venerdì 21 settembre 2012

La mafia e i silenzi di Silvio. - Lirio Abbate (16 dic. 2009)



I pm di Palermo a Palazzo Chigi per interrogare Berlusconi. Che scelse di tacere. Ecco i quesiti che gli volevano porre. Per chiarire l'origine dei capitali di Fininvest.

Ci sono domande che lo inseguono da circa trent'anni, che tornano periodicamente alla mente di imprenditori, politici e investigatori. Sono i 'buchi neri' della vita professionale del cavaliere Berlusconi, affiorati durante indagini sulle presunte collusioni mafiose. Interrogativi semplici. Lo sono, perlomeno, per chi non ha nulla da nascondere. Gli investigatori ipotizzano che nelle casse che fanno capo alle aziende del premier potrebbe essere stato versato denaro proveniente dai traffici illeciti della mafia palermitana. Per i giudici avrebbe ricevuto finanziamenti "non trasparenti" fra gli anni '70 e '80. Dietro l'origine di queste fortune economiche, per gli inquirenti, si nasconderebbero i fantasmi del passato: incontri riservati nella 'Milano da bere' di trent'anni fa invasa dai siciliani, colloqui evocati da pentiti di mafia e testimoni. Ma di questi fatti Silvio Berlusconi non vuole parlarne nemmeno ai magistrati che processano il suo amico Marcello Dell'Utri accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Preferisce restare in silenzio davanti ai giudici. E attaccarli appena mette la testa fuori dall'aula giudiziaria.

Il codice di procedura penale gli ha consentito, sette anni fa, di avvalersi della facoltà di non rispondere, per via di un'inchiesta palermitana sul riciclaggio in cui era stato indagato e poi archiviato. Indagine che potrebbe essere riaperta se dovessero arrivare nuovi spunti investigativi.Era il 26 novembre 2002 ed il tribunale che processava Dell'Utri si era spostato nella sede istituzionale di Palazzo Chigi per sentire il premier nella qualità di 'indagato di procedimento collegato'. E lui, dopo tanti rinvii per sopravvenuti impegni istituzionali, si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio. Un po' come ha fatto la scorsa settimana il boss Giuseppe Graviano chiamato dalla corte d'appello nel processo al co-fondatore di Forza Italia. Entrambi - Berlusconi e Graviano - davanti ai giudici hanno preferito restare in silenzio e non chiarire le posizioni del passato che potrebbero avere punti in comune fra il '93 e '94.


A guardarli dall'esterno sono posizioni diverse, ma il messaggio che arriva è identico. Il presidente del Consiglio non ha certo contribuito a far luce su vicende che riguardavano un suo stretto e antico collaboratore oltre che su una serie di interrogativi che si pongono all'origine delle sue fortune finanziarie e sulla nascita di Forza Italia. Interrogativi che emergono dalle indagini. Per il mafioso e stragista Giuseppe Graviano "il silenzio è d'oro", perché in Sicilia "la migliore parola è quella che non si dice". Chi sostiene di prendere le distanze dal suo passato, senza pentirsi, è Filippo Graviano fratello di Giuseppe. Accettando di rispondere in aula alle domande dei pm nel processo d'appello a Dell'Utri, il maggiore dei Graviano afferma di non conoscere il senatore. Non riscontrando in questo modo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che coinvolgono Dell'Utri e il presidente del Consiglio nel groviglio istituzionale delle indagini sulle stragi e sulla 'trattativa con lo Stato'. La deposizione dei Graviano è stata anomala. Nei processi di mafia i pm non citano mai le fonti dei collaboratori di giustizia 'se si tratta di affiliati non pentiti', perché - come sostiene la giurisprudenza - non potrebbero che negare. E' come se Totò Riina fosse chiamato dai giudici a riscontrare le dichiarazioni di Tommaso Buscetta.

Per cercare di dipanare le ombre che coprono i buchi neri nel passato di Berlusconi, i pm di Palermo, Domenico Gozzo e Antonio Ingroia, sette anni fa avevano preparato una lunga lista di domande - un centinaio, che abbracciavano quasi trent'anni di attività - che gli avrebbero voluto rivolgere. 'L'espresso' è in grado di ricostruire i punti essenziali - contenuti in 90 pagine scritte dalla procura - che avrebbero costituito l'esame al quale il premier doveva essere sottoposto. A cominciare da chi gli avesse dato i soldi all'inizio della sua scalata imprenditoriale. Si sarebbero voluti far ricostruire al teste i flussi finanziari relativi alle società del gruppo Fininvest. La vera genesi e lo sviluppo del rapporto con Dell'Utri, con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda e con l'imprenditore Francesco Paolo Alamia, entrambi amici di Vito Ciancimino, e con il mafioso palermitano Gaetano Cinà (deceduto due anni fa, coimputato di Dell'Utri e condannato in primo grado a 6 anni per associazione mafiosa ndr).


I pm avrebbero voluto sapere dal premier perché nel 1974 ingaggiò come fattore Vittorio Mangano, nonostante i suoi precedenti penali e in base a quali competenze lo aveva scelto visto che gli unici due cavalli che il boss fino a quel momento aveva avuto erano stati proprio quelli di villa San Martino ad Arcore. Una spiegazione l'avrebbero voluta per comprendere l'assoluta assenza di preoccupazione di Berlusconi durante una conversazione telefonica con Dell'Utri dopo l'attentato che aveva subito in via Rovani a Milano, davanti gli uffici Fininvest il 28 novembre 1986, in cui veniva ipotizzato che l'autore fosse Mangano.

Ai magistrati interessava sapere se Dell'Utri conoscesse Bettino Craxi e quali rapporti avessero, visto che dalle intercettazioni emergono riferimenti all'ex segretario del Psi. Se il capo del governo fosse informato dei continui contatti fra il suo amico Marcello e il mafioso Cinà: incontri avvenuti a Milano nel 1987 con l'uomo d'onore palermitano che avrebbe partecipato anche ad una riunione in cui si sarebbe discusso dell'acquisto di Rete 4 da parte della Fininvest. I magistrati avrebbero voluto sapere se Berlusconi avesse mai conosciuto i mafiosi Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, il Gotha di Cosa nostra che nel 1974 lo avrebbe incontrato negli uffici della Edilnord per assicurargli 'protezione'. E se è vero che cenasse insieme a Mangano e alla sua famiglia, in particolare la sera del 7 dicembre 1974 in cui avvenne il sequestro del principe D'Angerio dopo esser stato ospite ad Arcore.

Ci sono anche i rapporti con l'imprenditore Flavio Carboni e il cassiere della mafia Pippo Calò. Gli investimenti immobiliari che avrebbero concluso in Sardegna. L'appartenenza alla P2 alla quale Berlusconi si era iscritto nei primi mesi del 1978 su invito di Licio Gelli. Nella lista ci sono domande sul pagamento di somme di denaro ad associazioni criminali per lo svolgimento di attività produttive, con particolare riferimento agli attentati ai magazzini Standa di Catania - di cui la Fininvest deteneva il 75 per cento - e per i quali l'azienda non si costituì parte civile nel processo ai responsabili del rogo. E il motivo per il quale non avesse denunciato le estorsioni subite dalle sue attività in Sicilia. Inoltre se avesse o meno saputo di rapporti tra la Fininvest siciliana e un lontano parente di Tommaso Buscetta. 


Le domande si allargano alla parte economica, in particolare al motivo per il quale nel 1998 il premier mandò a prelevare copia delle carte sulle holding che formano la Fininvest e le nascose ai consulenti della difesa di Dell'Utri che in questo modo non hanno potuto chiarire le "anomale" operazioni miliardarie. E il perché fossero state utilizzate le identità di casalinghe, disabili colpiti da ictus e disoccupati ai quali erano state intestate alcune azioni del gruppo. E da dove arrivassero tutti quei miliardi di lire di provenienza ignota affluiti nelle holding Fininvest tra il 1975 e il 1985. E poi perché non avesse reso noto i nomi dei soci effettivi, cioè di coloro che hanno versato le prime disponibilità finanziarie. E infine l'aspetto politico: se avesse avuto contatti nel 1993 con il partito Sicilia Libera voluto dal boss Leoluca Bagarella con il quale voleva stringere un accordo elettorale; e in quale data avesse preso la decisione di "scendere in campo".

Ma il premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Alla verità ha preferito il silenzio.

In quella occasione, ad avviso del tribunale, come è riportato nella motivazione della sentenza di primo grado che ha condannato Dell'Utri a nove anni, Berlusconi "si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame", cioè "sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio".


Quando il Cavaliere stava per alzarsi dal banco dei testimoni anche i pm tentarono di rivolgergli un appello per non rinunziare al suo contributo alla verità, ma rimase inascoltato, dando così luogo ad un appuntamento mancato con la verità.

Ciò nonostante, quel silenzio non è stato capace di cancellare con un colpo di spugna ciò che è stato faticosamente accertato durante le indagini preliminari che lo hanno riguardato: prima l'inchiesta in cui il capo del governo è stato indagato per riciclaggio insieme all'imprenditore Alamia, e poi in quella di Dell'Utri.

I silenzi del premier, le resistenze dei consulenti della Fininvest, le insufficienze della documentazione bancaria e societaria messa a disposizione delle parti, non hanno annullato la valenza indiziaria degli elementi acquisiti dai magistrati che hanno indagato sulle prime basi finanziarie su cui si è creato l'impero economico del Biscione. Vero è che i riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo e a quelle dell'industriale Rapisarda non sono stati sufficienti per provare l'accusa di riciclaggio. E trovandosi senza elementi di diretta conferma a queste affermazioni, manca la prova specifica del reato: e infatti il procedimento per Berlusconi è stato archiviato dieci anni fa.

Restano tanti interrogativi che ci vengono imposti dai numeri che sono emersi dall'analisi delle holding. Sono le cifre a nove zeri che i magistrati hanno trovato nelle società che formano la Fininvest. Miliardi di lire versati in contanti di cui Berlusconi non ha mai indicato l'origine. E il periodo coincide con quello segnalato da collaboratori di giustizia e testimoni che facevano riferimento alla disponibilità di Dell'Utri al reinvestimento di denaro di provenienza illecita, versato - come sostengono gli inquirenti - nelle casse della Fininvest. Rapisarda ha riferito di un impiego di dieci miliardi di lire nel 1978-79, e di un investimento di 20 miliardi nel 1980-81.

Nessuno è autorizzato a trarre argomenti dal silenzio, perché il silenzio è nemico della verità. "Ma se tutto era davvero così chiaro", come hanno sottolineato i magistrati, "bastava chiarire quel che c'era da chiarire". Un appuntamento mancato sulla strada dell'accertamento dei fatti. Davanti ai giudici Berlusconi preferisce tacere. E, così, i dubbi sul suo passato restano. 


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-mafia-e-i-silenzi-di-silvio/2117392//0

Livorno, murato l’ingresso di Equitalia. “Bisogna ribellarsi per non suicidarsi”.


porta murata equitalia livorno (2) interna nuova


Un gruppo di una decina di persone è stato scoperto mentre armeggiava con secchi e cazzuole davanti alla sede dell'agenzia. Un collettivo "rivendica" l'azione e invita a scendere in piazza: "Se la prende solo con i poveri".

Mattoni bianchi “da tamponamento” e calcestruzzo e l’ingresso della sede di Equitalia finisce murato. E’ successo nel pomeriggio a Livorno. Un’azione dimostrativa di almeno una decina di persone, sulla quale stanno ora indagando i carabinieri. Tuttavia nessuno sembra aver visto niente finché non si è insospettito il portiere di un edificio a fianco di quello in cui si trova l'agenzia di riscossione. A quel punto il gruppetto, che era arrivato trasportando tutto il necessario con dei carrelli di un supermercato, si è allontanato. Tutto registrato dagli stessi autori del “blitz” e pubblicato su youtube.


All’interno degli uffici, peraltro, si trovavano anche alcuni impiegati (l’ufficio era chiuso al pubblico), ma non hanno notato niente di strano, anche perché stavano lavorando al primo piano. Stando alle prime ricostruzioni dell’Arma e dei testimoni i muratori improvvisati avrebbero agito in pochi minuti, arrivando ad alzare tre file di mattoni.
All’esterno della sede di Equitalia – oltre all’attrezzatura utilizzata per alzare il muretto – è stato trovato anche un piccolo manifesto, attaccato a una ringhiera, che promuove una manifestazione in città per sabato prossimo proprio contro la società di riscossione: “Ribellarsi per non suicidarsi, in piazza contro Equitalia”. 
Una forma di protesta, insomma, poi “rivendicata” dal comunicato di un gruppo chiamato “Ex Caserma Occupata”, nato dopo l’occupazione, per l’appunto, di una caserma della polizia dismessa da tempo come protesta contro l’emergenza abitativa.  ”Chiudi la porta a Equitalia – si legge nel comunicato – Oggi precari e disoccupati sull’orlo di una crisi economica e nervosa, prima di suicidarsi hanno deciso di lottare per i loro diritti, pacificamente e simbolicamente con un’azione goliardica”
“Nonostante sia sempre più difficile sopravvivere alla ‘crisi’ – aggiunge il manifesto – basta un piccolo ritardo o una cartella non pagata per rimanere indebitato a vita, mentre chi evade le tasse per milioni di euro ha la possibilità di “adeguarsi” pagando una percentuale irrisoria”. Quindi l’imperativo diventa: “Chiudere Equitalia subito!”. 
Non è la prima volta che la sede di Equitalia di Livorno (che si trova in centro, non lontano dalla zona pedonale) è presa di mira da episodi di contestazione. Il più recente è stato anche il più grave. A maggio due bottiglie molotov furono scagliate contro l’ingresso e le fiamme danneggiarono l’esterno della sede. L’inchiesta ha poi portato alla denuncia di 9 ragazzi, tutti molto giovani. A gennaio, invece, il direttore dell’agenzia ricevette una lettera con un proiettile 7,65. In quel caso, tuttavia, sembrò più un gesto isolato: tra le altre cose definiva il recapito della pallottola come un avviso e precisava esplicitamente la lontananza da qualsiasi ideologia anarchica. Anche per questo motivo nella zona ci sono molte telecamere di sorveglianza. 

E la Fornero va nel sito proibito. - Denise Pardo



L'invito recitava così «Nell'area archeologica mezzo secolo si perde». Per festeggiare il suo compleanno come si conviene Maria Criscuolo, presidente di Triumph Group, monopolista o quasi dei grandi eventi e anche dei G8 negli anni del Cavalierato, avrà desiderato qualcosa di alto, qualcosa di colto. Una visita privata al Colosseo per esempio? Ma no, visto e stravisto. Al Foro romano? No, colonne, sassi e massi riconoscibili pure dai taiwanesi. Comunque, troppo sfacciato, non è più aria. E poi si può fare di più. Per esempio far aprire alla Sovrintendenza del Beni archeologici della Capitale un monumento ancora chiuso al pubblico. Complicato? Per niente, siamo a Roma, sede del Palazzo. E infatti. Detto, fatto. 

COMPLEANNO AL BUIO. Così al crepuscolo di un giorno di fine estate Criscuolo ha offerto agli "amici" la visita guidata a una caverna d'eccezione: il mitreo, il sotterraneo dedicato al culto del dio Mitra alle Terme di Caracalla. Ancora cantiere, questo è il bello, solo a fine ottobre la previsione d'apertura, questo è ancora più bello. Una visita per intimi, ovvio. Trecento ospiti o giù di lì. Che privilegio, che benefizio. Per non parlare della sintonia con lo Zeitgeist. Quando i tempi sono bui, dove festeggiare se non sottoterra, appunto al buio? 

LE ROVINE DEL POTERE. Hanno aderito tutti. Anche la first lady Elsa Monti, tallonata da Marina Piranomonte (con quel nome non poteva che essere lei ad accompagnarla) nota archeologa responsabile delle Terme di Caracalla. Non mancava il ministro del Lavoro Elsa Fornero, e anche il collega alla Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi. E poi in giro per le rovine Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, manager piovra da decine di incarichi, Luigi Abete, Maddalena Letta, Gabriella Alemanno e insomma c'era questo e c'era quello, la nomenklatura della città eterna che non tramonta mai chiunque sia al potere.


Maria Criscuolo 
Maria Criscuolo

JACKPOT MARIA. All'entrata del mitreo, lei Criscuolo, temperamento da vispo carro armato, taglio di capelli da carmelitana scalza ma pettinata, cervello da manager, al tempo era così vicino al Berlusconi-power da essere presenza fissa nella stanza pre-Consiglio dei ministri. Dal centrodestra al centrosinistra, spesso in tandem con Guido Bertolaso, Criscuolo è un jack pot di appalti strabiliante: la sua società Triumph, comunicazione ed eventi, veniva commentata con ammirazione (nelle intercettazioni telefoniche) persino dalla cosiddetta «cricca» per i notevoli acchiappi di commesse. 

LODE DALLA CIA. Ora Triumph è stata clonata dal suo presidente anche in Cina e in patria trionfa ancora di più come organizzatrice di mega convegni medici. In un'intervista ad «A» la suddetta ricorda i suoi inizi come interprete dell'ambasciatore Usa presso il Vaticano William Wilson. Dopo essere passata per un'intera giornata al vaglio e con lode dalla Cia. 

PLASTICA E CHAMPAGNE. La passeggiata nelle viscere della terra culminava con un umile tavolino pieno di bottiglie di champagne con bicchieri spending review, ovvero di plastica. Nonostante l'assenza del Baccarat, qualcuno ha commentato: l'apertura del cantiere di un sito archeologico per un compleanno? Siamo in pieno clima da casta. Ma no. Che malalingua, e poi in questo caso la casta non è desnuda ma si occulta. Almeno per quei quindici minuti nel cunicolo del mitreo.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-la-fornero-va-nel-sito-proibito/2191507



Alle società della «cricca»  il lasciapassare degli 007 - Fiorenza Sarzanini - 4 marzo 2010

Balducci ad Anemone: Bertolaso dice che sei il nostro capo.

PERUGIA— «Tu sei il nostro capo». Così Angelo Balducci si rivolgeva all’imprenditore Diego Anemone. E gli assicurava di parlare anche a nome di Guido Bertolaso. Gli atti giudiziari della procura di Perugia svelano ulteriori retroscena sull’aggiudicazione degli appalti per i Grandi Eventi. Aggiungono dettagli sui comportamenti del capo della Protezione Civile. E fanno emergere nuovi contatti dei componenti della cricca come quello tra lo stesso Balducci e il consulente aziendale Luigi Bisignani, con il professor Valori e con l’ex segretario di Francesco Rutelli, Vincenzo Spadafora, che assume suo figlio all’Unicef. Ma l’indagine dovrà adesso verificare anche un’altra circostanza: il rilascio del "Nos" al gruppo Anemone. Si è infatti scoperto che il Gruppo ha ottenuto il «nulla osta di sicurezza» dai servizi segreti. Un riconoscimento che viene concesso soltanto a ditte che hanno particolari requisiti e possono così svolgere lavori per alcune istituzioni come appunto le sedi che ospitano gli apparanti di intelligence, quelle del Viminale, le caserme, le carceri e altre strutture «riservate».Saranno dunque i magistrati di Perugia a dover verificare se la procedura seguita sia stata regolare e se l’impresa avesse i titoli necessari.
Il prezzo invitato
Il 12 novembre scorso il responsabile del centro benessere del Salaria Sport Village Simone Rossetti contatta Stefano Morandi, un suo collaboratore, «e gli prospetta "l’importantissima" necessità di organizzare un ciclo di riabilitazione per la figlia di Bertolaso». Il tono è sbrigativo: «Allora praticamente ha chiamato la Protezione Civile... ha chiamato la segretaria del ministro Bertolaso ... ha richiesto siccome la figlia di Bertolaso c’ha un problema al... s’è tolta un chiodo praticamente... c'ha bisogno da domani mattina di una persona che le faccia sia la riabilitazione in acqua... quindi lei viene con la mascherina un po’ di pinne ’ste cose qui... vuole che gli mandi una mail allora fai... punto gallo... chiocciola protezione civile punto it... mi raccomando pure i prezzi dentro... mettiamogli un programma che ne so 10 sedute cose così». I due si sentono ancora poco dopo. Annotano gli investigatori: «Rossetti chiede a Morandi di indicare nel programma da inviare per posta elettronica alla segretaria Marina il prezzo inventato di 80 euro a seduta: "L’importo inventatelo insomma fai... fagli 80 euro a seduta».

Tessera di platino per il cognato.
Le intercettazioni svelano come il circolo di Anemone sia una meta fissa per tutta la famiglia Bertolaso. E i dipendenti appaiono ben lieti di accontentare ogni richiesta. Il 17 ottobre, Rosalba, dipendente del Salaria Sport Village, parla con Rossetti di Francesco Piermarini, il cognato del capo della protezione civile, che ha ottenuto anche alcuni incarichi nell’ambito degli eventi. Rosalba: ... eh Simone ... ti disturbo? allora una cortesia questa mattina è venuto il signor Piermarini Francesco ... lui era ... che è platino (Categoria di abbonamento, ndr?)
... Rossetti: ... sì, a posto, a posto ... Rosalba: ... lo posso rinnovare ? Rossetti: ... assolutamente va bene ... sì, sì va be’ sai ... senti una cosa quella lì ... prolungamela così poi non c’abbiamo problemi... prolungamela un paio d’anni va bene?... Rosalba: ah! va benissimo, sì perché ha portato un’ospite io ho fatto entrare... Rossetti: ... non ci sono problemi hai fatto benissimo... A confermare gli ottimi rapporti tra Bertolaso e Anemone è, secondo gli investigatori, una telefonata del 31 dicembre scorso tra l’imprenditore e Balducci. Balducci:... poi mi ha chiamato Guido e m’ha detto... sai... dice... ho avuto un bellissimo colloquio con il nostro capo... che saresti te Anemone:... (ride) Balducci: e m’ha detto senti allora ci vediamo il... magari se sei a Roma?... dico... no ... guarda ... io il primo ho detto ... be’ può darsi perché poi il primo sera e il 2 mattina... faccio 3-4 giorni alla Residance
I lavori alla Triumph
Il 12 dicembre scorso Balducci commenta la pubblicazione di un articolo sul settimanaleL’Espresso «dove il riferimento alla società Triumph "è perfettamente preciso", aggiungendo che più volte ha segnalato a Guido (Bertolaso) che era "un’esagerazione affidare sempre a tale impresa le fornitura di servizi"». Annotano i carabinieri del Ros: «Si tratta della impresa Gruppo Triumph srl con sede a Roma via Lucilio 60, costituita il 23 luglio 1991 che presenta in atto un capitale sociale di euro 35.000, ripartito fra i soci: (euro 34.000) Maria Criscuolo, (euro 1.000) Francesca Accettola. La società ha come attività l'organizzazione sia nella preparazione che nello svolgimento di conferenze, congressi, tavole rotonde, riunioni, seminari ed incontri tecnici e scientifici». E poi aggiungono: «Proprio a Maria Criscuolo, il pomeriggio del giorno successivo (24 dicembre), Balducci invia un sms pr gli auguri natalizi. "Maria tanti auguri e spero a presto. Angelo Balducci". Dopo pochi minuti Maria Criscuolo, con un altro sms, risponde. "Anche io spero di vederti presto un abbraccio Maria». Balducci è critico nei confronti di Bertolaso anche in occasione del suo viaggio ad Haiti dopo il terremoto. Ne parla con Mauro della Giovampaola e afferma: «Domani lui ritorna da Haiti ... perché è andato lì per far ’sta boutade, perché insomma, mi pare andare lì un giorno e mezzo non credo che...».
I nuovi contatti
Tra gennaio e febbraio scorsi vengono rilevati contatti mai emersi in precedenza. Il 20 gennaio Balducci chiede al centralino di palazzo Chigi, dove ha sede il suo ufficio «di essere messo in contatto con il dottor Luigi Bisignani». Dopo alcuni tentativi gli viene risposto che non è rintracciabile e lui annuncia che riproverà nel pomeriggio. Scrivono i carabinieri: «È la prima volta che nel corso della presente indagine emerge il nome di Luigi Bisignani e il tentativo di contatto è concomitante alla pubblicazione sul quotidiano La Repubblica, dell’articolo dal titolo "Bertolaso spa" in cui fra gli altri, si fa cenno sia a Bisignani sia a Balducci». Non ci sono altre telefonate tra i due, mentre il 3 febbraio Balducci viene chiamato dal professor Valori che afferma: «È venuta a trovarmi Donatella e così passando è venuto il discorso su di te ... "assolutamente bisogna tutelarlo!" eh adesso a Roma è arrivato un numero uno, un grande amico preferisco parlartene a voce non da questi mezzi che ci ascoltano tutti. Ci sentiamo domattina e così ci raggiungiamo perché è importante che tu sappia... Donatella... mi raccomando perché questa ... tu sai... sono molto legato a tutti e due».
Il posto all’Unicef.
Erano noti i rapporti tra Balducci e Spadafora, l’ex segretario di Rutelli poi diventato presidente dell’Unicef. E adesso si scopre che il figlio dell’alto funzionario è stato assunto come dipendente part-time presso l’organizzazione che tutela i diritti per l’infanzia «con contratto firmato nell’ottobre 2009, pochi giorni dopo un incontro tra i due». «Filippo Balducci - che svolge anche un altro lavoro come assistente del direttore artistico dell'auditorium di Roma - telefona al commercialista Stefano Gazzani, preoccupato per gli effetti fiscali dell’accumulo del doppio stipendio ma riceve assicurazioni. Gli dice il professionista: «Puoi firmare tranquillo. Quando ti farò la dichiarazione dei redditi ti dirò "Filippo c’è da pagare una integrazione perché chiaramente la somma dei due redditi fa saltare ad uno scaglione superiore, per cui ci sarà una aliquota marginale un po’ più alta e ci sta da pagare la differenza ogni anno, ma quello poi ogni volta che faccio la denuncia dei redditi te lo dico io. Per cui puoi firmare tranquillo, auguri!». Gazzani, che gestisce non soltanto il patrimonio della famiglia Balducci, ma anche quello del Gruppo Anemone, è indagato nell’inchiesta.

AFGHANISTAN - NEONATA ABBANDONATA SULLA STRADA DEI CARRI ARMATI.



ROMA - Strappata dalla strada prima dell'arrivo dei cingoli dei 
carri armati. Una neonata è stata salvata dai militari polacchi 

sulla strada che stava pattugliando un gruppo di mezzi corazzati
nell'Afghanistan meridionale. La notizia del ritrovamento della
bimba appena nata e abbandonata sul ciglio della strda è stata
data dal comando delle operazioni del Ministero della difesa
della Polonia, a Varsavia. Dopo essere stata raccolta dalla strada,
la piccola è stata esaminata da militari medici e consegnata ai
pediatri afgani e alle autorità del posto per rintracciare la madre
o darla in affido.

Gli ogm possono causare tumori? Uno studio francese riapre il dibattito. - Elisabetta Curzel



MILANO - Ogm cancerogeni? È quanto afferma un team di ricerca dell’Università di Caen, che in uno studio recentemente pubblicato mette sotto accusa due prodotti targati Monsanto: un certo tipo di mais ogm, la variante NK603, e l’erbicida Roundup. Secondo gli studiosi, topi nutriti per tutta la vita con questi prodotti avrebbero sviluppato, rispetto a cavie alimentate altrimenti, squilibri ormonali, un’alta incidenza di tumori e danni a fegato e reni. L’autore principale della ricerca, Gilles-Eric Séralini, ha dichiarato che gli esperimenti condotti dal suo team hanno preso in considerazione tre gruppi di topi. Il primo è stato nutrito con mais NK603, un granoturco geneticamente modificato per resistere a uno degli erbicidi più usati al mondo, il Roundup, coltivato in più del 50% delle piantagioni statunitensi; al secondo gruppo è stata somministrata acqua contenente Roundup; il terzo è stato alimentato seguendo una dieta standard.
TUMORI AL SENO - Nei primi due casi, afferma Séralini, i ratti hanno sviluppato tumori alla mammella e gravi danni a organi interni. La notizia ha subito riacceso le polemiche sugli ogm, un argomento ancora poco compreso, e uno loro storico oppositore, l’eurodeputato Jose Bové, ha dichiarato: «Quando le imprese hanno detto che non c’erano rischi per la salute, hanno mentito. Tutte le valutazioni fatte finora sugli ogm devono essere riviste alla luce di questi nuovi studi, che mostrano quanto gli ogm siano pericolosi per la salute umana». Ma non si è fatta attendere nemmeno la risposta della comunità scientifica, che giudica il lavoro di Séralini privo di fondamento scientifico, e lo smonta pezzo per pezzo. Lo scienziato francese dichiara che si sono ammalati di più i ratti "trattati"? Secondo Tom Sanders, responsabile della sezione di nutrizionistica al King's College di Londra, la razza di topi utilizzata per la ricerca sviluppa più facilmente e frequentemente di altre tumori alla mammella, specialmente se le cavie vengono alimentate con quantità di cibo illimitate, o con mais contaminato da un fungo noto per causare nei topi squilibri ormonali. L’assenza di dati sulla quantità di cibo ingerito dalle cavie e la mancanza di test per verificare la presenza del fungo in questione inficerebbero la ricerca.
DUBBI SULLO STUDIO - Discutibile, secondo Sanders, è anche il conteggio dei casi tumorali. I francesi, infatti, invece di analizzare i dati ottenuti con la formula della "deviazione standard" – ovvero l’indice utilizzato dai tossicologi per verificare se una certa variazione riscontrata negli esperimenti è casuale oppure significativa – hanno preferito ricorrere a un’analisi "non convenzionale" che Sanders paragona a una sorta di "pesca statistica". «Il team francese ha dichiarato che questo è il primo esperimento condotto sull’intero ciclo di vita dei ratti - aggiunge Anthony Trewavas, docente di biologia all’Università di Edimburgo -, ma questo non è corretto: la maggior parte degli studi tossicologici considera la durata standard della vita di un ratto pari a due anni. E i test condotti sinora non hanno riscontrato alcuno degli effetti denunciati da Séralini». Critiche, poi, riguardano la tossicità riscontrata sia nell’assunzione di Roundup che in quella di NK603. «È difficile pensare - continua lo studioso - alla possibilità che un erbicida possa avere gli stessi identici effetti tossici di un tipo di mais i cui geni sono stati modificati per distruggere quello stesso erbicida».
EFFETTI TOSSICI - Si tratta quindi di risultati invalidi? «Non necessariamente - conclude Trewavas -, ma anche dal punto di vista farmacologico va notato che il team francese ha riscontrato lo stesso effetto a tutte le dosi di erbicida e di mais ogm. Questo è inusuale: perché quasi tutti gli effetti tossici peggiorano con l’aumento delle dosi – aspetto, questo, considerato essenziale per dimostrare che un certo agente provoca un certo effetto». Séralini e il suo gruppo, fanno notare i critici, si oppongono da anni alle coltivazioni ogm. Ma i risultati delle ricerche pubblicate sinora non sono stati riconosciuti come scientifici dalla comunità di riferimento; e la scelta del team francese di non consentire ai giornalisti di mostrare l’ultimo paper ad altri scienziati prima della pubblicazione ha fatto alzare più di un sopracciglio.

giovedì 20 settembre 2012

Mille euro per andare in tv ecco il listino dei politici. - Laura Serloni


Mille euro per andare in tv ecco il listino dei politici


"Vuoi parlare in televisione? Paga". Lo scandalo delle interviste a pagamento nelle emittenti locali. Il caso del patron dei rifiuti, Cerroni. A trovare i clienti è l'agenzia pubblicitaria Arcus Multimedia di Paolo Berlusconi.


Tutto ha un prezzo. Anche le interviste giornalistiche che valgono ben mille euro. Perché si sa, la pubblicità è l'anima del mercato. E quale miglior mezzo per i politici municipali, comunali e regionali per mettersi in mostra? Soprattutto se viene messa a disposizione una troupe, uno studio, un giornalista e nessun contraddittorio, al massimo un ospite in diretta. 

La pratica è conosciuta da tutti. Assolutamente trasversale. Va avanti da anni. E non sembrerebbe un caso se ci sono consiglieri che non sono mai stati chiamati, mentre altri hanno l'appuntamento fisso. Tutti sanno chi va e chi non va, tanto che tra i politici di ogni ordine e grado girano delle vere e proprie brochure. Sono dei dépliant a volte rilegati con cura con copertina trasparente, altre spediti via mail che contengono oltre ad una dettagliata descrizione di come si svolgeranno le puntate anche i relativi costi. RomaUno Tv ha un listino prezzi con diverse opzioni. L'offerta d'ingresso è di minimo un mese quindi 4 puntate e può essere strutturata con 2 formule: la prima senza break pubblicitari è di tremila euro più iva per appunto 4 puntate, quindi 750 cadauna; la seconda è con break pubblicitari per un totale di quattromila euro più iva sempre per 4 puntate, ergo mille euro ognuna con inclusi 72 spot, 18 ogni 45 minuti. Il politico di turno se vuole può fornire eventuali sponsor "amici", altrimenti sarà l'emittente a vendere gli spazi. 

Insomma, non si parla di spiccioli, ma di decine di migliaia di euro che i politici di volta in volta versano alle tv locali. Un vero e proprio contratto scritto. Nonostante le regole deontologiche vietino questo tipo di pratica. L'Emilia Romagna fa scuola. E ora lo scandalo delle interviste a pagamento si allarga anche al Lazio.

Così fan tutte. O quasi. Certo è che RomaUno tv, del patron dei rifiuti Manlio Cerroni, è la regina dei piccoli canali: "L'unica televisione romana "all news"  -  si legge sul sito web  -  È la "tv dei romani" che dal 2003 diffonde un palinsesto interamente dedicato alle notizie da Roma e dal Lazio. Visibile su Sky al canale 518 e sul digitale terrestre al canale 11". La visibilità, dunque, è garantita. Chi procaccia i "politici clienti" è la Arcus Multimedia, l'agenzia pubblicitaria di Paolo Berlusconi nata nel 1994 come concessionaria per le edizioni locali de "Il Giornale" che negli anni ha arricchito il proprio portafoglio prendendo nella sua scuderia importanti mezzi stampa, tv e radio.

Il servizio viene costruito ad hoc. Lo spazio è assicurato all'interno della trasmissione "Ditelo a RomaUno". In più nel programma dove gli ospiti sono consiglieri comunali e municipali, nonché presidenti e assessori, sono a disposizione le linee telefoniche per gli interventi dei cittadini oltre al servizio sms, chat e video chat. Non solo. Si aggiungono i servizi filmati già realizzati sul territorio che possono essere inseriti nel programma e commentati dall'ospite nonché segnalazioni e confronto con i cittadini. 

La mission è dichiarata nella brochure con tanto di costi. "Il progetto mira ad offrire un canale di pubblicizzazione sull'attività della giunta municipale utilizzando un meccanismo televisivo di partecipazione ed interazione diretta con il pubblico all'interno di un palinsesto già targettizzato e fidelizzato che costituisce un plus rispetto ad un progetto costruito ex novo", si legge nel dépliant. Alla presenza in studio viene abbinata la realizzazione di servizi realizzati sul territorio per documentare con immagini l'attività di minisindaci, assessori e consiglieri. "E per questo mettiamo a disposizione del progetto una troupe Eng che possa seguire con la massima presenza quanto necessario alla completezza del programma", così è scritto nel listino prezzi. 

Ma c'è di più. Se non bastassero le immagini e le parole, se i commenti del presidente o del consigliere municipale e comunale non fossero abbastanza convincenti allora "come migliorativo all'effetto credibilità del contenuto proponiamo anche di lasciare aperte le linee telefoniche per consentire al pubblico il dialogo diretto e la possibilità di ricevere informazioni e spiegazioni dirette". Altro che informazione imparziale e obiettiva, siamo al cospetto di autentica pubblicità mascherata però da servizio giornalistico.


http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/09/20/news/mille_euro_per_andare_in_tv_ecco_il_listino_dei_politici-42876072/

Mediobanca paga il conto del salotto buono e l’utile crolla del 78%. - Mauro Del Corno


mediobanca interna new


L'istituto di Piazzetta Cuccia distribuisce 43 milioni di dividendi contro i 146 del 2011. La linea è non vendere partecipazioni che assicurano potere (ma non profitti) come Generali, Telecom o Rcs.

Il nuovo motto che rimbomba nelle salette ovattate di Mediobanca deve’essere qualcosa del tipo: “Resistere, resistere, resistere”. Tenere duro senza vendere neppure un’azione delle partecipazioni chiave come Generali, Telecom o Rcs che una volta garantivano potere e profitti mentre oggi assicurano solo il primo. E pazienza se la prova di forza diventa sempre più faticosa per i conti, l’utile crolla del 78% passando da 369 a 81 milioni di euro (con l’ultimo trimestre in rosso di 24 milioni), gli azionisti si trovano in mano un titolo che vale il 22% in meno di un anno fa e il dividendo si rimpicciolisce da 17 a 5 centesimi per azione. Agli azionisti andranno insomma 43 milioni contro i 146 dello scorso anno o i 144 del 2010.
I conti annuali, che per Mediobanca si aprono e chiudono a giugno, confermano una tendenza in atto da tempo: l’attività bancaria tradizionale (prestiti, commissioni, etc) porta fieno nella cascina di Piazzetta Cuccia mentre le partecipazioni azionarie tenute in portafoglio se lo stanno mangiando poco a poco. L’escalation del 2012 fa impressione: per far fronte alla perdita di valore delle varie quote in società chiave per il sistema, nel primo trimestre dell’anno vengono messi da parte 70 milioni di euro, nel secondo trimestre 161, nel terzo 117, nel quarto e ultimo trimestre, quello in cui si fanno le ‘pulizie finali’, altri 256 milioni per un totale di 573 milioni. E’ più del doppio rispetto ai 275 milioni “pagati” nel 2011.
Nel frattempo l’attività bancaria classica non ha mai smesso di macinare ricavi. Un miliardo e 989 milioni gli incassi del 2012 che fa seguito ai risultati solo di poco più bassi registrati negli ultimi quattro anni. Persino nel terribile 2009 la divisione bancaria aveva generato introiti per più di 1 miliardo e 700 milioni. I costi risultano in calo e scendono da 824 milioni del 2011 a 789 milioni. Anche se, a far brillare i conti della divisione bancaria hanno certamente aiutato pure i 7,5 miliardi presi in prestito dalla Banca Centrale Europea con tasso agevolato dell1% annuo nell’ambito delle operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operation) varate da Mario Draghi tra il 2011 e il 2012.
Tornado alle società che “scottano”, il valore complessivo delle partecipazioni di Piazzetta Cuccia in società quotate è passato dagli oltre 2,8 miliardi di marzo ai 2,7 di fine giugno . La quota in Telco (la finanziaria che controlla Telecom Italia) è stata svalutata di 113 milioni, ipotizzando un valore del titolo Telecom di 1,5 euro. Oggi l’azione ne vale in realtà 0,8, se le cose non cambiano nei prossimi mesi questa voce è destinata a generare altre perdite. Il valore della partecipazione nella società che controlla il Corriere della Sera,  Rcs (14,3%) è stato invece tagliato di quasi 78 milioni ipotizzando una quotazione del titolo pari a un euro. Svalutazioni per 34 milioni anche su Delmi, la cabina di comando di Edison e quasi 29 milioni sulla partecipazione del 9% in Santé, cliniche privati francesi riconducibili ad Antonino Ligresti, fratello di Salvatore.
Il risultato avrebbe potuto essere ancora peggiore se fosse stato ritoccato il valore della partecipazione più pregiata. Quel 14% di Generali che vale quasi 2,4 miliardi e fa di Mediobanca il primo azionista del gruppo assicurativo triestino. In realtà l’andamento del titolo del Leone alato nel periodo aprile – giugno avrebbe suggerito un comportamento diverso. L’azione è stata quasi sempre al di sotto di quei 10 euro che per Piazzetta Cuccia rappresentano una sorta di linea del Piave. Se i titoli Generali stanno sopra questa soglia la partecipazione di Mediobanca vale di più di quanto è stata pagata, al di sotto si inizia invece a perdere.
Per ora si è preferito far finta di niente confidando in una pronta risalita del titolo Generali che attualmente quota 11,8 euro, non certo in una zona di sicurezza. Una valutazione improntata unicamente a criteri di massimizzazione dei profitti avrebbe consigliato di disfarsi tempo fa almeno di una parte delle partecipazioni. Hanno evidentemente prevalso considerazioni di altra natura e indietro non si può più tornare. Vendere ora vorrebbe dire farlo in perdita, si può solo sperare che la ripresa dei corsi azionari rimetta le cose in ordine. E intanto l’ad di Mediobanca mette le mani avanti. ”Siamo convinti che dovremmo ridurre la nostra esposizione sui titoli azionari perchè danno troppa volatilità al nostro risultato netto. Nei prossimi mesi, quando la situazione dell’euro sarà un pò più chiara, una volta deciso, daremo indicazioni al mercato su cosa vogliamo fare sulla nostra esposizione nell’equity”, ha detto oggi Alberto Nagel agli analisti in risposta a una domanda su una eventuale riduzione della quota in Generali.
Sta di fatto che Mediobanca paga un prezzo sempre più salato per la sua natura da ‘centauro’, metà banca tradizionale, metà cassaforte di partecipazioni. E occupare un posto a sedere in quello che viene ancora considerato il ‘salotto buono’ del capitalismo italiano sta diventando sempre più oneroso. Un anno fa il titolo valeva 5,5 euro oggi ne vale 4,3. Grandi soci come Unicredit, Benetton, Fonsai o Fininvest hanno rettificato il valore delle azioni Mediobanca nei loro portafogli portandole a 6/7 euro e incamerando così perdite per decine o centinai di milioni. E se il titolo non recupera valori più rassicuranti prima o poi dovranno arrivare altre sforbiciate.
Cui prodest?