venerdì 3 dicembre 2021

Green Pass e Super Green Pass dopo il vaccino: rilascio, durata e validità. - Barbara Weisz

 

La durata del Green Pass scende a nove mesi: stesso QR e codice Authcode per quelli validi, nuovo rilascio dopo il vaccino con valore di Super Green Pass.

Le nuove regole sul Green Pass con validità ridotta a nove mesi si applicano a partire dal 15 dicembre, pertanto coloro che si sono vaccinati nei primi mesi del 2021 rischiano di trovarsi senza Certificazione Verde se non effettuano per tempo la terza dose (ottenendo peraltro un Super Green Pass). Chi ha una Certificazione ancora valida non deve richiederne uno nuova: il QR Code resta lo stesso ma la sua validità si riduce nel tempo, quindi chi volesse un Green Pass cartaceo che indichi la nuova data di scadenza può scaricarne uno nuovo, utilizzando il codice Authcode. I nove mesi si calcolano dal termine del ciclo vaccinale oppure dalla somministrazione della terza dose.

Vediamo tutte le regole aggiornate in base alle novità introdotte con il decreto 172/2021 e alle FAQ pubblicate sul portale nazionale DGC.

Indice.

  1. Green Pass: validità ridotta a 9 mesi
  2. Green Pass e Super Green Pass: ambiti applicativi
  3. Utilizzo del Super Green Pass

Green Pass: validità ridotta a 9 mesi.

L’articolo 3 del Decreto 172/2021 prevede che il Green Pass dei vaccinati duri nove mesi (prima erano dodici), che si calcolano dal termine del ciclo vaccinale primario (quindi dalla seconda dose oppure dall’unica somministrazione con Janssen), oppure dalla somministrazione della terza dose.

Green Pass: applicazione della nuova validità.


La nuova regola sulla validità ridotta di tre mesi si applica a partire dal 15 dicembre. Quindi, coloro che hanno terminato il primo ciclo vaccinale prima del 15 marzo 2021, se non fanno la terza dose entro metà dicembre perdono il Green Pass. Questo perché, fino al 15 dicembre, la Certificazione in loro possesso continua ad avere la precedente validità di un anno ma, successivamente a questa data, si riduce a nove mesi e di conseguenza perde efficacia ai fini dei controlli (anche sul lavoro, per esempio).

Green Pass da 9 mesi: esempi pratici.

Esempio. Completamento del ciclo vaccinale il 5 aprile 2021: in base alle vecchie regole la certificazione sarebbe rimasta valida fino al 5 aprile  2022, ora invece scade il 5 gennaio 2022, quindi bisogna fare la terza dose entro questa data.

Per riassumere:

  •  vaccinati entro il 15 marzo 2021: dal 15 dicembre il Green pass non sarà più valido, per averne uno nuovo da vaccinazione bisogna fare la terza dose.
  •  Vaccinati dopo il 15 marzo 2021: per avere un Super Green Pass da vaccino serve fare il richiamo entro nove mesi dall’ultima somministrazione del ciclo vaccinale.

Green Pass e Super Green Pass: ambiti applicativi.


Il Green Pass semplice è obbligatorio per lavorare in presenza, chi non fa la terza dose dovrà fare il tampone per accedere ai luoghi di lavoro fin quando non avranno il nuovo green pass da vaccino. Stesso discorso per i mezzi pubblici, per prendere i quali dal 6 dicembre serve il Green Pass. Dallo stesso giorno e fino al 15 gennaio 2022, una serie di attività (sedersi a un tavolo al chiuso al ristorante, andare al cinema, a teatro o in discoteca) anche in zona bianca, è invece necessario il Super Green Pass, che richiede vaccino a guarigione dal Covid. Senza una terza dose somministrata per tempo, si perde la possibilità di svolgere tali attività durante le festività.

Rilascio Green Pass aggiornato.


Nelle FAQ nel portale DGC viene spiegato come ottenere una Certificazione Verde compatibile con le nuove regole.

Chi ha un Green Pass ancora valido, vedrà l’aggiornamento automatico della sua durata: nel momento in cui viene controllato il QR Code con la App o con altri sistemi, sarà visualizzata la nuova scadenza.

«L’App di verifica applica automaticamente i nuovi criteri di validità semplicemente leggendo il QR Code, che non cambia, anche se nella certificazione vi è ancora scritto “Certificazione validità 12 mesi», si legge nelle FAQ.

E’ comunque possibile scaricare una nuova Certificazione che riporti la nuova scadenza nella sezione testuale: in questo caso, bisogna utilizzare lo stesso Authcode ricevuto al completamento del ciclo vaccinale, via mail o SMS.

Rilascio Super Green Pass.


Dopo aver fatto la terza dose di vaccino, viene emesso un nuovo Green Pass valido direttamente per nove mesi dal momento della somministrazione. Si tratterà di un Super Green Pass (o Green Pass rafforzato). Come in passato, la Certificazione Verde Covid-19 viene emessa automaticamente dal sistema entro pochi giorni, ma bisogna comunque scaricarla. In questo caso si deve utilizzare il nuovo codice Authcode, rilasciato al momento ed inviato come si consueto via sms o per email, a seconda dei dati che sono stati forniti nel momento del vaccino. In caso contrario è possibile richiederlo utilizzando l’apposita funzione sul sito DGC (https://www.dgc.gov.it/spa/public/reqauth).

Utilizzo del Super Green Pass.


In definitiva:

  • dal 6 dicembre al 15 gennaio, anche in zona bianca, per accedere a spettacoli, eventi sportivi, ristorazione al chiuso, feste e discoteche, cerimonie pubbliche si dovrà avere il Green Pass rafforzato, cioè rilasciato per vaccinazione o guarigione;
  • chi possiede già un Green Pass valido per vaccinazione o guarigione non deve scaricare una nuova Certificazione perchè sarà l’App VerificaC19 a riconoscerne la validità.

https://www.pmi.it/pubblica-amministrazione/servizi-online/373298/green-pass-e-super-green-pass-dopo-il-vaccino-rilascio-durata-e-validita.html?fbclid=IwAR2z215BaivInKLG3V89rYYEfTZZb7dCEP4OUKFKHiKzLdkGCseebSnDYFI

giovedì 2 dicembre 2021

Berlusconi vuole candidarsi al Quirinale: a gennaio il videomessaggio. - Giacomo Salvini

 

COME NEL ’94 - Dopo il discorso della discesa in campo, questo si intitolerà: “Un nuovo sogno italiano”.

Al posto del “miracolo” sarà il “sogno italiano”. Il “nuovo sogno italiano”. Al posto dello sgabuzzino della villa di Macherio, dove abitava la moglie Veronica, con ogni probabilità ci sarà la villa di Arcore o la scrivania di villa Zeffirelli, nuovo quartier generale romano sull’Appia Antica. L’obiettivo però non è cambiato: dopo 27 anni, Silvio Berlusconi vuole scendere di nuovo in campo. Allora, nel 1994, il videomessaggio trasmesso a reti Fininvest unificate (“l’Italia è il Paese che amo…”) serviva per lanciare Forza Italia e correre da leader politico alle elezioni mentre crollava il sistema dei partiti. Oggi il videomessaggio servirà per rincorrere il sogno di una vita, quello che aveva promesso anche a mamma Rosa: la Presidenza della Repubblica. Ufficializzando, così, la sua candidatura. L’idea di Berlusconi e dei suoi consiglieri è quella di non registrarlo adesso – “è troppo presto” dicono ad Arcore – ma dopo Capodanno, alla vigilia del grande ballo del Quirinale. Se il leader di Forza Italia capirà che le condizioni per essere eletto saranno concrete, deciderà di giocare la carta del videomessaggio agli italiani.

D’altronde, mentre prosegue la caccia ai voti per essere eletto, Berlusconi sa benissimo che prima o poi una mossa per ufficializzare la sua candidatura dovrà farla. E, come suo solito, lo farà in grande stile. L’ipotesi del videomessaggio quindi sta prendendo sempre più piede tra i suoi consiglieri. L’idea è semplice: parlare a tutti gli italiani per convincere i parlamentari a scrivere il suo nome nel segreto dell’urna. Lo slogan su cui si sta riflettendo è: “Un nuovo sogno italiano”. Un modo per rievocare il 1994, ma allo stesso tempo presentarsi come il garante delle speranze dei cittadini. Un’idea non nuova visto che il remake del discorso del 1994 Berlusconi lo aveva già fatto nel 2019, in occasione del 25 esimo anniversario, alla vigilia delle elezioni europee. Questa volta però il nemico da battere non saranno più i “comunisti” o il M5S ma il coronavirus, la crisi economica e le “fratture sociali” del Paese”. Per questo Berlusconi sta pensando a un discorso che si baserà su tre principi: la lotta al Covid e i vaccini “per tutti”, la rinascita italiana come ai tempi del Dopoguerra e soprattutto la pacificazione nazionale dopo “trent’anni di guerra sulla giustizia”. Un modo, pensano ad Arcore, anche per tendere una mano ai suoi avversari storici. A questo aggiungerà anche una rappresentazione di sé che è già stata in parte anticipata con l’opuscolo che Berlusconi nelle ultime settimane ha fatto recapitare a tutti i parlamentari. Una brochure in cui si presenta come l’erede del liberalismo di Giolitti e del cattolicesimo di don Sturzo e De Gasperi e ricorda i suoi valori cardine: l’europeismo, la cristianità e il garantismo. Prima di gennaio, però, Berlusconi non starà fermo. Mentre continua la caccia ai peones, per tutto dicembre tornerà al centro della scena. Voci di corridoio parlano anche di un suo ritiro a Merano per una beauty farm in vista della sfida del Quirinale, ma ieri lo staff del leader di Forza Italia smentiva seccamente. A ogni modo Berlusconi vedrà spesso gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni e continuerà a dare interviste per corteggiare i parlamentari: solo nelle ultime due ha elogiato il Reddito di cittadinanza e le tematiche ambientaliste per lisciare il pelo agli ex M5S. Avance confermate ieri anche da Luigi Di Maio che, pur auspicando un accordo col centrodestra e spiegando che l’ex premier “sarà fregato dai suoi”, ha detto: “Non sottovalutiamo la presa di Berlusconi sul Parlamento, lui ci crede”. Ed è proprio così. Non è un caso che a sostenere l’ex premier ci siano gli stessi che lo aiutarono, alcuni malvolentieri, a scrivere il discorso del 1994.

Tra questi Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Marcello Dell’Utri. Manca quel Paolo Del Debbio che scrisse la prima bozza del discorso per la discesa in campo. Ironia della sorte, 27 anni dopo, proprio Berlusconi ha deciso di rinnegare il suo ghostwriter chiudendo il suo programma tv Diritto e Rovescio per tutte le feste natalizie fino all’ultima settimana di gennaio. Obiettivo: frenare il “telepopulismo” proprio quando avrà bisogno di presentarsi come uno “statista” moderato.

I PARERI.

Grottesco

Silvio ghigna come Joker: adesso il parlamento è il suo harem.

Una fiera della vanità, un trono riservato a re taumaturghi osannati dal popolo e da tutta la classe politica e da tutta la stampa anche quando hanno un passato molto insudiciato: la corsa al Quirinale è questa, e i candidati al grottesco avanspettacolo non mancano. Primeggia fra loro Berlusconi, che forse scherza forse fa sul serio ma comunque ghigna come un Joker e ci guadagnerà.
È stato membro della P2, frodatore del fisco, corruttore, premier inaffidabile, ma da ora in poi si bisbiglierà: nonostante tutto è stato candidato alla massima carica dello Stato, corteggiato da non pochi parlamentari non meno vanitosi di lui, affamati di posti, di ribalta, di soldi o di impunità. Il Parlamento come suo nuovo harem: c’è chi lo ritiene inverosimile ma tante cose inverosimili s’inverano, non solo da noi. È così allettante essere Capo dello Stato in Italia, più che altrove: nessuno oserà più avvicinarsi al Sublime Scranno senza inchinarsi, e ogni critica sarà bandita e sarà sempre Natale.

Barbara Spinelli

Perché no.

Processi e pessima eredità culturale: l’Italia merita più dignità.

Di tutte le cose assurde che ti possono capitare nella vita – parecchie direi – questa è la più assurda: trovarsi a firmare una petizione per non vedere Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Lo dico per me, cittadino che intende conservare un po’ di dignità, e anche per la Repubblica Italiana, che un recupero di dignità se lo meriterebbe. È l’assurdo dell’impensabile che qualcuno però pensa, e lui più di tutti. Ma insomma tocca dire, fermi e gentili: no. Per una lista infinita di motivi conficcati da trent’anni nel corpo del Paese.
Le inchieste, le condanne, le millemila prescrizioni, e lo sappiamo. Ma anche la curvatura cultural-ideologica che l’uomo ha dato al Paese. Ma anche l’indefesso attacco alla magistratura. Ma anche – nella folle eventualità i dettagli raccapricciano – il suo ritratto presidenziale in ogni aula di tribunale: una cornice dorata, una maschera sorridente, la vittoria dei potenti impuniti, la volpe eletta guardia del pollaio. Ecco. No.

Alessandro Robecchi

Inadatto.

Non ci si può improvvisare uomini delle istituzioni, e lui non lo è.

Con un Paese che sta così faticosamente riprendendo a camminare, e devo dire con un ruolo riconosciuto anche all’estero, mi sembra davvero inopportuno ritrovarci davanti la proposta di Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. Dobbiamo ricordarci che Berlusconi non è un uomo delle istituzioni, ha fatto una scelta diversa. Anche quando ricopriva importanti ruoli politici, è rimasto un imprenditore, ha sempre visto il mondo e la società con gli occhi di un imprenditore. D’altra parte era entrato in politica dopo Tangentopoli proprio perché era mancata la rappresentanza partitica di quel settore.
Non ci si può improvvisare uomini delle istituzioni né tanto meno presidenti della Repubblica. Mi sembra che per un capriccio personale l’Italia rischierebbe di aprire una voragine nel suo percorso di sviluppo. Dovrebbe essere lo stesso Berlusconi a capirlo e a fare un passo indietro.

Monica Guerritore

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/02/berlusconi-vuole-candidarsi-al-quirinale-a-gennaio-il-videomessaggio/6412541/

Forza Italia contro Di Matteo per spingere Berlusconi al Colle: “Mai accertate collusioni con la mafia”. Da Bontade ai soldi ai boss: cosa dice la sentenza Dell’Utri. - Giuseppe Pipitone

 

Rispondendo a una domanda sulla corsa al Quirinale, il magistrato ha ricordato in tv che lo storico braccio destro dell'ex premier è stato condannato per essere stato intermediario di un patto tra i clan e Arcore: "In cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra". L'attacco dei berlusconiani: "Accuse infamanti e infondate, l'ex premier è il più degno candidato alla presidenza della Repubblica". Ecco cosa c'è scritto nella sentenza definitiva sull'ex senatore.

Più si avvicina la fatidica data dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica e più ad Arcore aumenta la tensione. Nonostante pubblicamente dribbli l’argomento, infatti, Silvio Berlusconi continua sul serio a coltivare il sogno del Quirinale. Sarà per questo motivo che Forza Italia ha reagito in modo rabbioso, attaccando il magistrato Nino Di Matteo, reo di aver ricordato i rapporti tra Arcore e Cosa nostra. È già successo più volte in passato, ma questa volta c’è il Colle ad aumentare la reazione nervosa dei berlusconiani. Intervistato da Lucia Annunziata, infatti, Di Matteo ha ricordato cosa c’è scritto nella sentenza su Marcello Dell’Utri. Nel 2014 lo storico braccio destro di Berlusconi fu condannato in via definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra. Dopo un breve periodo da latitante in Libano, Dell’Utri ha scontato la sua pena tra carcere e domiciliari: ora è tornato alla corte di Arcore, dove – secondo vari retroscena – è uno dei consiglieri più ascoltati in relazione a una possibile candidatura del leader di Forza Italia al Colle.

Le parole del magistrato Di Matteo – Insomma: può un uomo che ha il braccio destro condannato per mafia (e quello sinistro, cioè Cesare Previti, per corruzione in atti giudiziari) correre per il Quirinale? E infatti è proprio rispondendo a una domanda sul Colle che Di Matteo ha ricordato l’esistenza della sentenza Dell’Utri .“Io non ho titolo per esprimere giudizi politici mi limito a ricordare due dati di fatto. Il primo è che il presidente della Repubblica è anche presidente del Csm e nei confronti della magistratura non dovrebbe avere interessi e rancori di tipo personali. Poi ricordo che Dell’Utri fu intermediario di un accordo tra il 1974 e il 1992 con le famiglie mafiose palermitane, che in cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra, e questo è emerso da una sentenza definitiva”, ha detto il consigliere del Csm a Mezz’ora in Più su Rai3. Di Matteo si è astenuto da ogni ulteriore dichiarazione sulla corsa al Quirinale: “Non voglio commentare – ha aggiunto – ma questo sta diventando un paese in cui qualche fatto va ricordato. Il vizio della memoria dovrebbe essere coltivato in maniera più incisiva e generalizzata”.

I berlusconiani: “Nessuna sentenza ha mai accertato collusioni con la mafia” – Dichiarazioni che hanno fatto scendere sul piede di guerra i berlusconiani di stretta osservanza. I capigruppo delle commissioni Giustizia di Forza Italia alla Camera e al Senato Pierantonio Zanettin e Giacomo Caliendo, insieme con i componenti delle commissioni, la senatrice Fiammetta Modena e i deputati Matilde Siracusano e Roberto Cassinelli, hanno diffuso una nota per attaccare il magistrato. “Il consigliere del Csm Nino di Matteo – scrivono – si è scagliato contro la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, lanciando accuse tanto infamanti, quanto infondate. Occorre ricordare che nessuna sentenza ha mai accertato collusioni del presidente Berlusconi con la mafia. Forza Italia continua a ritenerlo il più degno candidato alla presidenza della Repubblica”. A sentire i berlusconiani “il magistrato Di Matteo non ha alcun titolo per intervenire nel dibattito politico sulle candidature al Quirinale. Al contrario, essendo comunque un magistrato, oltre che un rappresentante dell’organo di autogoverno della magistratura, dovrebbe avere rispetto per il ruolo che ricopre e mostrare quel poco di imparzialità che gli rimane”.

L’incontro con Bontade e l’assunzione di Mangano ad Arcore – Nessuno tra gli altri partiti politici è intervenuto per fare notare come le dichiarazioni di Di Matteo non contenessero alcuna accusa infamante e soprattutto infondata. E’ vero che Silvio Berlusconi non è mai stato processato o condannato per fatti di mafia, anche se è ancora oggi indagato a Firenze per un reato ancora più grave come il concorso nelle stragi del 1993. I rapporti tra il leader di Forza Italia e Cosa nostra, però, sono cristallizzati in una sentenza definitiva: quella emessa nel 2014 a carico di Dell’Utri. Le motivazioni di quella sentenza sono lunghe 75 pagine e il nome di Berlusconi viene citato 137 volte. Spiegando perché ha deciso di confermare la seconda sentenza di Appello (la prima era stata annullata dalla Cassazione due anni prima) la Suprema corte ripercorre il rapporto tra Dell’Utri e Cosa nostra: l’ex senatore fu il garante di un accordo tra i clan ed Arcore durato quasi vent’anni: dal 1974 al 1992. La mafia, in pratica, garantiva protezione all’inquilino di villa San Martino dove venne spedito Vittorio Mangano. In cambio ai boss arrivavano centinaia di milioni di lire dal gruppo imprenditoriale berlusconiano. Era il prezzo di un “accordo di protezione stipulato nel 1974 tra gli esponenti mafiosi (Bontade e Teresi) e Silvio Berlusconi per il tramite di Dell’Utri, espressivo dell’importanza e della solidità dello stesso, dell’affidamento reciproco tra le due parti che lo avevano stipulato grazie alla mediazione dell’imputato, il quale rappresentava la persona in cui entrambe riponevano fiducia”. Quell’accordo, ricostruiva la prima sezione penale presieduta da Maria Cristina Siotto, venne siglato durante un incontro, che si è svolto a Milano tra “il 16 e il 29 maggio 1974” e al quale avevano partecipato Berlusconi, Dell’Utri, il suo amico Gaetano Cinà, uomo della “famiglia” mafiosa di Malaspina, Stefano Bontade, il principe di Villagrazia che era al vertice di Cosa nostra, Girolamo Teresi di Santa Maria del Gesù e Francesco Di Carlo, boss di Altofonte che poi diventerà un collaboratore di giustizia. “In quell’occasione veniva concluso l’accordo di reciproco interesse, in precedenza ricordato, tra Cosa nostra, rappresentata dai boss mafiosi Bontade e Teresi, e l’imprenditore Berlusconi, accordo realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri che aveva coinvolto l’amico Gaetano Cinà, il quale, in virtù dei saldi collegamenti con i vertici della consorteria mafiosa, aveva garantito la realizzazione di tale incontro”, si legge nella sentenza della corte di Cassazione. “L’assunzione di Vittorio Mangano (all’epoca dei fatti affiliato alla “famiglia” mafiosa di Porta Nuova, formalmente aggregata al mandamento di S. Maria del Gesù, comandato da Stefano Bontade) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974, costituiva l’espressione dell’accordo concluso, grazie alla mediazione di Dell’Utri, tra gli esponenti palermitani di Cosa nsotra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo. In cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà”, proseguiva la giudice relatrice Margherita Cassano.

Da Arcore soldi alla mafia tra il 1974 e il 1992 – 
Quell’accordo, secondo i giudici, è andato avanti negli anni, anche dopo l’omicidio di Bontade e l’arrivo al potere dei corleonesi di Totò Riina. “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra nella consapevolezza del rilievo che esso rivestiva per entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”, si legge nella sentenza della Suprema corte. I giudici scrivevano che “la Corte d’appello di Palermo ha, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, dimostrato che anche nel periodo compreso tra il 1983 e il 1992, l’imputato (cioè Dell’Utri ndr), assicurando un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974, protrattosi da allora senza interruzioni, e garantendo la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante, che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”.

“Quei 20 miliardi di Cosa nostra per i film di Canale 5” – Per dimostrare che Dell’Utri si sia posto nei confronti di Cosa nostra come rappresentante di Berlusconi pure quando non era un dipendente del gruppo di Arcore, i giudici citano un precedente del 1980. “Il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“. Questa sentenza, come detto, è passata in giudicato: è accertato, dunque, che “l’imprenditore Berlusconi” ha pagato Cosa nostra tra il 1974 e il 1992 grazie all’intermediazione del suo storico braccio destro. Addirittura, secondo i giudici della corte d’Assise di Palermo che hanno celebrato il processo di primo grado sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, quei pagamenti da Arcore sarebbero proseguiti fino al dicembre del 1994, cioè quando Berlusconi era già a Palazzo Chigi. Quella sentenza, però, è stata ribaltata in Appello: dopo la condanna in primo grado, Dell’Utri è stato assolto in secondo. Avendo già finito di scontare la sua pena per concorso esterno, è tornato a essere tra gli ospiti più ascoltati ad Arcore. Raccontano i bene informati che ci sarebbe proprio Dell’Utri dietro l’incontro a cena tra Gianfranco Micciché e Matteo Renzi. Nel menù, a sentire Micciché, ci sarebbe stata anche l’elezione di Berlusconi al Quirinale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/29/forza-italia-contro-di-matteo-per-spingere-berlusconi-al-colle-mai-accertate-collusioni-con-la-mafia-da-bontade-ai-soldi-ai-boss-cosa-dice-la-sentenza-dellutri/6408892/

Berlusconi al Quirinale? No grazie. - Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio

 

Ai parlamentari della Repubblica,

il Presidente della Repubblica dev’essere il garante della CostituzioneSilvio Berlusconi è il garante della corruzione e della prostituzione, non solo sul piano giudiziario, mentre la Costituzione l’ha violata prima e dopo il suo ingresso in politica.

Ha prostituito ai suoi interessi privati non soltanto le sue escort, alcune minorenni, ma soprattutto i principi costituzionali che aveva giurato di difendere per ben tre volte da presidente del Consiglio: legalità, giustizia, eguaglianza, dignità delle donne, libertà di stampa, indipendenza della magistratura, libero mercato, equità fiscale, scuola e sanità pubbliche, disciplina e onore, antifascismo.

E’ stato eletto sei volte nel Parlamento italiano e una in quello europeo benché ineleggibile per la legge 361/1957 sui concessionari pubblici. E’ stato condannato in via definitiva per avere frodato il fisco, derubando lo Stato che ora vorrebbe presiedere, occultando immense fortune nei paradisi fiscali.

E, da pregiudicato, pretende di guidare il Csm che decide sulle carriere dei magistrati. Ha abusato dei pubblici poteri per piegare il Parlamento ad approvargli 60 leggi ad personam, alcune bocciate dalla Consulta perché incostituzionali.

Era affiliato alla loggia occulta P2. Ha corrotto parlamentari per ribaltare le sconfitte elettorali. Ha elevato a sistema il conflitto d’interessi, legittimando anche quelli degli altri. Ha sdoganato i peggiori disvalori, facendo pubblico vanto di condotte prima relegate alla clandestinità. Ha trasformato Camera, Senato ed enti locali in stipendifici per i suoi avvocati, coimputati, lobbisti, camerieri, badanti, Papi girl, igieniste dentali. Ha screditato il Parlamento con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”.

Ha coperto di vergogna gli italiani con sceneggiate e pagliacciate in giro per il mondo e ha trascinato l’Italia in due guerre criminali contro l’Afghanistan e l’Iraq.

Ha epurato giornalisti e artisti a lui sgraditi, trasformando la Rai in servizietto privato per Mediaset e Forza Italia. Ha usato i suoi manganelli catodici e cartacei per calunniare i migliori magistrati e giornalisti, oltre agli oppositori che ostacolavano i suoi disegni eversivi. Ha più volte elogiato Benito Mussolini. Ha giustificato l’evasione fiscale e varato condoni tributari, edilizi e ambientali. Il suo gruppo, con soldi suoi, ha corrotto politici, giudici, ufficiali della Guardia di Finanza, testimoni.

Il suo braccio destro Cesare Previti è stato condannato definitivamente per due corruzioni giudiziarie. Idem il suo braccio sinistro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in mafia. I suoi referenti in Campania e in Calabria, Nicola Cosentino e Amedeo Matacena, sono stati condannati l’uno in appello per concorso in camorra e l’altro in Cassazione per complicità con la ‘ndrangheta. E manca lo spazio per fare la conta dei danni inferti dai suoi tre malgoverni all’economia, alla scuola, alla sanità, all’ambiente, alla cultura, ai diritti civili.

Per queste ragioni chiediamo a tutti i parlamentari di non votarlo alla Presidenza della Repubblica. Anzi, di non parlarne proprio. E, se possibile, di non pensarci neppure.

Firmato:  Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/01/berlusconi-al-quirinale-no-grazie-firma-la-nostra-petizione-ai-parlamentari/6411310/

domenica 28 novembre 2021

Essere donna.

 

Noi donne siamo esseri eterei,
contenitori generosi di vita....
Chi non capisce la nostra essenza,
non ha capito nulla di noi, e...
...non ci merita.

cetta

sabato 27 novembre 2021

LA POLITICA COME AFFARE. - Nadia Urbinati

 

I togati arrivano quando la corruzione è un fatto e la legge è violata. In una democrazia costituzionale, la corruzione della politica è un’altra cosa. Prima di tutto perché anticipa il fatto e poi perché presuppone l’impurità (che gli esseri umani amino denaro e potere) ed escogita leggi e istituzioni per impedire questa commistione. La politica non ha un’ambizione purificatrice. Qui sta la sua semplicità e difficoltà al tempo stesso.

Le leggi, le costituzioni, sono buone non perché scritte da e per santi, ma perché scritte a partire dall’impurità; da e per persone esposte a passioni (la pleonessia prima di tutto) che, se non limitate, generano il massimo negativo in politica: la violazione della norma dell’eguale libertà, la costruzione di un recinto nascosto agli occhi del pubblico per un gioco di pochi a danno di tutti (Bentham parlava di “sinister interests”).  Una vera e propria curvatura oligarchica. Le costituzioni sono state scritte pensando a questo desiderio di arbitrio.

Il problema è che chi le gestisce può col tempo perdere il senso del loro significato originario. E sviluppa uno spirito di corpo, interpretando la governabilità come riproduzione della stabilità della classe che gestisce le istituzioni.  Le pessime leggi seguono a ruota, e corrompono la politica.  Una di esse consiste nel trattare la politica come un agire economico – la competizione elettorale viene allargata fino ad includere la competizione per il reperimento delle risorse per poter competere per i voti.  La politica come affare scrive le proprie leggi.

In Italia, l’eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti è stata la madre della corruzione della politica. Di quel che oggi lamentiamo con il caso dell’oligarca ........ Oligarca non perché ricco di suo, ma perché arricchitosi attraverso la politica. Questa è la peggiore della corruzione politica possibile – è anzi, “la” corruzione.  Che è stata facilitata negli ultimi decenni di erosione graduale delle norme che tenevano i politici al riparto della commistione con il soldo.

Un esempio: negli anni Sessanta vi erano leggi severissime nel determinare l’indennità spettante ai membri del Parlamento; e alcuni partiti, come il Pci, ponevano un tetto all’emolumento dei loro eletti, misurandolo sullo stipendio dei colletti bianchi e stabilendo che l’eccedenza andasse al partito.  La fine dei partiti ha da un lato reso i parlamentari imprenditori di se stessi e dall’altro ha scatenato una corsa al rialzo dei loro emolumenti. Oggi un parlamentare è un privilegiato. Questa è corruzione politica, anche se “secondo la legge”.

Una volta che i politici si fanno professionisti viene loro spontaneo pensare che la politica sia il loro mercato – e il pubblico viene messo alla porta.  Arriva così la legge che privatizza il finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali. E arriva ........, che non è il solo. Tutto rientra nella norma, che ha generato le condizioni ideali per la corruzione della politica per mezzo della politica.

http://www.libertaegiustizia.it/2021/11/16/la-politica-come-affare/

I MILLE AVVOCATI DI STRADA CHE RESTITUISCONO DIGNITÀ AI SENZA DIMORA (E AGLI ULTIMI). - Maria Novella De Luca

 

Sono lo studio legale più grande d’Italia, tutti “soci” volontari, con il fatturato più povero: zero euro. Assistono persone precipitare nella povertà dopo licenziamenti, sfratti, divorzi, costrette oggi a vivere sui marciapiedi, nei dormitori, in auto. Per tutti la sfida più grande: ottenere un indirizzo di residenza per non essere più invisibili.

Sono lo studio legale più grande d’Italia (mille “soci” tra civilisti e penalisti) e anche il più povero: fatturato euro zero. Del resto, i loro clienti, nella scala sociale, sono gli ultimi degli ultimi, così privi di tutto da non avere nemmeno un indirizzo: sono clochard, senza tetto, senza fissa dimora. Si chiamano “avvocati di strada”, sono riuniti in un’associazione fondata nel 2001 da Antonio Mumolo, avvocato giuslavorista che nelle fredde notti di Bologna, da volontario portava cibo e coperte a chi viveva sui marciapiedi o sotto rifugi di cartone. “E molti di loro, conoscendo il mio mestiere, mi facevano domande legali, raccontandomi di pensioni perdute, di eredità negate, di figli mai più incontrati per mancanza di un indirizzo di residenza, di fallimenti economici per crediti inesigibili, di assistenza sanitaria negata. Capii che quel mondo di invisibili finiva per strada non soltanto per tossicodipendenza, alcolismo o per problemi psichiatrici, ma soprattutto per diritti negati”.

Insieme a un solo altro collega, Mumolo fonda la onlus “Avvocato di strada”, oggi presente in 56 città, con mille legali che offrono assistenza (gratuita) ai senza dimora, trentottomila persone seguite dal 2001 ad oggi, tremila pratiche aperte ogni anno, centinaia di cause vinte, ma soprattutto centinaia di ex drop-out tornati a vivere dal mondo di sotto al mondo di sopra. Con il motto non “esistono cause perse”, “Avvocato di strada” ha dedicato ai sessantamila clochard italiani addirittura un festival nell’ottobre scorso, per raccontare questo estremo segmento di povertà.

Spiega Antonio Mumolo: “Il senzatetto che dorme sui cartoni è solo la forma più evidente di questa emarginazione, figlia delle ripetute crisi economiche che hanno devastato l’Italia. A differenza di vent’anni fa quando i senza dimora erano persone con storie di alcol o malattie mentali, oggi sono cittadini, all’ottanta per cento italiani, che da un giorno all’altro perdono il bene fondamentale: la casa. Ci vuole poco: un licenziamento, le rate di mutuo non pagate, lo sfratto, una pensione troppo misera, un divorzio e ci si ritrova a dormire in auto, nei dormitori pubblici, negli edifici occupati, in fila alla mensa, alle docce, alle distribuzioni di vestiti usati. Bussando da una porta all’altra alla ricerca di lavoro”.

La storia di Francesca, da commessa in un supermercato ad una vita senza più figlie né una casa.

Come accade a F. che chiameremo Francesca, nelle tante storie che “Avvocato di strada”, pubblica sul suo bilancio sociale ogni anno. Francesca è italiana, ha 40 anni, è mamma di due bimbe di 6 e 8 anni. Emblema e paradigma di come si possa passare da una situazione dignitosa alla povertà in un tempo brevissimo, fulmineo. Un capitombolo nel baratro. “F. era commessa in un supermercato, conviveva con il suo compagno e padre delle bambine, finché i due non decidono di separarsi e l’uomo, abbandonata la casa, smette di prendersi carico delle spese. F. non ce la fa, il suo stipendio è troppo basso per pagare un affitto e gestire, da sola, due figlie. Arriva lo sfratto e le bimbe vengono affidate ai nonni paterni. Costretta a dormire in macchina, Francesca si rivolge ad “Avvocato di strada” perché è inverno, i soldi stanno finendo e pagare la benzina per arrivare al lavoro diventa impossibile”. F. si ammala di broncopolmonite, viene aggredita nella notte, la macchina si guasta irreparabilmente. Sul lavoro le assenze diventano troppe e Francesca viene licenziata.

“Dopo aver messo in contatto Francesca con i servizi sociali della città – ricorda Agostina, avvocata di strada di Milano – siamo riusciti a farle ottenere la residenza fittizia, grazie alla quale ha potuto cercare un nuovo lavoro e un alloggio”. Piano piano Francesca riemerge dal buio e ricostruisce un rapporto con le figlie. Con il sogno, oggi, di riaverle con sé.

Per chi nella vita ha sempre avuto un indirizzo e un nome sul citofono, la parola residenza evoca soltanto un fastidio burocratico da espletare quando, magari, si cambia casa o città. Invece no: la residenza è un diritto fondamentale che determina lo spartiacque tra l’esistenza e la non esistenza. Tra l’essere cittadini o clandestini. Essere invisibili oggi è non poter fornire un indirizzo, dunque ottenere una carta d’identità, quindi un lavoro e l’assistenza sanitaria.

Gli avvocati di strada ricostruiscono i fili spezzati di queste vite, cuciono una tela che riannoda affetti, patrimoni, dignità. Portano in tribunale comuni e datori di lavoro, enti previdenziali e familiari disonesti. “I comuni – dice Mumolo – spesso violano l’obbligo di assegnare per legge ai senza dimora una di quelle vie fittizie inventate proprio per dare una residenza a chi non ce l’ha”. Come via Modesta Valenti a Roma, clochard che morì di stenti, o via della Speranza, o via dei Senzatetto in altre città.

Si sentono rinascita e resistenza nelle storie degli avvocati di strada. C’è M, italiano, che viveva in un dormitorio dopo una dolorosa separazione. Grazie all’assistenza legale riesce a definire il divorzio, trova alloggio in co-housing. “La cosa più bella – è stata sentirmi di nuovo chiamare papà”.

La storia di Stella, da clandestina a una vita alla luce del sole.

C’è S. la chiameremo Stella, ucraina, mamma di un bellissimo bambino con cui viveva, però, quasi nascosta. “Nel periodo in cui è venuta al nostro sportello viveva in una situazione totalmente precaria fuori Genova. Non aveva documenti, non riusciva ad ottenere un permesso di soggiorno ed era costretta a vivere nella clandestinità, nella paura, senza assistenza sanitaria, senza potersi rivolgere ai servizi sociali, né poter iscrivere suo figlio a scuola” Stella era invisibile. Gli avvocati strada rintracciano in Grecia il padre del bambino, ottengono i suoi documenti, regolarizzano la posizione di Stella. “Oggi a lei ed al suo piccolo è stata restituita la dignità e il riconoscimento che per troppo tempo erano stati loro ingiustamente sottratti”. E Stella e il suo bambino non hanno più paura di camminare alla luce del sole.

La storia di Giuseppe non aveva più una residenza ora l’ha ottenuta.

C’è G, lo chiameremo Giuseppe, napoletano. “Arrivò ad Avvocato di strada dopo aver girato tutti servizi della città senza essere riuscito a far rispettare un suo diritto essenziale, quello alla residenza anagrafica. G. che un tempo aveva una casa e un lavoro, aveva camminato tanto, tra uffici freddi e pieni di inutile burocrazia, trovando tutte le porte chiuse. Quando arrivò da noi era veramente esausto e sfiduciato. Aveva perso la speranza e la sua voglia di credere in una società giusta e civile. In breve tempo, grazie al preziosissimo aiuto di una nostra volontaria, G. ottiene la residenza nella via fittizia. Oggi ha nuovamente diritto di voto, accesso alle cure mediche. È tornato a godere di tutti quei diritti fondamentali di cui gode un cittadino italiano residente sul territorio”.

Antonio Mumolo cita una frase “cult” del libro di John Grisham “L’avvocato di strada”: “Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose”.

http://www.libertaegiustizia.it/2021/11/13/i-mille-avvocati-di-strada-che-restituiscono-dignita-ai-senza-dimora-e-agli-ultimi/