domenica 16 novembre 2025

Separazione delle carriere, Zagrebelsky: “Questa riforma ha come scopo intimidire i pm”. -

 

Folla per il dibattito con il giurista e Travaglio.

di Andrea Giambartolomei - FQ 12/11/2025
“Alla fine il punto è questo –dice Gustavo Zagrebelsky–: il senso di questa riforma è l’intimidazione nei confronti dei magistrati”. Seguono applausi. Sono quasi le 23 di lunedì sera, gli occhi di molti sono puntati verso la partita di Jannik Sinner alle Atp Finals di Torino, ma nella stessa città qualche centinaia di persone affollano nella gran sala del Palazzo della Luce dove l’Anm del Piemonte e della Valle d’Aosta ha organizzato un dialogo tra il presidente emerito della Corte costituzionale, Zagrebelsky, e il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, intorno alla separazione delle carriere. Sono passate quasi due ore e il pubblico –composto da molti magistrati ed ex tra cui Gian Carlo Caselli, ma c’erano anche volti comuni, qualche ventenne, alcuni avvocati e qualche politico, come la senatrice Pd Anna Rossomando e l’assessore Jacopo Rosatelli – non accenna ad andarsene. I 250 posti a sedere sono tutti occupati. Un centinaio di persone restano in piedi lungo le pareti. Alcuni cercano di ascoltare da fuori. A questa platea Zagrebelsky e Travaglio, moderati da Flavia Panzano, presidente Giunta Anm Piemonte e Valle d’Aosta, hanno spiegato loro le insidie e i paradossi della riforma Nordio.
“La domanda alla quale con questo referendum siamo chiamati a rispondere è: a chi serve? –premette il giurista– Secondo voi, nel nostro Paese, i politici hanno troppo potere o ne hanno troppo poco? Questa riforma, secondo me, si basa anche sulle dichiarazioni ufficiali di quelli che dicono ‘Bisogna contenere le tendenze dei magistrati a invadere il campo della politica’. Quindi coloro che hanno proposto questa riforma dicono: ‘La magistratura ha troppo potere e noi troppo poco. Quindi facciamo la riforma per averne di più’”. Secondo Zagrebelsky, “già oggi la magistratura è troppo intimorita dal potere politico” ed evidenzia quanti siano pochi i potenti in galera rispetto ai non potenti: “L’eguaglianza di fronte alla legge è davvero realizzata?”, si chiede. Ai magistrati, i due interlocutori danno dei consigli. “Non dite che la magistratura è un contropotere –dice il presidente emerito della Consulta–. Usate un’immagine chiara, quella di un fiume che scorre nel suo letto, la politica, e poi ci sono gli argini, la magistratura”.
“Insisterei molto sul fatto che le vittime siano i cittadini”, sottolinea Travaglio, mettendo in guardia da uno dei possibili effetti della separazione, cioè la creazione di un “super pm” a cui interessa soltanto arrestare, rinviare a giudizio e poi alle condanne, senza valutare le prove a discarico degli indagati.
Unica sostanziale divergenza tra i due riguarda il sorteggio per la scelta dei componenti del Csm: Travaglio a favore, Zagrebelsky –pur riconoscendo i danni della deriva delle correnti della magistratura– contrario: “L’estrazione a sorte farebbe sì che i magistrati estratti sarebbero in una condizione debole nei confronti dei loro colleghi. Il Csm deve essere formato da persone estremamente autorevoli, nei confronti della magistratura e della politica, per difendere l’indipendenza. Questa riforma combatte il correntismo, ma riduce l’autorevolezza. È una sconfitta della ragione e una rinuncia alla qualità”.

sabato 15 novembre 2025

IL SILENZIO È D’ORO. - Marco Travaglio

 

La notizia che a Kiev, mentre i soldati vengono mandati al macello senza più uno scopo, i fedelissimi di Zelensky rubano tutto il rubabile dai fondi e dalle armi inviati da Nato e Ue senz’alcun controllo, viene accolta in Italia e nel resto d’Europa con un misto di sorpresa e incredulità.
Ma come: noi paghiamo, gli ucraini crepano e il regime sguazza tra mazzette e water, bidet e rubinetti d’oro massiccio?
Ma Zelensky non era il “nuovo Churchill” (Nancy Pelosi e Messaggero), il “De Gaulle ucraino” (Prospect Magazine),
il redivivo “Scipione l’Africano” (Minzolini, Giornale)? E la sua Ucraina non era “incorruttibile” (Zafesova, Stampa)?
In realtà bastava leggere l’inchiesta internazionale “Pandora Papers” del 2021 per sapere che Zelensky è una creatura dell’oligarca, prima latitante e ora detenuto, Ihor Kolomoisky, re dei metalli, finanziatore di milizie fascio-nazi (dall’Azov al Dnipro) e titolare della tv 1+1 che lo lanciò;
e che il presidente ucraino ha una villa a Forte dei Marmi con 6 camere da letto, 15 stanze, parco e piscina, acquistata nel 2017 per 3,8 milioni, intestata a una società italiana controllata da una cipriota e mai dichiarata prima dell’elezione nel 2019, come pure una delle quattro offshore controllate da lui e dai suoi soci nella casa di produzione Kvartal95 con conti correnti in vari paradisi fiscali (Isole Vergini, Cipro e Belize).
Uno dei soci, Timur Mindich, che fino all’altrogiorno ospitava Zelensky in casa sua, è l’uomo dal cesso d’oro e dalle credenze piene di pacchi di banconote da 200 euro, esentato dalla naja malgrado l’età da leva e appena fuggito all’estero grazie a una soffiata per scampare all’arresto: sarebbe il regista del sistema tangentizio che grassava il 10-15% di ogni appalto per il sistema elettrico.
Che, non bastando i bombardamenti russi, veniva rapinato dal regime, come i fondi per le uniformi e persino i 170 milioni versati dalla Nato per costruire trincee di legno.
Notizie che non possono che galvanizzare il morale delle truppe superstiti intrappolate nelle sacche russe da Pokrovsk a Kupyansk, in attesa che Zelensky e il generale Syrsky (una sorta di Alì il Chimico o il Comico ucraino) la smettano di millantare successi e resistenze o di incolpare la nebbia e suonino la ritirata finché ci sarà qualcuno vivo da ritirare. Dinanzi alla disfatta militare e morale dell’Ucraina con i nostri soldi, i governi europei tacciono imbarazzati.
Per promettere altri soldi, vista la fine che fanno, attendono tutti che la gente dimentichi le foto dei cessi d’oro. Tutti tranne uno, il più sveglio della compagnia: Antonio Tajani che, temendo di essere preceduto da qualcun altro, si affretta ad annunciare “un nuovo pacchetto di aiuti a Kiev nelle prossime ore”.
Casomai non sapessero più cosa rubare.

venerdì 14 novembre 2025

"RISPOSTA SBAGLIATA" - Marco Travaglio

 

Prendetevi 5 minuti del vostro tempo e leggetevi l'editoriale odierno (14 novembre 2025) di Marco Travaglio in cui il grande giornalista mette in risalto con la solita ironia, le incongruenze culturali della stampa di regime e in particolare quelle del primo giornale italiano per vendite, ovvero il Corriere della Sera, dove scrivono le peggiori firme del giornalismo nostrano, da grasso a milei passando per fontana.
Buona lettura e massima condivisione.
"RISPOSTA SBAGLIATA
Dopo il cronista licenziato per domanda sbagliata (che in realtà era giusta: perché la Russia dovrebbe pagare la ricostruzione dell’Ucraina e Israele non dovrebbe pagare quella di Gaza?), il giornalismo italiano tocca un’altra vetta inesplorata: l’intervista censurata per risposte sbagliate.
L’intervistato è il ministro degli Esteri russo Lavrov: il Corriere gli aveva inviato una serie di domande scritte, a cui il ministro ha dato altrettante risposte scritte. Ma il Corriere - dice Lavrov - gli ha comunicato che le sue risposte 'contengono troppe affermazioni discutibili che devono essere verificate o chiarite e la loro pubblicazione andrebbe oltre i limiti ragionevoli'.
Lavrov ha proposto di pubblicare 'una versione abbreviata nel cartaceo e il testo completo sul sito', ma invano. Si pensava che la sua fosse l’ennesima puntata della famosa guerra ibrida di Mosca contro l’Italia e la sua libera stampa.
Poi però il Corriere ha confermato tutto: Lavrov 'ha risposto alle domande inviate preliminarmente dal Corriere con un testo sterminato pieno di accuse e tesi propagandistiche. Alla nostra richiesta di poter svolgere una vera intervista col contraddittorio e la contestazione dei punti che ritenevamo andassero approfonditi, il ministero ha opposto un rifiuto categorico. Evidentemente pensava di applicare a un giornale italiano gli stessi criteri di un Paese come la Russia dove la libertà d’informazione è stata cancellata. Quando il ministro vorrà fare un’intervista secondo i canoni di un giornalismo libero e indipendente saremo sempre disponibili'.
Già, ma è stato il Corriere a chiedere un’intervista a Lavrov, non viceversa. E di solito, quando si intervista qualcuno, è per sapere come la pensa lui, non per dirgli come deve pensarla. Se il Corriere voleva porgli tutte le sacrosante obiezioni con le famose 'seconde domande”, doveva chiedergli un’intervista orale.
Purtroppo gli ha inviato le domande scritte e poi ci è rimasto male perché Lavrov non elogia Zelensky, la Nato e l’Ue, non insulta Putin, non attacca la Russia, insomma la pensa come il governo di cui fa parte. Roba da non credere, eh?
A quel punto, fatta la frittata, non restava che pubblicare le risposte di Lavrov, magari aggiungendo commenti critici e fact checking (cosa che peraltro non si usa con i politici italiani ed europei che mentono, cioè quasi tutti).
Invece l’intervista l’ha pubblicata Lavrov sul web, trasformando l’assist del Corriere in un gol a porta vuota. Come la Bbc col montaggio tarocco del discorso di Trump. Se il Corriere voleva dimostrare che la Russia ha abolito la libera stampa (come se servissero altre prove), ha ottenuto l’effetto opposto: dimostrare che in Occidente la libera stampa se la passa maluccio. Come se servissero altre prove".

giovedì 13 novembre 2025

L’impatto economico della giustizia (e della sua riforma). - Carlo Cottarelli

 

La riforma costituzionale della giustizia punta a separare le carriere dei magistrati e a estrarre i membri dei CSM. Non ridurrà la lentezza dei processi, principale problema economico e civile dell’Italia, ma mira a depoliticizzare e aumentare credibilità e imparzialità.

Uno dei temi che terrà occupata l’opinione pubblica nei prossimi mesi è la riforma costituzionale della giustizia tra i cui elementi principali ci sono la separazione delle carriere tra magistratura giudicante (i giudici) e magistratura requirente (i pubblici ministeri) e l’estrazione dei membri dei due consigli superiori della magistratura. Il buon funzionamento della giustizia è molto importante, anche dal punto di vista economico. È una buona riforma?

Dal punto di vista economico il principale problema della giustizia italiana resta la sua lentezza. Dieci anni fa, Berlusconi, come documentato da un filmato che ancora potete trovare su Youtube, minacciò i giocatori del Milan di sospendere i pagamenti degli stipendi, visto il loro scarso impegno. Concluse: “Fatemi causa: sapete quanto dura un processo civile in Italia? Otto anni”. Aveva ragione: quella era la durata media dei processi civili che arrivavano al terzo grado di giudizio (Corte di cassazione). Le cose sono migliorate da allora, anche perché il PNRR ci vincola a ridurre del 40% la durata dei processi civili. Ma nel 2024 eravamo ancora ben sopra i cinque anni. Come ci pone questo dato rispetto all’estero? La Spagna sta intorno ai tre anni e la Germania a meno di due anni. Quindi il divario si è ridotto, ma non tanto da rendere irrilevante questo fattore nella scelta di dove condurre l’attività di impresa. E quanto ci vuole a risolvere una controversia giudiziaria è ovviamente un fattore molto importante nel decidere in quale parte d’Europa o del mondo investire.

Ora, non credo che la riforma della giustizia potrà ridurre la durata dei processi. Non era questo il suo scopo. Non ho grosse obiezioni a questa riforma. Non penso che la separazione delle carriere sia di importanza critica per il buon funzionamento della giustizia, visto, comunque, lo sparuto numero di magistrati che passano da una carriera all’altra. Ma non penso neanche che la separazione possa creare problemi. La questione della separazione è diventata ormai una battagli di bandiera per destra e sinistra. L’estrazione dei membri dei consigli superiori della magistratura mi appare più importante. Ed è una riforma ragionevole, essendo volta a “decorrentizzare” e depoliticizzare la magistratura, cosa del tutto necessaria per aumentarne credibilità e imparzialità. Fra l’altro io stesso avevo suggerito la separazione dele carriere e la estrazione dei membri dei consigli superiori nel 2021 quando avevo coordinato il Comitato Scientifico Programma per l'Italia, proponendo anche riforme in campo della giustizia. Qualcuno teme che la riforma possa subordinare il potere giudiziario a quello esecutivo, ma, onestamente, non ho ancora trovato una semplice e chiara spiegazione del perché questo potrebbe avvenire a seguito delle riforme proposte.

Il problema è casomai che la riforma rischia di impegnare energie politiche da entrambi i lati dello schieramento su un tema che, dal punto di vista economico, non è fondamentale. Ma allora sarebbe meglio, visto che la riforma è stata ormai approvata, evitare un referendum e concentrarsi, sempre per entrambi i lati dello schieramento, sulla questione della lentezza della giustizia, che resta la principale. E non soltanto per l’economia. In un Paese come il nostro, al centro dell’Europa e del mondo avanzato, non si può tollerare di avere processi, sia nell’area civile sia in quella penale, di durata biblica. L’articolo 111 della Costituzione richiede che i processi abbiano ragionevole durata. Mi sembra un imperativo fondamentale per un Paese civile.

https://tg24.sky.it/politica/2025/11/12/riforma-giustizia-separazione-carriere-csm?intcmp=nl_editorial_insider_null

Oggi come 10 anni fa, viaggio nella vita giudiziaria di Totò Cuffaro. - Fulvio Viviano

 

Una nuova indagine della dda di Palermo punta, ancora una volta, i riflettori sull’intreccio tra politica e sanità. Su interessi di denaro, nomine da fare, posti da assegnare, concorsi da truccare. E anche questa volta dentro, ci sono tra gli indagati imprenditori, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E poi c’è lui, di nuovo lui: Totò, detto “Vasa Vasa”.

13 dicembre del 2015. Totò Cuffaro lasciava il carcere romano di Rebibbia dove aveva trascorso gi ultimi 4 anni e 11 mesi da recluso. Condannato a sette anni per favoreggiamento dopo un processo iniziato a Palermo nel febbraio del 2005. Un’indagine della dda del capoluogo siciliano che puntava a fare luce sull’intreccio tra mafia, politica e sanità. Appalti da gestire e pilotare, nomine ai vertici della sanità pubblica, tariffari da rivedere per riempire le tasche di imprenditori collusi e contigui a cosa nostra. Talpe nelle forze dell’ordine che avvertono gli indagati. E, al centro di tutto, c’era Totò Cuffaro che all’epoca dei fatti era presidente della Regione Siciliana. Il governatore, dello “Totò vasa vasa (bacia bacia ndr)” per la sua caratteristica principale: baciare sulla guancia praticamente tutti i suoi interlocutori.

Un processo lungo, una indagine complessa fatta di migliaia di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Rapporti ricostruiti. Accuse pesanti che, alla fine, si trasformano in una condanna a sette anni per favoreggiamento nei confronti di Totò Cuffaro che, dopo la conferma della Cassazione, si presenta alla porta carraia di Rebibbia che lascia prima di Natale di dieci anni fa.

Intervistato nei giorni successivi alla scarcerazione dice di non voler più fare più politica, quantomeno attiva, per dedicarsi al volontariato e ad una missione in Africa. In Burundi per la precisione. Aiutare gli atri diventa, almeno a parole, il suo unico obiettivo. Ma quando viene “riabilitato” in tutto e per tutto, la svolta. Entra nella Nuova Democrazia Cristiana fino a diventarne il nuovo segretario nazionale. Il Burundi diventa un ricordo.

Adesso dobbiamo fare un salto nel tempo. In avanti di dieci anni.

4 novembre del 2025. Una nuova indagine della dda di Palermo punta, ancora una volta, i riflettori sull’intreccio tra politica e sanità. Su interessi di denaro, nomine da fare, posti da assegnare, concorsi da truccare. E anche questa volta dentro, ci sono tra gli indagati imprenditori, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E poi c’è lui, di nuovo lui: Totò “Vasa Vasa”.

Per i magistrati della dda, guidati da Maurizio De Lucia, l’ex presidente della regione, nonostante la condanna scontata per favoreggiamento, sarebbe tornato a fare quello che sa fare meglio: gestire il potere, creare clientele, pilotare nomine e gestire il consenso politico. Pensava di non essere intercettato in casa Cuffaro, per il quale la procura ha chiesto gli arresti domiciliari assieme ad altre 16 persone (tra loro c’è anche il deputato di Noi Moderati, Saverio Romano). Era convinto di essere al sicuro. Ma le precauzioni non erano mai troppe. A tutti quelli che lo andavano a trovare in casa chiedeva di lascare in un’altra stanza i telefoni cellulari. Le microspie però erano state ben piazzate. Lì ed in tutti gli altri luoghi che l’ex governatore usava per i suoi incontri. Così come intercettate erano tutte le utenze cellulari in suo uso.

Leggendo le intercettazioni sembra di fare un passo indietro nel passato. Di nuovo si parla di gestione appalti nella sanità, di nuovo di nomine da pilotare, di persone da mettere in un posto piuttosto che in un altro sulla base del consenso politico cha hanno portato e possono ancora portare per il futuro. Un futuro che potrebbe, o forse avrebbe potuto, vedere di nuovo Cuffaro tra i candidati della politica regionale. E ancora esponenti delle forze dell’ordine, un carabiniere ed un poliziotto, che passano informazioni all’ex presidente della regione sulle indagini della procura. Insomma, un dejà vu. E nemmeno dei più imprevedibili.

Adesso, alla luce di questa nuova indagine, quasi fotocopia di quella che lo portò in carcere, Totò Cuffaro ha lasciato i suoi incarichi nella Nuova Democrazia Cristiana. Si è dimesso da segretario nazionale. Il suo coinvolgimento in questa nuova inchiesta della procura scuote anche il governo guidato da Renato Schifani e che ha avuto l’appoggio elettorale di Cuffaro e del suo partito. Il rimpasto della giunta è alle porte.

Intanto “Vasa Vasa” attende che arrivi il 14 novembre giorni in cui varcherà di nuovo la soglia del tribunale di Palermo da indagato per rispondere alle domande del Gip che poi dovrà decidere del futuro dell’ex governatore per il quale la procura ha chiesto l’arresto. Ancora una volta.

https://tg24.sky.it/cronaca/2025/11/12/toto-cuffaro-storia-giudiziaria.

A PROPOSITO DI BORSELLINO di Marco Travaglio .

 

Quando sbagliamo, diversamente dai bufalari che raccontano volutamente una ventina di balle al giorno, ci scusiamo con i lettori. E lo facciamo oggi per aver preso per buone due citazioni sbagliate di Falcone e Borsellino, riprese da pubblicazioni scritte e online.
La frase di Falcone pro carriere separate purché il pm non passi sotto l’esecutivo rispecchia il suo pensiero ripetuto varie volte, ma non è tratta da un’intervista del ’92 a Repubblica.
Anche quella di Borsellino fotografa il suo pensiero fermamente contrario alla separazione delle carriere, ma non è tratta da un’intervista del ’90 a Samarcanda.
Fine delle scuse e una domanda:
ma questi magliari di destra che infestano giornali e web con la deduzione
“Borsellino quel giorno non parlò da Santoro, dunque era per le carriere separate” chi credono di fregare?
La loro fortuna è che allora non c’erano gli smartphone.
Sennò verrebbero inondati di filmati di Borsellino contro le carriere separate.
Grazie al cielo alcuni suoi interventi sono stati pubblicati da libri e riviste.
L’11.12.1987, parlando a Marsala su “Il ruolo del pm con il nuovo codice”, Borsellino definì la figura del pm
“la più gravosa ma insieme la più esaltante nel nuovo processo… perché principalmente a essa è affidato il concreto attuarsi di quei principi di civiltà giuridica che col sistema accusatorio si vogliono introdurre. E le ricorrenti tentazioni del potere politico, quali ne siano le motivazioni, di mortificare obiettivamente i magistrati del Pm, prefigurandone il distacco dall’ordine giudiziario, anche attraverso il primo passo della definitiva separazione delle carriere, non incoraggiano certo i ‘giudici’ – ché tali tutti sentono di essere – a indirizzare verso gli uffici di Procura le loro aspirazioni”.
Quindi, tutti, requirenti e giudicanti, si sentono “giudici” e devono restare un unico ordine giudiziario.
Il 16.3.1987, in un convegno a Mazara del Vallo, Borsellino contestò chi voleva, come fa ora Nordio, sottrarre i giudizi disciplinari al Csm:
“La repressione disciplinare degli organi di autogoverno (Csm) è molto più incisiva ed efficace di quanto si creda e si sostenga da chi spesso mira all’altro non confessato scopo di attentare all’autonomia e indipendenza della magistratura, asserendo l’inidoneità e insufficienza di tale specie di sanzione”.
Anche per questo Msi, An e FdI si opposero sempre a separare le carriere.
Il 25.2.2004 un giudice della corrente MI (come Borsellino) ricordò in tv ad Augias:
“Borsellino divenne procuratore a Marsala dopo essere stato giudice istruttore e giudice civile. Probabilmente in alcune indagini di mafia queste competenze gli sono servite”.
Sapete chi era? Alfredo Mantovano,
oggi sottosegretario a Palazzo Chigi.
Vostro onore, non ho altre domande.

mercoledì 12 novembre 2025

Si chiamava Aaron Swartz.

 

Aveva ventisei anni.
E una mente che correva più veloce del tempo.
Scriveva codice come altri scrivono poesia.
Non cercava fama, né denaro. Cercava libertà.
Libertà per le idee. Per la conoscenza. Per l’uomo.
Si chiamava Aaron Swartz.
Era nato a Chicago nel 1986, e a tredici anni aveva già creato un’enciclopedia online, quando Wikipedia non esisteva ancora.
A quattordici contribuì allo sviluppo dell’RSS, il sistema che consente al mondo di ricevere aggiornamenti in tempo reale.
A diciannove lavorò alla nascita di Reddit, una delle piattaforme più influenti del pianeta.
Ma il suo talento non era ciò che lo definiva.
Era la sua idea di giustizia.
Aaron credeva che Internet non fosse un mercato, ma una biblioteca.
Un luogo dove la conoscenza doveva essere libera, e non venduta al miglior offerente.
Quando scoprì che milioni di articoli scientifici restavano chiusi dietro paywall, decise di ribellarsi.
Nel 2011, entrò nel sistema del MIT e scaricò milioni di documenti accademici dal database JSTOR.
Voleva liberarli.
Non per guadagno.
Per principio.
Lo Stato americano reagì come se avesse violato un segreto militare.
Lo accusarono di frode informatica, gli promisero trentacinque anni di carcere e una multa da un milione di dollari.
Aveva ventisei anni.
Era un idealista.
E il mondo lo schiacciò.
L’11 gennaio 2013, Aaron Swartz si tolse la vita nel suo appartamento di Brooklyn.
Aveva visto troppa ingiustizia, troppa miopia.
Aveva capito che la vera prigione non è fatta di sbarre, ma di regole cieche.
La sua morte fece rumore.
Non solo tra i programmatori.
Fece rumore tra chi crede che il sapere sia un diritto, non un privilegio.
Tra chi pensa che la cultura non debba avere un prezzo.
“L’informazione è potere,” scriveva. “E il potere va condiviso.”
Da allora il suo nome è diventato un simbolo.
Ogni volta che leggiamo qualcosa gratuitamente, ogni volta che una conoscenza attraversa un confine senza chiedere permesso,
c’è un po’ di lui in quell’atto.
Aaron Swartz aveva il dono di vedere Internet non come una rete di fili, ma come una rete di persone.
E forse, il suo sogno più grande non era liberare i dati.
Era liberare l’uomo dalla paura di condividerli.
Un ragazzo, un’idea, una vita breve.
Ma abbastanza lunga da ricordarci che la libertà — quella vera — non si compra.
Si difende.
Con un clic, o con il coraggio.


PS; Il 19 luglio 2011 è stato arrestato per aver scaricato 4,8 milioni di articoli scientifici dal database accademico JSTOR; liberato dietro cauzione, si è tolto la vita l'11 gennaio 2013 impiccandosi nel suo appartamento di Brooklyn.(wiky - https://it.wikipedia.org/wiki/Aaron_Swartz -)