abbiamo assistito a tutto il bestiario possibile nel suo massimo splendore, sono volati insulti e accuse, letterine per gli italiani all’estero, lettere doppie e triple, arrivate anche ai parenti morti, dunque fare una sintesi delle ultime esternazioni servirà per sondare il clima goliardico e giocherellone delle forze politiche, che naturalmente tentano di confondere il vero senso della riforma.
Naturalmente il conduttore di Palazzo Chigi si è preoccupato immediatamente di premiare lo style system dello stilista cazzone, perciò lo ha prontamente nominato rais della sanità campana. Proprio per questo, la partita va giocata senza esclusione di colpi, e se ci scappa un bel fuck off, ben venga. Interviene De Luca che, dopo aver augurato la morte ad Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e perfino alla sua collega di partito Rosy Bindi, lancia proposte indecenti all’elettorato: «Prendiamo Franco Alfieri (sindaco di Agropoli), notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso..»
In risposta Grillo ha screditato Renzi, dichiarando che avrebbe una paura fottuta del voto e che si comporta come una scrofa ferita che attacca chiunque senza distinzione, inoltre si dedica all’insulto gratuito e alla menzogna sistematica. Renzi mente quando dice «Io guadagno la metà dei parlamentari 5 Stelle», perché in realtà lui guadagna il doppio … basta fare un giretto su google e si trova l’importo della sua retribuzione che è pari a 10.000 € lordi al mese, mentre i parlamentari del M5S prendono uno stipendio di 5.000 € lordi e il resto lo versano al microcredito per le imprese. Renzi mente ancora quando dice che «Questa riforma è contro la casta», in realtà la riforma è stata scritta dalla casta per la casta sostenuta dalla casta, e Napolitano è il suo padre padrone.
In verità «L’Italia è stata a lungo la maggiore minaccia alla sopravvivenza dell’euro e dell’Unione europea», esordisce l’Economist, «il suo Pil procapite è fermo ai livelli degli ultimi Anni 90. Il suo mercato del lavoro è sclerotizzato. Le sue banche sono riempite di crediti deteriorati. Lo Stato è aggravato dal secondo debito sovrano più alto dell’Eurozona, al 133% del Pil. Se l’Italia dovesse virare verso il default, sarebbe un problema troppo grave da risolvere».
Di fronte a questo disastro Renzi ha puntato tutto sulla riforma costituzionale, che garantirebbe la fantomatica governabilità, sotto mandato diretto delle grandi banche d’affari che gestiscono il potere del mondo, accusando il cattivo funzionamento della macchina istituzionale di essere l’origine dei problemi dell’Italia. Ma il possibile beneficio derivante da una maggiore governabilità, spiega ancora il giornale, è oscurato dal rischio di dare eccessivo potere in mano a un suolo uomo, proprio «nel Paese che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è vulnerabile al populismo in maniera preoccupante».
E poi ancora la testata economico finanziaria, che sembra parlare a tratti come Travaglio, evidenzia alcuni punti molto discutibili della riforma, in primis il fatto che il Senato non sarebbe eletto, ma «la maggior parte dei suoi membri sarebbero scelti tra consiglieri regionali e sindaci dalle assemblee regionali» … e questo sembra essere un problema, dal momento che «Regioni e Comuni sono gli strati più corrotti del governo, e i senatori godrebbero dell’immunità parlamentare», rendendo il Senato «una calamita per i peggiori politici d’Italia».
Secondo il giornale inglese poi, non è vero che in Italia si fatica ad approvare le leggi, e comunque il maggior beneficiaro del connubio riforma e legge elettorale rischia di essere proprio Grillo, «un ex comico e leader del Movimento 5 stelle, una coalizione astrusa che vuole promuovere un referendum per lasciare l’euro», che nei sondaggi segue il Pd di Renzi a pochissimi punti di distanza. Insomma «lo spettro di mister Grillo primo ministro, eletto da una minoranza e cementato dentro il Palazzo dalle riforme di mister Renzi, è qualcosa che molti italiani – e tanti in Europa – troverebbero problematico». Ma se davvero bastasse il fallimento di un referendum a far collassare l’euro, questa «sarebbe il segnale che la valuta corrente è tanto fragile che la sua fine era solo una questione di tempo».
Intanto naturalmente le tv di stato ed anche quelle private, controllate soprattutto dal PD di Matteo Renzi e dal suo ex (?) compagno di merende Silvio Berlusconi, sparano a raffica contro le firme false dei 5 Stelle, colpiti da un’inchiesta per aver falsificato le firme alle comunali 2012 … coinvolti anche deputati, via agli interrogatori, qualcuno nega, qualcun altro si avvale della facoltà di non rispondere, chi ha rifiutato di sottoporsi all’esame della calligrafia, ed è rimasto in silenzio davanti ai giornalisti … neanche fosse il Processo ai Casalesi del 2008, che al contrario tv e giornali ignorarono di buon grado. In realtà tanto rumore per nulla, si tratta di firme registrate irregolarmente, insomma un peccato veniale, che hanno trasformato la vicenda in un polverone di regime. Ma il solito bla bla denigratorio non spiega, non approfondisce, non entra nel merito, però è molto funzionale a distrarre il giudizio dei cittadini, serve a screditare l’avversario politico e ad orientare quella parte di opinione pubblica, che aveva creduto nel MoV e nella sua onestà.
Ovviamente i faccendieri della carta stampata e dei tg spazzatura tacciono ripetutamente sulla storia ben più grave della falsificazione di atti pubblici del PD in Piemonte, durante le regionali del 2014, dove nove tra politici e funzionari del Partito democratico di Torino hanno patteggiato pene tra cinque mesi e un anno nel processo per le liste a sostegno di Sergio Chiamparino.
Quanto alla Riforma, Renzi mente spudoratamente, perché modificare 47 articoli su 139, significa produrre un’altra Costituzione, diversa e antagonista nella sua impostazione, mutando nell’essenza l’organizzazione dello Stato, i rapporti tra i diversi poteri e la relazione tra il potere e i cittadini.
Gravissima infatti è l’abrogazione dell’articolo 58, che sancisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori, e perciò vanifica l’art. 1 della Costituzione, che stabilisce invece che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
La sovranità, scippata ai cittadini viene consegnata alle oligarchie di partito che controllano i consigli regionali, rivelando il progetto oligarchico di accentramento del potere ai danni degli italiani che vengono espropriati del loro diritto di voto, restringendo gli spazi di partecipazione democratica.
L’Italicum poi è la vera chiave della riforma, perché conferisce ai capi partito il potere di nominare ben cento deputati della Camera, mediante il sistema dei capilista bloccati, inseriti di autorità nelle liste elettorali presentate nei 100 collegi nei quali cui si suddivide il Paese.
E poi alla sostanziale soppressione della sovranità popolare, alla rimozione del ruolo di controllo del parlamento nei confronti dell’esecutivo, si somma anche la condanna all’irrilevanza del ruolo delle minoranze che, avranno a disposizione solo 290 deputati contro i 340 della maggioranza governativa.
Ma dato che il diavolo veste troika, il piano consiste anche nel trasformare l’Italia in un Paese governabile da un regime oligarchico sempre più autoritario rispetto a quello attuale, trasferendo sovranità ed eliminando sistemi di controllo, in modo da subordinarlo ai voleri di Bruxelles, e per consegnare il controllo delle banche italiane ai potentati finanziari stranieri.
Una riforma sciagurata, voluta da un potere che agisce fuori dalla scena politica italiana (ob-scoena), che mira sostanzialmente ad abolire lo stato di diritto, la rappresentanza democratica, il potere dell’opposizione e il welfare.
Con l’art.117 poi la Riforma Renzi-Boschi stabilisce che il legislatore italiano sia direttamente e gerarchicamente sottoposto ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, mentre Francia e Germania non lo sono, quindi subordina l’Italia a Parigi e Berlino… contravvenendo all’art. 11 della Costituzione tuttora vigente «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo
L’Italia di Renzi è dunque destinata a diventare il Sud dell’Europa, terra di degrado sociale, culturale ed economico, terra d’immigrazione selvaggia di quei tre milioni di profughi pronti a riversarsi sul suo territorio, senza avere alcuna possibilità di alzare muri sulle proprie coste, dato che l’unico muro naturale rappresentato dalle Alpi, sarà una barriera straordinariamente funzionale alla sua deriva geopolitica, determinata dalle oligarchie euroatlantiche.
I sondaggi danno stabilmente il NO intorno al 55%, mentre il SI’ al 45% … al gradasso di Palazzo Chigi dunque per vincere non resta che puntare su terrorismo mediatico, minaccia di esplosione dello spread ed eventuali default di banche … magari anche sui brogli elettorali del voto all’estero. Niente di più facile, perché come ci ha raccontato il Fatto Quotidiano, il voto all’estero si è trasformato in una modalità perversa di cattura del consenso degli italiani che vivono all’estero, per cui i brogli sono tantissimi ed anche piuttosto abusati.
Come sostiene l’ambasciatrice Cristina Ravaglia, la dirigente della Farnesina che si occupa del tema, nel suo documento inviato al Quirinale e al governo, dopo le politiche 2013, il sistema per corrispondenza è «totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto e libero» … il diritto costituzionale alla segretezza del voto non può essere garantito all’estero dal voto per corrispondenza, perché i consolati si riducono ad essere semplicemente uno sportello postale, mentre le ditte che si occupano di stampa e spedizione in Italia del materiale elettorale sono ditte private di fiducia dei vari consolati. Ravaglia in sostanza è il massimo conoscitore della legge Tremaglia, dei suoi limiti e dei suoi trucchi.
In questo contesto diventa semplice taroccare i voti, perché il materiale elettorale arriva per posta senza alcuna protezione e nessuna ricevuta, le schede sono falsificabili perché non hanno alcuna filigrana e vengono stampate da ditte private, che ricevono l’appalto dai consolati. Il certificato elettorale e il codice dell’elettore sono dati alla portata di tutti quelli che hanno già partecipato a competizioni elettorali.
(Antonio Guadagnini, consigliere regionale di SiamoVeneto, Spiega la facilita dei Brogli per le schede Estere.)
«Circa l’8% dei plichi torna indietro per «errore nella spedizione, cambio di indirizzo, rientro in Patria o trasferimento». Che cosa succede a questi plichi rientrati? La legge prevede che siano inceneriti, ma non che si compili un elenco di questi elettori non raggiunti. Così, grazie all’alto numero di astensioni e all’impossibilità di effettuare controlli su elenchi specifici, qualcuno potrebbe stampare le schede e le buste, duplicare un semplice tagliando con il numero/codice dell’elettore che può essere individuato attraverso la banca dati messa a disposizione dal Ministero.
La cosa è risaputa negli ambienti esteri e tra le autorità ministeriali, infatti a Castelnuovo di Porto, località nei pressi di Roma dove vengono scrutinati i voti degli italiani all’estero, spesso sono state rinvenute schede dai colori diversi o palesemente votate da un’unica persona. Insomma il voto estero, se ci sarà uno scarto minimo tra le parti, potrebbe essere decisivo.
Inoltre Oscar De Bona, presidente dei bellunesi nel mondo ed ex assessore ai flussi migratori della Regione Veneto, racconta quello che gli hanno riferito tanti suoi associati: la compravendita di schede elettorali «In Sudamerica le schede le comprano per 50 dollari» … «Cinquanta dollari per ogni scheda elettorale. Passavano delle persone, strada per strada, e chiedevano di comprare le schede degli italiani all’estero» Riferisce De Bona «Succede in Brasile, dove soltanto i veneti sono decine di migliaia e a volte rappresentano la maggioranza della popolazione di intere cittadine. Ma abbiamo avuto segnalazioni anche dall’Argentina. E perfino dalla Svizzera, pur se in Europa il fenomeno è meno rilevante perché c’è più controllo».
In Veneto se ne parla da anni, ogni volta che si vota arrivano segnalazioni da parenti e amici emigrati, che denunciano procedure approssimative e pastrocchi, quando non veri e propri brogli. Ma stavolta Antonio Guadagnini, consigliere regionale di SiamoVeneto, ha presentato un ricorso.
#iovotono

mercoledì 30 novembre 2016

Debora Serracchiani sanzionata per violazione della par condicio.

Debora Serracchiani sanzionata per violazione della par condicio

E' finita nella bufera Debora Serracchiani che ha organizzato - a spese dei contribuenti, riporta il Fatto Quotidiano - un convegno dal titolo "Riforma costituzionale e Autonomie speciali" che si è svolto nella sede della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, a Udine, dove tutti gli invitati erano per il Sì al referendum.

A denunciare il fatto all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è stato il Movimento cinque stelle del Friuli Venezia Giulia. L'Agcom ha poi sanzionato la vice segretaria nazionale del Pd per aver violato le regole della par condicio sul referendum. "Non solo questo spudorato manifesto per il Sì al prossimo referendum del 4 dicembre è stato pagato con risorse pubbliche - ha fatto sapere la portavoce del Movimento 5 Stelle regionale Elena Bianchi - ma si è svolto in piena violazione della par condicio e in totale assenza di contraddittorio".

L'Agcom ha anche ordinato alla Regione Friuli Venezia Giulia di pubblicare sulla home page del proprio sito istituzionale, per la durata di 15 giorni, l'indicazione che lo stesso convegno, "Riforma costituzionale e Autonomie speciali", non ha rispettato quanto previsto dall'art. 9 della legge 22 febbraio 2000 n. 28 in materia di comunicazione istituzionale

http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/12004526/debora-serracchiani-sanzionata-per-violazione-della-par-condicio.html

GUSTAVO ZAGREBELSKY: “COSTITUZIONE INDIFESA COME A WEIMAR. FERMIAMO GLI APPRENDISTI STREGONI”. - Giuseppe Salvaggiulo

Gustavo Zagrebelsky: “Costituzione indifesa come a Weimar. Fermiamo gli apprendisti stregoni”

«Parlamento illegittimo, non poteva cambiare la Carta. Ma i garanti tacciono Mourinho direbbe: riforma zero tituli. Col proporzionale torna la politica»
Il professorone che non t’aspetti. Nel pieno di una campagna incarognita, Gustavo Zagrebelsky sfoggia autoironia. Ride della «sublime imitazione di Crozza» e fa ammenda degli eccessi accademici in tv. Ma cala anche un argomento pesante contro la riforma: la violazione del primo pilastro della Costituzione, la sovranità popolare. Tra Platone e Mourinho, Weimar e De Gregori.
Che cos’è in gioco, la Costituzione più bella del mondo?
«Questa è un’espressione sciocca che non ho mai usato. Le Costituzioni non si giudicano dall’estetica, ma dai valori che esprimono e dal contesto che li può far vivere».
Cosa intende per contesto?
«Tra il ‘46 e il ‘48 c’erano i postumi d’una guerra civile, ma la Costituzione fu lo strumento della concordia nazionale. Oggi, al contrario, la riforma divide. Siamo in balia di apprendisti stregoni che ignorano quanto la materia sia incandescente. A chi vuol metterci mano, può prendere la mano. Non si sa dove si va a finire. Questa riforma, con annesso referendum, rischia il disastro. Chiunque vinca, perderemo tutti».
La riforma non tocca i principi, la prima parte della Carta.
«Davvero si tratta solo di efficienza dell’esecutivo e non anche di partecipazione di coloro che a quei principi sono interessati? A proposito: a me pare che sia stato violato proprio l’articolo 1».
In che modo?
«La riforma è stata approvata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Fatto senza precedenti».
Però la sentenza della Consulta sul Porcellum dice che il Parlamento resta in carica.
«La prima parte della sentenza dice che la legge è incostituzionale perché ha rotto il rapporto di rappresentanza democratica tra elettori ed eletti. La seconda che, per il principio di continuità dello Stato, il Parlamento non decade automaticamente. Bisognava superare il più presto possibile la contraddizione. Invece il famigerato Porcellum, che tutti aborrono a parole, non è affatto estinto: vive e combatte insieme a noi perché il Parlamento che abbiamo è ancora quello lì. La riforma costituzionale è stata approvata con i voti determinanti degli eletti col premio di maggioranza dichiarato incostituzionale. Ma i garanti della Costituzione fanno finta di niente e tacciono».
Chi sono i garanti?
«Dal presidente della Repubblica ai singoli cittadini. La Repubblica di Weimar, nella Germania degli Anni 30, implose anche per l’assenza di un “partito della Costituzione” che la difendesse oltre gli interessi contingenti dei partiti. Oggi accade lo stesso».
Perché è violato l’articolo 1?
«L’articolo 1 dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ebbene, questo Parlamento non è stato eletto secondo le forme ammesse dalla Costituzione. C’è stata un’usurpazione della sovranità popolare. La riforma è viziata ex defectu tituli».
Professore, così diamo nuovo materiale a Crozza.
«Allora citiamo Mourinho: è una riforma “zero tituli”».
Ora, però, decide il popolo.
«Pensare che il referendum sia una lavatrice democratica che toglie ogni macchia è puro populismo. Anche perché è stato trasformato in un Sì o No a Renzi, e la povera Costituzione è diventata pretesto per una consacrazione personale plebiscitaria. Qualcuno s’è fatto prendere la mano».
Che cosa imputa a Renzi?
«Nulla. Però non c’è saggezza nel legare la sorte d’un governo al cambio di Costituzione. Non appartiene alla cultura liberale e democratica. La Costituzione non deve dipendere dal governo né viceversa. Sono su piani diversi, il governo sotto».
Qual è la concezione che Renzi ha del governo, del potere democratico? Perché lo contesta?
«In un dialogo del suo periodo tardo, “Il Politico”, Platone distingue il governante “pastore di uomini”, che conduce il popolo come un gregge, dal governante tessitore. Un sistema in cui il popolo, come si dice con enfasi, la notte stessa delle elezioni va a letto sapendo chi è il Capo nelle cui mani s’è messo, appartiene alla prima concezione. La democrazia è cosa molto più complicata».
Però questa riforma nasce dallo stallo politico del 2013, dalla rielezione di Napolitano. Renzi è venuto dopo.
«Il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. Nel suo discorso d’insediamento al momento della rielezione, davanti a tanti parlamentari commossi e grati a chi li definiva incapaci, inconcludenti, nominati, corrotti e pure ipocriti (da riascoltare quelle parole!), riprese in mano il tema della riforma, trattandolo come un terreno di unità. Ma la storia ha dimostrato che non lo era affatto».
Ha ripensato al confronto in televisione con Renzi?
«Non mi sono mai sentito tanto a disagio. Sono cascato, per leggerezza, dal mio mondo in un altro. Non è stato un vero confronto. La comunicazione contro il tentativo di argomentare, surclassato dal diluvio verbale. Si è parlato, non dialogato. L’indomani mi ha telefonato un amico assennato, dicendomi “sei stato te stesso”. Cos’altro avrei dovuto essere?».
Lo rifarebbe?
«Mah! Cercherei comunque di non essere professorale: peccato gravissimo! D’altra parte, è difficile prevedere i colpi bassi e gli argomenti a effetto lanciati nell’etere senza alcuna verosimiglianza, anzi con molto cinismo. Come quello sui malati di cancro avvantaggiati dal Sì, che ricorda analoghe promesse berlusconiane».
Preparerebbe carte a sorpresa?
«Certo che no. I foglietti sottobanco sono stati la cosa peggiore, una meschinità che non mi sarei aspettata da un uomo delle istituzioni. Un’abitudine da talk show della peggior specie, dove ciò che conta non è chiarire, ma colpire».
C’è rimasto male per l’imitazione di Crozza?
«Tutt’altro! Quando l’ho vista la seconda volta, ho riso più della prima. Gli occhiali, la stilografica, i libri, il fazzoletto, il dittongo, il munus: davvero eccellente. Gli ho telefonato per farci altre quattro risate».
Che succede se vince il Sì?
«Non si apre la strada a una dittatura, ma alla riduzione della democrazia e all’accentramento del potere in poche mani. Non possiamo tuttavia sapere, oggi, quali saranno le poche mani di domani».
E se vince il No?
«Si potrà ricominciare a “fare politica”. La responsabilità sarà dei partiti e dei movimenti. Altrimenti, si correrà il rischio dell’affacciarsi dei cosiddetti governi tecnici o istituzionali.
E il salto nel vuoto evocato da Renzi? E i timori dei mercati?
«Agitare queste paure può essere controproducente: il sistema finanziario che adombra sciagure non è visto come benefattore dei popoli. Il referendum è lo strumento per scuotersi dal giogo della finanza. Decidano i cittadini e, come canta De Gregori, viva l’Italia che non ha paura».
Bisognerà riscrivere la legge elettorale.
«Molte ragioni militano per il ritorno al sistema proporzionale, quello che meno dispiace a tutti e mi pare più conforme all’attuale sistema multipartitico. Da lì si potrà, se si saprà, ricominciare a parlare di riforme anche costituzionali».
Che cosa farà il 5 dicembre?
«Questa campagna è stata estenuante. Non vedo l’ora che finisca. Mi sveglierò tranquillo perché il sole sorgerà ancora, comunque vada».
La Stampa, 29 novembre 2016


Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi. - Luisa Gaita

Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi

Dopo la decisione dei giudici supremi sulla legge Madia si è diffuso il timore che i provvedimenti contro gli assenteisti del settore pubblico potessero finire al macero. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato diversi esperti. Secondo i quali tutti gli strumenti per licenziarli c'erano già. L'effetto può esserci però sui tempi e sull'incentivo a impugnare.

Nessuna salvezza per i fannulloni e furbetti del cartellino. Si potranno ancora licenziare, al contrario di quanto dichiara il premier Matteo Renzi. Intervistato da Barbara D’Urso a Domenica live 48 ore dopo il verdetto della Consulta sulla riforma Madia, il premier ha infatti lamentato che “la Corte costituzionale con una sentenza ci ha impedito di licenziare quelli che fanno i furbetti a timbrare il cartellino”. Non è proprio così. In questo ambito le problematiche conseguenti alla bocciatura da parte della Consulta di quattro articoli della legge delega della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione sono principalmente legate ai ricorsi che è prevedibile fioccheranno da parte di dipendenti pubblici sospesi e licenziati con tempi e modalità dettate dal decreto legislativo 116 del 2016 diventato poi legge. Fra i sei decreti attuativi che derivano dalla legge delega ritenuta incostituzionale e travolti dalla sentenza 251 della Corte Costituzionale c’è infatti anche il cosiddetto decreto fannulloni che prevede la sospensione in 48 ore del dipendente pubblico colto sul fatto (nel caso del cartellino timbrato da un collega, la norma colpiva anche quest’ultimo), il blocco dello stipendio e il licenziamento entro 30 giorni. Che cosa accadrà, dunque, ai dipendenti pubblici colti in flagrante e già licenziati? La sentenza della Consulta rappresenta davvero un enorme passo indietro, un dramma nella lotta all’assenteismo oppure, in fin dei conti, non cambia poi molto? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad alcuni esperti. Che concordano soprattutto su un punto: il decreto in questione non ribaltava in maniera così clamorosa la situazione precedente e, dunque, anche senza quello strumento le amministrazioni sono perfettamente in grado di licenziare i dipendenti infedeli. Nessun dramma.
IL CASO DI SIRACUSA. Eppure agli inizi di settembre la ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, è stata la prima ad annunciare sui social ‘l’era del licenziamento sprint’ quando un’operazione della Guardia di Finanza ha portato a scoprire 29 dipendenti assenteisti del Libero consorzio comunale di Siracusa: “Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di tutti i dipendenti onesti” sono state le sue parole. Nei 137 giorni presi in esame sono state documentate 1114 ore di assenze ingiustificate. Com’è finita? Diciannove lavoratori sono stati sospesi per due due mesi e, agli inizi di novembre (circa due mesi dopo il blitz ‘Quo vado’), ci sono stati i primi 4 licenziamenti dei dipendenti del Libero Consorzio di Siracusa, ex Provincia regionale. Un paio di giorni fa la stessa sorte è toccata a sei dipendenti di Siracusa Risorse, società partecipata dell’ex Provincia di Siracusa, sempre nell’ambito della stessa indagine.  Ora che cosa accadrà?
IL RITORNO AL PRE-RIFORMA. Secondo Lorenzo Zoppoli, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ non c’è dubbio sul fatto che rimanga, nonostante la sentenza “la possibilità di licenziare il dipendente che viene colto in flagranza di infrazione perché non timbra il cartellino o non è puntuale, non l’ha certo introdotta la riforma Madia”. Cambiano i tempi, ma anche tutta la questione probatoria, il nodo della nozione di flagranza di comportamento di cui si è molto discusso in sede di approvazione e che non si è risolta in maniera pacifica e lineare. “I tempi sono infatti legati ad adempimenti e alla necessità di dare delle garanzie a chi viene incolpato di un certo comportamento” spiega Zoppoli. Discorso diverso sul fronte dei ricorsi: “È chiaro che la sentenza della consulta indebolisce i provvedimenti precedenti, ma non manda tutto al macero”. I ricorsi? “Rinunceranno solo i dipendenti che non ne trarrebbero convenienza e si tratta di casi piuttosto rari”. Qualcosa cambia con la sentenza della Consulta, ma che le regole ci fossero già dalla riforma Brunetta del 2009 e che alcune previsioni fossero state nel frattempo introdotte anche nei contratti collettivi di lavoro lo conferma anche Aurora Notarianni, avvocato specialista in Diritto del lavoro.
CHE COSA CAMBIA. “L’obbligo di avviare un procedimento disciplinare nel caso di un’alterazione (come il cartellino timbrato da un collega), per esempio, esisteva già” spiega l’avvocato. Dal punto di vista amministrativo, poi, era prevista anche la responsabilità di chi agevola, ma non quella del dirigente che si gira dall’altra parte. E se dal 13 luglio di quest’anno, data di entrata in vigore della legge, era possibile sospendere automaticamente (senza stipendio, salvo l’assegno alimentare), senza l’audizione del dipendente, ora il lavoratore colto in flagranza potrà essere sospeso, ma solo dopo essere stato sentito. Discorso a parte per i tempi di licenziamento che con la nuova legge erano ridotti a 30 giorni. “Succede che bisognerà seguire il vecchio iter – spiega Notarianni – che consente di scegliere se sospendere il procedimento in attesa dell’eventuale processo penale, oppure se concluderlo autonomamente”.
Le amministrazioni sceglievano spesso di sospenderlo (con i conseguenti ritardi) per una questione legata alla raccolta delle prove, a maggior ragione nei casi in cui l’accertamento era partito da una procura della Repubblica, con l’utilizzo di strumenti come le cimici, tanto per fare un esempio. “In ogni caso le regole sono sempre state chiare – spiega l’avvocato – il termine per la definizione del licenziamento è di 180 giorni e, se l’iter si sospende in attesa del procedimento penale, deve poi riprendere entro 60 giorni e concludersi entro 180”.
ROMAGNOLI: “GLI EFFETTI VENGONO STRUMENTALIZZATI”. Anche il giuslavorista Umberto Romagnoli, professore emerito di Diritto del lavoro dell’Università di Bologna sottolinea che “i licenziamenti nel settore pubblico si sono sempre potuti fare”. E va oltre: “Il problema è inventato, mi sembra che si strumentalizzino gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale e che si vogliano descrivere come molto più devastanti di quanto in effetti non siano”. Qualcosa cambia, però. I fannulloni sono salvi? “Ritengo sia una questione gonfiata ad arte per dimostrare che questo governo sta cambiando il Paese, mentre ci sono delle forze oscure che vogliono impedirlo”.

La storia dell'uomo che ha fatto la storia.

Referendum: Delrio, 'No' non e' catastrofe, ma instabilità.

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Il ministro dei Trasporti e infrastrutture Graziano Delrio.


Fallimento banche? No ad agitare drappi rossi in modo infondato.

 "L'Italia e' un grande Paese con istituzioni molto solide. In caso di vittoria del 'No' nessun catastrofismo. Tuttavia evidentemente avremo un periodo di relativa instabilità". Lo afferma il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio su Radio24, escludendo che un'eventuale sconfitta del 'Si' possa portare al fallimento di molte banche italiane. "Si tratta di interferenze, di chi agita drappi rossi - conclude Delrio - in modo infondato".

"In Alitalia, malgrado i bilanci siano peggiori del previsto, non mi hanno parlato di esuberi ma di un piano di rilancio".

Ma è sempre meglio avere l'instabilità governativa che una oligarchia dittatoriale.
Sempre meglio avere una Costituzione che salvaguardi i diritti indiscutibili dei cittadini che dare pieno potere ad un esecutivo che legiferi senza alcuna opposizione.
In ogni caso, meglio una Costituzione che possa essere interpretata e compresa da tutti i cittadini e non solo da chi l'ha scritta e che si presta a mille interpretazioni.
Vogliamo semplificazioni, non complicazioni.
Vogliamo che le leggi che fate vengano rispettate da tutti, anche da voi che le fate, vogliamo più giustizia e meno caos.
Avete creato solo confusione e precarietà, è ora che poniate rimedio al disastro che avete provocato.
Cetta.

martedì 29 novembre 2016

Referendum, tra sindaci highlander e il Senato gonfiabile: tutti i mostri prodotti da una riforma mal scritta. - Diego Pretini

Referendum, tra sindaci highlander e il Senato gonfiabile: tutti i mostri prodotti da una riforma mal scritta

Contraddizioni, controversie, pasticci, "errori di sintassi costituzionale". Le riforme costituzionali porterebbero parecchia confusione e anche molto lavoro a Consulta e Parlamento per le leggi attuative. Seguendo il libro "non schierato" del costituzionalista Rossi, ecco un riassunto delle cose che non tornano. Come i sindaci che per la Severino vengono sospesi, ma restano senatori. O la "gattopardesca" operazione sulle competenze delle Regioni.

Senatori vuol dire “più anziani”, ma i componenti del Senato delle Autonomie potrebbero avere 18 anni. I senatori saranno per tre quarti consiglieri regionali, ma gli statuti delle Regioni speciali dicono che non si può essere contemporaneamente consiglieri regionali e parlamentari. Lo scudo dell’insindacabilità che protegge i senatori anche quando parlano da non senatori e un esempio c’è già stato (Albertini che quando parlava era europarlamentare, ma è “scudato” dal Senato). I sindaci delle grandi città che potrebbero essere esclusi dal Senato se appartenessero a partiti di minoranza nella Regione (RaggiAppendinoSala) o addirittura non avessero un partito (De Magistris). Di storie “anomale” che potrebbero nascere con la riforma costituzionale del governo ilfattoquotidiano.it ne ha raccontate parecchie.
una-costituzione-miglioreIlfatto.it ha raccolto le principali contraddizioni, le possibili controversie e gli eventuali pasticci che, se la riforma passasse, porterebbe oltre che molta confusione e molto lavoro alla Corte Costituzionale e al Parlamento per le leggi attuative che serviranno. Per farlo, la base è stata Una Costituzione migliore?, firmato da un costituzionalista, Emanuele Rossi, che insegna Diritto costituzionale al Sant’Anna di Pisa. Un libro “non schierato”, a differenza di molti volumi in libreria in queste settimane, da La Costituzione spezzata di Andrea Pertici (edizioni Lindau) a Aggiornare la Costituzione di Carlo Fusaro e Guido Crainz (Donzelli).
Edito da Pisa University PressUna Costituzione migliore? è un’analisi scientifica della riforma, quasi un’autopsia effettuata da un giurista che – già nel prologo – dichiara di non voler sposare una linea (per il sì e per il no) e effettuare solo un esame “con un linguaggio semplice ma rigoroso”, per analizzare “punti di forza e di debolezza, le scelte opportune e gli errori commessi”. Il volume, emanuele-rossia sua volta, si basa su 111 testi e 86 giuristi diversi. E capitolo dopo capitolo l’analisi del testo di Rossi è impietosa: “poco coerente“, “irrazionale”, “inserita in un comma sbagliato”, “oscuro“, “una situazione di assai ardua definizione”, “irragionevolezza”, “scarsa qualità del testo“, “singolare”, “bestiario costituzionale“, “contraddittoria”, “cattiva qualità legislativa“. “Ferme restando infatti le ‘grandi scelte politiche’ – scrive Rossi nelle conclusioni – sembra infatti evidente che il testo uscito dal Parlamento è, perlomeno da un punto di vista tecnico e quindi di funzionalità del sistema, assai deficitario”, che è dovuto a “veri e proprio errori di sintassi costituzionale” dice Rossi riprendendo un’espressione dell’ex giudice Enzo Cheli. “Vi sono alcuni evidenti errori oggettivi nel testo: com’è possibile che (almeno) questi non siano stati evitati?” si chiede ancora Rossi. Certamente, aggiunge, “vi è un problema di qualità della classe politica, come anche vi è un problema di funzionalità degli uffici di supporto”. Ma ancora di più “ci si dovrebbe interrogare se revisioni costituzionali organiche possano essere realizzate in assenza di un momento costituente vero e proprio, vale a dire in condizioni storiche e sociali a ciò adeguate: detto in altri termini, se riforme come queste possano essere prodotte dal potere costituito e non richiedano invece l’esercizio di potere costituente“.