Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 1 dicembre 2017
La manovra delle mance. Elezioni vicine, favori per tutti. - Raffaele Marmo
C’è chi le chiama con un vezzeggiativo "micro-misure". E chi, con un linguaggio più appropriato, mance e mancette: elettorali, clientelari, settoriali, territoriali, categoriali e via di seguito.
Certo è che oltre il 50 per cento delle proposte della legge di Bilancio ha una sorta di impronta digitale di qualche parlamentare che ha fatto il diavolo a quattro per farla inserire nella versione originaria del pacchetto o, in corso d’opera, nelle successive riscritture in commissione e nel maxi-emendamento finale. Altro che assalto alla diligenza vecchia e nuova maniera, stile Prima e anche Seconda Repubblica, la manovra per il 2018 passerà alla storia per il record della parcellizzazione e frammentazione delle misure.
Una sorta di manovra «a coriandoli» se si considera che, come hanno stimato gli addetti ai lavori, su più di 230 voci, circa l’85 per cento riguarda poste inferiori a 100 milioni di euro ciascuna e, anzi, oltre il 65 per cento contempla interventi inferiori a 10 milioni.
Più che una legge di Bilancio che disegna la politica economica del governo, individuando le priorità e gli orizzonti strategici, quella che è passata al Senato è un super elenco della spesa.
Una lista di finanziamenti a pioggia senza capo né coda: dal Vajont al commissario per il terremoto dell’Irpinia, dalla Chiesa di Aulla ai carnevali, dal Centro del libro parlato di Feltre all’Accademia Vivarium Novum di Frascati, fino ai fondi e ai fondini per le fondazioni di ogni genere e natura, per gli archivi dei partiti, per la Xylella e per i parchi e parchetti naturali. Per non parlare di questa o quella categoria: dai pescatori ai precari storici di Palermo.
Un caleidoscopio del localismo e del clientelismo che non è neanche 2.0 ma sembra uscito pari pari dalle cronache parlamentari degli anni Ottanta, quando, con meno infondate motivazioni politico-parlamentari (era il tempo delle preferenze), era in auge il famoso, allora, «sportello Pomicino», dal nome dell’allora mitico presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, Paolo Cirino Pomicino.
D’altra parte, la pratica è nota e non conosce obsolescenza né latitudini: è ampiamente studiata nei manuali di scienza della politica e ha addirittura un nome che risale agli usi del Far West: ‘logrolling’, il rotolamento dei tronchi nelle praterie, effettuato tutti insieme dai pionieri per la costruzione della casa di ciascuno. Proprio come accade nelle sedute delle commissioni, quando i parlamentari si danno man forte nello scambio di voti per far passare emendamenti che avrebbero solo il voto di chi li propone. E interesse zero per la quasi totalità dei cittadini.
Manovra finanziaria, il testo finale
giovedì 30 novembre 2017
Monte dei Paschi Siena, la lista completa dei primi 100 debitori. La somma sfiora i 5 miliardi.
Pubblichiamo l'elenco completo dei primi cento debitori del Monte dei Paschi di Siena. L'elenco è quello consegnato dai vertici della banca alla Commissione d'inchiesta parlamentare, secretato ma ugualmente trapelato.
Nelle tabelle sotto pubblichiamo la denominazione della società, i soggetti di riferimento, l’esposizione lorda e netta (al 30 settembre 2017) e lo stato delle somme: “soff” per indicare i crediti che la banca considera persi; “Utp” (Unlikely to pay) per quelle che vengono valutate come inadempienze probabili, quando cioè la banca è convinta che il cliente non onorerà quantomeno in maniera totale i suoi impegni.
La somma complessiva sfiora i 5 miliardi di euro.
mercoledì 29 novembre 2017
Aprite gli occhi sulle fake news! Sono solo un pretesto per censurare. Ve lo dimostro qui. - Marcello Foa
Il Cuore Del Mondo
Non è un caso. E’ un metodo. Con un pretesto, le fake news, e uno scopo finale: mettere a tacere le voci davvero libere. Attenzione, non si tratta di una questione meramente italiana bensì di quella che definirei una “corale internazionale”. Il là lo hanno dato gli Stati Uniti, dove, dopo la vittoria di Trump, è partita una massiccia campagna ispirata dagli ambienti legati al partito democratico con l’entusiastico consenso di quello repubblicano, nella consapevolezza che la prima grande e inaspettata sconfitta dell’establishment che governa gli Usa da decenni non sarebbe avvenuta senza la spinta decisiva dell’informazione non mainstream. A seguire si sono mobilitati diversi Paesi europei, la Germania in primis, ma anche la Gran Bretagna del post Brexit e, ovviamente, l’Italia, del post referendum.
Sia chiaro: il problema delle fake news esiste; soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro. Gli esempi, anche recenti, abbondano. O quando vengono usate dagli haters, gli odiatori, ovviamente senza mai esporsi in prima persona. Ma le soluzioni vanno trovate nel rispetto della libertà d’opinione e nell’ambito del sistema giudiziario del singolo Paese. La diffusione sistematica di notizie false al solo fine di generare visualizzazioni è semplicemente una truffa e in quanto tale va trattata. Il problema degli haters è più complesso. Io da sempre sostengo che bisogna avere il coraggio di mettere la faccia e che l’anonimato assoluto per chi si esprime pubblicamente non sia salutare in una vera democrazia. Anche in questo ambito si possono trovare soluzioni intelligenti ad hoc.
Le proposte che sono state formulate negli ultimi tempi – e guarda caso tutte su iniziativa del Pd – si caratterizzano, invece, per la tendenza da un lato a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali – talvolta anche extraterritoriali – dall’altro per l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee.
Non mi credete? Eppure è così. Ricordate il decreto Gentiloni sulla schedatura di massa degli utenti web e telefonici e la misura che autorizzava una censura di fatto e contro cui ho condotto una battaglia furibonda su questo blog? La prima misura è da regime autoritario, senza precedenti in democrazia; la seconda delega all’Agcom la facoltà di valutare se un sito viola il diritto di autore e, un caso affermativo, di oscurarlo. Ovvero appropriandosi di funzioni che spettano normalmente alla magistratura.
E leggete la proposta di legge contro le Fake News annunciata da Renzi. Cito una fonte insospettabile, la Repubblica, che la definisce una legge sulle fake news che non parla di fake news. Scrive Andrea Iannuzzi:
Nel ddl elaborato dai senatori Zanda e Filippin si impone ai social network con oltre un milione di utenti la rimozione di contenuti che configurano reati che vanno dalla diffamazione alla pedopornografia, dallo stalking al terrorismo. La valutazione dei reati viene demandata ai gestori delle piattaforme, che di fatto sostituiscono il giudice: la libertà di espressione potrebbe essere a rischio. Previste sanzioni pesanti per chi non rispetta una serie di adempimenti burocratici.
Persino la Repubblica – sì proprio il giornale che ha amplificato le denunce di Renzi contro le Fake News – non ha potuto esimersi dall’ammettere che così i giudici non servirebbero più, violando uno dei principi fondanti della nostra civiltà, e dal riconoscere che la libertà di opinione è in pericolo.
E non finisce qui. Sentite cosa dice Marco Carrai, amico e consigliere di Renzi, che in un’intervista al Corriere della Sera rivela:
Stiamo lavorando con uno scienziato di fama internazionale alla creazione di un “algoritmo verità”, che tramite artificial intelligence riesca a capire se una notizia è falsa. L’altra idea è creare una piattaforma di natural language processing che analizzi le fonti giornalistiche e gli articoli correlandoli e, attraverso un grafico, segnali le anomalie. A mio avviso ciò dovrebbe essere fatto anche a livello istituzionale.
Traduco: significa che un algoritmo e meccanismi di analisi semantica stabiliranno se un singolo articolo è vero o è una fake news. Scusate, ma io rabbrividisco. Queste sono tecniche da Grande Fratello, e non solo perché i criteri rimarranno inevitabilmente segreti (per impedire che vengano aggirati), ma soprattutto perché così si potranno discriminare le idee, i concetti, bannando quelli che un’autorità esterna (il gestore dei social!) riterrà inappropriati. D’altronde sta già avvenendo su Facebook e su Twitter, dove opinionisti anche conosciuti si sono visti cancellare gli account da un amministratore che, nel migliore dei casi, si presenta con un nome di battesimo (Marco, Jeff o Bill) e che decide che si sono “violate le regole della comunità”. Oggi sono ancora incidenti episodici, ma domani – sotto la minaccia di sanzioni milionarie già ventilate da Renzi – i gestori sboscheranno con l’accetta. E basterà un’”esuberanza semantica”, ad esempio scrivere zingari anziché rom, o accusare un’istituzione di diffondere dati falsi o incompleti per sparire dalla faccia del web.
Perché per gente come Renzi e Carrai e Gentiloni, tutti veri splendidi progressisti, evidentemente non può che esistere una sola Verità. Quella Ufficiale, quella certificata da loro e difesa dagli implacabili gestori dei social media, novelli guardiani dell’ordine costituito.
Cose che possono esistere solo in una “Fake Democracy”. Quella a cui ci vogliono portare.
lunedì 27 novembre 2017
Perché il cervello umano è diverso da quello degli scimpanzé.
Un'interpretazione artistica del cervello umano (fonte: Allan Ajifo)
Sarebbe la maggiore espressione di alcuni geni in specifiche aree cerebrali - come la neocorteccia, responsabile delle funzioni cognitive superiori - a fare la differenza tra il nostro cervello e quello degli scimpanzé. Lo dimostra una nuova ricerca che ha confrontato i tessuti cerebrali di diverse specie di primati.(red)
Il cervello umano non è semplicemente una versione ingrandita del cervello dei nostri antichi antenati. Secondo un nuovo studio pubblicato su "Science" da un gruppo di ricercatori della Yale University, l'approfondita analisi dei tessuti cerebrali di diverse specie di primati mostra differenze sostanziali, oltre che sorprendenti, nell’espressione di alcuni geni.
"Il nostro cervello è tre volte più grande di quello degli scimpanzé o delle scimmie, ha molte più cellule, e quindi ha una potenza di calcolo molto superiore", ha spiegato Andre M.M. Sousa, coautore dello studio. "Tuttavia, si possono osservare alcune peculiarità nel modo in cui le singole cellule funzionano e si connettono tra loro".
Sousa e colleghi hanno studiato campioni di tessuto cerebrale di sei esseri umani, cinque scimpanzé e cinque macachi, ricavando il profilo di trascrizione dei geni in 247 campioni complessivi, rappresentativi di diverse regioni cerebrali tra cui l'ippocampo, l'amigdala, lo striato, il nucleo medio-dorsale nel talamo, la corteccia cerebellare e la neocorteccia.
Complessivamente, l'espressione dei geni negli esseri umani è molto simile a quella delle scimmie in tutte le regioni cerebrali, anche nella corteccia prefrontale, o neocorteccia, sede delle funzioni cognitive che più ci distinguono dagli altri primati.
A un'analisi più sottile e approfondita, tuttavia, si evidenziano alcune differenze. Due geni in particolare sono fortemente espressi nella neocorteccia e nello striato umani molto di più che nella neocorteccia degli scimpanzé.
Si tratta dei geni TH e DDC, che codificano per due enzimi coinvolti nella produzione di dopamina, un neurotrasmettitore cruciale per le funzioni di ordine superiore,
Queste specifiche differenze nelle espressioni geniche secondo i ricercatori hanno una notevole influenza sul funzionamento delle cellule cerebrali e sui loro meccanismi di differenziazione e di migrazione.
Dato però che nei primati non umani questi geni non sono assenti ma solo meno espressi, secondo Sousa “è molto probabile che l'espressione di questi geni nella neocorteccia andò perduta in un nostro antenato comune ed è poi riapparsa nel ramo filogenetico degli esseri umani”.
Altre differenze distintive sono state riscontrate all'interno del cervelletto, il che è sorprendente, dato che si tratta di una delle regioni cerebrali evolutivamente più antiche. In particolare esiste un gene, chiamato ZP2, che è attivo solo negli esseri umani. Anche questo dato è sorprendente dato che si tratta di un gene correlato alla selezione degli spermatozoi da parte degli ovociti umani.
Infine, gli autori hanno riscontrato una notevole differenza nell'espressione del gene MET, correlato allo sviluppo di disturbi dello spettro autistico, nella corteccia prefrontale degli esseri umani rispetto ad altri primati considerati.
http://www.lescienze.it/news/2017/11/24/news/cervelli_primati_differenze_espressione_genica-3767026/
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Abbiamo provato a intervistare "l'erede di Einstein" ma ha declinato. Il suo perché è degno di un genio. - Renato Paone
"Sono onorata dalla richiesta, ma in questo momento non posso rispondere fino a quando non avrò compiuto il mio dovere per la Fisica".
"Il genio - dice un vecchio proverbio - non ha bisogno di lettere di nobiltà". E nemmeno di grandi spazi su copertine di importanti riviste internazionali. Dedicare tempo a interviste, a domande e quant'altro rappresenterebbe un furto di tempo alla propria vocazione, la scienza.
Sabrina Gonzalez Pasterski è considerata, ormai da diversi anni, l'erede di Albert Einstein, un altro personaggio di cui molto si è parlato e ancora si parlerà. Per ovvi motivi. Una sorte condivisa dall'americana di origini cubane, classe '93, attualmente iscritta al corso di dottorato di ricerca in Fisica all'Università di Harvard, dopo aver completato completato gli studi universitari presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Dopo le prime notizie apparse sui media, la sua figura ha suscitato parecchia curiosità, spaccando in due la platea dei lettori: c'è chi la considera una "bufala", perché tante volte si è parlato di eredi di Einstein e nessuno di questi ha mai rispettato le (alte) aspettative riposte in loro, e poi c'è chi, invece, al di là di aspettative o chissà quali pretese, si è limitato a constatare la genialità di questa ragazza. E se per lei si sono scomodate figure del calibro di Stephen Hawking, Jeff Bezos e la Nasa, qualcosa di vero, in fondo, ci sarà.
"Preferisco stare lucida, e spero di essere conosciuta per quello che faccio e non per quello che non faccio", ha raccontato. Potrebbe essere una frase fatta, detta tanto per dire. E invece Sabrina è coerente con se stessa, e l'ha dimostrato. Alla richiesta di un'intervista di Huffpost ha risposto con cortesia, declinando l'offerta ci ha detto: "Sono onorata dalla richiesta, ma in questo momento non posso rispondere fino a quando non avrò compiuto il mio dovere per la Fisica". Quindi meglio rimanere concentrati sul proprio lavoro, evitare di disperdere energie nella facile notorietà e non permettere alle luci del successo - al di fuori delle mura accademiche - di distogliere l'attenzione da quel che di più concreto c'è al mondo: la scienza.
Quindi per capire il motivo del corteggiamento di Bezos e Nasa, che la vorrebbero tutta per sé, occorre analizzare, quasi con approccio scientifico, l'interminabile curriculum della Pasterski, una ragazza che a 10 anni prendeva già lezioni di volo, a 13 costruiva prototipi di aeroplani, e che poi si è presentata negli uffici della Federal Aviation Administration ottenendo in pochissimo tempo i permessi di volo.
Talento innato a cui si accompagna una dedizione totale al lavoro, caratteristica fondamentale per studiare la gravità nella meccanica quantistica. Materia affrontata, prima di lei, guarda caso, proprio da Einstein e Hawking. Quest'ultimo l'ha anche citata in uno dei suoi ultimi lavori. I suoi studi, le sue ricerche e le onorificenze ricevute nel tempo sono tutte custodite all'interno del suo blog, unico vezzo che si è concessa sul web: niente Facebook, niente Twitter o Instagram. Non ha nemmeno uno smartphone.
Scorrendo l'interminabile curriculum, si scopre che il suo nome è finito ben due volte nella classifica dei migliori 30 under 30 di Forbes, passando addirittura dal ruolo di candidata a quello di giudice che indica i nomi degli studenti meritevoli da inserire nella prestigiosa lista. Ma il suo nome compare anche nella classifica stilata da Scientific American nel lontano 2012, quando aveva solo 19 anni.
Insignita, nel 2016, del titolo di "Rising Star" dal MIT e, a seguire, dal Steven P. Jobs Trust, il fondo di Steve Jobs. Nulla di strano se ci si affida al mero giudizio espresso dai suoi professori e ai voti ottenuti. Risultati che, però, rileggendoli, farebbero sgranare gli occhi a chiunque. Senza dimenticare le collaborazioni che aveva al tempo con Blue Origin, Hertz Foundation e la stessa Nasa.
Da studentessa al secondo anno di studi universitari ha anche lavorato all'esperimento del CMS (Compact Muon Solenoid, un grande rivelatore per un esperimento di fisica delle particelle attualmente in funzione al CERN) presso il Large Hadron Collider.
Grazie alla notorietà raggiunta nel suo campo, Sabrina ha iniziato a girare il mondo, partecipando a numerosi eventi: è stata invitata in quel di Washington D.C. per "The Long Conversation at the Smithsonian", a Mosca come ospite d'onore presso l'ambasciata americana, di nuovo a Washington per l'evento "Power of Girls" del Fondo Monetario Internazionale a cui ha partecipato anche Christine Lagarde, al MiSK Foundation Women Empowerment Panel di Riad, a cui ha preso parte anche Bill Gates. È stata anche intervistata, come ospite principale, da Steve Wozniak, "papà" del personal computer, nel corso del Silicon Valley Comic Con. Il prossimo febbraio, sarà ospite al Cern, per l'"Alumni First Collisions".
Sabrina quest'anno ha compiuto 24 anni. Alla stessa età Albert Einstein pubblicava i suoi studi destinati a cambiare il mondo della scienza e non solo. I lavori di Sabrina, attualmente, non hanno ancora raggiunto il livello dell'illustre predecessore. Ma se è vero che il genio è "fantasia, intuizione, decisione e velocità d' esecuzione", allora la Pasterski ha tutte le carte in regola per realizzare grandi cose. Lei, nel frattempo, continua a studiare e a fare ricerca, lontano dai riflettori e dal facile successo, sostenendo con estrema leggerezza la pesante eredità che le è toccata in sorte.
DAL MOTO ONDOSO ALL’ELETTRICITÀ: ECCO LE PIATTAFORME WAVE STAR.
Dal moto ondoso all’elettricità: ecco le piattaforme Wave Star
IN DANIMARCA LE PIATTAFORME WAVE STAR STANNO DIMOSTRANDO TUTTE LE POTENZIALITÀ DEL MOTO ONDOSO PER PRODURRE ELETTRICITÀ.
Abbiamo già parlato altrove delle enormi potenzialità della generazione di energia elettrica rinnovabile a partire dal moto ondoso del mare, riportando alcuni dei progetti più promettenti per l’immediato futuro. Ma negli ultimi giorni la nostra attenzione è caduta su un progetto danese che promette di creare – sempre attraverso lo sfruttamento sostenibile del moto ondoso – abbastanza energia elettrica da soddisfare potenzialmente 5 volte il fabbisogno mondiale. Parliamo della piattaforma oleodinamica progettata e costruita dall’impresa danese Wave Star Energy: l’idea di fondo è quella di catturare l’energia della spinta delle onde attraverso dei galleggianti, i quali risultano collegati direttamente ad una leva libera di oscillare verso il basso e verso l’alto. Il movimento viene poi sfruttato da un cilindro oleodinamico che, proprio come farebbe una pompa, spara ad altissima pressione l’olio verso un generatore di corrente elettrica. Più forti e frequenti sono le onde, maggiore è la pressione dell’olio, e quindi di più è l’energia elettrica generata.
Come funzionano le piattaforme Wave Star.
Non è facile spiegare a parole il funzionamento delle piattaforme Wave Star: tutto si basa su degli enormi impianti posizionati ortogonalmente rispetto al movimento del modo ondoso. Essendo i galleggianti a contatto con l’acqua più di uno, il periodo di mancata oscillazione di una singola leva viene coperto dal periodo produttivo di un secondo galleggiante, così da avere una piattaforma perennemente a regime. L’idea di una simile struttura capace di sfruttare in modo intelligente e continuo il modo ondoso è stata partorita 17 anni fa da Niels e Keld Helsen: da allora l’azienda ha fatto passi da gigante, con ripetuti test che hanno dimostrato tutte le potenzialità di questo nuovo modo di produrre energia elettrica rinnovabile e sostenibile.
Fatte per resistere ad ogni tipo di moto ondoso
Per garantire alle piattaforme una lunga durata ed una continua efficienza, esse sono dotate di un peculiare sistema di protezione: nell’eventualità in cui, a causa di una tempesta, il mare dovesse risultare fin troppo mosso, i galleggianti vengono infatti issati ben al di sopra del moto ondoso. Come infatti si può leggere sul sito ufficiale di Wave Star, «l’energia dal moto ondoso avrà un ruolo cruciale nell’assicurare al mondo un adeguato rifornimento energetico, ma solo le macchine che sapranno resistere alle più forti tempeste marine potranno sopravvivere a lungo in mezzo alle onde».
L’evoluzione delle piattaforme Wave Star.
La storia di Wave Star inizia ufficialmente nel 2004, con la costruzione di un modello in scala 1:40 per ottimizzare il sistema di sfruttamento e di conversione in energia elettrica del moto ondoso. Più di 1.300 differenti test sono stati condotti su questo prototipo, per garantire il suo pieno funzionamento in un ambiente come quello del Mare del Nord. Nel 2005 è stato poi il turno di un modello in scala 1:10, installato a largo di Helligsø Teglværk, per poi arrivare alla realizzazione di un modello in scala ½ a largo di Hanstholm, nel 2009. Installato nel Mare del Nord, a 300 metri dalla riva, quest’ultimo prototipo ha una lunghezza di 40 metri, ed è fornito di due galleggianti con un diametro di 5 metri l’uno. La piattaforma in questione ha una capacità di 600 kW, ed è collegata alla normale rete elettrica fin dal febbraio del 2010, producendo in media 4.000 – 5.000 kWh al mese.
I progetti futuri.
Adesso l’impresa sta lavorando per produrre la prima serie di macchine da 1 MegaWatt, pensata per i grandi oceani, la quale dovrebbe essere messa sul mercato entro la fine del 2017. Il risultato saranno delle piattaforme lunghe 70 metri, dotate di 20 galleggianti totali. Partendo dal presupposto che ogni singola lega dovrebbe generare un minimo di 25 kW ed un massimo di 50 kW, la capacità complessiva dovrebbe essere compresa tra i 500 e i 1.000 KW. Nel frattempo, il modello in scala 1:10 è stato rimosso e completamente riciclato, avendo terminato la sua funzione di tester. Lo step successivo sarà quello di raddoppiare nuovamente la grandezza delle piattaforme, così da arrivare ad un’uscita pari a 6 MegaWatt, sufficiente dunque per provvedere l’energia elettrica necessaria all’alimentazione di circa 4.000 abitazioni.
La missione dell’impresa danese
Gli ingegneri della Wave Star puntano quindi ad un futuro energetico totalmente sostenibile, attraverso la costruzione di veri e propri parchi di produzione di energia elettrica a partire dal moto ondoso. E non è tutto qui: le stesse piattaforme, nella loro visione, potranno essere combinate ad impianti eolici offshore e ad impianti fotovoltaici. «Noi di Wave Star non vogliamo soltanto produrre elettricità» si legge sul loro sito,
http://www.green.it/moto-ondoso-wave-star/#prettyPhoto/0/«vogliamo dare energia ad un intero nuovo modo di pensare, ad una piena comprensione del nostro bisogno di soluzioni energetiche pulite ed eleganti, e soprattutto capaci di lavorare insieme per soddisfare il fabbisogno energetico del nostro Pianeta».
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