lunedì 27 novembre 2017

ALL'ONU, L'INCAPACITA' DEGLI STATI UNITI DI AMMETTERE LA REALTA'. - Thierry Meyssan

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Quattro veti successivi sulla menzogna di Khan Shaykhun.
Mentre i presidenti Putin e Trump fanno progressi sulla questione siriana, gli alti funzionari statunitensi all’ONU sono impegnati in un braccio di ferro con la Russia. Rifiutandosi di indagare su un crimine, giudicato tale a priori, hanno provocato non uno, bensì quattro veti al Consiglio di Sicurezza. Secondo Thierry Meyssan, il comportamento schizofrenico degli Stati uniti sulla scena internazionale attesta la divisione dell’amministrazione Trump e, al tempo stesso, il declino dell’imperialismo americano.

Adottando lo stesso atteggiamento del suo lontano predecessore Adlai Stevenson durante la crisi dei missili cubani, Nikki Haley ha denunciato l’incidente di Khan Shaykhun mostrando come prova fotografie raccapriccianti. “Prove” la cui autenticità il Meccanismo d’inchiesta congiunto Onu-OPAC [Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, ndt] si è tuttavia rifiutato di certificare. Si noti che il falco Jeffrey Feltman è seduto accanto all’ambasciatrice.
Indubbiamente poche cose sono cambiate dall’11 settembre 2001. Gli Stati Uniti continuano a manipolare l’opinione pubblica internazionale e gli organismi delle Nazioni Unite, sicuramente per ragioni diverse, mostrando però il medesimo disprezzo per la verità.

Nel 2001 i rappresentanti di Stati Uniti e Regno Unito, John Negroponte e Stewart Eldon, garantivano che i rispettivi Paesi avevano attaccato l’Afghanistan per legittima difesa, in seguito agli attentati di New York e Washinton [1]. Il segretario di Stato, Colin Powell, prometteva che avrebbe fatto avere al Consiglio di Sicurezza un dossier completo contenente le prove delle responsabilità afghane. Dopo sedici anni siamo ancora in attesa del documento.

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Il segretario di Stato Colin Powell mente al Consiglio di Sicurezza. Brandisce quel che presenta come fiala di antrace in grado di uccidere l’intera popolazione di New York e accusa l’Iraq di aver preparato la terribile arma per attaccare gli Stati Uniti. Washington non si è mai scusata per la pagliacciata.

Nel 2003, durante un intervento ripreso dalle televisioni del mondo intero, lo stesso Colin Powell spiegò al Consiglio di Sicurezza che anche l’Iraq era implicato negli attentati dell’11 settembre e stava preparando un nuovo attacco agli Stati Uniti con armi di distruzione di massa [2]. Tuttavia, il generale Powell, lasciando l’incarico governativo ammise, su una rete televisiva americana, che tutte le innumerevoli accuse del suo discorso erano false [3]. Dopo quattordici anni stiamo ancora aspettando che gli Stati Uniti si scusino davanti al Consiglio di Sicurezza.

Il mondo intero ha dimenticato le accuse americane sulla responsabilità del presidente Saddam Hussein negli attentati dell’11 settembre (in seguito Washington ha attribuito gli stessi attentati prima all’Arabia Saudita e, ora, all’Iran, senza mai portare alcuna prova). 
In compenso, tutti ricordano il dibattito, durato mesi, sulle armi di distruzione di massa. All’epoca, la Commissione di Controllo, Verifica e Ispezione delle Nazioni Unite (in inglese UNMOVIC) non trovò la minima traccia di queste armi. Un braccio di ferro oppose l’allora direttore di UNMOVIC, lo svedese Hans Blix, prima agli Stati Uniti, poi all’ONU e, infine, all’insieme del mondo occidentale. Washington sosteneva che Blix non aveva trovato le armi perché svolgeva male il proprio lavoro. Blix affermava invece che l’Iraq mai era stato in grado di fabbricare armi simili. Poco importa, gli Stati Uniti bombardarono comunque Bagdad, invasero l’Iraq, rovesciarono il presidente Saddam Hussein e lo impiccarono, occuparono il Paese e lo saccheggiarono.

Il metodo statunitense posteriore al 2001 non ha nulla a che vedere con quello che l’ha preceduto. Nel 1991 il presidente Bush padre si premurò, prima di attaccare l’Iraq, di avere il Diritto internazionale dalla propria parte. Spingendo Bagdad a invadere il Kuwait e Saddam Hussein a intestardirsi, ottenne il sostegno di quasi tutte le altre nazioni. Nel 2003 Bush figlio si limitò invece a mentire e a perseverare nella menzogna. Molti Stati presero le distanze da Washington e il mondo assistette alle manifestazioni pacifiste più imponenti della storia, da Parigi a Sydney, da Pechino a Città del Messico.

Nel 2012 l’Ufficio Affari Politici dell’ONU redasse un progetto contemplante la capitolazione totale e incondizionata della Siria [4]. Il suo direttore, lo statunitense Jeffrey Feltman, ex vice della segretaria di Stato Hillary Clinton, utilizzò ogni mezzo a sua disposizione per formare la più vasta coalizione della storia e accusare la Siria di ogni sorta di crimine, mai dimostrato.

Se gli Stati che sono in possesso del documento Feltman hanno deciso di non pubblicarlo è per tutelare le Nazioni Unite. È difatti inaccettabile che le risorse dell’ONU, un’istituzione creata per preservare la pace, vengano utilizzate per promuovere la guerra. Io, che sono libero dagli obblighi che vincolano uno Stato, ho invece pubblicato in Sous nos yeux [5] uno studio dettagliato di quell’ignobile documento.

Nel 2017 il Meccanismo d’Inchiesta congiunto ONU-OPAC, creato su richiesta della Siria per indagare sull’uso di armi chimiche sul suo territorio, è stato teatro dello stesso braccio di ferro che oppose Hans Blix a Washington. Però, questa volta, i fronti sono rovesciati. Nel 2003 l’ONU difendeva la pace. Oggi non più: Jeffrey conserva il proprio posto ed è ancora il numero due dell’ONU. E ora è la Russia che, in nome della Carta delle Nazioni Unite, si oppone a funzionari internazionali pro-USA.

I lavori del Meccanismo d’Inchiesta, oggetto di normale dibattito nel primo periodo, ossia da settembre 2015 a maggio 2017, sono diventati divisivi da quando, alla sua direzione, il guatemalteco Edmond Mulet è subentrato all’argentina Virginia Gamba. Una nomina voluta dal nuovo segretario generale dell’ONU, il portoghese Antonio Guterres.

Del Meccanismo d’Inchiesta fanno parte funzionari dell’ONU e dell’OPAC, la prestigiosa organizzazione internazionale che nel 2013 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per la sorveglianza sulla distruzione dell’arsenale chimico siriano da parte di Stati Uniti e Russia. Tuttavia, il suo direttore, il turco Ahmet Üzümcü, ha subito una trasformazione. A giugno 2015 è stato invitato a Telfs Buchen (Austria) per partecipare alla riunione del Gruppo Bilderberg, il club della NATO.

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A dicembre 2015 Ahmet Üzümcü è stato decorato della Legione d’Onore da Laurent Fabius, il ministro francese degli Esteri che ha affermato che il presidente al-Assad «non ha diritto di vivere» e che Al Qaeda «fa un buon lavoro».

La questione è ben più grave del 2003, quando lo scontro era tra Hans Blix e Stati Uniti, che minacciavano d’intervenire contro l’Iraq se l’ONU avesse dimostrato l’esistenza di armi di distruzione di massa. Nel 2017 il conflitto è invece tra la Russia ed Edmond Mulet, che potrebbe avallare a posteriori l’intervento americano contro la Siria. Senza esitare Washinton ha ritenuto infatti la Siria responsabile di un attacco al gas sarin a Khan Shaykhun e ha bombardato la base aerea di Sheyrat [6].

Qualora il rapporto del Meccanismo d’Inchiesta si scostasse in qualche modo dalla linea di condotta di Washington, gli Stati Uniti sarebbero costretti a chiedere scusa alla Siria e a indennizzarla. I funzionari internazionali pro-USA ritengono perciò sia loro dovere pervenire alla conclusione che la Siria ha bombardato il suo stesso popolo con il gas sarin, depositato illegalmente nella base aerea di Sheyrat.

Dal mese di ottobre la discussione tra alcuni funzionari ONU e la Russia ha iniziato a salire di tono. Contrariamente a quanto sostiene la stampa occidentale, il contenzioso non riguarda affatto l’esito del Meccanismo d’Inchiesta, ma esclusivamente i metodi utilizzati; Mosca rifiuta a priori ogni conclusione cui si sia giunti con metodi non conformi ai principi internazionali, stabiliti nel quadro della Convenzione sulle Armi Chimiche e dell’OPAC [7].

Il sarin è un gas neurotossico estremamente letale per l’uomo. Esistono varianti del prodotto, come il clorosarin e il ciclosarin, e una versione ancora più pericolosa, il VX. Tutti questi prodotti chimici sono assorbiti dalla pelle e passano direttamente nel sangue. In un periodo che può variare da qualche settimana a qualche mese si disperdono nell’ambiente, non senza conseguenze per la fauna con cui può entrare in contatto. Quando penetrano nel suolo il sarin e le sue varianti, in assenza d’ossigeno e luce, possono mantenersi attivi molto a lungo. Basta osservare le fotografie dell’attacco di Khan Shaykhun, dove si vedono persone prelevare campioni poche ore dopo l’attacco, senza indossare tute che proteggano la pelle, per avere la certezza che, se c’è stato uso di gas, non può trattarsi né di sarin né di alcuno dei suoi derivati. Maggiori dettagli si possono trovare nello studio del professor Theodore Postol, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che smonta una a una le argomentazione dei sedicenti esperti della CIA [8].

Ebbene, contravvenendo ai principi della Convenzione sull’Uso delle Armi Chimiche, il Meccanismo d’Inchiesta non si è recato sul posto per prelevare campioni, analizzarli e indentificare il gas eventualmente utilizzato. Rispondendo alle domande poste a tal proposito a maggio e giugno scorsi dalla Russia, l’OPAC ha dichiarato che stava esaminando le condizioni di sicurezza in cui si sarebbe svolto il sopralluogo, per giungere infine alla conclusione che non occorreva muoversi perché «non sussistono dubbi sull’utilizzo del sarin».

In compenso, il Meccanismo d’Inchiesta si è recato nella base di Sheyrat, dove, secondo Washington, il gas sarin era stato illegalmente immagazzinato e poi caricato sui bombardieri. Anche in questo caso, nonostante l’insistenza della Russia, non ha prelevato campioni.

Il Meccanismo d’Inchiesta si è anche rifiutato di prendere in esame quanto rivelato dalla Siria a proposito della fornitura di gas agli jihadisti da parte delle società statunitensi e britanniche Federal Laboratories, Non Lethal Technologies e Chenring Defence UK [9].
Nel progetto di risoluzione presentato il 16 novembre, gli Stati Uniti e i loro alleati riconoscono che i funzionari internazionali dovrebbero investigare «in modo appropriato allo svolgimento del loro mandato» [10].

La Russia ha respinto il rapporto del Meccanismo d’Inchiesta a motivo del suo carattere dilettantistico e ha rifiutato tre volte di rinnovarne il mandato. Ha opposto il veto il 24 ottobre [11], il 16 [12] e 17 novembre, così come aveva già fatto il 12 aprile [13] , allorquando Stati Uniti e Francia [14] tentarono di ottenere la condanna della Siria per questo preteso attacco al gas sarin. 
Queste sono state l’ottava, la nona, la decima e l’undicesima volta che la Russia è ricorsa al veto sulla questione siriana.
S’ignora per quale ragione Washington abbia presentato, o fatto presentare, al Consiglio di Sicurezza per quattro volte e per vie diverse lo stesso assunto. 
Un traballamento già verificatosi all’inizio della guerra contro la Siria, il 4 ottobre 2011, il 4 febbraio e il 19 luglio 2012, quando Francia e Stati Uniti cercarono di far condannare dal Consiglio di Sicurezza quella che chiamavano la repressione della primavera siriana. La Russia sosteneva invece che non si trattava di guerra civile, bensì di un’aggressione esterna. Ogni volta gli Occidentali replicavano che avrebbero alla fine «convinto» il partner russo.
È interessante osservare che oggi la doxa occidentale asserisce che la guerra in Siria è iniziata con una rivoluzione democratica, poi degenerata e, alla fine, strumentalizzata dagli jihadisti. 
Ebbene, contrariamente a quanto si disse, non esiste alcuna prova della benché minima manifestazione nel 2011-12 in Siria a favore della democrazia. Tutti i video dell’epoca mostrano manifestazioni a sostegno del presidente el-Assad o contro la Repubblica Araba Siriana, mai per la democrazia. 
Nessun video mostra slogan o cartelli pro-democrazia. Tutti i video delle sedicenti “manifestazioni rivoluzionarie” di quel periodo sono stati girati di venerdì, all’uscita dalle moschee sunnite, mai in un altro giorno della settimana e mai in un luogo d’incontro diverso da una moschea sunnita. 
È vero che in alcuni video si sentono frasi in cui c’è la parola “libertà”. Però, tendendo bene l’orecchio si capisce che i manifestanti non stanno rivendicando la “Libertà” nel senso occidentale, ma la “libertà di applicare la sharia”. Se qualche lettore riesce a rintracciare un documento affidabile di una manifestazione di più di 50 persone che mi contraddica, per favore me lo faccia avere, non mancherò di pubblicarlo.

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Benché, per non offrire l’opportunità all’opposizione di accusarlo di farsi dare ordini dall’uomo del KGB, Vladimir Putin, il presidente Trump non abbia incontrato privatamente il presidente russo, l’11 novembre 2017 a Da Nang i due capi di Stato esibiscono la loro intesa.
Si potrebbe interpretare l’ostinazione statunitense nel manipolare i fatti come un segno dell’allineamento dell’amministrazione Trump alla politica dei suoi quattro predecessori. Questa ipotesi è però contraddetta dalla firma, l’8 novembre ad Amman, di un Memorandum segreto tra Giordania [15], Russia e Stati Uniti, e dalla Dichiarazione comune dei presidenti Putin e Trump l’11 novembre a Da Nang, in margine al vertice dell’APEC [16].

Il primo di questi documenti non è stato pubblicato ma, grazie a indiscrezioni, sappiamo che non tiene in conto la richiesta israeliana di creare una zona neutrale in territorio siriano, a 60 chilometri al di là, non del confine israeliano, bensì della linea di cessate-il-fuoco del 1967. Senza mai perdere occasione per gettare benzina sul fuoco, il governo britannico ha reagito facendo pubblicare dalla BBC fotografie satellitari della base militare iraniana di El-Kiswah (a 45 chilometri dalle linea del cessate-il-fuoco) [17]. Com’era prevedibile, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto immediatamente l’accordo tra le grandi potenze e annunciato che Israele si riserva il diritto d’intervenire immediatamente in Siria per salvaguardare la propria sicurezza [18]. 
Una dichiarazione che rappresenta una minaccia a uno Stato sovrano e, per questa ragione, vìola la Carta delle Nazioni Unite. Del resto, chiunque ha potuto vedere che, negli ultimi sette anni, il pretesto delle armi destinate al Libano ha sempre rappresentato una buona scusa. Per esempio, il 1° novembre Tsahal ha bombardato illegittimamente una zona industriale a Hassyié, col pretesto di distruggere armi destinate a Hezbollah. In realtà, l’obiettivo dell’attacco era una fabbrica che lavora il rame, indispensabile per il ripristino della rete elettrica siriana [19].
La Dichiarazione di Da Nang rappresenta un deciso progresso. Per esempio, stabilisce, per la prima volta, che tutti i siriani avranno diritto a partecipare alle prossime elezioni presidenziali. Ebbene, finora ai siriani in esilio è stato impedito dalla Coalizione Internazionale di votare, violando la Convenzione di Vienna. Da parte sua, la “Coalizione Nazionale delle Forze dell’Opposizione e della Rivoluzione” boicottava le elezioni perché era controllata dai Fratelli Mussulmani, secondo i quali «Il Corano è la nostra Legge», dunque in un regime islamista non c’è posto per elezioni.
Il contrasto tra il progresso dei negoziati Russia-USA sulla Siria, da un lato, e la testardaggine degli Stati Uniti nel volere negare i fatti davanti al Consiglio di Sicurezza, dall’altro, è sorprendente.
È interessante osservare il disagio della stampa europea, sia rispetto al lavoro dei presidenti Putin e Trump, sia nei confronti dell’ostinazione infantile statunitense al Consiglio di Sicurezza. Pressoché nessun media ha parlato del Memorandum di Amman e tutti hanno commentato la Dichiarazione Comune prima che fosse pubblicata, basandosi solo su una nota della Casa Bianca. Quanto alle bambinate dell’ambasciatrice Nikki Haley al Consiglio di sicurezza, i media europei si sono limitati a constatare unanimemente che i due Grandi non avevano trovato un accordo, ignorando le esaustive argomentazioni russe. Non si può non constatare che, mentre il presidente Trump cerca di chiudere con la politica imperialista dei predecessori, i funzionari internazionali pro-USA dell’ONU sono incapaci di adattarsi alla realtà. Dopo sedici anni di menzogne sistematiche non sono più in grado di pensare in funzione dei fatti, ma unicamente delle loro fantasie. Non riescono più a distinguere i propri desideri dalla realtà, tipico comportamento degli imperi in declino.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista

[1] Referenza: Onu S/2001/946 e S/2001/947.
[2] « Discours de M. Powell au Conseil de sécurité de l’ONU », par Colin L. Powell, Réseau Voltaire, 11 février 2003.
[3] “Colin Powell on Iraq, Race, and Hurricane Relief”, ABC, September 8, 2005.
[4] “La Germania e l’ONU contro la Siria”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist(Italia) , Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.
[5Sous nos yeux. Du 11-Septembre à Donald Trump, Thierry Meyssan, Demi-Lune, 2017.
[6] “Perché Trump ha bombardato Sheyrat?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist(Italia) , Rete Voltaire, 2 maggio 2017.
[7] « Observations émises par le Ministère russe des Affaires étrangères au sujet du dossier chimique syrien », Réseau Voltaire, 23 octobre 2017.
[8] “Il rapporto della CIA sull’incidente di Khan Shaykhun è grossolanamente menzognero”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 18 aprile 2017.
[9] “Londra e Washington hanno fornito armi chimiche agli jihadisti”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 16 agosto 2017.
[10] « Projet de résolution sur le Mécanisme d’enquête conjoint Onu-OIAC (Véto russe) », Réseau Voltaire, 16 novembre 2017.
[11] « Projet de résolution sur le renouvellement du Mécanisme d’enquête conjoint (Veto russe) », « Utilisation d’armes chimiques en Syrie (Veto russe) », Réseau Voltaire, 24 octobre 2017.
[12] « Projet de résolution sur le Mécanisme d’enquête conjoint Onu-OIAC (Véto russe) », Réseau Voltaire, 16 novembre 2017.
[13] « Débat sur l’incident chimique présumé de Khan Cheïkhoun (veto russe) », Réseau Voltaire, 12 avril 2017.
[14] « Évaluation française de l’attaque chimique de Khan Cheikhoun », Réseau Voltaire, 26 avril 2017.
[15] “La Giordania apporta il proprio sostegno alla Siria”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 30 agosto 2017.
[16] « Déclaration commune des présidents russe et états-unien sur la Syrie », Réseau Voltaire, 11 novembre 2017.
[17] “Iran building permanent military base in Syria – claim”, Gordon Corera, BBC, November 10, 2017.
[18] “Israele respinge l’accordo russo-statunitense sulla Siria”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 15 novembre 2017.
[19] « Israël bombarde une usine de cuivre en Syrie », par Mounzer Mounzer, Réseau Voltaire, 3 novembre 2017.

Fonte : “All’ONU, l’incapacità degli Stati Uniti di ammettere la realtà”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 24 novembre 2017, www.voltairenet.org/article198908.html

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=6097

domenica 26 novembre 2017

Il Peccato Cardinale della Finanza Internazionale. - Nick Giambruno



Nell’ottobre del 2000, Saddam aveva cominciato a vendere petrolio iracheno solo contro euro. L’Iraq – disse SADDAM – non accetterà più dollari per il petrolio perché non vuole trattare “nella valuta del nemico”.
Poco più di due anni dopo, gli Stati Uniti invasero il paese e  subito dopo la caduta di Baghdad nelle mani USA, tutte le vendite di petrolio iracheno tornarono ad essere effettuate in dollari.
Grazie alle rivelazioni di  WikiLeaks  sulle e-mail di Hillary Clinton, abbiamo appreso che il defenestrazione di Gheddafi in Libia fu scatenata per proteggere il prezzo dollaro —non per motivi umanitari. Secondo quelle sue e-mail , Stati Uniti (e  Francia) temevano che Gheddafi avrebbe usato le enormi riserve d’oro della Libia per creare una valuta panafricana. Questa valuta basata sull’oro sarebbe servita per comprare e vendere petrolio su tutti mercati globali. Inoltre, probabilmente  avrebbe anche rimpiazzato quella versione del franco francese che viene usata  in Africa centrale e occidentale.
Furono gli Stati Uniti e la Francia a sostenere la ribellione, sia militare che finanziaria, che rovesciò Gheddafi nel 2011.
Dopo la morte di Gheddafi, i piani per la moneta-oro, insieme con i 4,6 milioni di once d’oro della Libia, svanirono.
Certamente c’erano altre ragioni per cui gli USA rovesciarono Saddam e Gheddafi. Ma anche proteggere il petrodollaro era una cosa seria da tenere in considerazione, per lo meno.
Putin è un avversario piuttosto duro.Lo status speciale dato al dollaro dallo zio Sam è una leva tremenda, quindi non sorprende che la Russia voglia minare il sistema del petrodollaro che il presidente russo Vladimir Putin ha riassunto così:
La Russia condivide le preoccupazioni dei paesi BRICS per le ingiustizie dell’architettura finanziaria ed economica globale, che non tiene in debito conto il crescente peso delle economie emergenti. Siamo pronti a collaborare con i nostri partner per promuovere le riforme della regolamentazione finanziaria internazionale e per superare l’eccessivo predominio di un numero limitato di valute di riserva.
Essenzialmente, Putin sta dicendo che tutti vogliono abbandonare il dollaro.
Questo essenzialmente è perché gli Stati Uniti usano il dollaro come arma politica. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno cercato di sanzionare la Russia per le sue azioni in Crimea e in Ucraina. Queste sanzioni hanno reso più difficile per la Russia accedere al sistema finanziario basato sul dollaro USA. Quindi, ovviamente, la Russia spingerà per trovare un sistema alternativo.
Poco dopo le sanzioni, la Russia ha concluso un mega-accordo  in yuan, per vendere petrolio e gas alla Cina. L’accordo ha completamente raggirato il sistema finanziario statunitense … e qualsiasi sanzione.
Un Bypass permanente della Cina intorno al dollaro
La Russia è il più grande produttore di energia al mondo. La Cina è il più grande importatore di energia al mondo. Normalmente, dovrebbero fare lo scambio reciproco esclusivamente in dollari USA. Ma, come ho detto nelle ultime settimane, la Cina ora sta introducendo un procedimento più stabile. Chiamiamolo “Golden Alternative” della Cina al petrodollaro. È un modo razionalizzato per la Russia e per tutti gli altri paesi che vogliono vendere  – in Yuan, in contanti o in oro – il loro petrolio alla Cina.

La “Golden Alternative” cinese  al  Petrodollaro.

La Cina sta lanciando un’alternativa pratica e attraente al vigente sistema del petrodollaro. Permetterà a chiunque nel mondo di scambiare petrolio con oro e questo supererà totalmente anche il dollaro USA.
Ecco come funzionerà …
Lo Shanghai International Energy Exchange (INE) sta introducendo un contratto in futures sul petrolio greggio denominato in yuan cinese e permetterà ai produttori di petrolio di vendere il loro petrolio in yuan.
Certo, la Cina sa che la maggior parte dei produttori di petrolio non vuole accumulare una grande riserva di yuan e per questo i produttori potranno convertire efficientemente lo yuan  in oro fisico alle borse dell’oro di Shanghai e di Hong Kong.
In conclusione, i due dei maggiori attori del mercato globale dell’energia stanno bypassando  completamente il sistema del petrodollaro e osservatori ben  informati affermano che la Russia stia già convertendo in oro gran parte dei suoi incassi fatti in yuan.
Naturalmente, anche altri paesi sono interessati a eludere il sistema finanziario USA e le loro sanzioni e la Golden Alternative  della Cina darà a chiunque la possibilità di farlo.
Questo renderà il dollaro un’arma politica molto meno efficace.
Altri paesi sulla lista dei cattivi di Washington stanno firmando con entusiasmo. L’Iran, altro importante produttore di petrolio, accetta pagamenti in yuan, così come il Venezuela, che ha le più grandi riserve petrolifere del mondo.
Penso che altri paesi seguiranno presto. Dal punto di vista dei produttori di petrolio, è un gioco da ragazzi.
Con l’alternativa dorata della Cina, un produttore di petrolio può entrare sul mercato più grande del mondo e cercare di conquistare più quote di mercato e può anche  convertire facilmente e rimpatriare i suoi proventi in oro, una forma di denaro internazionale che non corre rischi politici.
Ma questo non vale per un blocco che è rimasto critico …  quello dell’Arabia Saudita.
Il braccio di ferro saudita.
L’ Arabia Saudita è il più grande esportatore di petrolio del mondo. Gran parte di quel petrolio va in Cina, il più grande importatore del mondo.  Pechino paga ancora con riluttanza il greggio saudita in dollari USA ed i sauditi non vogliono nient’altro, almeno per ora.
Questo disturba la Cina che può importare il greggio saudita solo comprando e quindi usando dollari USA e questo, ovviamente, significa che la Cina deve rimanere nelle grazie di Washington.
Il segretario del Tesoro di Trump recentemente ha portato a casa proprio questo punto. Ha minacciato di cacciare la Cina dal sistema del dollaro USA se non avesse schiacciato la Corea del Nord.
La Cina preferirebbe non dipendere da un avversario di questo genere e questo è uno dei motivi principali per cui sta lanciando la Golden Alternative. L’Arabia Saudita, tuttavia, rifiuta di partecipare. Non venderà il suo petrolio in nessun’altra valuta che non sia il dollaro USA perché non farlo, significherebbe rompere il vecchio accordo sul petrodollaro con gli Stati Uniti.
Se Cina, Russia, e altri commercianti di petrolio commerciano in yuan, questa è una bella spallata contro il petrodollaro, ma se anche l’Arabia Saudita dovesse cambiare idea e accettare gli  yuan, questo farebbe essiccare la valuta-super-dollaro … e provocherebbe un immediato panico finanziario negli USA.
La verità è che vendere petrolio in yuan costerebbe troppo all’Arabia Saudita.
Perderebbe immediatamente la protezione diplomatica e militare USA, poi i media e i think tank comincerebbero a battere subito i pugni sul tavolo per spingere l’esercito americano ad intervenire per portare la democrazia a Riyadh.
L’anno scorso Trump ha dichiarato: “Se l’Arabia Saudita non fosse sotto il mantello della protezione americana, non penso che sarebbe ancora in giro”.  
Ha assolutamente ragione. Certo, i sauditi lo sanno bene e per questo motivo sono rimasti al guinzaglio corto … fino a poco tempo fa.
Con una mossa a sorpresa, ultimamente  Re Salman è stato il primo monarca saudita a visitare la Russia. Fino a poco tempo fa, la visita sarebbe stata impensabile. L’Arabia Saudita è stata uno dei più stretti alleati USA da quando cominciò il sistema del petrodollaro negli anni ’70.
E in tutto questo tempo, Russia e Arabia Saudita sono state nemiche, per decenni e anche recentemente, sauditi e russi, sono stati su parti opposte nella guerra civile siriana.
Ecco perché la storica visita di King Salman a Mosca è così importante. I sauditi stanno chiaramente cercando di dare una nuova copertura alle loro scommesse contro gli Stati Uniti e il sistema del petrodollaro.
L’Arabia Saudita ora si sta riavvicinando alla Russia.
I sauditi si sono impegnati a investire fino a $ 10 miliardi in vari settori industriali russi. Ma, ancora più significativo, hanno accettato di comprare il sistema missilistico S-400, il più avanzato sistema di difesa aerea russo, come parte di un acquisto di armi da 3 miliardi di dollari.
Questo accordo significa un terremoto geopolitico, i sauditi non avevano mai comprato attrezzature militari russe.
Sin dalla nascita del petrodollaro, i sauditi sono sempre dipesi dalla protezione militare americana. Dopotutto, è quello che avevano ottenuto in cambio del prezzo del loro petrolio pagato in dollari.
L’accordo degli S-400 fa pensare e che i sauditi stiano cercando di dare una copertura ai loro affari. Primo, non stanno comprando un sistema americano. Secondo, stanno comprando un sistema russo capace di dissuadere un attacco americano.
L’Arabia Saudita sta facendo passi significativi per trovare  delle alternative alla protezione americana.
Contemporaneamente la Cina sta tagliando gli acquisti di greggio saudita.
Qualche anno fa, il petrolio saudita costituiva oltre il 25% delle importazioni di petrolio cinesi. Era il primo fornitore di Pechino. Oggi, la quota di mercato dei sauditi è scesa sotto il 15%.
In altre parole, i sauditi stanno perdendo enormi quote di mercato e vengono cacciati dal più grande mercato di petrolio del mondo. Questo principalmente perché si stanno rifiutando di vendere petrolio in yuan alla Cina.
La Cina si è schiarita le idee:  vuole fare affari solo con chiunque accetterà i suoi yuan in pagamento.
Oggi la Russia ha superato l’Arabia Saudita come principale fornitore della Cina. La sua quota del redditizio mercato cinese è salita dal 5% a oltre il 15%. L’accettazione entusiastica della Russia dello yuan come pagamento è la ragione principale di questo cambiamento.
Nel frattempo, anche l’Angola, altro produttore di petrolio africano, è salita a bordo. Il paese ora accetta yuan come pagamento per le sue esportazioni di petrolio verso la Cina, anzi nel 2015 ha persino reso lo yuan cinese la sua seconda valuta legale.
Da allora le importazioni cinesi dall’Angola sono aumentate ed ora l’Angola è il secondo fornitore della Cina, dopo la Russia.
Niente di questo fa ben sperare per il sistema dei petrodollari.
I sauditi hanno due possibilità …  o strappare l’accordo del petrodollaro o essere esclusi dal mercato petrolifero più redditizio del mondo.
In un modo o nell’altro – e probabilmente presto – i cinesi troveranno come costringere i sauditi ad accettare i loro yuan. Le dimensioni del mercato cinese rendono impossibile che l’Arabia Saudita ignori all’infinito le richieste della Cina.
Cosa guardare per ……
La Cina potrebbe non convincere i sauditi a sbarazzarsi del sistema del petrodollaro domani, ma sta andando avanti velocemente.
Qualche mese fa, l’Arabia Saudita ha annunciato di voler emettere obbligazioni Panda per finanziare il deficit di spesa del governo. (Le obbligazioni panda sono obbligazioni denominate in yuan da emittenti non cinesi e vendute in Cina).
Questa è una cosa importante. La valuta dei sauditi è ancorata al dollaro USA. Fino ad oggi hanno utilizzato esclusivamente dollari USA per tutte le loro principali iniziative finanziarie.
L’emissione di debito in yuan, anziché in dollari USA, rappresenta una mossa significativa e significa che l’Arabia Saudita si sta avvicinando alla Cina.
Inoltre, i sauditi hanno recentemente inaugurato una imponente raffineria di Yasref nella città saudita di Yanbu. La raffineria è una joint venture da $ 8,5 miliardi tra la Saudi Aramco e la cinese Sinopec.
Questi sono movimenti che non passano inosservati, anche se i sauditi non hanno ancora dato alla Cina quello che vuole veramente : petrolio in cambio di yuan.  Ma  questo potrebbe accadere presto …
La più grande IPO della Storia
Nei prossimi mesi, i sauditi pianificano di lasciar fluttuare una partecipazione del 5% della Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale.
L’Aramco saudita è l’azienda più preziosa del mondo e questa probabilmente sarà la più grande offerta azionaria di sempre. Potrebbe triplicare o addirittura quadruplicare l’attuale offerta pubblica iniziale (IPO) di Alibaba da $ 25 miliardi.
Il successo dell’IPO dipenderà da quali grandi investitori riuscirà ad attirare l’Arabia Saudita. Ma finora, gli investitori occidentali non hanno mostrato molto entusiasmo.
Per la Cina, tuttavia, potrebbe essere l’occasione perfetta per prendere maggior influenza politica in Arabia Saudita
Se la Cina prendesse una grande partecipazione nell’IPO della Aramco, contribuirebbe a cementare le sue relazioni con l’Arabia Saudita e farebbe anche aumentare la distanza tra  sauditi e americani.
E in modo critico, darebbe ai cinesi più potere per costringere i sauditi ad accettare i loro yuan per il petrolio.
La Cina sta negoziando non solo un 5%, ma il suo potenziale che è molto maggiore.
In conclusione … i sauditi non hanno ancora rotto veramente con gli Stati Uniti, ma hanno preso una deriva che li porta verso la Cina finanziariamente e verso la Russia militarmente.
I sauditi stanno chiaramente cominciando a scaricare il petrodollaro.
Se i sauditi vendessero alla Cinapetrolio  in yuan, ucciderebbero il petrodollaro con una notte sola. Comunque, a parte questo, le cose sembrano mettersi piuttosto male per il petrodollaro.
Il sistema dei petrodollari sta affrontando una grave erosione, grazie, in buona parte , alla Golden Alternative cinese che è già bella e pronta da servire in tavola.
E con quella, una brutta inflazione negli Stati Uniti è una certezza e questo sarà probabilmente il punto di svolta …
Dopo il crollo del petrodollaro, il governo USA sarà abbastanza disperato da mettere in atto controlli sui capitali, controlli sulle persone, nazionalizzazione dei risparmi per la pensione e altre forme di confisca di ricchezza.
Vi esorto a prepararvi per le ricadute economiche e sociopolitiche finché ci sarà ancora tempo. Aspettatevi un governo più grande, meno libertà, meno prosperità … e forse anche peggio. Forse non sarà domani. Ma sappiamo dove sta andando questo trend.
È possibile che un giorno non molto lontano  gli americani si sveglieranno in una nuova realtà. Una volta che il petrodollaro avrà toccato il fondo del secchio e il dollaro avrà perso il suo status di prima valuta di riserva del mondo, ci resterà poco da scegliere.
La triste verità è che la maggior parte della gente non ha idea di quanto le cose potrebbero mettersi male  se le lasciassimo andare, seguendo da sole gli eventi …
Eppure ci sono semplici passi si possono intraprendere già oggi per proteggere i propri risparmi  dagli effetti finanziari e sociopolitici del crollo del petrodollaro.
Abbiamo pubblicato recentemente una  Guide to Surviving and Thriving During an Economic CollapseClick qui per una copia in PDF.
Fonte:  http://www.internationalman.com
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario

Vietnam. - Rosanna Spadini

 

Secondo John Pilger, uno dei più attesi eventi tv della rete PBS riguarda la guerra del Vietnam, ed è un lungo documentario della durata di 18 ore, realizzato dai registi Ken Burns e Lynn Novick, che hanno raccontato «la storia epica della guerra del Vietnam, come non è mai stata raccontata prima». L’intento è chiaro fin dall’inizio, dove il narratore dice che la guerra «è stata iniziata in buona fede da persone oneste per gravi equivoci, eccessiva sicurezza americana e fraintendimenti dovuti alla guerra fredda».

Daniel Ellsberg

Nulla naturalmente sulla fabbricazione delle «false flag», che hanno portato all’invasione del Vietnam, come l’incidente del Golfo del Tonkino del 1964, che Burns promuove come vero. Le menzogne ​​contengono una moltitudine di documenti ufficiali, in particolare i Pentagon Papers, che il grande informatore Daniel Ellsberg pubblicò nel 1971.
Documenti top-secret di 7000 pagine del Dipartimento della difesa americano che presentano uno studio approfondito sulle strategie e i rapporti del governo degli Stati Uniti con il Vietnam nel periodo che va dal 1945 al 1967. Furono raccolti nel 1967, per volere di Robert McNamara, che voleva darli all’amico Robert Kennedy, che in quel momento pensava di candidarsi alla presidenza.
Pentagon Papers rivelarono che il governo degli Stati Uniti aveva esteso il proprio ruolo nel conflitto con bombardamenti e raid aerei nel Laos, in Cambogia e in Vietnam del Nord e aveva intrapreso delle azioni di guerra prima che gli americani ne fossero informati.
Probabilmente i due registi Burns e Novick hanno la memoria corta, e non ricordano il documentario di Michael Maclear «Spooks and Cowboys, Gooks and Grunts» (1975)più rilevante che mai. Validissimo ancora oggi, perché veritiero, espone le ambiguità soppresse e vergognose che hanno portato alla guerra del Vietnam, e che ne avevano minato il percorso successivo. Il documentario di Maclear è in netto contrasto con quello di Ken Burns,  che non è altro che puro revisionismo storico, perché racconta la cruda e tragica verità dei fatti. (Michael Maclear e Douglas Valentine)
Mentre Burns infatti evita di collegare i conflitti della guerra del Vietnam con l’esperimento in corso del turbo finanzcapitalismo americano, il documentario di Maclear è diretto nel dichiarare che la CIA ha corrotto non solo i sistemi politici e giudiziari militari, ma ha anche diramato i suoi tentacoli su tutto il sistema americano, e attraverso il suo controllo sui media, riesce a creare la versione ufficiale della storia, lasciando in perfetto subordine tutto ciò che non gli serve per consolidare il proprio potere. Winston Smith non poteva fare meglio al Ministero della Verità.

Spooks and Cowboys, Gooks and Grunts Part 1 (1975)
Mentre Burns falsifica la guerra mostrandola come una tragedia provocata da «uomini decenti con buone intenzioni», Maclear offre una prova incontestabile delle motivazioni, dicendo che si trattava di una guerra di aggressione imperiale nel conseguimento della controrivoluzione.
Maclear poi arriva al cuore della materia concentrandosi sul programma «Phoenix» della CIA, cui  Burns dedica solo due minuti. Attraverso interviste con Bart Osborn e Jeff Stein, entrambi veterani di Phoenix, Maclear lo definisce un programma per portare a termine l’omicidio di massa e il genocidio progettato.
Mentre Burns celebra i veterani di combattimento come gloriosi eroi dell’epopea americana, Maclear mostra come i dirigenti di guerra indottrinarono le truppe attraverso ipocrite menzogne, per scatenarle contro civili  innocenti. E aggiunge che nel 1968 la CIA sapeva che le forze militari americane non avrebbero potuto vincere la sensibilità patriottica del popolo vietnamita, per cui si era attrezzata per eliminare i membri dell’infrastruttura civile della rivoluzione, attraverso la tortura e il terrore.
Phoenix infatti, come Maclear ha reso chiaro 42 anni fa, è diventato il modello per il consolidamento del potere americano, e le squadre SWAT (Special Weapons And Tactics) hanno rappresentato il braccio armato dell’impero globalizzato, per  controllare le rivendicazioni dei movimenti sociali e  soffocarne le istanze di ribellione al sistema.
Bart Osborn  insieme a molti altri veterani, testimoniarono poi al Congresso sul programma Phoenix, e sulla base della loro testimonianza, nel 1971 quattro congressisti dichiararono che Phoenix aveva praticato crimini di guerra e violato le Convenzioni di Ginevra.
Nel 1973, Osborn, insieme ai veterani Air Force Perry Fellwock e Tim Butz , ha costituito il Comitato per la Ricerca d’Azione sulla Comunità di Intelligence (CARIC) in risposta alle rivelazioni sul ruolo della CIA durante il Watergate.
Allo stesso tempo nel 1973, Norman Mailer e molti suoi colleghi crearono «The Fifth Estate» per contrastare l’intervento segreto della CIA negli affari politici e sociali interni dell’America. Nel gennaio 1974, CARIC e «The Fifth Estate» si unirono per creare un comitato. Il piano era quello di organizzare gruppi sul campus e nelle comunità per indagare e scrivere sulla CIA.  «CounterSpy» fu la loro unica pubblicazione.
Prima che le forze di sicurezza, insieme alla complicità dei media sovvertissero CARIC, l’organizzazione riuscì a lavorare con la British Corporation e con Granada Television, per produrre un documentario sui prigionieri politici in Vietnam.
Titolato anche «Una questione di tortura», fu poi  soppresso, ma vale la pena considerarlo come un antidoto al film di Burns, così come alla propaganda filmografica sulla guerra del Vietnam, durata per 40 anni.
I film sulla guerra del Vietnam costituiscono un nutrito filone cinematografico, finanziato da importanti studi cinematografici di Hollywood, e ha rappresentato un’efficace propaganda ideologica, attraverso la divulgazione dell’epopea americana, vittima di una guerra interminabile, per colpa dei pericolosi vietcong, che duri a morire, hanno difeso strenuamente la loro patria.
La ferita rimasta aperta per anni nel cuore del patriottismo americano, la disfatta in sud-est asiatico,  ha rappresentato per anni l’occasione per Hollywood di portare al cinema l’assurdità di tale conflitto e della guerra in generale. Ma i film sul Vietnam sono sempre e solo di un tipo: quello di celebrare comunque la sacralità dell’eroismo americano, anche attraverso la critica verso la violenza della guerra.
«Taxi Driver» per esempio, è un capolavoro ruvido e introverso, espressione delle memorie dal sottosuolo metropolitano di Martin Scorsese. Il realismo della pellicola interpreta perfettamente la brutalità sorda e la disperazione borderline della vicenda.  «Era la metà degli anni ’70 e a New York andava tutto a rotoli – ha raccontato Scorsese -. Il governatore ci aveva mandato al diavolo, disse che non ci avrebbe aiutato. Nello script c’era scritto che Bob doveva andare su e giù per l’ottava, tra la 42esima e la 57esima. Era perfetto! Era la zona in cui si riprendeva di più il senso di violenza in città. Anche se faceva parte del mio background a New York, l’aria di violenza in quella zona d’estate, di notte, era palpabile. Si percepiva chiaramente e a volte era molto pesante».
Ma Travis Bickle resta un eroe e una vittima, lui che lavora a tarda notte nei quartieri più squallidi di New York, dove i clienti sono perlopiù prostitute, tossicodipendenti e ladri. Travis è comunque visibilmente disgustato e sempre più disadattato,  via via che si inoltra nel ventre oscuro della città. Questo disgusto lo porterà ad odiare i delinquenti e le prostitute che si aggirano per le strade notturne di New York e a compatire le loro vittime, fino a pensare di uccidere un senatore.
Insomma una ribellione sorda e disperata al sistema.
Apocalypse now, nato dalla fervida genialità di  F.F Coppola e John Milius, segue la parabola discendente nel caos, diventando più che un film sulla «follia della guerra», un «film folle sulla guerra», dove follia significa esaltazione artistica dell’«orrore della guerra».
Il personaggio-icona del film, l’esaltato colonnello Kilgore (Robert Duvall), così apparentemente sopra le righe, in realtà è un eroe americano che fa il suo mestiere, cerca di tenere in piedi il suo sistema di valori contro ogni circostanza. Così come i generali ottocenteschi giocavano a scacchi mentre i mortai fischiavano nei paraggi, Kilgore pensa a fare surf, mentre il napalm si gonfia e divora la giungla dietro di lui. La guerra è sempre stata un lavoro, insomma, e nei lavori ci si abitua a tutto.
John Milius sulla faccenda di Kilgore, del surf, e in generale sullo spirito dei ragazzi rappresentati in Apocalypse Now dice in un’intervista: «La guerra del Vietnam è stata una guerra californiana. Era sì uno scontro tra culture, tra gli USA e questa terra asiatica lontana, ma ancora di più precisamente era uno scontro tra la cultura californiana e la cultura asiatica. C’era musica della California e simboli degli Hell’s Angels sugli elicotteri mitragliatori, è stata una guerra caratterizzata dalla cultura californiana».
Kilgore insomma è un totem vivente della cultura statunitense che si va a contrapporre a quella di Charlie. Kilgore è la normalità di casa trapiantata in Vietnam: appare folle per contrasto ma è assolutamente lineare come linea di condotta. «Voglio dire, che c’è di strano? Ha perfettamente senso fare surf in Vietnam! Nell’esercito si fa sempre sport in guerra, viene anzi incoraggiata la sportività tra i militari nel tempo libero. In Vietnam c’è un oceano, ci sono onde, puoi fare surf. Ha più senso fare quello che giocare a football!» (John Milius).
Infine «Il cacciatore» è un film sulla guerra del Vietnam, ma anche sull’amicizia, sulla comunità, sulla rielaborazione di un lutto dell’intera nazione americana. Cimino sceglie di seguire la vita di un gruppo di giovani operai di un’acciaieria in Pennsylvania. Il film è anche un romanzo di formazione in cui i protagonisti sono proletari e provinciali, dove la guerra del Vietnam è la prima occasione di uscire dal perimetro della comunità.
Sono passati solo tre anni dalla caduta di Saigon e dalla fine della guerra e il cinema statunitense inizia a parlarne in modo critico e coraggioso. Ma i protagonisti restano ancora  i veri eroi dell’epopea americana, vittime straziate dalla guerra e dalla malvagità del furore vietcong.
Il «colpo solo» della caccia al cervo di Mike, si muta ben presto nel «colpo solo» della pistola puntata alla tempia della roulette russa. Infatti il regista ha affermato in più interviste che la lunga scena della tortura nella capanna-prigione lungo il fiume, compiuta dai vietcong che costringono i prigionieri al gioco mortale, non è altro che la sintesi di quello che fu la guerra del Vietnam.
Nulla sui crimini di guerra prodotti dalla politica imperialistica degli Stati Uniti.

Spooks and Cowboys, Gooks and Grunts Part 2
Nulla sul Phoenix Program (parola collegata a Fenghuang, la fenice cinese), un programma progettato, coordinato ed eseguito dalla CIA, da forze speciali statunitensi, forze speciali operative provenienti dall’Australian Army Training Team Vietnam (AATTV), e dai servizi di sicurezza della Repubblica del Vietnam (Vietnam del Sud).
Il programma si prefiggeva di identificare e «neutralizzare» (attraverso infiltrazione, cattura, terrorismo, tortura ed assassinio) l’infrastruttura del Fronte Nazionale di Liberazione del Vietnam del Sud (NLF o Viet Cong). La CIA lo descrisse come «un insieme di programmi che cercavano di attaccare e distruggere l’infrastruttura politica del Viet Cong».
Le due componenti principali del programma erano le Provincial Reconnaissance Units (PRUs) e i centri regionali di interrogatorio. Le PRUs dovevano uccidere o catturare i sospetti membri del NLF, ed anche i civili che si pensava conoscessero le attività del NLF. Molte di queste persone furono condotte nei centri d’interrogatorio e spesso torturate allo scopo di ottenere informazioni sulle attività vietcong nell’area. Le informazioni estorte nei centri venivano passate ai comandanti militari, che le avrebbero usate per affidare alle PRUs ulteriori missioni di cattura ed assassinio.
Il programma fu attivo tra il 1965 ed il 1972, e simili iniziative si registrarono prima e dopo tale periodo. Gli uomini del Phoenix «neutralizzarono» circa 81 700 sospetti agenti, informatori o simpatizzanti NLF, di cui perse la vita un numero compreso tra 26000 e 41000.