martedì 14 giugno 2011

Addio all’Asinara, si arrende l’Isola dei cassintegrati. - di Luca Telese




Gli operai della Vinyls hanno lasciato le celle occupate quindici mesi fa. Dopo più di un anno di protesta, dimenticati da tutti tranne che da Napolitano, ora aspettano un incontro col governo, ma senza troppe illusioni

Alla fine se n’è andato anche Pietro Marongiu detto “il tiranno”. Barba ruvida come l’accendizolfo cartavetrato di una scatola di fiammiferi, toni calorosi e carattere granitico. Alla fine se n’è andato pure lui, l’ultimo cocciuto protagonista dell’ “Isola dei cassintegrati”. Alla fine – dunque – gli operai della Vinyls hanno lasciato le celle dell’Asinara occupate quindici mesi fa. Che bello sapere che il governo ha preso degli impegni chiari e li ha mantenuti. Che il Pd ha sostenuto la protesta. E che la sinistra radicale ha portato ovunque la bandiera di questa bella lotta. Sarebbe bello, davvero, ma non è andata così.

Il governo ha fatto l’ennesima figura barbina, il Pd ha fatto una visita pro-forma dopo il successo dei cassintegrati ad Annozero (e poi è scomparso), la sinistra radicale (in tutte le sue forme) si è scordata di questi operai, il presidente della Regione ha detto tutto e il contrario di tutto (e non ha combinato un tubo).

L’unica istituzione a farsi carico di questo dramma è il comune di Porto Torres. Anzi, il sindacoBeniamino Scarpa, che nella sala del Consiglio comunale scuote la testa e dice: “Ho paura per la crisi che si sta per abbattere sul nostro territorio. Questa città è una bomba innescata”. Ha ragione. Dopo il cosiddetto accordo sulla “Chimica verde” (ottime prospettive nel futuro, molti dubbi sul presente) l’Eni ha ottenuto di chiudere (a giugno) il Petrolchimico della città. È come un grande serbatoio di rabbia che potrebbe esplodere da un momento all’altro. A Porto Marghera c’è la stessa rabbia e nessuna speranza: lì la Vinyls chiuderà – come ha scritto il web-portavoce dei cassintegrati Michele Azzu – “Senza nemmeno lo straccio di una promessa chiara”.

Resterà leggendario l’ottimismo del neo-ministro Romani. Il suo predecessore, Claudio Scajola, era riuscito nel formidabile record di dare le dimissioni (per la casa “a sua insaputa”) il giorno stesso in cui doveva chiudersi la trattativa per cedere la Vinyls alla Ramco. Così la ditta araba è scomparsa, e si è aperta una nuova trattativa con un nuovo gruppo, il fondo Gita. Il ministro sbarca in Sardegna, sfodera un sorriso smagliante e assicura: “Il gruppo è credibile, i soldi ci sono, lo abbiamo verificato. Altrimenti sarei un pirla a darvi questa rassicurazione, no?”. Infatti, subito dopo l’annuncio ufficiale dell’acquisto e della trattativa giunta a buon fine, sono scomparsi sia il ministro che i compratori.

A Porto Marghera (dove ci sono gli stabilimenti gemelli della società) c’è un operaio in sciopero della fame. Mentre se in Sardegna non è ancora esplosa la rabbia degli operai Vinyls è perché il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 7 giugno, ha incontrato i lavoratori della ditta chimica e li ha incoraggiati, assicurando loro che avrebbe fatto tutto quanto in suo potere. Ma cosa può fare anche un presidente della Repubblica quando tutta la classe dirigente di un paese latita?

L’accordo “Chimica verde”, dunque (visto che la chiusura del petrolchimico sottrae le materie prime necessarie alla Vinyls per chiudere il ciclo del Pvc e la condanna virtualmente a morte) resta l’unica speranza. Il piano annunciato dall’ Eni, sottoscritto da sindacati nazionali, governo, regione e comune, dovrebbe portare (secondo il protocollo di intesa) 740 milioni di investimenti e favorire la nascita del primo eco-impianto d’Europa. Perché proprio in Sardegna? Perché Porto Torres (lo avevano capito i romani) ha una posizione invidiabile che lo collega via mare a tutto il mediterraneo. Perché nell’area del Petrochimico dismesso ci sono infrastrutture titaniche abbandonate che nessun’altra area industriale possiede, perché la Nurra, la splendida campagna di vegetazione selvaggia che circonda Porto Torres ha le condizioni ideali per coltivare i vegetali (ad esempio i cardi) che dovrebbe servire come materia prima di un ciclo integrato per produrre la bioplastica del futuro, quella di cui le nuove buste derivate dalla soia sono un assaggio. Ma dietro le promesse si affollano gli interrogativi.

Già per tre volte in passato l’Eni ha firmato protocollo solenni che poi ha disatteso. E non è ancora chiaro quanti anni ci vorranno (cinque?) perché lo stabilimento si attivi. E infine, come spiega il sindaco Scarpa, c’è il nodo delle bonifiche (530 milioni di euro già promessi da Eni), che dovrebbero rigenerare un territorio avvelenato da quarant’anni di cracking: “L’Eni – spiega il sindaco Scarpa – dice di aver già stanziato i soldi per realizzarle, ma i depuratori non sono ancora a regime. C’è un progetto delicatissimo sulla cosiddetta collina dei veleni di Minciaredda [una discarica chimica abusiva, ndr.] e noi abbiamo chiesto che per tutte queste opere siano impiegati gli operai rimasti senza lavoro”.

Il timore del sindaco è un altro. Non solo quello per gli operai del petrolchimico (coperti dalla cassa integrazione) ma quello per i 500 lavoratori dell’indotto che restano (per ora) senza tutele: “Bisognerebbe affidare subito anche a loro, e a quelli della Vinyls le bonifiche e realizzazione dei nuovi impianti”. Porto Torres è l’unico porto di 400 ettari con 15 metri di fondale: “Se l’Eni liberasse queste aree come ha promesso nell’accordo – spiega il sindaco – si può costruire un futuro”. Il 22 giugno un nuovo incontro con governo ed Eni a Cagliari. Un nuovo segno sul calendario a cui appendere una speranza, in un terra che è stata abituata alle false promesse. Ma non si è mai rassegnata alle menzogne.





1 commento:

  1. L'ennesima disfatta di questo non-governo. Ogni posto di lavoro non dato è una disfatta, ogni posto di lavoro perso è una sconfitta. Un governo che si rispetti, rispetta la dignità del cittadino.

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