lunedì 6 marzo 2017

Bancarotta Chil Post, “padre di Luca Lotti firmò l’ok al mutuo per Tiziano Renzi”. Nei giorni in cui Matteo fu eletto sindaco.

Bancarotta Chil Post, “padre di Luca Lotti firmò l’ok al mutuo per Tiziano Renzi”. Nei giorni in cui Matteo fu eletto sindaco

Secondo il quotidiano Libero, il 26 giugno 2009, 4 giorni dopo la vittoria dell'allora "rottamatore" alle elezioni comunali a Firenze, il funzionario della Bcc di Pontassieve Marco Lotti dava il primo parere favorevole alla concessione di un prestito da 697 mila euro alla società del papà del presidente del Consiglio. Che da primo cittadino assunse Luca e la moglie Cristina nella sua segreteria.

di  | 17 settembre 2015

Ventidue giugno 2009. Matteo Renzi diventa sindaco di Firenze. Nelle stesse ore la Bcc di Pontassieve, città dove vive la famiglia del presidente del Consiglio, concede al suo papà Tiziano un mutuo da 697mila euro. A firmare le carte è il funzionario della banca Marco Lotti, papà di Luca – oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro del premier – che poco dopo sarebbe diventato responsabile della segreteria del neo sindaco. Che avrebbe poi assunto nella sua segreteria anche Cristina Mordini, che di Luca Lotti è la moglie. 
E’ la ricostruzione fatta dal quotidiano Libero dei giorni in cui alla Chil Post, società del padre del premier, veniva concesso il prestito: oggi a Genova davanti al gip Roberta Bossi si teneva l’udienza preliminare per sciogliere la riserva sulla posizione di Tiziano Renzi, nelle vicende della società è indagato per bancarotta fraudolenta. Il 9 giugno il gip non aveva accolto la richiesta della Procura, che a fine marzo aveva chiesto che il padre del premier fosse scagionato.

Una storia di paese risalente al 2009, che con la veloce ascesa politica di Matteo Renzi assume rilievo nazionale. Tutto ruota attorno ad un muto concesso quell’anno alla Chil Post, fondata nel 1993 per la distribuzione di giornali e la realizzazione di campagne pubblicitarie e ceduta nel 2010 dalla famiglia del premier, da parte della Banca di credito cooperativo di Pontassieve. 

Dalle carte sul procedimento sul fallimento che Libero dice di aver letto, emerge il nome di Marco Lotti, ascoltato dalla procura di Genova come persona informata dei fatti. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti è il ruolo avuto dall’uomo nella concessione del mutuo da quasi 700mila euro. Tutto ha inizio il 15 giugno 2009, quando la finanziaria regionale, la Fidi Toscana, firma la delibera con cui garantisce la copertura dell’80% del prestito. Una settimana dopo, il 22 giugno, Matteo Renzi vince le elezioni e diventa primo cittadino di Firenze: quel giorno la banca di Pontassieve apre l’istruttoria per l’anticipo di 697mila euro alla Chil.

Giusto 4 giorni più tardi, il 26 giugno, scrive ancora Libero, e Lotti senior dà il primo via libera: “Potremmo diventare la banca di riferimento del richiedente”, scrive il funzionario nel suo report vergato e firmato quel giorno. Tutto ciò accadeva “nel giugno del 2009, negli stessi giorni in cui il figlio Luca diventava il capo della segreteria politica di Matteo Renzi appena eletto sindaco di Firenze”, si legge in una nota firmata dal capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Toscana Giovanni Donzelli e diramata in seguito alle notizie pubblicate da Libero. Il 14 luglio Lotti scrive un secondo parere favorevole e il 22 arriva la delibera della banca per la concessione del muto e degli anticipi di cassa. Una manciata di giorni prima la segreteria del sindaco Renzi si era arricchita di un’altra professionalità: quella di Cristina Mordini, moglie di Luca Lotti.

Il paese è piccolo, ci si conosce tutti e quando si può ci si aiuta. Così, scrive ancora Libero, quando nel 2011 Tiziano Renzi ottiene di rimpiazzare l’ipoteca sulla casa di famiglia, tre amici dicono sì a versare 75mila euro in un libretto di pegno come garanzia: sono Alfio Bencini, candidato nel 2009 nella lista Renzi alle comunali, Mario Renzi, cugino di Matteo, e Andrea Bacci, ex socio di Tiziano e chiamato da Matteo nel 2006 a dirigere l’agenzia di comunicazione della provincia di Firenze e promosso nel 2009 presidente della Silfi, società comunale che si occupa di illuminazione. Nonché l’uomo che nel 2004 con la sua impresa edile ristruttura la villa del futuro sindaco a Pontassieve.

Aggiornamento dell’1 agosto 2016 – In data 30 luglio 2016 l’inchiesta per bancarotta a carico di Tiziano Renzi, nell’ambito del fallimento della Chil Post, è stata archiviata. Nelle motivazioni del gip del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non operò come socio occulto dopo la cessione del ramo d’azienda della Chil Post”. La bancarotta “fu determinata da altri” e “la cessione del ramo d’azienda non ha determinato la diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/17/bancarotta-chil-post-padre-di-luca-lotti-firmo-lok-al-mutuo-per-tiziano-renzi-nel-giorno-in-cui-matteo-fu-eletto-sindaco/2044580/

sabato 4 marzo 2017

Fossa comune in orfanotrofio cattolico, il caso che scuote l’Irlanda. - Luigi Ippolito

L’ingresso del sito dove è stata trovata la fossa comune (Reuters)
        L’ingresso del sito dove è stata trovata la fossa comune (Reuters)

Centinaia di sepolture non classificate di bambini. Chiusa l’indagine: il dna dei loro resti conferma che i bimbi avevano età comprese fra 35 settimane e 3 anni.

La Chiesa e i tabù
La Chiesa cattolica ha avuto una presa fondamentale sulla società irlandese per secoli e solo di recente sono stati rotti i tabù che impedivano di parlare di vicende dolorose. Si pensi al film Magdalene del 2002 in cui si raccontavano le angherie e i soprusi subiti in convento da ragazze rinchiuse lì perché “peccaminose”. O al più recente Filomena, del 2013, su una donna costretta ad abbandonare il figlio partorito in convento. Nel caso delle fosse comuni di neonati fa specie la mancanza di pietà umana e religiosa mostrata da istituzioni che si suppone fossero fondate sulla fede. Ora si è deciso di dare nuova, dignitosa sepoltura ai resti di tutti quegli innocenti.

Palermo: sfonda il portone con l'auto e finisce nella rampa delle scale.

Palermo: sfonda il portone con l'auto e finisce nella rampa delle scale
(foto di Igor Petyx)

Un automobilista ha scambiato l'ingresso del condominio per un garage. L'uomo, probabilmente ubriaco, ha abbattuto il portone d'ingresso ed è rimasto incastrato nella vettura fino a quando non è stato liberato. Per fortuna ha riportato lievi ferite. Nell'impatto ha distrutto la portineria ed è finito nella rampa delle scale, provocando vari danni. E' successo in via Nicolò Turrisi al numero 48 in pieno centro. Sono intervenuti i carabinieri, i sanitari del 118 e i vigili del fuoco. 

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/03/03/foto/palermo_sfonda_il_portone_con_l_auto_e_finisce_nella_rampa_delle_scale-159698872/1/#1

venerdì 3 marzo 2017

Consip, le carte: il sospetto sul pagamento al papà di Renzi «Il dottore è soddisfatto?» - Giovanni Biancone

Carlo Russo (Ansa)

Le intercettazioni di Romeo con Carlo Russo. L’imprenditore parla di «metodo della mattonella» per definire i pagamenti in contanti delle tangenti.

Con i versamenti regolari e «in chiaro» Alfredo Romeo aveva ottenuto poco o niente di quello che voleva. I 60.000 euro trasferiti alla fondazione Big Bang riferibile a Matteo Renzi, diceva, non gli avevano aperto le porte che sperava. Ecco perché quando si decise a contattare il padre dell’ex premier attraverso l’imprenditore Carlo Russo, il trentatreenne amico di Tiziano Renzi che lui chiamava «il ragazzo» e i carabinieri del Noe definiscono «faccendiere», insisté molto nel dire che gli eventuali pagamenti dovevano avvenire «in nero»; in contanti, senza lasciare tracce. Lo chiamava il «metodo della mattonella», nelle sue «fluviali conversazioni» intercettate dagli investigatori dell’Arma, con l’ex deputato Italo Bocchino e con lo stesso Russo. Al quale avrebbe anche chiesto se «il dottore», che nell’interpretazione dei carabinieri è Tiziano Renzi, aveva «apprezzato l’atto». Ricevendo risposta affermativa.
Il decreto di perquisizione
L’interpretazione degli investigatori è che parole simili siano la prova dell’avvenuto pagamento, ma è un particolare tutto da dimostrare. Quello che è certo, per ora, è ciò che il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi hanno scritto nel decreto di perquisizione a Russo; e cioè che lui e Renzi senior «si facevamo promettere indebitamente utilità a contenuto economico, consistenti nell’erogazione di somme di denaro mensili», affinché intercedessero in favore di Romeo con l’amministratore delegato di Consip Luigi Marroni; in modo da fargli ottenere la fetta più appetitosa di appalti dalla centrale d’acquisto della pubblica amministrazione. Uno degli elementi che fanno pensare alla cadenza mensile dei pagamenti deriva ancora dalla possibile metafora utilizzata da Romeo, quando dice a Russo che lui andrebbe volentieri «a mangiare una bistecca ogni mese... Dobbiamo fare un ragionamento periodico».
Le mazzette in contanti
Con le «mazzette» in contanti Romeo si sentiva sicuro. Così pagava il dirigente Consip Marco Gasparri e così diceva di voler pagare anche Russo. Il quale avrebbe preferito altre forme, ma l’imprenditore campano si sentiva sicuro solo con le banconote. Accumulate, nell’ipotesi dell’accusa, «con il “nero” ricavato dalla sua attività alberghiera in Napoli», ma anche ritirando le banconote agli sportelli: «Giova rappresentare come Romeo abbia proceduto, attraverso una banca napoletana, nel solo 2016 al prelevamento di denaro contate mediante cambio di assegni intestati a “me medesimo” per un importo complessivo di euro 351.088,90». Oltre trecentocinquantamila euro. C’è però anche l’ipotesi di utilizzare un canale «estero su estero»; magari — come hanno scritto i pm della Procura di Napoli nell’ordine di perquisizione allo stesso imprenditore del 7 febbraio — «pianificando l’utilizzo di società estere, e in particolare di una società inglese nella disponibilità dello stesso Romeo e dei suoi familiari». Secondo quello che sempre Russo racconta a Romeo, il «faccendiere» aveva parlato bene di lui non solo a Tiziano Renzi ma anche a Luca Lotti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Renzi e oggi ministro dello Sport. Gli aveva detto che era uno del quale ci si poteva fidare; mettendo in luce non tanto le sue qualità imprenditoriali, quanto il fatto che quando era stato arrestato dalla magistratura napoletana nel 2008, in un processo che poi si concluse con l’assoluzione in Cassazione, era rimasto in carcere senza dire nulla agli inquirenti. Nelle intenzioni di Romeo c’era quella di raggiungere un «accordo quadro» con Renzi senior, per ottenere appalti in generale ma in particolare per vincere la gara a cui teneva di più: quella per la gestione delle pulizie nei palazzi nel primo municipio di Roma, il centro storico: un affare da oltre cento milioni di euro, che consente di mettere un piede nelle sedi istituzionali, il cuore del potere. Una gara per la quale aveva ingaggiato con l’impresa Cofely un duello a distanza dai risvolti politici occulti, svelati dai dialoghi tra Romeo, l’ex deputato di An suo consulente Italo Bocchino e altre persone intercettati dai carabinieri.
Il collegamento con Verdini
«C’è un problema sul lotto Municipio uno — dice Bocchino a Romeo in un colloquio del febbraio 2016 — . Già c’è il problema di uno straniero che in un lotto così delicato istituzionalmente non va bene, ma poi c’è il problema che è Bigotti (cinquantaduenne imprenditore piemontese, ndr), che entra su Roma con Cofely». Romeo spiega di aver saputo da Marco Gasparri che dietro Bigotti e la società Cofely c’è l’onorevole Denis Verdini: «Questa notizia mi ha sconcertato totalmente... questa cosa significa che Verdini è tutt’altra... Bigotti è uomo di Verdini perché Bigotti socio... numero uno di Bigotti è Paolo Berlusconi». Bocchino ribatte che «ormai ha rotto con quel mondo», ma Romeo insiste: «Va bè, però i rapporti personali so’ rapporti personali». Più avanti Romeo s’inalbera: «Cofely non doveva venire su Roma, perché io a Roma non dovevo avere problemi, perché questo non è il mestiere di Cofely, Cofely fa il calore».
Gli appoggi politici
Per contrastare l’offensiva della società che dicono essere sponsorizzata da Verdini, Romeo cerca altri appoggi politici, capaci di influire sui vertici di Consip. Tra questi sembra esserci Alberto Bianchi «presidente della Fondazione Open (la ex Big Bang alla quale era stato fatto il finanziamento ufficiale da 60.000 euro, ndr) riconducibile a Matteo Renzi e avvocato esterno di Consip», annotano i carabinieri nel loro rapporto. «Intanto mi fanno trovare Bianchi là ieri sera», dice Bocchino a Romeo che replica: «Va bene, Bianchi è un vecchio avvocato legato a Renzi da sempre». Bocchino ipotizza che qualcuno lo voglia «mandare a Consip», poi s’interroga «su quale possa essere il messaggio che il “Giglio d’oro” volesse inviare a Romeo», ma nel frattempo sembra diventare una sorta di intermediario con gli ultimi due amministratori delegati della Centrale d’acquisto della pubblica amministrazione, Domenico Casalino e Luigi Marroni. «Il discorso attiene all’incontro promosso da Casalino con il Bianchi — annotano i carabinieri nel loro rapporto — che, stando anche a quello che in seguito si diranno il Bocchino e il Romeo, era teso a cercare un equilibrio nell’assegnazione del bandi Consip, atteso che sembrerebbe che Marroni è già schierato per favorire un’altra azienda».
L’interrogatorio
È a partire da questo convincimento di essere tagliato fuori per motivi politici che Romeo — nell’ipotesi dell’accusa — cerca il contatto con Tiziano Renzi. Con l’obiettivo di scalzare la società appoggiata da Verdini. Ma il problema è che — nell’interrogatorio che il settimanale L’Espresso ha anticipato ieri — Marroni avrebbe detto che il padre dell’ex premier lo spingeva a favorire l’impresa vicina a Verdini. Resta da capire, ammesso che tutto questo corrisponda al vero, se Romeo lo sapeva e voleva far cambiare idea al «massimo livello politico» che pensava di aver raggiunto, o se invece i suoi interlocutori facevano una sorta di doppio gioco. L’imprenditore che si sentiva danneggiato cercava «una polizza assicurativa». E pensava di averla trovata.

Inchiesta Consip, i sospetti sul pagamento cash al padre di Renzi. Romeo a Russo: “Il dottore ha apprezzato?”

Inchiesta Consip, i sospetti sul pagamento cash al padre di Renzi. Romeo a Russo: “Il dottore ha apprezzato?”

In corso a Roma l'interrogatorio di Tiziano Renzi, il padre del premier. In contemporanea a Firenze (ma iniziato circa due ore prima) quello del faccendiere toscano: l'incontro con i pm è finito poco prima delle 17, ma l'imprenditore si è avvalso della facoltà di non rispondere.

La geografia dell’inchiesta Consip oggi ha due palcoscenici: Roma e Firenze. Nel capoluogo toscano, i magistrati capitolini e napoletani sono arrivati con un compito ben preciso: interrogare Carlo Russo, uno dei facilitatori di Alfredo Romeo nonché imprenditore farmaceutico indagato per traffico di influenze al pari dell’ex An Italo Bocchino (il consulente dell’immobiliarista campano sarà ascoltato nei prossimi giorni) e di Tiziano Renzi. L’interrogatorio di quest’ultimo è in corso a Roma, negli uffici della procura, a Piazzale Clodio: assistito dall’avvocato Federico Bagattini, il padre del premier è sentito dal procuratore aggiunto Paolo Ielo. Presente anche il pm della Procura di Napoli, Celeste Carrano. In contemporanea l’interrogatorio di Carlo Russo nella caserma dei carabinieri di Borgo Ognissanti: a porgli domande i pm Mario Palazzi (Roma) ed Henry John Woodcock (Napoli). 

Russo è arrivato in caserma alle 13.41 e il suo interrogatorio è terminato poco prima delle 17, quando è uscito dalla sede del comando provinciale e si è allontanato a bordo di un taxi. A giornalisti e cameraman che gli chiedevano una dichiarazione si è limitato a rispondere “Buona sera e buon lavoro”. Stesso, identico comportamento tenuto davanti ai pm: Russo non ha risposto a Palazzi e Woodcock e si è avvalso della facoltà di non rispondere su indicazione dei suoi difensori, avvocati Gabriele e Marco Zanobini. “Intendiamo – hanno spiegato i legali – far rispondere il nostro assistito quando saremo su un piano di parità ossia quando avremo piena conoscenza degli atti. Ora abbiamo solo un decreto di perquisizione“.

Chi invece ha detto qualcosa sono stati i pm. Dopo l’interrogatorio di Russo, infatti, Palazzi e Woodcock si sono allontanati dal comando provinciale dei carabinieri di Firenze per una ventina di minuti. “Andiamo a sciacquare i panni in Arno…” ha scherzato Woodcock incamminandosi con Palazzi verso il vicino fiume. Al loro rientro i cronisti hanno chiesto se i due magistrati hanno intenzione di ascoltare oggi altre persone. “Vediamo…”, è stata la risposta. Russo era teso? “Non posso dire niente – ha risposto Woodcock – dovete chiederlo a lui…”.

Russo e Renzi senior devono spiegare i particolari del loro rapporto con Alfredo Romeo e ciò che, a leggere le carte dell’inchiesta, hanno fatto per avvicinare l’imprenditore alla vittoria dei lotti dell’appalto Fm4 a cui era fortemente interessato. Soprattutto, i due dovranno rispondere a una domanda ben precisa: hanno avuto qualcosa in cambio per i loro presunti servigi? A leggere le carte dell’inchiesta, il do ut des emergerebbe dai pizzini vergati da Romeo e recuperati dagli inquirenti in una discarica. In tal senso, nei giorni scorsi Il Fatto Quotidiano ha pubblicato in esclusiva il pezzo di carta in cui Romeo annotava i compensi da dare a T. e C.R.: 30mila euro al mese per il primo, 5mila ogni due mesi per il secondo. Per chi indaga, quelle iniziali potrebbero riferirsi proprio a Tiziano Renzi e Carlo Russo.

Quest’ultimo, poi, è stato intercettato mentre parlava con Alfredo Romeo: il contenuto è stato pubblicato nell’edizione odierna del Corriere della Sera. In una di queste conversazioni registrate dagli inquirenti, Romeo e Russo parlano di quello che i pm definiscono il “metodo della mattonella”, ovvero il presunto pagamento in nero e in contanti delle tangenti. In tal senso, si legge sul quotidiano di via Solferino, Russo non avrebbe rifiutato pagamenti estero su estero, mentre Romeo si fidava solo di versamenti in contanti. A un certo punto della conversazione, poi, Romeo chiede a Russo se “il dottore” aveva “apprezzato l’atto”. Per i magistrati queste parole potrebbero essere il segno che il pagamento sia effettivamente avvenuto: per loro quel “dottore” sarebbe Tiziano Renzi, mentre “l’atto” sarebbe il pagamento della mazzetta. Per ora sono solo ipotesi investigative, su cui i diretti interessati con tutta probabilità dovranno rendere conto in corso di interrogatorio.

La predilezione di Romeo per il “metodo della mattonella”, del resto, è confermato anche da un particolare riportato sempre dal Corsera: solo nel 2016, l’imprenditore campano ha prelevato 351mila euro in contanti da una banca di Napoli, tramite il cambio con assegni intestati a “me medesimo”. Oltre a questo, secondo gli inquirenti bisogna aggiungere anche i prelievi dagli sportelli bancomat e l’utilizzo dei contanti in nero provenienti dalla sua attività alberghiera. Sempre cash, solo cash.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/03/inchiesta-consip-i-sospetti-sul-pagamento-cash-al-padre-di-renzi-romeo-a-russo-il-dottore-ha-apprezzato/3428965/

Verdini-Renzi, sodali per poco. Ascesa e declino degli alleati perfetti. - Davide Vecchi

Verdini-Renzi, sodali per poco. Ascesa e declino degli alleati perfetti

Veloce, va detto, è stato veloce. E questa è forse l’unica promessa che Matteo Renzi ha mantenuto. Ma certo il risultato è opposto da quello che garantiva: mai nessuno prima era riuscito a compiere un’ascesa così rapida e una discesa ancora più verticale. Proprio un anno fa su questo blog rivolgevo i complimenti a lui e al suo sodale Denis Verdini, sdoganato nel Partito Democratico, accettato non solo come stampella indispensabile al governo Renzi, ma anche e soprattutto come alleato paritario, rispettato anche da quanti erano stati strenui antiberlusconiani.

Questa comunione d’intenti, più felice d’un matrimonio ben riuscito, emerse chiaramente nel marzo 2016 a seguito della condanna in primo grado per concorso in corruzione a carico del leader di Ala. Poi prescritta. Nessuno fiatò. Non un respiro per prendere le distanze da Verdini. Anzi. Erano i mesi in cui il gigante dal ciuffo bianco scriveva la nuova Costituzione insieme all’altra costituzionalista, Maria Elena Boschi. Con ogni probabilità, conoscendoli entrambi, era Denis la mente. Come disse lui con una battuta: “Maria Elena? È più forme che riforme”.

Erano i mesi del renzismo imperante. Mai prima di allora un politico aveva avuto un sostegno così trasversale. Il Fatto già all’epoca raccontava le magagne dell’ex premier, dei suoi compari, dei padri e dei compari dei padri (come dimenticare le visite di Pier Luigi Boschi da Flavio Carboni

O quel mutuo firmato da Marco Lotti a favore della società di Tiziano Renzi e poi pagato dalle casse dello Stato?). Lo raccontavamo nel silenzio quasi totale degli altri giornali, intenti a riportare retroscena sugli straordinari successi dell’esecutivo. Ma la storia sceglie sempre da sola a chi dar ragione. E questa volta l’ha fatto, anche lei, con una rapidità impressionante. Gli eventi di queste settimane parlano chiaro.

Certo: ci sono tre gradi di giudizio. Certo tutti sono innocenti fino a prova contraria e sono convinto sin da ora che le posizioni di Tiziano Renzi, Luca Lotti e altri, nel corso delle indagini saranno ridimensionate. Magari riusciranno a dimostrare di essere estranei a ogni accusa e potranno querelare per calunnia chi li ha coinvolti: Marco Marroni, Carlo Russo, Filippo Vannoni. È possibile che non entrino neanche nel processo, che saranno archiviati subito con tante scuse. L’amico Denis invece non ha speranze.

Come un anno fa, Verdini è stato raggiunto da una nuova condanna. Pesantissima, questa volta: 7 anni per la bancarotta, 2 per truffa ai danni dello Stato oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nei prossimi mesi arriverà pure la sentenza del processo sulla P3, per il quale è stata chiesta una condanna di 4 anni; poi ci sono altri 4 procedimenti a carico di Verdini. Insomma è facile prevedere che la stagione politica del leader di Ala si sia conclusa. E Matteo farà bene a seguirlo, a ritirarsi dalle primarie del Pd usando la scusa dell’inchiesta che coinvolge il padre e buona parte dei suoi amici. Farebbe bene, Renzi junior, a sfilarsi spontaneamente sin da subito. Perché il sodale Verdini non è tipo da tirar le volate a gratis. Non nell’ascesa, ancor meno nella caduta.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/03/verdini-renzi-sodali-per-poco-ascesa-e-declino-degli-alleati-perfetti/3429073/

Processo Credito Fiorentino, Denis Verdini condannato a nove anni. Tribunale dispone l’interdizione perpetua.


Processo Credito Fiorentino, Denis Verdini condannato a nove anni. Tribunale dispone l’interdizione perpetua

I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni.

Il Tribunale di Firenze ha condannato Denis Verdini a 9 anni nell’ambito del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino. La pena, 7 anni per la bancarotta e 2 per la truffa, è stata decisa dal collegio presieduto dal giudice Mario Profeta. I giudici che, non hanno riconosciuto l’associazione a delinquere assolvendo tutti per questo reato, hanno inflitto cinque anni e sei mesi ciascuno agli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei. Condannato anche il deputato di Ala Massimo Parisi

Il Tribunale ha disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per Verdini, Fusi e Bartolomei. All’ex direttore generale del Ccf Piero Italo Biagini, sono stati inflitti sei anni Condannati a pene che vanno da 4 anni e sei mesi a 5 anni di reclusione anche i componenti del consiglio di amministrazione dell’istituto e tutti i componenti del collegio sindacale. Pene da un anno e sei mesi e 4 anni e mezzo anche per gli amministratori della Ste, la società che pubblicava il Giornale della Toscana, e della Sette Mari che mandava nelle edicole il settimanale Metropolis. Il collegio ha invece assolto alcuni imprenditori che avevano ottenuto finanziamenti dal Ccf, “perché il fatto non sussiste”, mentre per tutti i reati di truffa ai danni dello Stato per i contributi all’editoria legati agli anni 2005, 2006 e 2007, è scattata la prescrizione. I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni.

“Non è finita, rispettiamo la sentenza ma siamo pronti a combattere e attendiamo le motivazioni per andare in appello” dice Ester Molinaro, legale di Verdini. “Per ora commentando la condanna abbiamo dimostrato che non esiste alcuna associazione tra Verdini e i suoi presunti sodali, in appello dimostreremo che non sussistono neppure le altre accuse”. “Ci aspettavamo ben altra sentenza considerando quanto il processo aveva posto in luce in favore del senatore Verdini e non ci consola certamente la pur giusta assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere. Per fortuna il nostro ordinamento prevede ancora il giudizio di appello ed attendiamo con impazienza di leggere la motivazione della sentenza per proporre contro di essa impugnazione” dice in una nota l’avvocato Franco Coppi.

“Questa sentenza è una grande ingiustizia perché noi non abbiamo fatto nulla – commenta Fusi -. Si accetta quello che dicono i giudici ma noi siamo innocenti. Abbiamo lavorato sempre per il bene dell’azienda, non abbiamo mai portato via un soldo all’azienda, ma grazie a questa indagine mi sono state portate via anche le mie aziende. Oggi è stata distrutta una delle imprese di costruzioni più grandi della Toscana, mentre chi paga le tangenti continua a lavorare”.

Provvisionale da 2 milioni e mezzo a favore della Presidenza del Consiglio.
Verdini, Parisi, e altri nove condannati sono stati condannati dal Tribunale di Firenze “al pagamento a favore della Presidenza del Consiglio dei ministri di una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di euro 2.500.000,00″ per i reati relativi alla truffa ai danni dello Stato. I giudici hanno disposto che il risarcimento danni siano liquidati “in separata sede”. I condannati dovranno pagare anche le spese legali sostenute dalla Presidenza del Consiglio dei ministri stabilite in 20mila euro e i danni alla Banca d’Italia, parte civile nel processo, quantificati in 175mila euro come “provvisionale immediatamente esecutiva. Dovranno essere risarcite anche le spese legali sostenute dalla Banca d’Italia calcolate in 20 mila euro. Il Tribunale ha ordinato anche “nei confronti di Verdini, Parisi e di altri sei condannati la confisca della somma di euro 5.061.277,62, ovvero i beni per un valore pari all’importo corrispondente ai contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla società Toscana di Edizioni srl, per i danni di competenza 2008-2009″. Il Tribunale ha ordinato anche nei confronti di Verdini, Parisi e di altri cinque condannati “la confisca della somma di euro 4.049.022,00, corrispondenti ai contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla Sette Mari scarl per gli anni di competenza 2008-2009”.


L’accusa: “Banca come bancomat”, la difesa: “Fatto non sussiste”
Per l’accusa il parlamentare era il dominus della banca (che usava come “un bancomat”) e di tutte le attività le attività editoriali organizzate per ottenere contributi pubblici e nei confronti degli “amici di affari”. Tutte accuse che i difensori del senatore, gli avvocati Franco Coppi e Ester Molinaro, hanno poi respinto con forza nelle loro arringhe. In particolare, spiegò Coppi, “i pm hanno travisato la sua personalità” definendolo “assetato di potere e di denaro. Una rappresentazione che non corrisponde a quello che Verdini già era in quegli anni, ossia un politico di spicco e un uomo senza problemi di denaro”. Assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste”, era stata chiesta anche dai difensori di Parisi e degli altri imputati, compresi quelli degli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei.


L’indagine, pm: “Finanziamenti senza garanzie”
Denis Verdini era stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato il 15 luglio del 2014. Secondo l’accusa finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la Procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”. A dare il via all’indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine, allegati compresi, avevano riassunto lo stato di salute della banca di Verdini. E le anomalie riscontrate. Altro capitolo quello dei fondi per l’editoria, che secondo la Procura di Firenze, avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione di “Il Giornale della Toscana”.

Lo scorso ottobre Verdini era uscito indenne dal processo di secondo grado nell’ambito del processo per la Scuola Marescialli di Firenze. Verdini, che era stato condannato in primo grado a due anni di reclusione, era stato prosciolto con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/02/processo-credito-fiorentino-denis-verdini-condannato-a-nove-anni/3426926/