martedì 9 luglio 2019

Operazione antidoping nell'Ue, 234 arresti. E' la più grande di sempre.


Alcune delle sostanze dopanti sequestrate.

Positivi 19 atleti, sequestrate sostanze dopanti per 3,8 milioni.


Operazione internazionale contro il doping coordinata dai Carabinieri del Nas e da Europol. Sequestrati in tutta Europa sostanze dopanti per 3,8 milioni, arrestate 234 persone, oltre mille indagati, scoperti nove laboratori clandestini, di cui uno anche in Italia, nel Salernitano, dove i carabinieri hanno sequestrato un laboratorio clandestino per la produzione di sostanze stupefacenti e dopanti. Controllati 600 atleti, di cui 19 sono risultati positivi. 
La maxi operazione anti doping, denominata Viribus, e' la più vasta di sempre in questo settore e vi hanno partecipato tutti i Paesi membri dell'Unione Europea, Interpol, Usa, Svizzera, Albania, Ucraina, Colombia, Montenegro, Moldavia, Islanda, Bosnia, Erzegovina e il Nord Macedonia. Inoltre hanno supportato le attività l'Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) e l'Ufficio Europeo Antifrode (OLAF).
E' stata anche smantellata un'organizzazione dedita al traffico internazionale di sostanze dopanti che operava tra Italia e Romania. Nas e Europol hanno arrestato 13 persone e sequestrato ingenti quantitativi di sostanze dopanti e farmaci contraffatti, per un valore complessivo di circa un milione di euro. Nel complesso l'attività investigativa ha consentito di disarticolare 17 gruppi criminali coinvolti nel traffico internazionale di sostanze dopanti, individuare e sequestrare 9 laboratori clandestini per la produzione di sostanze illecite e farmaci contraffatti.
Viribus è stata lanciata dai Carabinieri del Nas e da Europol nel mese di ottobre 2018 nel corso di un incontro al Ministero della Salute. 

Francesco Bellomo arrestato: “Imponeva minigonne e divieto di nozze alle allieve”. Indagato anche per calunnie a Conte.

Francesco Bellomo arrestato: “Imponeva minigonne e divieto di nozze alle allieve”. Indagato anche per calunnie a Conte

L'ex giudice ai domiciliari per maltrattamento ed estorsione nei confronti di alcune sue allieve, che dovevano indossare abiti previsti dal suo "dress code" e garantirgli "fedeltà". Inquirenti: "Sopraffazione sistematica". Gip: "Manipolazione psicologica delle vittime". Le minacce ai danni del premier risalgono invece a quando Conte era a capo della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su di lui.

Francesco Bellomol’ex giudice barese del Consiglio di Stato che imponeva minigonne e dress code alle sue borsiste, è stato arrestato e si trova ai domiciliari nella sua casa di Bari. Una misura cautelare motivata dalla reiterazione di un clima di sopraffazione nei confronti delle sue allieve che perpetrava anche al di fuori della sua scuola Scuola di Formazione Giuridica Avanzata Diritto e Scienza. Quindi “la circostanza che il servizio di borse di studio sia stato temporaneamente sospeso è del tutto irrilevante nell’ottica di valutare la sussistenza e perduranza” del suo atteggiamento, anche perché il “servizio potrebbe essere riattivato”. Il docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura è accusato di maltrattamento nei confronti di quattro donne con le quali aveva avuto una relazione sentimentale, in concorso con l’ex pm di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste. Si tratta di tre di loro e di una ricercatrice, a cui si aggiunge estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista per fatti che risalgono tra il 2011 e il 2018. Per il gip del Tribunale di Bari Antonella Cafagna che ha disposto l’arresto, l’ex giudice del Consiglio di Stato manipolava psicologicamente le vittime, imponendo loro il divieto di sposarsi e obbligandole alla fedeltà nei suoi confronti. Secondo quanto emerso dalle indagini, una borsista, confidandosi con la sorella, disse di aver sottoscritto “un contratto di schiavitù sessuale“, mentre un’altra è stata “punita” per aver violato gli obblighi imposti dal contratto, finendo in una rubrica sulla rivista della scuola con “dettagli intimi sulla sua vita privata”. Mentre da un’altra ancora avrebbe preteso che “si inginocchiasse e gli chiedesse perdono” per avere violato regole del contratto. Bellomo è anche indagato per i reati di calunnia e minaccia ai danni di Giuseppe Conte. L’accusa risale al settembre 2017, quando il premier era vicepresidente del Consiglio di Presidenza della giustizia Amministrativa (Cpga) e presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi sull’ex giudice.

Gip: “Sistema di sopraffazione” – Il gip del Tribunale di Bari parla di “indole dell’indagato in seno al rapporto interpersonale in termini di elevata attitudine alla manipolazione psicologica mediante condotte di persuasione e svilimento della personalità della partner nonché dirette ad ottenerne il pieno asservimento se non a soggiogarla, privandola di qualunque autonomia nelle scelte, subordinate al suo consenso”. Nell’ordinanza il giudice analizza quello che definisce “sistema Bellomo“, nel quale “l’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e gerarchia“. Secondo “la concezione ‘bellomiana’ dei rapporti interpersonali“, le vittime sarebbero state prima “isolate, allontanandole dalle amicizie“, quindi Bellomo ne avrebbe tentato una “manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento” con successivo “controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé”. È anche una delle vittime a definire il rapporto con Bellomo “come se si fosse impossessato della mia testa”.
Le minacce a Conte – L’ex magistrato aveva citato per danni dinanzi al Tribunale di Bari Conte e un’altra ex componente della commissione disciplinare, Concetta Plantamura, “incolpandoli falsamente” di aver esercitato “in modo strumentale e illegale il potere disciplinare“, svolgendo “deliberatamente e sistematicamente” una “attività di oppressione” nei suoi confronti, “mossa – denunciava Bellomo – da un palese intento persecutorio, dipanatosi in un numero impressionante di violazioni procedurali e sostanziali, in dichiarazioni e comportamenti apertamente contrassegnate dal pregiudizio”. Pochi giorni dopo la notifica della citazione e nell’imminenza della seduta del Plenum per la discussione finale del procedimento disciplinare a suo carico, Bellomo avrebbe depositato una memoria chiedendo “l’annullamento in autotutela degli atti del giudizio disciplinare per vizio di procedura” e il suo “proscioglimento immediato” per “evitare ogni ulteriore aggravamento dei danni ingiusti già subiti”. Per la Procura di Bari, Bellomo avrebbe così “implicitamente prospettato oltre all’aggravarsi dell’entità del risarcimento chiesto, anche il possibile esercizio di azioni civili in caso di ulteriori danni”. Avrebbe quindi minacciato Conte e Plantamura “per turbarne l’attività nel procedimento disciplinare a suo carico – si legge nell’imputazione – e impedire la loro partecipazione alla discussione finale, influenzandone la libertà di scelta e determinando la loro estensione, benché il Cpga avesse votato all’unanimità, ed in loro assenza, l’insussistenza di cause di astensione e ricusazione“.
Cafagna ha rigettato la richiesta cautelare del pubblico ministero per quanto riguarda le accuse ai danni di Conte, reati per i quali Bellomo rimane indagato. Il gip, per questi due casi, ha ritenuto la misura degli arresti domiciliari “certamente inadeguata”, come scrive al termine dell’ordinanza, composta di 99 pagine. “Fermo, infatti, il requisito della gravità indiziaria” sui due capi di imputazione, il gip osserva che “la richiesta del Pubblico Ministero è del tutto generica riguardo ai reati per i quali il trattamento cautelare è da applicare, non contenendo in proposito alcuna specificazione”.
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Firenze, Tiziano Renzi e Laura Bovoli hanno deciso di rinunciare all’esame in aula nel processo per fatture false.

Firenze, Tiziano Renzi e Laura Bovoli hanno deciso di rinunciare all’esame in aula nel processo per fatture false

A spiegarne le ragioni è stato il legale dei coniugi, Federico Bagattini: "L’istruttoria dibattimentale ha offerto il massimo di argomenti difensivi che potessimo immaginare in questo processo. Nel caso, faremo fare ai nostri assistiti delle dichiarazioni spontanee". La prossima udienza del processo che vede imputato anche l'imprenditore Luigi Dagostino è fissata il 15 luglio.

Non si sono presentati e hanno rinunciato a essere esaminati dalle parti. Tiziano Renzi e Laura Bovoli, imputati a Firenze insieme all’imprenditore Luigi Dagostino per le presunte fatture false della Eventi 6 srl e Party srl, hanno scelto la loro strategia difensiva: no alla presenza in aula per il momento, forse dichiarazioni spontanee verso la fine del processo. A spiegarne le ragioni è stato il legale dei coniugi Renzi, Federico Bagattini: “L’istruttoria dibattimentale ha offerto il massimo di argomenti difensivi che potessimo immaginare in questo processo”.
“Gli stessi ufficiali di polizia giudiziaria hanno dichiarato che non vi è stata alcuna forma di danno tributario, di danno erariale – ha aggiunto – E questa è la negazione ontologica di ogni forma di reato fiscale e quindi anche della falsa fatturazione”. Il legale dei coniugi Renzi ha poi aggiunto che “laddove alla fine dell’istruttoria dibattimentale riterremo che ci sia la necessità di limare, precisare alcuni elementi in punto di fatto, faremo fare ai nostri assistiti delle dichiarazioni spontanee”. Anche il difensore dell’imprenditore Dagostino ha fatto sapere che il suo assistito potrebbe rilasciare dichiarazioni spontanee nel corso delle prossime udienze.
I fatti, per come sono stati ricostruiti dalle indagini, risalgono al 2015 quando Dagostino era amministratore delegato della Tramor, società di gestione dell’outlet The Mall di Leccio di Reggello, in provincia di Firenze (leggi l’articolo del Fattoquotidiano.it). Dagostino avrebbe incaricato le società Party ed Eventi 6, entrambe facenti capo ai Renzi, di studi di fattibilità per lavori all’outlet. Le fatture considerate false al centro del processo sono due: una da 20mila e l’altra da 140mila euro più Iva. Oggi in aula un consulente tecnico citato dalla difesa, il commercialista Francesco Mancini, rispondendo alle domande di uno dei legali di Laura Bovoli, avvocato Francesco Pistolesi, ha affermato che le due fatture oggetto del processo furono regolarmente contabilizzate e non provocarono alcun danno all’Erario.
In base a quanto riferito dal commercialista, le fatture emesse dalle società dei Renzi Eventi 6 srl e Party srl furono regolarmente registrate nella contabilità delle due aziende, sia nel ‘libro Iva’, ai fini del pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, che nel ‘libro giornale’, ai fini del pagamento delle imposte dirette. Le fatture furono emesse verso la Tramor, che ritenendole false si è costituita parte civile nel processo, facendole anche cancellare dalla denuncia dei redditi. Per i legali dei Renzi tuttavia, la società non avrebbe annullato le fatture, limitandosi in via cautelativa a considerarne i relativi costi non come inesistenti ma come indeducibili. Il processo riprenderà il prossimo 15 luglio.

lunedì 8 luglio 2019

Pd, la sede resta al Nazareno: non ci sono i soldi per il trasloco e i parlamentari debbono 800mila euro.

Pd, la sede resta al Nazareno: non ci sono i soldi per il trasloco e i parlamentari debbono 800mila euro

Ma fonti della segreteria smentiscono, assicurando che è "ferma intenzione dell’attuale segreteria quella di cambiare la sede nazionale del partito".


Il Pd si tiene il Nazareno, o forse no. Le casse del Partito Democratico sono sempre più vuote e così, per cercare di ridurre le spese, i dem hanno pensato di iniziare a tagliare proprio sulla sede, lo storico Palazzo del Collegio Nazareno situato nel rione Trevi, a due passi da via del Tritone, nel cuore del cuore di Roma. Le prime due alternative analizzate erano spostarsi più a sud, sull’Ostiense, oppure più a est, in via Merulana. Ma, fatti due conti, si è arrivati alla conclusione che non era poi così conveniente lasciare la sede storica, sia per i costi del trasloco sia per i disagi che la maggior distanza dal cuore politico della città comporterebbe per i vertici dem, costretti a fare i conti con l’assai caotico traffico della Capitale.

Meglio allora restare dove si è, cercando però di restringersi un po’. Secondo quanto riferisce Repubblica infatti, il Pd è intenzionato a tagliare sui metri quadri attualmente a disposizione, ridiscutendo con il padrone di casa il contratto d’affitto scaduto il 30 giugno scorso. “È in corso una trattativa con la proprietà per il rilascio di alcuni spazi e la conseguente riduzione del canone di locazione”, si legge nella parte finale della relazione sul bilancio 2018 certificata a maggio dal tesoriere Zanda. Tutto questo è stato smentito però dallo stesso Pd: “Come annunciato in diverse occasioni nelle scorse settimane è ferma intenzione dell’attuale segreteria quella di cambiare la sede nazionale del partito, a differenza di quanto scrive oggi un noto quotidiano nazionale”, precisano infatti fonti della segreteria. “Come previsto, ciò avverrà nei prossimi mesi. Ovviamente, trattandosi di un immobile che dovrebbe avere determinate caratteristiche e non un semplice appartamento ad uso privato, la ricerca sta proseguendo e se ne darà conto appena ci saranno novità”, aggiungono le stesse fonti.

In ogni caso, tagliare i costi della sede sembra essere una decisione obbligata visto il buco di 600mila euro nel bilancio dell’ultimo anno e le entrate sempre più risicate. Oltretutto con 165 dipendenti in cassa integrazione da un anno, per i quali alla scadenza del prossimo 31 agosto “il partito è fortemente intenzionato a richiedere la proroga della Cigs per ulteriori 12 mesi”, come si legge ancora nella relazione.

Eppure la situazione potrebbe essere risolta con la riscossione degli 800mila euro di crediti dovuti da senatori e deputati che da tempo non versano nelle casse del partito la quota mensile di 1500 euro dovuta. I 7 milioni entrati nel 2018 dal 2 per mille – il contributo volontario che ogni cittadino può versare ai partiti – non bastano infatti a compensare la perdita del finanziamento pubblico, abolito da una legge del 2017 e che prima di allora contava per 40 milioni. Motivo per cui al Nazareno non è piaciuta la notizia che Carlo Calenda stia continuando a incassare contributi volontari sul suo sito aperto prima delle elezioni europee per il suo manifesto confluito poi nel Pd, soldi che il partito non ha però mai visto.

Matteo Renzi condannato dalla Corte dei Conti della Toscana per danno erariale. E c’è un altro procedimento aperto.

Matteo Renzi condannato dalla Corte dei Conti della Toscana per danno erariale. E c’è un altro procedimento aperto

Da presidente della Provincia di Firenze, nel 2005, secondo i giudici contabili, aveva nominato un collegio di direzione invece di un singolo dg: "Deve 15mila euro allo Stato". E ha ricevuto un invito a dedurre per scelta di due collaboratori privi di laurea per il suo staff quando era sindaco di Firenze. Il suo legale: "Faremo appello. L'altro procedimento? Inspiegabile".

Matteo Renzi è stato condannato in primo grado dalla Corte dei Conti della Toscana per un danno erariale di 15mila euro. Da presidente della Provincia di Firenze, nel 2005, secondo i giudici contabili, aveva nominato un collegio di direzione provinciale invece di un singolo direttore generale. Con l’ex premier sono stati condannati anche i quattro dg e l’assessore al Bilancio in carica al momento della nomina. La Corte dei conti ha ritenuto accertato un danno erariale complessivo di 125mila euro, che era stato contestato anche al segretario provinciale dell’epoca, poi deceduto.

La magistratura contabile ha aperto anche un altro procedimento sul senatore ed ex segretario del Partito Democratico. Mercoledì, infatti, ha ricevuto dalla procura della Corte dei conti un invito a dedurre per un presunto danno erariale per la scelta di due collaboratori privi di laurea per il suo staff quando era sindaco di Firenze, fatti risalenti al 2009. In questo caso il presunto danno erariale attribuito a Renzi, coinvolto insieme ad altri due dirigenti, è di 69mila euro

“Abbiamo immediatamente predisposto appello come avvenuto in analoga circostanza in passato”, ha commentato l’avvocato di Renzi, Alberto Bianchi. “La condanna è avvenuta senza nessuna richiesta di condanna da parte della procura, e in presenza di una legge che esclude che possa essere sottoposto a giudizio un soggetto che, come nel caso di Matteo Renzi, era rientrato nel processo su ordine del giudice dopo che la procura ne aveva chiesto l’archiviazione”.
Quanto all’altro procedimento, Bianchi rileva che “già in passato la Corte dei Conti in appello ha smentito la ricostruzione giuridica della sede fiorentina in primo grado e ha stabilito come non vi sia necessità della laurea per le posizioni di staff del sindaco. Anche in questo caso peraltro è inspiegabile il coinvolgimento dell’organo politico in presenza dei visti amministrativi di regolarità”.

sabato 6 luglio 2019

Migranti, El Diario: “Governo spagnolo minaccia Open Arms con multe fino a 900mila euro se proseguono i salvataggi”.

Migranti, El Diario: “Governo spagnolo minaccia Open Arms con multe fino a 900mila euro se proseguono i salvataggi”


In un documento in possesso del quotidiano iberico, il direttore generale della Marina Mercantile ha inviato un messaggio al capitano della nave impegnata nel salvataggio di migranti nel Mediterraneo centrale elencando le possibili conseguenze in caso di violazione delle direttive.

Fino a 900mila euro di multa in caso di altri salvataggi nel Mediterraneo. È quanto, secondo El Diario, il governo di Madrid ha minacciato di infliggere alla ong spagnola Proactiva Open Arms nel caso in cui decidesse di “violare il blocco dell’esecutivo” socialista di Pedro Sánchez.  In un documento in possesso del quotidiano iberico, il direttore generale della Marina Mercantile ha inviato un messaggio al capitano della nave impegnata nel salvataggio di migranti nel Mediterraneo centrale elencando le possibili conseguenze in caso di “volontà di proseguire con i salvataggi”.
Non si tratta della prima volta. Già in precedenza, riporta il giornale spagnolo, l’organizzazione umanitaria si era vista recapitare avvisi che la intimavano a fermare le attività in mare. Ma si tratta, spiegano, del primo caso in cui il documento è stato firmato da Benito Núñez Quintanilla, il più alto rappresentante della Marina Mercantile e membro del ministero dello Sviluppo spagnolo.

Nel documento si specifica che “le operazioni di ricerca e salvataggio sono vietate, tranne nei casi in cui avvengano nella zona di search and rescue (Sar) di responsabilità nazionale e comunque sempre sotto il coordinamento delle autorità“. Inoltre, è anche vietato “svolgere operazioni di navigazione con lo scopo” di compiere salvataggi “o altre attività che potrebbero portare a tali operazioni” se non in possesso dei permessi delle autorità corrispondenti, cioè l’Italia o Malta. In poche parole, se salvataggio deve esserci questo deve avvenire in modo casuale e occasionale. Le operazioni di navigazione a scopo di pattugliamento non sono consentite. Nel caso in cui vengano riscontrate delle violazioni delle disposizioni, le autorità spagnole possono anche ordinare alla nave “il ritorno in porto”.
Per le “violazioni compiute durante la navigazione” le multe previste possono arrivare fino a 900mila euro, mentre per le infrazioni “contro la sicurezza marittima e l’ordine del traffico marittimo” il tetto massimo è di 300mila. È contemplata anche la possibilità della “sospensione del titolo professionale” per il capitano della nave in caso di “gravi infrazioni”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/07/06/migranti-el-diario-governo-spagnolo-minaccia-open-arms-con-multe-fino-a-900mila-euro-se-proseguono-i-salvataggi/5303943/?fbclid=IwAR3rTcwaKlouxuPEO78J9YQTgV_AYWiO7bOWoMPvrxHTSBycMzj2YalB6AA

Arrestato all'aeroporto di Fiumicidio l'ex pm di Siracusa Longo.

Risultati immagini per Giancarlo Longo


E' stato arrestato all'aeroporto di Fiumicino l'ex pm di Siracusa Giancarlo Longo. E' divenuta definitiva infatti la sentenza con cui il magistrato ha patteggiato la condanna a 5 anni, le dimissioni dalla magistratura e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici: pertanto la Procura di Messina, che lo indagò e lo fece condannare, ha emesso l'ordine di carcerazione per espiazione della pena. Longo deve scontare 4 anni, un mese e 20 giorni avendo già subito un periodo in custodia cautelare in carcere.

Longo era accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Il procedimento a suo carico, denominato 'Sistema Siracusa', nasce da una inchiesta dei pm della città dello Stretto, guidati da Maurizio De Lucia, competenti proprio per il coinvolgimento di Longo, che all'epoca delle accuse era in servizio alla Procura di Aretusea. L'inchiesta aveva al centro due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore che, per anni, avrebbero pilotato indagini e fascicoli per avvantaggiare loro clienti di peso come i costruttori siracusani Frontino. Longo, in cambio di mazzette e regali, avrebbe messo a disposizione la sua funzione di magistrato condizionando l'andamento dei procedimenti penali. Dopo l'arresto Calafiore ed Amara hanno cominciato a collaborare con i pm. Le loro dichiarazioni hanno portato all'apertura di altre indagini tra le quali quella sull' ex giudice del Cga siciliano Giuseppe Mineo, accusato di corruzione in atti giudiziari e ritenuto un pezzo di quel "sistema Siracusa" finito al centro dell'inchiesta, e all'inchiesta per finanziamento illecito ai partiti dell'ex senatore di Ala Denis Verdini.


https://www.nuovosud.it/articoli/94892-cronaca-siracusa/arrestato-allaeroporto-di-fiumicidio-lex-pm-di-siracusa-giancarlo?fbclid=IwAR2_4ujn3M1FpmwP1c8AoILjijAs-hT1fNhXIWQo9v68wUSTHWwVUllGA9U