Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 6 ottobre 2012
SECONDO PASSO: PROGETTO ETICO (riforma scolastica 5 stelle). - Fabio Lorenzini
INTRODUZIONE: quando si propone un progetto etico, bisogna andare all'origine del problema, infatti la domanda che ci siamo posti è stata: quando si rischia di perdere l'etica nella nostra società? Oramai sappiamo tutti che questo sistema ha sporcato tutto e quasi tutti e per restare etici bisogna faticare veramente tanto. Comunque per rispondere alla domanda siamo dovuti partire dai bambini e capire quale fosse il loro primo incontro con l'illegalità. Da un'inchiesta nominata "DOPING DIDATTICO", avvenuta in diverse scuole medie, abbiamo costatato che un buon 80% degli alunni durante le verifiche di alcune materie alterano la loro valutazione copiando, portandosi da casa degli appunti (a volte scritti dai loro genitori) o copiando dal vicino di banco. Seguendo un gruppo abbiamo costatato che quegli alunni divenivano arroganti nei confronti delle autorità (genitori, docenti, adulti in genere), mentendo anche sulle cose più stupide e avviandosi in un percorso d'illegalità come: non pagare i mezzi pubblici, scarabocchiare i muri, rigare le macchine e altro. Non abbiamo la presunzione di aver scoperto la scintilla della nascità dell'illegalità nella nostra società, però quando siamo andati dallo psicologo della scuola per spiegargli che forse c'era una deviazione formativa, lui ci ha rassicurato dicendoci che era "SOPRAVVIVENZA ALLA SCUOLA". Avete capito bene. Ora, sopravvivere è un termine pesante. Sappiamo bene chi sono i sopravvissuti nella nostra società. Spero che sia stata una leggerezza dello psicologo e preferiamo non commentarla. Invece mi soffermerei sulla deviazione formativa. E' un termine poco usato infatti noi lo abbiamo raccontato così: da 0 a 16 anni è il periodo fondamentale della formazione degl'individui, essi fanno un percorso programmato (famiglia-scuola) dove vengono affiancati dagli educatori (genitori, docenti e altro) che predicano giorno dopo giorno quali sono le cose giuste e sbagliate, il bene e il male, il vero e il falso, però davanti al copiare i genitori chiudono gl'occhi (perchè se arrivasse un buon voto, non dovrebbero pagare le lezioni di ripetizione), i docenti si girano dall'altra parte perchè sanno che i carichi didattici sono esagerati per l'età e che un buon 60% non riuscirebbe a portare a termine la verifica positivamente e poi sanno un'altra cosa importante che copiare può essere un modo interessante per apprendere. Questo modo leggero di affrontare il problema può portare a distruggere l'impianto educativo dato prima, perchè una cosa sbagliata si fa passare per giusta, confondendo l'individuo. Perchè i bambini-ragazzi copiano? Copiare fino a 15-20 anni fa era un problema esclusivamente delle superiori, da quando sono aumentati i carichi didattici alle medie, il fenomeno ha messo le radice anche alle medie, poi c'è il voto che valuta il loro rendimento e se solo fosse negativo, ci sarebbe una punizione. Ora vorrei spostare il discorso su cosa è il copiare. La storia racconta che copiare è un istinto primordiale è come mangiare, accoppiarsi, evacuare e difficile da razionalizzare. Quindi da quando ha avuto origine l'uomo, il copiare è stato sempre utilizzato, anche gli artisti più famosi copiavano con le riproduzioni poi se erano creativi si affermavano. Copiare è una risorsa positiva dell'uomo va solo indirizzata nel modo giusto. Fino al 1800 il copiare era usato come metodo di studio poi con l'arrivo del romanticismo si decise che l'uomo doveva essere creativo e il copiare fu messo al bando. Quando abbiamo postato la "RIFORMA SCOLASTICA 5 STELLE", le stelle non facevano riferimento al movimento ma alle 5 fasi dell'apprendimento: ascoltare, parlare, leggere, scrivere (che è anche il percorso di come s'impara una lingua) e COPIARE che dovrebbe essere da collante. Secondo noi il copiare deve essere introdotto nella scuola dell'obbligo perchè può essere utile per le lingue straniere e un sostegno per bambini che hanno problemi d'apprendimento. Se la deviazione formativa di cui abbiamo parlato fosse vera, ci troveremo davanti a un problema di vaste proporzioni perchè milioni d'individui si sarebbero formati con una deviazione. Il modo di fare le verifiche va assolutamente rivoluzionato, infatti abbiamo preparato un progetto intitolato "VERIFICA APERTA". OBIETTIVI. L'obiettivo principale è quello di fare arrivare i ragazzi all'età di 16 anni senza nessuna deviazione formativa e di smorsare la competizione che c'è nella didattica perchè abbiamo notato che è la causa che divide genitori, docenti e alunni anche per questo nella riforma viene eliminato il voto. PIANO D'AZIONE: La verifica deve essere svolta in 4 punti: 1) Spiegazione dell'argomento da parte del docente. 2) Subito verifica scritta con il sostegno di strumenti tecnici (PC, calcolatrice e altro) e non (libri, appunti, dizionari e altro). 3) Interrogazioni indirizzate a sensibilizzare gli alunni di soffermarsi solo su i concetti fondamentali dell'argomento (mappe concettuali). 4) Autovalutazione con conseguente ripasso delle cose non capite a casa. RISULTATI: I risultati sono molteplici e ne vogliamo segnalare solo alcuni. 1) Lo studente studia a scuola, quindi niente compiti a casa. 2) Lo studio diventa interesse e non competizione. 3) Perdere l'etica a scuola è la cosa più stupida che l'adulto possa insegnare a un bambino e con VERIFICA APERTA si cerca di aiutare i soggetti della scuola (genitori, docenti e alunni). 4) Varie. Il post da noi scritto è lungo e può risultare noioso, avremmo voluto aggiugere anche gli appunti scritti da una docente d'inglese su come avrebbe inserito VERIFICA APERTA all'interno della scuola, quindi chi volesse leggere gli appunti può richiederli scrivendo a redazione@dammiunsogno.it Un saluto Fabio Lorenzini.
http://www.beppegrillo.it/listeciviche/forum/2012/10/secondo-passo-progetto-etico-riforma-scolastica-5-stelle.html
Massacro Scuola Diaz: tutti colpevoli in via definitiva, ma nessuno in carcere. - Mario Portanova
Sono definitive tutte le condanne ai 25 poliziotti per l’irruzione della polizia alla scuola Diaz al termine del G8 di Genova la notte dei 21 luglio 2001. Lo hanno deciso i giudici della quinta sezione della Corte di Cassazione. Confermata anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, che dunque colpisce alcuni altissimi gradi degli apparati investigativi italiani: Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo,Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Tutti condannati per falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni, in relazione ai verbali di perquisizione e arresto ai carico dei manifestanti, rivelatisi pieni di accuse infondate.
Nessuno dei condannati rischia invece il carcere, grazie ai tre anni di sconto dall’indulto approvato nel 2006. La Suprema corte ha dichiarato prescritte le condanne per le lesioni inflitte ai capisquadra dei “celerini” del Reparto mobile di Roma.
In dettaglio, il collegio presieduto da Giuliana Ferrua ha confermato 4 anni a Giovanni Luperi e Francesco Gratteri, 5 anni per Vincenzo Canterini (all’epoca comandante del Reparto mobile di Roma, oggi a riposo), 3 anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici (questi ultimi all’epoca dirigenti di diverse Squadre mobili), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di genova), Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di Bernardini. Prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al VII nucleo sperimentale del Reparto mobile di Roma.
Oltre 60 feriti e 93 arrestati e poi prosciolti, tra i quali molti giovani stranieri. Il blitz alla scuola Diaz-Pertini, dove alloggiavano manifestanti antiliberisti giunti nel capoluogo ligure per le manifestazioni contro il G8 del 2001, avviene nella notte tra il 21 e il 22 luglio, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani. All’operazione presero parte centinaia di poliziotti, e nessuno è mai stato in grado di fornirne il numero esatto, dato che – come è emerso ai processi – molti agenti e funzionari si aggregarono spontaneamente al contingente.
La scuola era ritenuta il “covo” dei black bloc, protagonisti di due giorni di violenti scontri con le forze dell’ordine. Dai processi, però, è emersa anche la volontà dei vertici della polizia di portare a termine un’azione eclatante per bilanciare il disastro dell’ordine pubblico al G8 genovese. L’ex vicecapo della polizia Ansoino Andreassi, per esempio, ha testimoniato in aula la sua ferma contrarietà all’intervento, avvenuto quando il vertice e le relative contromanifestazioni erano finite. Ma, secondo Andreassi, alla fine prevalse la volontà dei dirigenti inviati da Roma dal capo della polizia Gianni De Gennaro.
L’IRRUZIONE. Nel corso dell’irruzione nel complesso scolastico, aperta dagli uomini del VII Nucleo Sperimentale del Primo Reparto mobile di Roma, comandato da Vincenzo Canterini, la maggior parte degli occupanti viene picchiata selvaggiamente. Al pestaggio, però, non partecipano soltanto i “celerini”, ma anche uomini delle Squadre mobili e delle Digos, distinguibili dai primi dalle divise o dal fatto di essere in borghese. La brutalità dell’intervento sarà confermata al processo di primo grado, oltre che dalle testimonianze di decine di vittime costituitesi parte civile, da Michelangelo Fournier, comandante del VII nucleo, che parlerà di “macelleria messicana” e “colluttazioni unilaterali” in cui i sui colleghi pestavano e gli occupanti subivano. Due vittime arrivarono al pronto soccorso in codice rosso, in pericolo di vita. Fournier racconterà anche di un collega che davanti a una ragazza gravemente ferita a terra “mimò il gesto del coito”.
Molti degli arrestati verranno poi rinchiusi per giorni nella caserma di Bolzaneto, dove subiranno altre violenze.Tutti gli occupanti della Diaz-Pertini sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, un reato che prevede fino a 15 anni di carcere. In sostanza la polizia li accusa di essere tutti dei “black bloc“, protagonisti di gravi incidenti in piazza il 20 e il 21 luglio. Ma le prove verbalizzate dalla polizia si riveleranno false. A cominciare dalle due bottiglie molotov portate all’interno della Diaz dai poliziotti stessi, come accertato definitivamente dal processo di primo grado.
L’INCHIESTA E I PROCESSI. Dopo il G8, finiscono sotto inchiesta agenti e alti funzionari: 29 vengono rinviati a giudizio, accusati a vario titolo di falso, arresto arbitrario, lesioni e calunnia. Il tribunale di Genova, il 13 novembre 2008, con una sentenza che sarà al centro di polemiche, assolve 16 imputati – funzionari e dirigenti – mentre ne condanna 13, che sono soprattutto uomini del VII Nucleo.
La Corte d’appello genovese, però, ribalta il verdetto il 18 maggio 2010: 25 le condanne – tra cui quella di Francesco Gratteri, Giovanni Luperi,Vincenzo Canterini, Spartaco Mortola, Gilberto Caldarozzi, tutti alti funzionari di polizia – comprese tra i 5 e i 3 anni e 8 mesi di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Come in primo grado, nessuno degli imputati è riconosciuto responsabile di specifici episodi di violenza, anche per la difficoltà, da parte delle vittime, di riconoscere gli agenti coperti da caschi e fazzoletti sul volto. Ma dalla ricostruzione dei giudici di secondo grado appare chiara la responsabilità dei vertici per non essere intervenuti a fermare i pestaggi e, per i firmatari dei verbali d’arresto e perquisizione, di aver avallato false accuse verso i 93 “no global”.
Nel processo di cassazione, il pg Pietro Gaeta ha chiesto la conferma delle condanne per tutti gli imputati, mentre fuori dal “palazzaccio” le vittime e le associazioni chiedecano “verità e giustizia”.
L’ASSOLUZIONE DI DE GENNARO. Un processo parallelo poi, ha riguardato l’ex capo della polizia, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni de Gennaro, accusato di aver istigato alla falsa testimonianza sulle violenze alla Diaz l’allora questore di Genova Francesco Colucci. De Gennaro, assolto in primo grado, ma condannato in appello a un anno e 4 mesi, viene prosciolto definitivamente da ogni accusa dalla Cassazione, che, nel novembre 2011, annulla la sentenza d’appello “perché il fatto non sussiste”.
Nessuno dei condannati rischia invece il carcere, grazie ai tre anni di sconto dall’indulto approvato nel 2006. La Suprema corte ha dichiarato prescritte le condanne per le lesioni inflitte ai capisquadra dei “celerini” del Reparto mobile di Roma.
In dettaglio, il collegio presieduto da Giuliana Ferrua ha confermato 4 anni a Giovanni Luperi e Francesco Gratteri, 5 anni per Vincenzo Canterini (all’epoca comandante del Reparto mobile di Roma, oggi a riposo), 3 anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici (questi ultimi all’epoca dirigenti di diverse Squadre mobili), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di genova), Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di Bernardini. Prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al VII nucleo sperimentale del Reparto mobile di Roma.
Oltre 60 feriti e 93 arrestati e poi prosciolti, tra i quali molti giovani stranieri. Il blitz alla scuola Diaz-Pertini, dove alloggiavano manifestanti antiliberisti giunti nel capoluogo ligure per le manifestazioni contro il G8 del 2001, avviene nella notte tra il 21 e il 22 luglio, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani. All’operazione presero parte centinaia di poliziotti, e nessuno è mai stato in grado di fornirne il numero esatto, dato che – come è emerso ai processi – molti agenti e funzionari si aggregarono spontaneamente al contingente.
La scuola era ritenuta il “covo” dei black bloc, protagonisti di due giorni di violenti scontri con le forze dell’ordine. Dai processi, però, è emersa anche la volontà dei vertici della polizia di portare a termine un’azione eclatante per bilanciare il disastro dell’ordine pubblico al G8 genovese. L’ex vicecapo della polizia Ansoino Andreassi, per esempio, ha testimoniato in aula la sua ferma contrarietà all’intervento, avvenuto quando il vertice e le relative contromanifestazioni erano finite. Ma, secondo Andreassi, alla fine prevalse la volontà dei dirigenti inviati da Roma dal capo della polizia Gianni De Gennaro.
L’IRRUZIONE. Nel corso dell’irruzione nel complesso scolastico, aperta dagli uomini del VII Nucleo Sperimentale del Primo Reparto mobile di Roma, comandato da Vincenzo Canterini, la maggior parte degli occupanti viene picchiata selvaggiamente. Al pestaggio, però, non partecipano soltanto i “celerini”, ma anche uomini delle Squadre mobili e delle Digos, distinguibili dai primi dalle divise o dal fatto di essere in borghese. La brutalità dell’intervento sarà confermata al processo di primo grado, oltre che dalle testimonianze di decine di vittime costituitesi parte civile, da Michelangelo Fournier, comandante del VII nucleo, che parlerà di “macelleria messicana” e “colluttazioni unilaterali” in cui i sui colleghi pestavano e gli occupanti subivano. Due vittime arrivarono al pronto soccorso in codice rosso, in pericolo di vita. Fournier racconterà anche di un collega che davanti a una ragazza gravemente ferita a terra “mimò il gesto del coito”.
Molti degli arrestati verranno poi rinchiusi per giorni nella caserma di Bolzaneto, dove subiranno altre violenze.Tutti gli occupanti della Diaz-Pertini sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, un reato che prevede fino a 15 anni di carcere. In sostanza la polizia li accusa di essere tutti dei “black bloc“, protagonisti di gravi incidenti in piazza il 20 e il 21 luglio. Ma le prove verbalizzate dalla polizia si riveleranno false. A cominciare dalle due bottiglie molotov portate all’interno della Diaz dai poliziotti stessi, come accertato definitivamente dal processo di primo grado.
L’INCHIESTA E I PROCESSI. Dopo il G8, finiscono sotto inchiesta agenti e alti funzionari: 29 vengono rinviati a giudizio, accusati a vario titolo di falso, arresto arbitrario, lesioni e calunnia. Il tribunale di Genova, il 13 novembre 2008, con una sentenza che sarà al centro di polemiche, assolve 16 imputati – funzionari e dirigenti – mentre ne condanna 13, che sono soprattutto uomini del VII Nucleo.
La Corte d’appello genovese, però, ribalta il verdetto il 18 maggio 2010: 25 le condanne – tra cui quella di Francesco Gratteri, Giovanni Luperi,Vincenzo Canterini, Spartaco Mortola, Gilberto Caldarozzi, tutti alti funzionari di polizia – comprese tra i 5 e i 3 anni e 8 mesi di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Come in primo grado, nessuno degli imputati è riconosciuto responsabile di specifici episodi di violenza, anche per la difficoltà, da parte delle vittime, di riconoscere gli agenti coperti da caschi e fazzoletti sul volto. Ma dalla ricostruzione dei giudici di secondo grado appare chiara la responsabilità dei vertici per non essere intervenuti a fermare i pestaggi e, per i firmatari dei verbali d’arresto e perquisizione, di aver avallato false accuse verso i 93 “no global”.
Nel processo di cassazione, il pg Pietro Gaeta ha chiesto la conferma delle condanne per tutti gli imputati, mentre fuori dal “palazzaccio” le vittime e le associazioni chiedecano “verità e giustizia”.
L’ASSOLUZIONE DI DE GENNARO. Un processo parallelo poi, ha riguardato l’ex capo della polizia, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni de Gennaro, accusato di aver istigato alla falsa testimonianza sulle violenze alla Diaz l’allora questore di Genova Francesco Colucci. De Gennaro, assolto in primo grado, ma condannato in appello a un anno e 4 mesi, viene prosciolto definitivamente da ogni accusa dalla Cassazione, che, nel novembre 2011, annulla la sentenza d’appello “perché il fatto non sussiste”.
Allarme studenti universitari, a rischio le borse Erasmus.
ROMA - Gli studenti che prenderanno una borsa Erasmus nel secondo semestre del 2012-2013 potrebbero non ricevere finanziamenti a sufficienza dalle loro agenzie nazionali Erasmus. Lo rende noto l'Unione degli universitari. Karina Ufert, presidente dell'Unione degli Studenti Europei (Esu) invita la Commissione europea a "far presto con la proposta del cosiddetto 'Global Transfer' e a risolvere le attuali carenze finanziarie del Fondo sociale europeo, utilizzando i soldi dei fondi Ue sottoutilizzati".
"Oltre a questo - aggiunge Ufert - abbiamo bisogno di una soluzione a lungo termine che garantisca i finanziamenti per tutte le prossime generazioni di studenti Erasmus. Esortiamo gli Stati membri dell'Ue a riconoscere l'importanza dei programmi europei di mobilità degli studenti, mentre si troveranno a decidere sul prossimo quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020". "L'Europa - dichiara Michele Orezzi, Coordinatore Nazionale dell'Udu che rappresenta a livello italiano l'Esu - deve rappresentare oggi più che mai un riferimento politico e sociale. Il progetto di mobilità studentesca Erasmus ha rappresentato sino a oggi una delle realtà fondanti di una nuova generazione di cittadini europei. Il numero di borse dovrebbe essere ampliato andando a garantire anche gli studenti con maggiori difficoltà socio-economiche di partenza. Serve una risposta certa e immediata per garantire tutti gli studenti che già oggi stanno pianificando e hanno il diritto di organizzare in tutta tranquillità il prossimo anno accademico".
I banchieri non pagano la crisi. E delle regole per ora non c’è traccia. - Giorgio Faunieri
Sono quattro anni che si valuta di introdurre un tetto agli stipendi dei banchieri ma fino a oggi non si è fatto nulla. Ed è molto probabile che le cose non cambieranno. L’ultima proposta in ordine di tempo è arrivata dal report Liikanen, la proposta per una regolamentazione del settore bancario europeo elaborata dal membro finlandese della Bce, Erkki Liikanen, su mandato della Commissione Europea. La bozza di riforma, presentata pochi giorni fa a Bruxelles, suggerisce, fra le altre cose, di pagare i bonus ai banchieri almeno in parte in azioni e obbligazioni della banca stessa, di modo che, in caso di fallimento di quest’ultima, i manager non percepiscano la parte variabile della loro retribuzione.
Il suggerimento è, allo stato delle cose, molto vago, e la lobby dei banchieri avrà a disposizione tutto il tempo necessario per depotenziare questa regola prima della sua effettiva entrata in vigore. Resta inoltre da capire per quale motivo un banchiere che porta al fallimento la sua banca debba percepire la parte fissa dello stipendio, che in molti casi supera il milione di euro. E, comunque, anche se venisse applicata in maniera severa la regola proposta da Liikanen non si potrebbe ancora parlare di un vero e proprio tetto agli stipendi. Fino al 2007, ovvero fino alla scoppio della crisi finanziaria, si diceva che imporre dei limiti agli stipendi avrebbe fatto scappare i banchieri migliori verso Paesi senza tetti.
La storia recente ha insegnato che i banchieri più pagati – e dunque i migliori secondo il ragionamento che andava tanto di moda – sono quelli che hanno provocato i disastri maggiori, non solo per le banche che dirigevano (vedi Richard Fuld di Lehman Brothers e Alessandro Profumo di Unicredit che ha preso una liquidazione da 40 milioni di euro mentre la banca era costretta a fare tre aumenti di capitale in tre anni per non fallire) ma per l’intero sistema finanziario mondiale che è arrivato a un passo dal collasso.
Negli ultimi quattro anni la Gran Bretagna è riuscita a vietare i bonus alle banche che hanno ricevuto aiuti statali ma queste ultime hanno cercato di restituire gli aiuti il prima possibile – in alcuni casi mettendo di nuovo a rischio la propria stabilità finanziaria – proprio per tornare a pagare i bonus. Gli episodi di autoregolamentazione sono stati rari e molto limitati nel tempo. Sull’onda del furore popolare per i rischi corsi nel biennio 2008-2009 le banche hanno ridotto i compensi ai manager ma sono prontamente tornati ad alzarli non appena la grande paura è passata (grazie agli enormi sforzi messi in campo dagli Stati e dalle banche centrali). Di recente lo stesso governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha parlato della necessità di tagliare gli stipendi dei banchieri, facendo riferimento a “dinamiche dei sistemi di remunerazione non coerenti con l’attuale fase congiunturale e non sufficientemente ancorati ai risultati di medio‐lungo periodo”.
Nel maggio scorso aveva espresso (inascoltato) lo stesso concetto: “Le remunerazioni degli amministratori e dell’alta dirigenza devono essere indirizzate all’obiettivo del contenimento dei costi”. Uno studio della Uilca-Uil ha rivelato che il monte retribuzioni 2011 degli amministratori delegati dei primi undici gruppi bancari italiani è cresciuto nel complesso del 36,23% rispetto all’anno precedente, per un totale di 26,067 milioni, anche a causa delle dimissioni di quattro top manager che hanno comportato buone uscite per complessivi 9,7 milioni. Lo stipendio medio degli amministratori delagati è risultato 85 volte quello del bancario medio (il record è di 101 volte nel 2007).
Nel marzo scorso i sindacati dei bancari Fiba, Fabi, Fisac, Uilca, Sinfub, Ugl credito e Dircredito hanno chiesto pubblicamente di limitare questo rapporto a 20 volte ma anche il loro appello (rivolto al presidente del consiglio Mario Monti, al presidente dell’Abi Giuseppe Mussari e allo stesso Visco) è rimasto inascoltato. A livello mondiale, secondo il calcoli del Financial Times, le retribuzioni dei dirigenti e degli amministratori delegati delle maggiori banche lo scorso anno sono aumentate del 12% con un guadagno medio complessivo pari a 12,8 milioni di dollari. L’incremento delle retribuzioni riguarda gli stipendi netti e non, invece, i bonus e i benefit extra. I premi conferiti attraverso le azioni sono invece cresciuti del 22%.
L’amministratore delegato di JPMorgan, Jamie Dimon è sempre in cima alla top ten per il secondo anno di seguito con una retribuzione di 23,1 milioni di dollari, circa l’11% in più rispetto all’anno precedente. Al secondo posto c’è l’ad di Citigroup, Vikram Pandit, con un guadagno pari a 14,9 milioni di dollari. Non se la passava male neanche Bob Diamond, amministratore delegato di Barclays (che si è pero’ dimesso in seguito allo scandalo della manipolazione del tasso Libor), con una retribuzione annua pari a 20,1 milioni di dollari, e Antonio Horta-Osorio di Lloyds Banking Group, che può vantare un compenso di 15,7 milioni di dollari. In Italia il record spetta all’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, che ha incassato 2,19 milioni (1,58 in compensi fissi e 338mila euro in “bonus e altri incentivi” riferiti “al solo pagamento di incentivi differiti” relativi al 2009 e 2010, come si legge nella relazione sulla politica retributiva del gruppo). Seguito dal suo ex presidente Dieter Rampl (1,8 milioni di euro).
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Costi della politica, se il governo Monti copia da Tremonti (e tutti applaudono). - Sara Nicoli
Non c’è niente di più inedito dell’edito, ironizzava negli anni ’50 un grande giornalista come Mario Missiroli. E’ una frase che, però, calza alla perfezione anche per fotografare quello che è accaduto ieri sera a Palazzo Chigi. Quando il governo ha varato il decreto sui tagli alla politica negli enti locali sollecitato dagli stessi governatori regionali e da molti sindaci. Il tutto – è noto – è nato dopo lo scandalo della Regione Lazio e sull’onda dell’emozione provocata dall’inizio di inchieste similari in Campania, Emilia Romagna e Piemonte e, soprattutto, spacciato come l’ennesima novità legislativa di stampo moralizzatore messa in campo da Mario Monti.
Non appena sono cominciate a circolare le copie del nuovo articolato, però, si è visto subito che il testo non si discostava di molto dal documento portato dai governatori al sottosegretario Antonio Catricalà la scorsa settimana. Ma soprattutto, era un testo che aveva similitudini davvero impressionanti con l’articolo 14 della manovra Tremonti dello scorso agosto (il decreto 138) che prevedeva la riduzione dei Consiglieri e dei loro stipendi. Una manovra che all’epoca aveva provocato l’immediata alzata di scudi dei governatori e che, invece, ieri è stato digerito come un bicchier d’acqua e, in alcuni casi, accompagnato da un sincero entusiasmo dei diretti interessati.
Insomma, Monti non si è inventato nulla di straordinario. Anzi, ha copiato di sana pianta Tremonti, solo che all’epoca il governo era ormai delegittimato nell’azione politica e di risanamento economico, mentre ora – inchieste a parte – si parla addirittura di un Monti bis dopo le elezioni di aprile: impossibile non adeguarsi al nuovo corso. E, soprattutto, a salutarlo con favore. Si ricorderà anche che la manovra tremontiana demandava alle Regioni il compito di attuarle entro sei mesi, cosa che naturalmente non è avvenuta. E i ricorsi sono servirti anche per rallentare l’applicazione delle norme secondo la scadenza prevista. Poi è esploso il Lazio gate e l’indignazione dell’opinione pubblica ha indotto consigli e giunte regionali a fare quello che non hanno fatto in questi 15 mesi.
Giusto per ricordarlo, la manovra Tremonti del 13 agosto 2011, messa a punto in un’estate in cui il governo si produsse, complessivamente, in cinque diverse versioni del provvedimento per cercare di arginare il volume dello spread in fiammata perenne e quotidiana, conteneva tagli agli enti locali e alle Regioni per 9 miliardi di euro nel biennio 2013-2014. Le riduzioni erano state suddivise in circa 3,5 miliardi di euro nel 2013 e 5,5 miliardi nel 2014. E prevedeva, sempre per Comuni, Regioni e Province, trasparenza nelle spese, tagli agli stipendi, riduzione del numero delle poltrone e anche significative sanzioni per chi non avesse attuato la stretta. Una manovra, dunque, molto stringente, dettata ovviamente dall’emergenza di quel momento che indignò tutti. A partire proprio dal “celeste” Formigoni che parlò, seccato, di “fine del federalismo fiscale”. Quindi fu presa la decisione di ricorrere alla Corte Costituzionale. Ieri Formigoni era sempre in prima fila, stavolta a decantare la bontà di un provvedimento con gli stessi contenuti della manovra 2011 – in qualche caso addirittura peggiori – sostenendo addirittura di essere stato tra quelli che hanno perentoriamente chiesto a Monti di intervenire: “Quei tagli – ecco la dichiarazione – sono le richieste presentate da noi (dai governatori all’esecutivo nazionale, ndr) e il decreto va in quella direzione”.
Un decreto che, lo ricordiamo, contiene tagli agli stipendi di consiglieri e assessori e anche ai gettoni di presenza nelle commissioni, sanzioni a carico degli amministratori locali, come i sindaci, che hanno contribuito con dolo o colpa grave al verificarsi del dissesto finanziario e l’incandidabilità per dieci anni. Quindi il dimezzamento delle agevolazioni in favore dei gruppi consiliari, dei partiti e dei movimenti politici e l’adeguamento al livello della Regione più virtuosa (identificata dalla Conferenza Stato-Regioni entro il 30 ottobre 2012), la tracciabilità delle spese dei gruppi consiliari, scure su auto blu e sponsor, e taglio dei vitalizi con passaggio al sistema contributivo per le pensioni.
Insomma, una tagliola tremenda. Ma già tremendamente vista. E, stavolta, anche accettata solo perché la propone Monti. Che a sua volta non si è inventato niente ed ha copiato Tremonti. Quando si dice che non c’è mai niente di più inedito (e apparentemente brillante) dell’edito…
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